Uccelli di fango
IL BAMBINO PRODIGIO
Dal barbiere di Malaga presso il quale andavo a tagliare i capelli quando erano troppo lunghi purché non mi dessero del “modernista”; in quella botteguccia da nulla, senza bacinella alla porta né chitarra o chiacchiericcio dei clienti, tra quattro specchi appannati, quattro poltrone girevoli, qualche spazzola e gli odori più diversi di unguenti dolciastri; lì, per i capricci della terrena idiosincrasia, era nato il bambino prodigio, il niño sabio, come lo chiamavano i giovani tirati a lucido che vi prestavano servizio.
Quel portento nacque da un padre barbiere, senza pretese di nobili natali, e da una povera madre che non era capace di fare nemmeno la riga al centro. Da loro venne al mondo questo fenomeno, un mostro di portenti naturali, un bambino talmente bizzarro che, se non ne avessero avuto dati certi, i genitori, i suoi stessi genitori, per modestia non avrebbero creduto di averlo procreato proprio loro.
Alla nascita, chi l’avrebbe mai detto?, nel padre e nella madre suscitò più orrore che allegria, più timore che gioia, più sospetti che speranze. Nel primo anno non piangeva né rideva, e non si capiva neppure dove guardasse, talmente era trasognato, e con la bocca aperta, come i rondinini nel nido, che i genitori s’impensierivano, e non sapevano se quello strano bambino sarebbe divenuto uno stolto o invece un sapiente… finché un giorno, miracolo dei miracoli, sembrò che si svegliasse, si voltasse attorno dicendo con lo sguardo: «Eccomi qui. Fatemi posto che ora inizio a vivere pure io.»
E che vivere! E quanta fretta! E quale brama di crescere! A due anni parlava già molto meglio dei genitori e dei giovani del salone da barbiere; a tre intesseva discorsi sulla Resurrezione della Carne e sulla Vita Eterna, suonava una marcia al pianoforte, conosceva a memoria il Vecchio Testamento e aveva imparato a bestemmiare; a quattro ormai non credeva più, e a cinque si era affrancato: era ben edotto sia dei re goti sia della vera storia di Spagna, sapeva sia dire messa sia discettare di tori. La sua testa era così grande che tutto il cervello non formatosi ancora si era già convertito in memoria e ribolliva in un modo tale da far paura a sentirlo.
I conti? Ne sapeva più degli stessi numeri. Le lettere? Le conosceva meglio dell’abbecedario. E addirittura ai maestri più sopraffini avrebbe potuto dare lezione su tutte le inezie del mondo, come la dottrina e le preghiere, i modi e le maniere. Pareva impossibile che un bambinetto tanto triste possedesse simili conoscenze, che una creatura incapace di ridere sapesse tutto quello che sapeva, che con quegli occhi talmente sporgenti e cupi potesse essere penetrante a tal punto. Sembrava sordo, eppure aveva il dono della musica. Sembrava stralunato, ma aveva addosso l’argento vivo delle scienze. Sembrava che gli pesasse la testa, eppure la dirigeva ovunque volesse. Oratoria, intelligenza, istinti: riuniva in sé le capacità di ben tre persone diverse. Tuttavia, ciò che più lo contraddistingueva era la memoria per i versi, per le poesie e, soprattutto, per le commedie. Sebbene fosse stato a teatro poche volte, conosceva a memoria il Don Juan Tenorio, La verbena de la Paloma e El dúo de “La Africana”: testo, musica e partitura d’orchestra.
«Che ci faremo con un ragazzo così?», si chiesero un giorno i genitori. Una carriera. E quale? Studi seri? E chi li avrebbe pagati? Esibirlo in giro per il mondo? Saranno stati barbieri, però erano pur sempre genitori. Quel bambino era troppo per loro, ecco il punto. Finché era piccolo, benissimo: chiunque può allevare un niño sabio, per quanto prodigioso possa essere. Da piccolo divertiva i clienti, frastornava le vicine, se lo portavano agli incontri, se lo passavano di mano in mano, se lo sbaciucchiavano, lo toccavano, spupazzavano e finivano per gonfiargli ancora di più la testa. Ma cosa sarebbe successo appena fosse cresciuto? Appena la sua mente fosse traboccata, mica potevano fargli fare il barbiere! Sarebbe stato un terribile affronto! Come potevano rinchiuderlo nella bottega, se la bottega gli andava stretta? Sarebbe stata una schiavitù. E allora, che cosa? Medico? Era troppo, e troppo poco. Notaio? Mai. Avvocato? Giammai. Il suo sapere si sarebbe perso: si sarebbe perso lui, si sarebbe perso il padre, e tutti si sarebbero persi nel caotico mare in cui sguazzava quell’istituzione.
Nel grande caos di tali e tanti dubbi, e di altri ancora, un bel giorno, per un caso della sorte o della sventura, arrivò a Malaga una compagnia di bambini. Quando il direttore venne a sapere di quel fenomeno, s’informò meglio e una sera andò a farsi tagliare i capelli. E mentre glieli tagliavano ascoltò il piccolo e, appena rasato il capo, prese accordi con il padre per portare con sé il niño, e restituirglielo una volta che fosse divenuto uomo.
Ah, buon Dio! Ah, santi portentosi! Mi sembra ancora di risentire la scena che seguì a quelle trattative. Che grida! Che pianti! Che drammatiche emozioni!
«No! No!», gridava la madre. «È mio! Non voglio che me lo portino via!»
«Ma, moglie mia», diceva il barbiere, «calmati! Non se li mangiano mica, i bambini! Li educano come a scuola, li fanno cantare per divertire la gente e poi te li riportano già belli istruiti!»
«No, là dentro ci muoiono», obiettava lei. «Li tengono chiusi come uccelli! Gli fanno patire tristezze e miseria! Li costringono a cantare anche se non lo vogliono!»
«Macché, moglie mia! Si divertono! Li vestono, li seguono, li portano a spasso.»
«Come monache», diceva la madre.
«Come artisti», diceva il padre.
«Come gli artisti di un orfanotrofio!», strillava la poveretta, con le lacrime che le zampillavano simili a pioggia.
«Allora basta! Visto che sono il padre, decido io: non dargli il bambino è non pensare al suo futuro… né al nostro né a quello di tutti noi. Perciò, con i diritti che mi competono, io glielo darò.»
«Mai e poi mai!», gridava lei, visto che era la madre.
«Non sia mai! È mio, e io non voglio! Ladro! Quello è mio figlio! Ladro! Ladri!»
E gridò ai ladri tante di quelle volte che lui le affibbiò una bella mazzata, e l’indomani un’altra, e il giorno dopo un’altra ancora, mentre conducevano via il bambino prodigio.