Valentina Usala e Passo a quattro mori a Livorno
aprile 2012
Valentina Usala ha presentato il suo romanzo al circolo di Livorno
Tutto esaurito nella Sala del Circolo di Livorno per la nostra giovanissima scrittrice Valentina Usala gremito di Sardi e simpatizzanti livornesi e ospiti provenienti da altri Circoli della Circoscrizione FASI del Centro. L’armonia commovente di composizioni sarde accompagna il prologo d’accoglienza e di preparazione allo sviluppo del dialogo che immancabilmente si innescherà sul contenuto della prima bella espressione letteraria di questa giovane “Sarda dentro”. Il Segretario del Circolo Giampaolo Pisanu nelle magica atmosfera creata dalle note delle launeddas che “scaldano” l’ambiente e gli animi, inizia citando le note stampate sulla “quarta di copertina” del libro, sintetizzandone contenuto e spirito: “Un percorso nella memoria. Uno sciame di ricordi che si ramificano, descrivendo luoghi e persone, gesti e sentimenti. Attraverso le memorie di un uomo, oramai migrato da anni nell’Italia del nord, ecco svolgersi sotto i nostri occhi una serie di eventi bizzarri, simpatici, divertenti, malinconici, che descrivono pienamente e con vigore uno spaccato di una comunità rurale, a cavallo degli anni ’60 del Novecento. Tra voglia di modernità e passione per il proprio sentirsi “diversi”, tra richiami al passato e alla tradizione e speranze rivolte al futuro, “PASSO A QUATTRO MORI”, il primo romanzo dell’esordiente Valentina Usala, vuole essere un omaggio alla sua terra, ai suoi abitanti, ad un luogo che si può solo amare e sentire nel cuore.”
Valentina Usala, al suo affacciarsi al mondo dell’arte della scrittura, che l’ attenta e competente critica mediale, prevede assai prolifica e affascinante, in questa raccolta di ricordi catturati dai racconti del padre, fa davvero esplodere nel nostro cuore immagini di epoche già trascorse, ma ancora ben presenti e radicate nell’Isola. Sono momenti ben focalizzati in tutte le manifestazioni e gli eventi delle tradizioni che la cultura sarda mantiene tenacemente vivi, facendoli assurgere ad icone inalienabili delle esistenze di tutti i sardi, ovunque vivano. Questo, a conferma di quell’invisibile legame, oserei dire insopprimibile, che attribuisce inevitabilmente ad ognuno di noi ed ai propri figli caratteristiche sorprendentemente simili, tanto da far pensare all’esistenza di un comune DNA ancestrale che conduce ad un incredibile destino condiviso. Col sottofondo di alcuni meravigliosi canti sardi, come “Non potho reposare”, Il papà di Valentina racconta: “Il fatidico giorno era ormai giunto ed il mio cuore trasudava paura, dolore e rabbia. Io – Torixeddu – così mi chiamavano ad Escalaplano – mi preparavo per il viaggio a Cagliari dove mi sarei imbarcato per Civitavecchia. Caricammo i bagagli, o meglio, una sola valigia, con i miei pochi vestiti. Solo quelli potei stipare … anche se avrei preferito portarmi dietro rami di mirto, un pugno di terra, l’acqua delle fonti e del rio, un pezzo di cielo, i rintocchi delle campane, le note dell’organetto, il profumo dei cibi, il suono del vociare delle persone, tutto insomma. Tutto. Ma in quel caso cento valige non sarebbero state sufficienti. E così dovevo fare spazio nel cuore e nella mente. Qui avrei custodito Escalaplano. Ero rassegnato. Ormai non c’era più nulla da fare. Guardavo i mei monti che, da imponenti che erano, si facevano sempre più minuscoli e, nel mentre, ripercorrevo gli istanti felici che avrei potuto vivere ancora, attimi fuggiti a causa di un destino e di una sorte che ritenevo ingiusta. Per cercare di rasserenarmi cercavo di pensare a fatti e fatterelli delle mie interminabili giornate in paese. Ma quando arrivai a Dolianova, capii che il momento stava per giungere. Il distacco definitivo era alle porte. Avvertivo non solo dolore, ma anche rabbia…tanta rabbia intrisa con uno strascico di nostalgia, perché, sinceramente parlando, la Sardegna mi mancava già. A quel punto iniziai a meditare dicendomi: “Pensa a quante cose nuove potrò vedere e imparare. A quante persone potrò conoscere! Caspita, avrò la possibilità di vedere Roma.” Scendemmo dalla macchina. Abbracciai mamma e poi, ovviamente, scoppiammo a piangere. La nave enorme era arrivata. Ci fecero salire. Diedi un bacio alla mia terra, simbolicamente. Io e gli altri escalaplanesi. All’unisono. Poi mi voltai e finii di percorrere la passerella. Ero dentro il ventre panciuto della nave. Direzione Civitavecchia. Meta Riano. Come a dire il nulla. Sì, per me quei luoghi erano niente. Perché non erano Sardegna. Ero talmente amareggiato che non mi sistemai nemmeno in cabina. Corsi direttamente sul ponte, per dare un ultimo sguardo nostalgico a Cagliari. E sperando, ingenuamente, di vedere il paese. In fondo, pensavo, la nave era così alta! Il suono della sirena segnalò la partenza. Quando gli ormeggi si staccarono fu come se mi spezzassero il cuore. Osservai le funi lasciarsi andare con estrema semplicità. Mosse un poco dal vento e dal mare, mentre gli addetti portuali le tiravano verso sé. Avrei voluto urlare, gridare, ma a cosa sarebbe servito? Intanto la nave si staccava dalla banchina … presto fu oltre i moli, verso il mare aperto. Solo, con l’animo straziato, mi allontanavo dalla mia Sardegna. Il mare era sempre più vasto e blu e la costa sempre più lontana.”
Ecco, quindi, proiettati nel cuore del pubblico presente, le istantanee fissate in immagini di scorci della vita del padre di Valentina raccolta nel volume, partendo particolarmente da Escalaplano. Appaiono costumi, aspetti bucolici della transumanza e della vita rurale degli anni 70, sa sartiglia, s’incontru per Pasqa Manna, s’arrosoia, il vecchio piroscafo di tempi oramai passati e tanti, tanti altri ricordi. Ora, dopo che parecchi presenti hanno rivissuto con profonda commozione il distacco dalle proprie origini, finalmente, Valentina finalmente dà corpo a scambi di considerazioni emergenti dagli interventi degli astanti, curiosi e assetati di rinnovare i ricordi che ritornano da un lontano passato.
(Giampaolo Pisanu)