“Talking Heads 77” su Retroguardia 3.0 – Miscellanea
John Domini, “Talking Heads 77”
Un’immersione negli Stati Uniti degli anni ’70 sub specie di Boston e del mondo giornalistico-letterario-musicale esplorato da una nuova rivista in cerca di scoop. Questo il succo del romanzo Talking Heads 77 dello scrittore italo-americano John Domini. Un testo che, pur avendo un chiaro protagonista – il fondatore del periodico “Sea Level” Kit Viddich, animato dall’ambizione ma anche da grandi ideali di denuncia sociale e politica –, ha una natura polifonica, coinvolgendo molteplici personaggi, livelli di analisi e stili, e aprendo perfino alle voci interiori di Kit. Una sua inchiesta sul mondo dell’edilizia e i suoi intrighi e un autentico carotaggio negli orrori a sfondo razziale emersi in un terribile carcere, Monsod, diventano l’innesco di un itinerario nel cuore oscuro di un paese nel pieno di una forte crescita affaristica, pur contrastata e oscurata sia dai “piani alti” del malaffare (in fondo, lo scandalo Watergate e le dimissioni del presidente Nixon non sono passati da molto), sia dalle violenze metropolitane. Fatti e situazioni che finiscono per turbare l’equilibrio mentale non meno degli eccessi di tanti personaggi della scena artistica e musicale – non è un caso se uno dei pezzi più noti di Talking Heads 77, l’album d’esordio del celeberrimo gruppo pop-rock avanguardistico-new wave guidato da David Byrne, che il romanzo vuole omaggiare, s’intitola Psycho Killer –. Ed è la stessa vita privata di Kit a risentirne. Anzi, alcune delle parti più ispirate del romanzo descrivono con delicatezza quasi chirurgica la tensione che attraversa sempre più il suo rapporto con la moglie Bette, figlia di una famiglia “bene” della Boston del tempo. Lo sguardo dell’autore – già docente di letteratura e scrittura creativa – sembra parcellizzarsi e sparpagliarsi su tutto questo scenario come le tessere di un mosaico allucinato, intonandosi a una poetica postmoderna (e, oserei dire, proto-cyberpunk) che sento consonante con molte pagine di Don DeLillo e William Gibson. Ma vi percepisco con forza anche le risonanze di certo cinema d’investigazione dalle venature thriller, come I tre giorni del Condor di Sydney Pollack (tratto dal romanzo I sei giorni del Condor di James Grady) o lo stesso Tutti gli uomini del presidente di Alan J. Pakula (che racconta l’inchiesta di Bob Woodward e Carl Bernstein del “Washington Post” sul già ricordato caso Watergate). È un quadro complesso, che dalle polarizzazioni del nostro presente pare distanziarsi come un’immagine osservata con un binocolo usato al contrario, perché oggi ogni cosa è bianca o nera, mentre allora era tutto rimescolato, compresso e confuso, in un intreccio in cui i diversi colori erano solo varianti di un unico Moloch di potere e finanza (ma quest’ultimo, in definitiva, è un tratto ancora attuale). La mano di John Domini si posa su questa frammentazione diffusa tamburellando percussivamente l’attenzione del lettore, salvo aprirsi a tratti in radure descrittive capaci di lasciar intravedere, sopra la nube di smog di quel mondo inquinato, la luce di un’armonia dimenticata.
Giovanni Agnoloni
Il link alla recensione su Retroguardia 3.0 – Miscellanea: https://tinyurl.com/mry9pyrv