“Un posto difficile da raggiungere” su Postfazioni
CONSIGLI DI LETTURA PER L’ESTATE 2023
La brezza marina, si sa, è adattissima a scompigliare anche le pagine. Mentre infilavo in valigia i volumi che mi accompagneranno in vacanza, mi sono fermata a riflettere su quali, fra i libri incontrati negli ultimi mesi, mi hanno colpita a tal punto da volerli consigliare ad altri lettori per le loro ferie d’agosto.
Solo narrativa, solo otto titoli, solo italiani: avevo bisogno di attenermi a qualche criterio di selezione per porre un freno alla mia logorrea.
Dario Ferrari, La ricreazione è finita, Sellerio
Questa per me è la scoperta dell’estate: a mio avviso si tratta di uno dei migliori romanzi italiani dell’ultimo decennio.
Un «debosciato», ovvero un trentenne fresco di laurea, riesce finalmente a mettere a frutto le conoscenze maturate nei troppi anni fuori corso – grazie ai quali ha imparato suo malgrado «chi ha studiato con chi, chi non sopporta chi, chi ha rubato la moglie a chi, chi ha copiato chi, chi non va ai convegni di chi…» – e vince una borsa di dottorato.
A fermarsi alla prima parte del romanzo, la più leggera, quasi interamente ambientata all’università di Pisa, si potrebbe incorrere nell’errore di sottovalutare la letterarietà del testo, e obiettare che, per quanto spassosa, la narrazione risulti autoreferenziale, tutta ripiegata sulla rappresentazione di un giovane studioso incastrato in un ambiente medievaleggiante, che si regge su vassalli, valvassini e valvassori. E invece no, Ferrari ci stupisce: riesce, spostando l’attenzione dal protagonista all’autore su cui il protagonista ha incentrato il suo progetto di ricerca (Tito Sella, terrorista toscano appartenente a una cellula vicina alle Brigate Rosse), ad ampliare progressivamente gli orizzonti contaminando la narrazione con raffinati inserti di critica letteraria e pagine accuratissime sugli anni di piombo, fino a trasformare il suo campus novel in un’opera densa e stratificata che si interroga sulla letteratura, sul sapere, sul potere, sul rapporto con la storia.
Francesco Pecoraro, Solo vera è l’estate, Ponte alle Grazie
L’estate evocata dal titolo è quella del 2001, che si presta a essere analizzata come spartiacque identitario tra il nostro secolo e lo scorso: è l’estate del G8. Giacomo, Enzo e Filippo non sono andati a Genova, preferendo una gita ad Anzio, ma, in accordo con un pigro senso di appartenenza alla sinistra (il retaggio di un passato di militanza studentesca), si tengono aggiornati su quel che accade a Genova ascoltando una trasmissione radiofonica. Inconsapevoli che la loro amica Biba, la proprietaria della Yaris su cui stanno viaggiando, si trova dall’altra parte della barricata, perché lei invece, per qualche scoria di responsabilità politica, a Genova ha deciso di andarci, e i fatti che i suoi amici sentono raccontare li vede svolgersi sotto i suoi occhi.
Un romanzo politico crudo, un romanzo generazionale che non concede sconti. Una sorpresa per chi non conosce Francesco Pecoraro, una conferma per i suoi più affezionati lettori (schiera di cui faccio parte): anche il suo ultimo lavoro lo si apprezza a partire dalle costanti stilistiche (in particolare l’inserimento di lunghi inserti non finzionali) e tematiche (la diffidenza verso la società, lo scetticismo verso le evoluzioni della politica, il desiderio di indagare il presente attraverso le ferite della storia) che lo legano alla sua precedente produzione.
Emanuela Canepa, Resta con me sorella, Einaudi
A proposito di percorsi autoriali che si distinguono per la coerenza non si può non citare Emanuela Canepa. Einaudi ha pubblicato qualche mese fa il suo nuovo romanzo, e questa notizia già di per sé sarebbe un ottimo motivo per correre in libreria, perché Canepa è una di quegli scrittori che della fedeltà alla loro poetica hanno fatto una garanzia di qualità.
Italia, anni Venti del Novecento: anche stavolta Canepa si interroga sulla (mancata) libertà delle donne, e lo fa attraverso la metafora del carcere femminile, in cui è ambientata larga parte del romanzo. Anita, la protagonista, all’amarezza della reclusione deve aggiungere quella di scontare una pena da innocente. Molto più istruita delle compagne di sventura, la protagonista fatica ad adeguarsi alla forma mentis delle detenute e a quell’insieme di norme comportamentali non scritte che alla Giudecca regola non solo i rapporti con le suore, ma anche quelli fra le carcerate. L’ipotesi di un’opportunità di riscatto si profila all’orizzonte grazie al principio di sorellanza, più nello specifico a seguito dell’incontro con Noemi, che le appare subito diversa da tutte le altre: Anita intuisce in lei un risvolto nascosto di profondità che rivela le loro affinità elettive («Le pare di intuire in Noemi un doppio fondo, una vocazione a non occuparsi solo di bisogni essenziali, un desiderio di bellezza»).
Un romanzo ricco di trama, personaggi, colpi di scena: una grand récit in pieno stile, resa contemporaneissima dalle scelte di prospettiva della sua autrice (non solo il protagonismo femminile, ma anche, ad esempio, l’attenzione riservata all’epidemia di spagnola più che alla guerra).
Antonella Lattanzi, Cose che non si raccontano, Einaudi
Restando in casa Einaudi, c’è un’altra autrice a cui andrebbe sempre riservata grande attenzione, e che col suo ultimo lavoro mi pare abbia superato sé stessa. Mi riferisco ad Antonella Lattanzi, che ci consegna un romanzo autobiografico dolorosissimo, in cui riattraversa tutto il suo tragitto verso la maternità mancata, a partire dai sensi di colpa per due aborti volontari del passato, fino al percorso solitario – nonostante abbia un compagno: di fronte alla maternità ogni donna è sola: «Tu sei una donna, e devi fare sempre tutto da sola. Il corpo dentro il quale ci sono queste bambine è tuo. Fattene una ragione» – della procreazione assistita e al lutto di tre gemelle mai nate.
Un romanzo a suo modo ribelle perché mai autocensorio, che sfida con la schiettezza il tabù dell’irraccontabile. Una lettura spietata ma essenziale, da maneggiare con cura.
Sofia Pirandello, Bestie, Round Robin
Nel dialetto siciliano, le bestie sono gli stolti. In questo romanzo, molti elementi si potrebbero definire bestie o bestiali: le matriarche della famiglia che tentano di far scontare alle loro discendenti la colpa condivisa dell’essere nate fìmmine, le maledizioni che ramificano nei sostrati culturali di una terra rovente, i sortilegi scagliati per mestiere, i marchi familiari che si imprimono nel sangue come un’eredità genetica.
Siamo in Sicilia quando comincia la storia di Lucia, una giovane donna che alla sua terra assomiglia per ostinazione e intensità («Ho un’anima antica e nera, profonda come un pozzo e chissà quante cose ci nascondo. Ho paura del buio, anche se me lo porto dentro»). Per realizzare il suo personale sogno americano, ovvero trasferirsi al nord, Lucia proverà ad affrancarsi dalla sua isola, ma ci riuscirà a fatica e mai del tutto. Finché il richiamo delle origini inizierà a farsi sentire con invadenza.
Un romanzo che riesce a conciliare intelligenza pungente e passionalità viscerale.
Anna Puricella, Monteruga, Fandango
Restiamo al sud, ma ci allontaniamo dalla calura siciliana per immergerci in quella pugliese. L’estate è per eccellenza il periodo dell’anno in cui il Salento si trasforma in una cartolina, ma questo non è (per fortuna) quel che accade nel romanzo di Anna Puricella, ambientato in un borgo reale e realmente visitato dall’autrice, Monteruga, un luogo anziano e cupo in cui è più facile incontrare fantasmi che turisti. Angelo, il protagonista, vi si trasferisce per inseguire un desiderio di quiete, salvo poi lasciarsi travolgere dai tormenti di una terra spettrale.
Ho incontrato Anna di persona tempo fa; non ho condiviso con lei abbastanza tempo per poter affermare di conoscerla, eppure mi è bastato per intuire quell’aura da scrittrice che la circonda da prima del suo esordio, forse da sempre. E infatti il suo romanzo primo stupisce per maturità e profondità.
Marco Gonzo e Tersite Rossi, Pornocidio, Mincione
Ed è arrivato il momento di spostarsi nel territorio della narrativa breve. Agli amanti delle penne dotate di ironia corrosiva e delle narrazioni politicamente scorrette consiglierei la spregiudicata raccolta di racconti di Marco Gonzo (e Tersite Rossi) uscita qualche mese fa per Mincione. Il libro ha subito attirato l’attenzione della stampa e dei social per la stravagante genesi editoriale, ma, anche concentrandosi solo sul testo, mi pare lo si debba tenere in calda considerazione come scorrevole lettura estiva.
Un detective privato, poco amante del lavoro e molto amante del whisky, indaga su una serie di crimini di natura sessuale, e va così alla scoperta di un carosello di personaggi border line, che invitano il lettore a riflettere sulla corruzione che sconfina in ogni ambito della vita, sulla sessuofobia e su una serie di perversioni troppo umane.
Irriverente, strafottente, libero: non solo un libro di denuncia, anche una boccata d’aria narrativa fresca.
Gianluigi Bodi, Un posto difficile da raggiungere, Arkadia
Ci sono sempre situazioni in equilibrio precario. Ci sono sempre nodi irrisolti che rischiano di tornare a galla per squarciare il cielo di carta del presente. Ci sono sempre vite indegne dei sogni. Ci sono sempre identità randagie impegnate nella spasmodica ricerca del proprio posto nel mondo, un posto (troppo) difficile da raggiungere. E che tuttavia sembra sempre lì, a portata di mano, sfiorabile tornando indietro di un passo. Come sarebbe andata la nostra vita se avessimo imboccato l’altra strada? Come si convive con i what if?
Restando nell’ambito della narrativa breve, anche il lavoro del nostro Gianluigi Bodi si aggira fra gli scaffali delle librerie insieme alle ultime uscite. E nei suoi racconti si ritrova tutta la malinconia nobile e l’intelligenza ruvida che accompagna ogni suo scritto.
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