Molte delle mie letture di quest’anno le ho recensite qui su Masticadores o su altri blog o riviste online: l’elenco è troppo lungo per riportarlo in questo articolo. Dirò soltanto che tra i romanzi che ho recensito, e che sono quasi solo italiani, non mancano i miei amatissimi Sinigaglia, Magliani, Ciampi, Trevi, Ferraguti, sempre pronti a sorprendermi con nuove splendide opere. Tra gli altri autori italiani che ho letto ma non recensito (o non ancora) ci sono alcuni miei colleghi di Arkadia, e voi potrete dire, okay, deve dirne bene perché pubblicano col suo stesso editore, e certo devo ammettere che ai libri di Arkadia rivolgo sempre uno sguardo particolarmente affettuoso, perché è il mio editore, sì, ma anche perché è una realtà che sta crescendo e che meriterebbe di essere più conosciuta e apprezzata poiché molte delle opere che pubblica sono realmente degne di nota. Come Nomi, cose, musiche e città, di Giovanni Granatelli, una raccolta di racconti brevi molto suggestivi, La lacrima della giovane comunista, di Giorgio Bona, e Un bambino sbagliato, di Giovanni Lucchese, di cui sicuramente parlerò più avanti perché avrò il piacere di presentarlo a Pistoia. Tra le scrittrici italiane che ho letto quest’anno voglio ricordare Francesca Matteoni e Rosalia Messina, anche loro già recensite, Fabrizia Ramondino, una scrittrice novecentesca che non finisce mai di stupirmi, Viviana Viviani, che ha pubblicato con Arkadia una bella e originalissima silloge poetica dal titolo La bambina impazzita, e Antonella Cilento, di cui ho letto Solo di uomini il mondo può morire, un libro molto bello, tra il diario e il saggio, che racconta di passeggiate che l’autrice e il suo compagno usavano fare nella Foresta Regionale di Cuma, durante la pandemia di covid, e spazia tra gli incontri inaspettati e curiosi, la rievocazione delle leggende legate al luogo, le riflessioni personali e le considerazioni relative alla questione ambientale. Passando invece agli autori stranieri, tra di loro ci sono senza dubbio i libri più belli e importanti, non perché gli italiani siano da meno, o forse sì, chissà. Si comincia con Lezioni, l’ultima fatica di Ian McEwan, che percorre tutta la vita di Roland Baines, un uomo sempre alle prese con donne dalla personalità fortissima che in qualche modo lo seducono e lo soggiogano: la madre, l’insegnante di pianoforte Miss Miriam, la moglie Alissa. Un’opera magistrale, come tutto ciò che esce dalla penna di McEwan. Ho letto con grande interesse e un certo senso di spaesamento per la sovrabbondanza di pagine, temi, personaggi, due romanzi di due grandi vecchi: Il passeggero, di Cormac McCarthy, e Cronache dalla terra dei più felici al mondo, di Wole Soyinka. Due opere molto belle e importanti ma di non facilissima lettura. Devo menzionare inoltre lo straordinario V13 di Emmanuel Carrère, il reportage del processo ai terroristi che fecero gli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi. Mi piacerebbe parlare ancora di altri libri che ho apprezzato molto, italiani e no, maschili e femminili, ma come si fa, nominerò appena Amianto, di Alberto Prunetti, La conca buia, di Claudio Morandini, L’orecchio di Kiev, di Andrej Kurkov. Per quanto riguarda la saggistica, sono molti i libri che hanno avuto su di me una forte impressione. La maledizione della noce moscata, di Amitav Gosh, parte da una vicenda storica sconosciuta ai più, del modo cioè in cui l’arcipelago indonesiano Banda, colonia prima portoghese e poi olandese, nel XVII secolo fu ferocemente spopolato dei suoi abitanti, successivamente ricollocati sulle stesse isole come schiavi, per impiantare la coltivazione della noce moscata. Un caso esemplare di colonialismo arrogante e distruttivo che offre all’autore lo spunto per parlare di storia, popoli, ambiente, sfruttamento. La Q di Qomplotto, di Wuming 1, che analizza il fenomeno del complottismo in modo acuto e approfondito, e Doppio, di Naomi Klein, un saggio molto interessante che spazia tra vari argomenti, difficile da riassumere in poche righe. Contagi, di Kyle Harper, un grande affresco della storia umana dal punto di vista delle malattie che l’hanno afflitta nelle varie epoche. Ho letto diversi libri su un tema che mi coinvolge molto, quello delle migrazioni: il più importante è stato il saggio di Sally Hayden, una giornalista irlandese che da tempo si occupa dell’argomento. E la quarta volta siamo annegati è un testo duro, che si basa su inchieste condotte dall’autrice, testimonianze, racconti autobiografici, e narra senza nascondere nulla il dramma dei migranti che vengono dall’Africa. J’accuse, di Francesca Albanese, Relatrice speciale delle Nazioni Unite, è invece un duro atto di accusa verso la politica coloniale di Israele nei confronti della terra e della popolazione palestinese, con occupazione dei territori, apartheid, stragi e ora la spaventosa guerra che sta distruggendo Gaza. Concludo con una biografia davvero monumentale, quella di Philip Roth scritta da Blake Bailey, imperdibile per chi ama il grande scrittore americano, e con due testi di poesia: la raccolta Corpuscoli di Krause, di Fabiano Alborghetti, e Le case vogliono dire, un libro a metà autobiografico e a metà autocritico di Umberto Fiori, un poeta che mi piace talmente che mi basta leggere un suo verso per sorridere di felicità dentro di me.
Marisa Salabelle
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A chi mi chiede cosa sia la Poesia non ho mai saputo rispondere, per me la Poesia non esiste, la poesia sono le poesie e soprattutto sono le poesie che mi piacciono, mentre le poesie che non mi piacciono, se pur dotate di elementi caratteristici – la rima, la metrica, la disposizione nello spazio – saranno per me un po’ meno poesia, progressivamente fino a non esserlo affatto. Credo quindi che definire qualcosa come poesia sia di base un fatto legato al piacere, definiamo poesia quello che ci piace, anche quando in modo evidente non è poesia in quanto è tutt’altro, ad esempio diciamo questo film è poesia, questa canzone è poesia, questa torta al cioccolato è una vera poesia. Parlando strettamente della poesia in quanto produzione poetica scritta posso dire che per me è qualcosa che è partito da Rodari, passato per Leopardi e Ungaretti e approdato a Vivian Lamarque, Wislawa Szymborka e una lunga lista di altri contemporanei, in un percorso sempre guidato dal piacere oltre che dallo stupore, dal turbamento e dall’inquietudine, che del piacere sono forme diverse e forse più alte e complesse. Per quanto riguarda le mie poesie spesso, anche se non sempre, nascono da qualcosa che mi è piaciuto, quindi una poesia altrui che ho riconosciuto come tale, su cui si va a innestare qualcosa che ho vissuto in prima persona. Per rendere questo processo meno astratto vorrei portare due esempi di mie poesie nate da poesie da me molto amate, con la mediazione di esperienze personali al contrario non per forza gradevoli ma profondamente legate al reale
Il primo esempio è la poesia di Ennio Flaiano, “Il lamento del tabaccaio”
Stammi a sentire, da bambino ero un paggio.
Tu non mi credi? Ero buono e cortese.
Schiudi le orecchie, da bambino ero saggio,
credevo in Dio, amavo il mio Paese.
Guardami in faccia: ero serio e gentile.
Rispettavo le piante, i gatti. Ero vile.
Da vecchio, sarò l’onta del quartiere.
Da vecchio, tutte le voglio vedere.
Da vecchio, solo le puttane e il bere.
Perché mi guardi? Da bambino ero bravo.
Mi devi credere, ero savio e ubbidiente.
Da bambino, perdio, mi ti mangiavo
nello studio. Da bambino ero prudente.
Tu ridi, stronzo? Ero ben pettinato,
rispettavo le aiuole, i cani. Ero ordinato.
Da vecchio, sarò l’onta del quartiere.
Da vecchio, solo le puttane e il bere.
Da vecchio, darò via pure il sedere.
Questo testo di inarrivabile ferocia e arguzia si è compenetrato nel tempo a quel che ho osservato della vecchiaia, a pertire da quando andavo a visitare mia nonna in casa di riposo, luogo in cui fuori da ogni previsione nascono ancora amori teneri e spregiudicati, incuranti ormai delle remore sociali, e ascoltavo i suoi e altrui ricordi, notando che per lo più le donne anziane raccontano sé stesse da giovani come le più belle e corteggiate del paese, gli uomini anziani come seduttori incalliti e irresistibili, e mi domandavo, quanto sarà vero e quanto mediato dal ricordo? Se sono bugie, lo sono in modo consapevole? Come mi ricorderò e racconterò io un domani? Così è nata “Da vecchia”
Da vecchia non ballerò il liscio,
non giocherò a carte, non cucirò,
da vecchia mi farò
di botox come eroina
truccata da vecchia gallina,
mi butterò nel vizio
lolita dell’ospizio,
da giovane ero bella, dirò.
Da vecchia, mentirò.
Qualcosa di analogo è avvenuto con una poesia anch’essa da me molto amata di Vivian Lamarque, Il condòmino
Cammino piano, qua sotto
al terzo piano dorme un condomino
morto. È tornato morto stasera
dall’ospedale, gli hanno salito
le scale, gli hanno aperto la porta
anche senza suonare, ha usato
per l’ultima volta il verbo entrare.
Ha dormito con noialtri condomini
essendo notte sembrava a noi uguale
ha dormito otto ore ma poi ancora
e ancora e ancora oltre la tromba
mattutina dei soldati, oltre il sole
alto nel cielo, ora che noi ci muoviamo
non è più a noi uguale. È un condomino
morto. Scenderà senza piedi le scale.
Era gentile, stava alla finestra
aveva un canarino, aveva i suoi millesimi
condominiali, guarda gli stanno spuntando
le ali.
L’immagine poetica di questo inquilino morto che attende il suo ultimo viaggio si è contrapposta nella mia mente alla ferocia di certi reportage giornalistici, privi di pietà nel raccontare i dettagli meno rispettosi del ritrovamento di persone morte nelle proprie case, magari sole e rinvenute molti giorni dopo, senza risparmiare alla cronaca dettagli morbosi, macabri o imbarazzanti. Queste considerazioni, unite all’antica paura trasmessami da mia madre di morire con la casa in disordine, hanno fatto nascere la mia “Le case dei morti”
Ci vorrebbe un servizio speciale
a riordinare le case dei morti
che non fanno in tempo
a prepararsi
per l’ultimo appuntamento
render tutto decente
profumare l’ambiente
arieggiare le stanze
buttar via
certe strane sostanze
sollevare i tappeti
far sparire i segreti
le residue
debolezze carnali
prima che qualcuno scriva sui giornali
era uno strano, usciva di rado
viveva in uno stato di degrado
Così, senza pretesa di eguagliare in bellezza i testi che mi hanno ispirato, ho voluto raccontare come una poesia può nascere da un’altra poesia, interpolandosi con l’esperienza reale e umana del nuovo autore e diventando qualcosa di completamente diverso, che mantiene con il testo originale un filo quasi invisibile che potremmo chiamare tradizione. Questo è quanto per me si avvicina di più a una possibile definizione di poesia, e della mia poesia in particolare.
Fabrizio Centofanti
Il link all’intervista su La poesia e lo spirito: https://bitly.ws/38maa
Al Teatro degli Intrepidi Monelli di Cagliari, nello storico quartiere di Sant’Avendrace a Cagliari sospeso tra la periferia e il cuore della città, è tutto pronto per la prima edizione del festival “Circo Letterario”: da giovedì 30 novembre a domenica 3 dicembre andrà in scena la rassegna itinerante ideata e diretta dallo scrittore Andrea Melis. Quattro giorni (a ingresso gratuito fino a esaurimento posti) con in programma più di 30 eventi tra presentazioni, incontri, laboratori e reading musicali, vedranno come ospiti scrittori del calibro di Saverio Raimondo, Francesco Abate, Riccardo Staglianò, Lory Muratti, Simonetta Gola, Luca Briasco, Lavinia Petti e Piergiorgio Pulixi, tra gli altri. “L’anteprima del festival Circo Letterario vissuta alla My English School domenica 26 novembre con Maria Francesca Chiappe, Anna Segre e Bea Buozzi ha permesso di creare un nuovo luogo di cultura per il quartiere Sant’Avendrace”, racconta Andrea Melis, direttore artistico della manifestazione. “È nato un salotto letterario all’interno della scuola di via Santa Gilla, che si candida come nuovo spazio del quartiere. Uno dei primi obiettivi del festival stato raggiunto: quello di ampliare le possibilità culturali e inventarle anche dove normalmente non ci sono. Per qualche ora si sono succedute sul palco le tre autrici che hanno catturato il pubblico molto partecipe e attento. Ci apprestiamo a vivere la prima edizione del festival e non vediamo l’ora di condividere con la cittadinanza la intensa quattro giorni agli Intrepidi Monelli” Il Circo Letterario con i suoi artisti della parola provenienti da tutta Italia, trasformerà un teatro di frontiera in una magica occasione di socializzazione culturale, dove i libri potranno diventare protagonisti assoluti non solo degli show sul palco, ma anche alternativa alla frenetica corsa al regalo natalizio. Tutto il circondario verrà coinvolto e abbracciato, a partire dalla nuova Libreria Giunti al Punto che da aprile ha regalato finalmente al quartiere un presidio letterario assente da troppi anni, in un crocevia fondamentale tra le periferie, che finalmente potrà arricchire anche le zone limitrofe di San Michele e Is Mirrionis.
IL PROGRAMMA
La prima edizione del Circo Letterario avrà inizio ufficialmente giovedì 30 novembre alle 16.30 agli Intrepidi Monelli con la presentazione del romanzo “Il dolore crea l’inverno” (Garzanti, 2023) del giovane scrittore Matteo Porru, Premio Campiello Giovani nel 2019, uno dei più promettenti talenti under 25 in Italia, al festival con un racconto sospeso nel tempo e nello spazio che parla di legami familiari, rimpianti e vissuti indelebili. L’incontro sarà un interessante momento di confronto con una rappresentativa di aspiranti scrittori del progetto Palestra Letteraria.
Un’ora più tardi (alle 17.30) microfoni accesi per Stefano Cosmo, a Cagliari con il suo ultimo romanzo “Dentro la gabbia” (Marsilio, 2023 – fresco vincitore del Premio Dora Nera 2023) ambientato in una Marghera soffocata da un’estate torrida e da fabbriche abbandonate.Il romanzo dello scrittore veneto – cresciuto nel Collettivo Sabot diretto da Massimo Carlotto – racconta in un susseguirsi di colpi di scena la periferia urbana e umana della parte più oscura del Veneto. Ad accompagnare Cosmo ci sarà Piergiorgio Pulixi, altro pluripremiato autore tra i più importanti e tradotti delle nuove generazioni sarde (già premio Scerbanenco, e finalista al Grand Prix de Littérature Policière), sul palco con “Stella di mare” (Rizzoli, 2023), vincitore del recente Premio Camaiore di Letteratura Gialla.
L’ultimo appuntamento della giornata vedrà i riflettori illuminarsi per il comico, conduttore, autore e umorista Saverio Raimondo, al Circo Letterario per presentare il suo ultimo libro “Memorie di un elettore riluttante” (Feltrinelli, 2022), in cui il lettore vede scorrere gli ultimi vent’anni di politica italiana attraverso gli occhi di un elettore distratto, sempre più (auto)critico verso sé stesso, l’elettorato e il suffragio universale. Con Saverio Raimondo, sul palco degli Intrepidi Monelli a fare gli onori di casa ci sarà lo scrittore e poeta Andrea Melis.
La seconda giornata del festival venerdì 1 dicembre verrà aperta alle 17.30 dal sociologo Nicolò Migheli (Premio Alziator 2012, Premio Chambéry e Premio Città di Cuneo) – accompagnato da Carlo A. Melis Costa – e la sua recente pubblicazione “Il cavaliere senza onore” (Arkadia, 2023), un romanzo incalzante che permette al lettore di immergersi in un periodo turbolento e affascinante, quello della Sardegna degli ultimi decenni del XVII secolo, ancora sconvolta dagli effetti della peste e della crisi politica conseguente all’assassinio del viceré Camarassa.
“La bambina impazzita” (Arkadia, 2023) di Viviana Viviani sarà al centro dell’incontro (moderato da Matteo Fais) delle 18.30: una silloge poetica ma anche un testo narrativo, che compie un percorso tra le diverse fasi della vita: l’infanzia, l’adolescenza, l’età adulta, la vecchiaia e la morte. Tra i temi narrati l’amore, la passione, la gelosia, il senso di inadeguatezza, la caducità, il rapporto con la poesia, con alternanza di quadretti di vita quotidiana e riflessioni più alte.
Il ricordo del medico, attivista e scrittore Gino Strada, scomparso nell’agosto 2021, illuminerà l’appuntamento delle 19.30 con la giornalista Simonetta Gola (presidente di Emergency e moglie di Strada), al Circo Letterario per presentare “Gino Strada. Una persona alla volta” (Feltrinelli, 2022): da Kabul a Hiroshima, una narrazione appassionata e avventurosa delle radici che hanno ispirato il chirurgo lombardo, giorno dopo giorno, viaggio dopo viaggio. Ma anche una riflessione radicale sull’abolizione della guerra e sul diritto universale alla salute. Con Simonetta Gola ci sarà lo scrittore cagliaritano Andrea Melis.
Un’ora più tardi, alle 20.30 l’aura di Stephen King brillerà con lo scrittore Luca Briasco e il suo “Il Re di tutti. Un ritratto di Stephen King” (Salani, 2023). Briasco, lettore famelico di King, traduttore dei suoi libri più recenti, profondo conoscitore della letteratura americana, condurrà i presenti dentro l’arte di un genio, indagando i temi ricorrenti di un corpus narrativo sconfinato eppure straordinariamente coerente, affiancato dal giornalista Alessandro Marongiu.
L’ultimo appuntamento della serata alle 21.30 vedrà sul palco in un gioco serio e leggero insieme di doppiezza e omonimia, sul palco due Andrea Melis, al prezzo di uno. Il primo, classe 79, poeta e scrittore, il secondo, Classe ’99 di 20 anni più giovane. Attore sempre cagliaritano, candidato alla long List degli Oscar con il Corto “il Moro” e Raoul Moretti, arpista di fama internazionale, per un reading dedicato all’ultimo libro di Chandra Candiani “Pane del bosco” (Einaudi, 2023), nuova raccolta di poesie che nasce da un’esperienza reale dell’autrice: l’abbandono di Milano e il trasferimento in una casa su un alpeggio piemontese in mezzo a un bosco.
Il penultimo giorno del Circo Letterario si aprirà sabato 2 dicembre alle 16.30 con l’incontro che vedrà Anja Boato (Premio Campiello Giovani nel 2015) presentare insieme a Luca Manunza (storico curatore del Festival Cabudanne de sos Poetas di Seneghe) il suo romanzo d’esordio “Madama Matrioska”, edito da Accento Edizioni, nuova creatura editoriale fondata da Alessandro Cattelan e diretta da Matteo B. Bianchi. Un lavoro dalla struttura brillante e dall’ancor più brillante scrittura: ogni capitolo non ha solo un diverso protagonista, ma un tono e uno stile a sé – tra omicidi (reali, tentati o presunti), anelli preziosi, disturbi mentali, malattie, funerali e fughe spaventose.
Alle 17.30 a tenere banco sarà la scrittrice e podcaster Sabrina Efionayi con il suo “Addio, a domani” (Einaudi, 2022) finalista del Premio Zocca Giovani (2023) e finalista al premio Elsa Morante L’isola di Arturo (2022). In quest’ultimo libro, la Efionayi racconta la propria storia, diventata successivamente un podcast dal titolo “Storia del mio nome” per Spotify Studios in collaborazione con Chora Media, vincitore come Miglior Podcast ai Diversity Media Awards 2023 e de IL POD 2023 nella categoria Diversity. A moderare l’incontro ci sarà lo scrittore e autore Massimiliano Virgilio (uno dei pochi autori italiani i cui testi vengono tradotti con successo di vendite in Cina), protagonista due ore dopo (alle 19.30) con il suo libro “Il tempo delle stelle”, romanzo ambientato sullo sfondo di una Napoli splendida e terribile, in cui la ricerca di un figlio mette alla prova un amore. Una storia folgorante sulle possibilità che svaniscono e quelle che arrivano. Con lui ci sarà il giornalista Costantino Cossu.
Alle 18.30, invece, a catalizzare l’attenzione del pubblico del festival ci sarà lo scrittore Mohamed Maalel, per un incontro con la Palestra Letteraria in cui presenterà il suo romanzo d’esordio “Baba” (Accento Edizioni, 2023), una storia non scontata sulla multiculturalità, l’identità e i legami. Una lunga lettera a un padre a cui non ci si è potuti mostrare fino in fondo per quello che si è, in cui il racconto si rovescia presto, in realtà, nel più commovente tentativo di ascolto e accoglienza.
La scrittrice Lavinia Petti sarà protagonista alle 20.30 con il suo romanzo “Dove nascono le ombre” (Mondadori, 2023) in cui si muove con originalità nel solco tracciato da autrici come Shirley Jackson e, tra le contemporanee, Tiffany McDaniel, e, con passo sicuro e lingua immaginifica, prende per mano il lettore, accompagnandolo in quel momento incandescente che separa l’infanzia dall’età adulta, per mostrare come le storie non sempre siano dei rifugi. In certi casi possono diventare dei luoghi pericolosi. Ad affiancare Lavinia Petti ci sarà la scrittrice Enrica Illotto.
Uno degli appuntamenti più attesi della serata si vivrà alle 21.30 con la conferenza spettacolo “Gigacapitalisti” di Riccardo Staglianò, giornalista, saggista, studioso di nuove tecnologie e del loro effetto sulla società. Lo scrittore di Viareggio scrive inchieste e reportage dall’Italia e dall’estero come inviato di Repubblica per Il Venerdì. Nel 1997 per Feltrinelli ha pubblicato “Circo Internet – Manuale critico per il nuovo millennio”.
L’ultimo giorno della prima edizione del Circo Letterario si aprirà domenica 3 dicembre alle 18 con la presentazione de “I Racconti della Locanda”, un’antologia composta da narrazioni di Francesco Abate, Ciro Auriemma, Eleonora Carta, Carlo Augusto Melis Costa, Matteo Porru, Renato Troffa, Valeria Pecora Schirru, Valeria Usala e Ilenia Zedda. Il libro è realizzato da Produzione Editoriale XY con la volontà di sostenere le attività portate avanti dalla Cooperativa dei Buoni e Cattivi, un progetto d’impresa sociale della Fondazione Domus de Luna. Gli autori e le autrici che hanno partecipato alla scrittura del libro hanno deciso di devolvere le rispettive spettanze dei diritti d’autore alla fondazione. L’incontro vedrà sul palco Andrea Melis, Ugo Bressanello, Ciro Auriemma e I Ragazzi della Locanda protagonisti dei racconti, per uno dei tanti momenti in cui il festival unirà la letteratura al sociale.
Alle 19 sarà lo scrittore Ciro Auriemma – affiancato dalla manager culturale Giuditta Sireus (partner del festival con il suo Dicembre Letterario e fondatrice del Club di Jane Austen) – il protagonista dell’incontro dedicato alla presentazione del suo romanzo fresco di stampa “La lama e l’inchiostro” (Piemme Edizioni, 2023), un racconto caratterizzato da mistero e avventura nella Cagliari barocca. La storia appassionante e mai raccontata di uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi: Miguel De Cervantes.
Il compito di calare il sipario sulle presentazioni del festival sarà affidato alle 20 allo scrittore e giornalista Francesco Abate (Premio Alziator, Premio Ducato d’oro, Premio Solinas, Premio del Libraio Città di Padova, Prix Littéraire des Jeunes Européens), per un incontro con La Palestra Letteraria che lo vedrà presentare la sua più recente fatica letteraria “Il misfatto della tonnara” (Einaudi, 2023), terzo capitolo della saga dedicata alla giornalista investigativa Clara Simon (in corsa al Premio Scerbanenco 2023, a poche settimane dall’uscita). Durante una manifestazione di femministe qualcuno aggredisce una maestra. Il suo corpo privo di sensi è rinvenuto nel magazzino dell’antica tonnara. Malgrado i sospetti convergano su un giovanotto dell’alta società, la giustizia temporeggia. Di fronte a tanta impunita violenza Clara Simon, l’affascinante e testarda giornalista de «L’Unione», non può restare a guardare. Muovendosi per le strade della Cagliari di inizio Novecento, tra una vecchia nobiltà che non vuole cedere il passo e una nuova borghesia impaziente di affermarsi, scopre con quanta furia il mondo abbia cercato, da sempre, di mettere a tacere le donne. E ancora una volta trova il coraggio di far sentire la sua voce.
Alle 21 a chiudere in bellezza la prima edizione del Circo Letterario ci penserà il musicista, producer, scrittore e regista Lory Muratti con il reading letterario “Torno per dirvi tutto”, in collaborazione con il Festival Dicembre Letterario.
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L’AUTRICE
Viviana Viviani è nata a Ferrara nel 1974 e vive a Bologna. Lavora come ingegnere, ma coltiva da sempre la passione per la scrittura. Ha pubblicato il romanzo Il canto dell’anatroccolo (Corbo Editore, 2012). È giornalista pubblicista e scrive regolarmente sulle riviste “Pangea news” e “Hic Rhodus”. Ha collaborato anche con “L’Intellettuale Dissidente”. Nel 2019 ha pubblicato la raccolta poetica Semi ami sopravvalutami, con la quale ha vinto i premi Silloge edita Lago Gerundo e Opera prima Violani Landi. Nel 2021 ha collaborato con il cantautore Immanuel Casto all’album Malcostume scrivendo i testi di tre canzoni.
IL LIBRO
La bambina impazzita è una silloge poetica ma anche un percorso attraverso le diverse fasi della vita: l’infanzia, l’adolescenza, l’età adulta, la vecchiaia e la morte. Tra i temi narrati, l’amore, la passione, la gelosia, il senso di inadeguatezza, la caducità, il rapporto con la poesia, con il succedersi di quadretti di vita quotidiana e riflessioni più alte. Particolare attenzione è dedicata alla virtualità, ai rapporti nati in chat e a come la tecnologia può influenzare sentimenti e relazioni. Si affacciano a tratti temi sociali come il lavoro e la povertà. Lo stile è tendenzialmente prosastico, ma non mancano momenti lirici, così come si alternano verso libero e metrica.
L’EVENTO
“La bambina impazzita” (Arkadia, 2023) di Viviana Viviani sarà al centro dell’incontro (moderato da Matteo Fais) delle 18.30: una silloge poetica ma anche un testo narrativo, che compie un percorso tra le diverse fasi della vita: l’infanzia, l’adolescenza, l’età adulta, la vecchiaia e la morte. Tra i temi narrati l’amore, la passione, la gelosia, il senso di inadeguatezza, la caducità, il rapporto con la poesia, con alternanza di quadretti di vita quotidiana e riflessioni più alte.
Il link alla segnalazione su Circo Letterario: https://bitly.ws/33Jc6
Domatori di storie, giocolieri di parole, equilibristi di versi e tanto altro, sono i temi principali del “Circo Letterario” in scena al Teatro Intrepidi Monelli di Cagliari dal 26 novembre al 3 dicembre.
Andrea Melis, grafico, videomaker e scrittore, ha pubblicato articoli di cultura e racconti noir per riviste e quotidiani nazionali e stranieri. La sua prima opera in poesia, #Bisogni, una selezione di versi autoprodotta in mille copie grazie a una campagna di crowdfunding, è andata esaurita in poco più di un mese.
IL FESTIVAL DELLE PERIFERIE CHE PRENDONO VITA
Melis racconta così il festival: “Esattamente un anno fa, nel dicembre 2022, durante un evento a Nuoro con altri amici scrittori e organizzatori di festival, mi capitò di immaginare un Circo Letterario che come un tendone andasse a portare la cultura nei luoghi dove fosse più necessario. E’ il tentantivo di avvicinare l’atmosfera natalizia, circense, dove le periferie, con i loro spiazzi fangosi, improvvisamente riprendono vita. E’ il quartiere periferico di Sant’Avendrace, che ancora ospita la classica bottega o la casa popolare di 70 anni fa, il pescatore a fare da teatro a questa manifestazione. Iniziamo con un anteprima il 26 novembre con 3 persone che ci vengono a trovare che sono 3 scrittrici ovvero Maria Francesca Chiappe, Bea Buozzi e Anna Segre, che faranno da scalda polveri fino ad arrivare all’inizio ufficiale della manifestazione che parte il 30 novembre e andrà avanti fino al 3 dicembre“.
UN ’IDEA NATA UN ANNO FA
Melis racconta la nascita del progetto: “E proprio un anno dopo, nasce a Cagliari la sua prima edizione che ospiterà autori e autrici di livello nazionale, con oltre 30 eventi tra presentazioni, incontri, laboratori e reading musicali. Così come per la Palestra Letteraria, uno spazio fisico, un grande coworking dove ogni settimana decine di persone condividono l’amore per le storie e la scrittura, anche il festival ha trovato accoglienza nella collaborazione con l’associazione Intrepidi Monelli, che gestisce l’omonimo teatro al coperto da 100 posti, unico nel suo genere, impegnato da anni come avamposto di promozione alla scrittura, alla lettura, alla produzione cinematografica e teatrale, nell’antico quartiere di pescatori di Sant’Avendrace”.
PIÙ DI 30 EVENTI PER UNA QUATTRO GIORNI DI INCONTRI
Il Circo Letterario con i suoi artisti della parola provenienti da tutta Italia, trasformerà un teatro di frontiera in una magica occasione di socializzazione culturale, dove i libri potranno diventare protagonisti assoluti non solo degli show sul palco, ma anche alternativa alla frenetica corsa al regalo natalizio.
Quattro giorni (a ingresso gratuito fino a esaurimento posti) con in programma più di 30 eventi tra presentazioni, incontri, laboratori e reading musicali, ospiteranno illustri scrittori del calibro di Saverio Raimondo, Francesco Abate, Riccardo Staglianò, Lory Muratti, Simonetta Gola, Luca Briasco e Piergiorgio Pulixi, tra gli altri.
Francesco Abate
Il link al podcast su Radiolina: https://bitly.ws/32wmP
Viviana Viviani nació en Ferrara en 1974.
LOS ANTECEDENTES
Cabello infinito
y cuánta luz
la falda corta
el rímel negro
no parecía en absoluto triste
mi madre cuando yo no estaba
L’ANTEFATTO
Capelli infiniti
e quanta luce
la gonna corta
il rimmel nero
non sembrava triste affatto
mi madre quando non c’ero
Carlos Vitale
Il link alla segnalazione su Via Sole: https://bitly.ws/32pIT
Di fronte all’ampollosità di certa poesia moderna, figlia bastarda di un coacervo raffazzonato di classicità e modernità spesso priva di una qualsivoglia forma di autonomo percorso, i versi di Viviana Viviani contenuti in “La bambina impazzita” (prefazione a cura di Pasquale Vitagliano) acquisiscono un valore originale, in cui ironia e gioco, profondità e ricerca, sguardo acuto e percezione producono una resa di notevole efficacia. L’intera composizione, suddivisa in 8 parti (oltre all’appendice), carica di stimoli e suggestioni, si affastella davanti agli occhi esplicitata in una scrittura pulita, debitrice qua e là da altri autori. È una poesia attenta all’essenziale che pur introiettando un tempo personale è permeato da suggestioni provenienti dall’esterno, dall’altro, siano esse figure dell’ambito familiare o amicale quando non i grandi temi universali o immagini evocate da metafore. L’attenzione al dettaglio è una caratteristica della poetessa ferrarese, come dimostra anche una pregevole lirica-filastrocca in endecasillabi (“La giovane stampante e il vecchio calamaio”) e più in generale il richiamo a una rima vagliata con acribia, mai banalmente concepita. Cuore di gran parte della produzione in oggetto è costituito dal sentimento e segnatamente da quello amoroso, connotato tuttavia da una difficile, complessa comunicazione tra i sessi: un amore ostinato che si scopre vilipeso e tradito, canzonato e dimenticato, sfilacciato quando non derubricato a puro istinto come accade dall’avvento dei social che ne hanno in molti casi stravolto il senso. Tutto ciò cade sotto la sferzante disamina di Viviani per essere trasposto in un verso imbastito di malinconica ruvidezza (“un sogno andato a male/serve a misurare/il filo dell’aquilone/la gittata del cuore”), ma che pure si mantiene aperto a una rinascita alimentando la speranza di una diversa realtà futura, come nel periodo dell’infanzia quando la sorpresa, lo stupore, la realtà fiabesca diventano conquiste quotidiane. È la passione che muove il percorso di questa scrittura e ciò poiché scrivere non è mai fotografare l’esistente, semmai costruire un nuovo mondo accanto a quelli che già conosciamo. Le sue sono composizioni che scombussolano l’ordinarietà, che non lasciano indifferenti, come se ci trovassimo sempre di fronte a uno specchio che deforma e modifica la visione di sé, dove appariamo nudi e indifesi di fronte alla verità. Così le età della vita si inseguono, si tradiscono finendo per mostrare come la vecchiaia possa tendere a una gioventù indefinita e la persona matura giocare a vivere un’adultescenza senza freni, superficiale, ripetitiva, sovente preda di un’arroganza indicibile. E superficiale è anche certo mondo maschile, depositario di vuoti simulacri valoriali, incapace di tessere relazioni alla pari con l’universo femminile e per questo sagacemente preso di mira. Più ampiamente è il ruolo della maschera come negazione/modificazione dell’Io a imbastardire le relazioni sì che ogni contatto con l’altro è preda di preoccupazione, per tacere dell’ipocrisia, elemento ancor più castrante e alienante nella comunicazione tra le persone. E attraversando i giorni nostri v’è un accenno anche alla tregenda della chiusura sanitaria per Covid: come in un novello Caproni, ciò che manca(va), come sale della terra, è anche per Viviani il sole. Più in generale la silloge pone in risalto la sapiente maturità di un’autrice che senza strizzare troppo l’occhio a questo o quell’autore di vaglia (del passato o contemporaneo) riesce a portare in evidenza le tracce della loro poesia mantenendo ben salda un’originalità di fondo e facendone anzi suggello di tutta la propria produzione. Si fa così insistente il discorso sulla lingua che Viviani coglie nella sua pienezza di fronte a un prosciugamento del vocabolario tipico della società odierna, spesso vittima dell’antilingua o della calviniana peste del linguaggio (la breve composizione “L’abigeato” è da esempio in tal senso). Una società sempre più preda, tra l’altro, di un’entropia di fondo nei confronti della quale uno strumento apotropaico e resistente può essere il recupero dell’aspetto ludico: il “lasciatemi divertire” di stile palazzeschiano che si riscontra in plurimi passaggi del volume in oggetto. Come quella “bambina impazzita”, che resta nascosta tra le pieghe di una donna cresciuta ma che non smette di incidere nella “carne” di questo nostro tempo.
Federico Migliorati
Il link alla recensione su Atelierpoesia: https://bitly.ws/ZAM3
Caro lettore,
se non hai troppo tempo per leggere la seguente nota, sappi che il libro di Viviana Viviani è bello, scorrevole, amabilmente ironico, a tratti persino divertente. Un velo di malinconia aleggia sempre, certo, ma quale poeta ne fa a meno? La copertina potrebbe prestarsi benissimo per il disco di una di quelle band Goth Metal che piacciono tanto agli ultimi, ovvero agli incompresi. Raffigura una donna nuda, selvaggiamente incantevole, rannicchiata al gelo sopra un cumulo di sterpi, neve, bambagia e piume. L’intera scena è velata di blu, come in Imaginaerum dei Nightwish, il che spalanca i sensi al freddo delle nostre coscienze andando in profondità come una certa iconografia dovrebbe fare. E se stai già pensando a un paio di plaid, uno per te e uno per l’ermetico e procace soggetto in copertina, magari sfoggiando il tuo kit assortito di tè con tazza fumante annessa e connessa, lascia che ti dica una cosa: sei del tutto privo di senso poetico. Solo ai poeticamente insensibili verrebbe in mente una cosa del genere. Rovinare un’immagine perfetta sul piano estetico e capace, al tempo stesso, di erotizzare il dolore, per cosa? Nulla è più detestabile della frivolezza in poesia. Ecco, mi sono lasciato andare a un commento da critico ammuffito, cosciente che al giorno d’oggi bisogna mettere al centro di tutto l’individualità per poter incassare plausi. Ciò riguarda il sottoscritto, ma non Viviana Viviani. Lei se la riderebbe di gusto e poi, rapita da un raptus goliardico, scriverebbe una poesia come questa:
Rivincita
Se di nessuno
sei musa
osa
cambia meta
diventa tu
poeta
E su questa brevitas fulminante chiudiamo il siparietto destinato al lettore frettoloso il quale, magari sentendosi difeso dalle parole dell’autrice, potrebbe anche acquistare il volume. Pertanto, liberati dal terzo incomodo (sto scherzando!), cerchiamo di andare più a fondo.
Nella prefazione a La bambina impazzita (Arkadia 2023), il poeta e critico Pasquale Vitagliano condivide un pensiero che, a mio avviso, si rivela fondamentale: «Mi piace pensare che la poesia possa giocarsela con le canzoni. Sì, le avanguardie ci hanno rotto e quanto al realismo terminale, l’aggettivo mi inquieta. Se fosse nata anche la poesia indie sarei felice. […] La poesia della Viviani è una guerra al kitsch, inteso alla maniera di Milan Kundera, come cieco tentativo di eliminare dal mondo la merda. Invece, la nostra vita è impastata e impestata da scorie. Lo sforzo della scrittura, della poesia a maggior ragione, è di ripulire il nostro corpo e le nostre parole giorno dopo giorno. […] Eppure, senza merda, saremmo morti».
Questa considerazione da un lato lascia emergere una natura non necessariamente antilirica (e in effetti Viviana Viviani non lo è, considerando anche il debito che paga alla tradizione, dal crepuscolarismo, passando per la linea antinovecentesca, fino ad arrivare a tensioni espressive non lontane da quelle di Giovanni Giudici), eppure pare proprio che del kitsch ci si debba appropriare quasi come un riflesso dissacratorio. Il kitsch pervade la nostra società, ma Viviana Viviani coglie in questa faccenda il lato puramente umano. Il posticcio entra a pieno titolo nella legittima aspirazione esistenziale, nutre la vanità individuale in quanto capace di attirare attenzioni e dopotutto, al diavolo l’eleganza, è ormai comune l’idea di porre l’urgenza del dire dinanzi a ogni cosa. Ma dire che cosa? Questa è la grande domanda che mi sento di lasciare in sospeso. E se probabilmente non spetterà a noi l’arduo compito di giudicare quest’epoca, i poeti pur essendo presi da inguaribili turbe interiori, una testimonianza possono sempre darla.
Innanzitutto Viviana Viviani coglie il senso di inadeguatezza anagrafica che impera nella società odierna, inadeguatezza al femminile in particolare. L’età ha un impatto nelle relazioni, nel sex appeal e, naturalmente, nella forza vitale. Vivendo un’era di prolungamento dell’adolescenza, si è ampiamente affermato desiderio di ritoccarsi nella speranza di sottrarsi alle crudeli grinfie del tempo che avanza: «da vecchia mi farò / di botox come di eroina / truccata da vecchia gallina / mi butterò nel vizio / lolita nell’ospizio». Il kitsch non è più espressione di un buon gusto mancato, ma una vera e propria situazione bellica, una lotta titanica, seppure tragicomica, di resistenza alla vita. Fuori dall’accettazione, dal gioco della seduzione, esiste una pre-morte. Il decadimento fisico. Condizione inevitabile, ineludibile, per questo Viviani mette in campo la tenerezza. Sì, fa strano dirlo, nel mare magnum di questa perfidia capitalista, di sentimenti aizzati per desiderare cose che un tempo non ci si poteva permettere, l’elemento primario che connota l’umanità è uno spietato senso di tenerezza. Il decadimento spetta a tutti prima o poi, allora piangere col sorriso sulle labbra può essere di certo un bel modo per tirare avanti. Cattivo gusto sì, ma con allegria e voglia di vivere.
Le vecchie signore
Le vecchie signore
con lo smalto rosso
e grossi anelli
blu come le vene
il rossetto rosa antico
tra le pieghe delle labbra
e un po’ di azzurro cielo
sulle palpebre scese
si guardano allo specchio
con gli occhi della memoria
e sono ancora belle
quando nessuno le vede
C’è tanto altro in quest’opera, tra psicodrammi virtuali, prefigurazioni poliamorose, fantasticherie varie, Viviana Viviani esprime con proverbiale sarcasmo il peso dell’intrattenimento, liquidato dai più come leggerezza, ma in realtà questo sfoggio di frivolezza non priva di arroganza altro non è che il disperato tentativo di salvarsi. L’intrattenimento appare come una sospensione in cui si allontana la noia, quel momento nel quale, presi da un interesse, ritroviamo qualcosa di noi stessi estremamente piacevole. Il nostro godimento, tuttavia, si rivela completamente inutile in ambito produttivo ed è in questa repressione della parte più vitale di noi stessi, in nome dei doveri, che subentra la frustrazione. Non è un caso che persino la politica abbia compreso il valore dell’intrattenimento, ibridando faccende istituzionali ed etiche con la vita privata. Certi libri di (pseudo) poesia scritti all’insegna dell’intrattenimento vengono sicuramente premiati dai lettori, eppure sembra che nel tentativo di rincorrere il piacere del pubblico, la parola poetica si perda nello storytelling degli autori (il poeta che deve fare i reading in una sala di pubblico plaudente, in grado di dire cose capaci di muovere le sopite coscienze civili, toccando le corde profonde del sentimento della gente e tutta una serie di stereotipi e banalizzazioni). Viviana Viviani gioca sul filo e questo rischio rende la sua scrittura interessante. Nei versi si percepisce il valore delle relazioni e l’importanza dell’intrattenimento, il momento in cui i due piani si fondono (Foto in bianco e nero / autoscatti / profilo da seduttore / migliaia di contatti. / Con quanti hai fatto l’amore?) eppure ne risulta quasi una curiosa fascinazione, una visione realistica nella misura in cui si interpretano i desideri profondi delle persone senza imporre una morale. In questo si potrebbe rintracciare un vena sociologica, ma senza freddezza o posa intellettuale. Intrattenimento e cattivo gusto, certo. Ma con il desiderio di indagare sull’uomo e ciò che resta dell’umano e, per questo, tanto di cappello.
Non mandarmi il tuo c@zzo in chat
Non mandarmi il tuo cazzo in chat
che ancora non ho navigato
le vene delle tue braccia
né attraversato fiumi
camminando sulle tue vertebre
non ho sovrapposto le impronte digitali
per vedere se si assomigliano
e nemmeno disegnato ghirigori
tra le nocche delle tue mani
non ho contato una a una
le tue ciglia nel sonno
o soffiato parole audaci
nel labirinto delle tue orecchie
non ho ancora cercato l’Orsa Maggiore
tra le costellazioni dei tuoi nei
né dato un nome a quelle senza nome
sulla volta della tua schiena
non conosco le risse
dietro le tue cicatrici
e non so se odori più di bosco
di biblioteca o di autogrill
non mandarmi il tuo cazzo in chat
o finirà tra i tanti senza storia
che vivono nelle chat
spade di pixel sguainate nel nulla
non voglio sapere la sua solitudine
prima di conoscere la tua
Federico Preziosi
Il link alla recensione su Exlibris20: https://bitly.ws/ZkqH