Voli inVersi
L’Estroverso
Valentina Neri, Voli inVersi
12 ottobre 2015
Se fossi costretto da un gioco, che spesso i presentatori televisivi fanno, e dovessi sintetizzare in una sola parola questo libro di Valentina Neri, all’apparenza piccolo, risponderei: “Irruenza”. Non l’irruenza della tempesta o dei cicloni, ma l’irruenza della brezza che pacatamente sconvolge e rimuove il risaputo e porta su nuove sponde, oltre orizzonti distrutti dalle consuetudini, dallo sguardo opacizzato dell’abitudine. Di conseguenza ecco Le figure del sogno e per prima gli Specchi, una galleria di miti rivissuti però senza aloni, con quella umanità che è segno distintivo dell’intero volume. Poi il Bestiario delle Figure della realtà, con versi che saettano (“Ho scelto di incarcerarmi / in una lattina della Coca Cola”, “Smarrita in un labirinto di memorie assenti”, “Nessuno vendicherà il futuro immaginifico / scardinato dai nostri sogni”) e a seguire Umanità, in cui trabocca una tenerezza coinvolgente e ricca (“Cucina l’amore”), in cui ciascun familiare risorge da un’icona per ritrovarne un’altra adeguata e ferma dentro parole che fluttuano e rigenerano l’amore. Molto belle le interpretazioni sia di Davide Rondoni, sia di Maria Teresa Marcialis, che sono entrati nel vivo della poesia di Valentina, e non nascondo che dopo avere letto il libro e dopo avere letto i due scritti critici mi sono sentito privo di risorse, per un attimo, con la sensazione che ogni argomento fosse stato trattato, che ogni sfumatura dei testi fosse stata discussa. E dunque la rilettura. Come sempre bisognerebbe fare, soprattutto quando un libro come questo presenta mille risvolti. Ed ecco Le figure della felicità, il Senso che si apre a ventaglio, e l’Oro a chiusura. La rilettura permette di assaporare le parole, di entrarci e di coglierne le valenze più nascoste, quel profumo imponderabile che la poetessa ha sparso a piene mani donandosi, abbandonandosi, senza paraventi, senza tergiversare e senza coprire di veli i suoi sentimenti, consapevole che si tratta di sentimenti forti, frutto di una natura che rapidamente ha racchiuso in sé esperienze umane e di letture, viaggi nell’abisso dei sogni, esaltazioni che debordano e però fermano, proprio nell’attimo di debordare, il senso recondito delle perdite quotidiane, del disfarsi della logica, dell’insinuarsi di quel qualcosa che a un certo punto rende palese la verità. Perché si badi con attenzione, Valentina è a questo che tende, scovare la verità, portarla allo scoperto, offrirla e magari fustigarla quando si concede a chi non la merita. Una poesia così fatta non bada, dunque, soltanto agli esiti letterari ed estetici, ma anche a quelli irti e scomodi del sociale. Infatti, se ci si sofferma adeguatamente, ci si accorge che non mancano stilettate impudiche che vanno al cuore del sistema-mondo. L’ansia di Valentina, la sua inquietudine sono come fiumi che impetuosamente si gonfiano e trascinano verso il mare aperto. Il fiume però non è soltanto mezzo che ha la funzione assegnatagli dalla natura, ha versanti emblematici che vanno dal viaggio, al canto frastagliato, allo sconvolgimento, alla bellezza insita nella corsa, alle anse, alle rapide… e perfino alla distruzione, alle diramazioni… Libro perciò vero, parole intagliate che non sono puri suoni rubati al vocabolario, pensieri costruttivi che mirano a dare un nuovo assetto alla realtà, che non vogliono essere carezzevoli e suadenti, ma vogliono il colloquio, l’incontro e lo scontro. Ritorno per un attimo alla postfazione di Maria Teresa Marcialis che avvisa: “Voli inVersi ha una profonda unità, derivante non solo dall’unità del sentire e del poetare, ma anche dalla struttura formale”. Infatti la voce della poetessa è riconoscibilissima, tersa, accattivante e calda, ed è per questo che diventa saldo il rigore formale che dà la possibilità di esprimersi al meglio, con punte raffinatissime e con lampi che attanagliano e ci danno la misura di un’anima, di un carattere, di un poetessa, insomma, che io vedo avviata a grandi risultati e proprio perché nell’irruenza del dettato non dimentica d’essere donna pienamente, fino in fondo. E lo si intende magnificamente proprio quando dice, in Cibo, “Non sono nemmeno più donna”.
(Dante Maffia)