Un bambino sbagliato
Fuori è tutto un luccichio lunare.
Il prato è un laghetto di fili d’argento, increspati dagli aghi di pino che brillano appuntiti scompigliandone la cresta.
Le ortensie hanno il colore rosso scuro del sangue, la palma sembra un monumento maestoso e scintillante che sovrasta un salice sommesso, che piange ricurvo allungando le sue dita d’ombra verso di me, che osservo ogni cosa dietro la porta a vetri che dà sul giardino.
I grilli cantano, dietro di loro si muove un silenzio ostinato.
Giù in fondo alla strada, il mare cupo mastica piano con la sua enorme bocca capace di inghiottire il mondo intero, se soltanto lo volesse.
Tutto il resto è immobile, in attesa che il sole sorga di nuovo riportando in vita ogni cosa che di notte appare morta.
Sarebbe tutto molto evocativo e poetico, se non fosse che siamo a Fregene, che di poetico ha solo le bestemmie degli automobilisti che, in fila sull’Aurelia ogni domenica mattina, imprecano insultandosi a vicenda nel vano tentativo di arrivare in spiaggia a un orario decente.
Qui mancano l’appeal delle Maldive, l’allure dei Caraibi, lo status sociale di Porto Cervo.
“Porto Sfiga” semmai, che ogni volta che resto qui per più di due giorni mi vengono degli attacchi di colite che mi fanno contorcere dagli spasmi.
A Fregene, di giorno, l’aria sa di abbronzante al cocco, sudore stantio e melanzane alla parmigiana sfornate da poco, i bambini si inseguono con le biciclette urlando come selvaggi, gli adolescenti si chiamano “zio” a vicenda e il mare, nei giorni buoni, ha l’aspetto di un minestrone lasciato a raffreddare nella pentola per una quindicina d’anni.
Domani è pure Ferragosto, l’apoteosi assoluta del bordello suburbano.
Già immagino il viavai di macchine con l’autoradio a palla sui successi dell’estate, le comitive agguerrite munite di portapranzi pieni all’inverosimile, tutti con lo sguardo combattivo e rancoroso, tutti pronti alla rissa violenta per mezzo metro di spiaggia libera rubato. Le partite a racchettoni che manco la finale di Wimbledon, il pallone scalciato in pieno volto alla prima vecchietta che si addormenta sotto l’ombrellone, i gavettoni che fanno tanto estate anni ’80, il bagnasciuga invaso da un esercito di gonfiabili di ogni forma e colore.
Anche quest’anno mi sono fatto fregare a venire qui.