Sceneggiatore, regista, da oltre venticinque anni nel mondo della comunicazione come progettista di eventi, Stefano Albè si affaccia sul panorama editoriale con il suo primo romanzo dal titolo “Terra”, pubblicato con Arkadia, collana Eclypse. Un noir psicologico ambientato nell’Iglesiente in cui la ricerca della verità diventa lo strumento di espiazione in un palcoscenico naturale selvaggio e aspro dove i protagonisti si trovano e si perdono tra miniere abbandonate e dune disegnate dal vento. Ne parliamo con lui per la nostra rubrica “Libri e Scrittori“.
Bentrovato, Stefano Albè, su La Gazzetta dello Spettacolo. Come il tuo background nel mondo della comunicazione, nel ruolo di regista e progettista di eventi, ha influito sulla tua scrittura creativa? Ci sono elementi che hai portato dalla tua esperienza professionale alla creazione di “Terra”?
Certamente la forma mentis sviluppata professionalmente nel corso degli anni mi ha aiutato molto nell’affrontare un lavoro complesso e articolato come la scrittura di un romanzo. I problemi da risolvere, le trame di incastrare e gli sviluppi narrativi da rendere coerenti ed appassionanti ricordano molto il “dietro le quinte” di un evento. Ho cercato di applicare il più possibile un approccio tanto creativo quanto produttivo, mantenendo uno sguardo analitico e razionale anche nelle fasi più generative e di ispirazione. E poi, sopra a tutto, da appassionato di Lego, incastrare i mattoncini nel giusto posto, del colore e della forma più coerenti con l’ampiezza del progetto, mi ha semplificato non poco il lavoro.
Essendo anche appassionato di fotografia, in che modo le immagini influenzano il tuo stile di scrittura?
Più che influenzarlo direi proprio che sono la genesi della mia scrittura. Io penso, parlo e scrivo per immagini. Tutto è fotografia, tutto è fotogramma e quindi anche l’azione è un susseguirsi di immagini. Sono consapevole di avere una scrittura molto visiva, molto cinematografica, se mai un giorno qualcuno volesse trarre un film dal romanzo Terra, il suo lavoro sarebbe molto semplificato perché è già pensato come una sceneggiatura.
Nelle tue pagine troviamo Niccolò, Antonio, Gaia, Emma, Agnese ed Enea. Un articolato intreccio di relazioni ruvide, irrisolte e conflittuali, storie di persone che sembrano non incrociarsi mai, anche quando vivono nella stessa casa o masticano la stessa polvere. A unire e dividere, la terra, materna e violenta, rifugio e tomba, amata e stuprata. La terra come cuore sacro ancestrale al centro della vita e della morte. Cosa ti ha spinto a scegliere il genere noir psicologico per raccontare questa storia?
I personaggi che avevo in mente e le vicende che volevo raccontare avevano un’esigenza imprescindibile di approfondimento psicologico importante. La scelta del noir è stata una conseguenza quasi naturale, dettata anche dal fascino misterioso e ancestrale del luogo in cui il romanzo è ambientato e che chiama questo tipo di genere e linguaggio. E poi, devo dire, il noir offre uno strumento molto potente in termini di transizione da capitolo a capitolo, consentendo di tenere agganciato il lettore e di fargli venire “l’acquolina” e la voglia di proseguire fino alla fine.
Hai contribuito alla realizzazione di Morto e mangiato e di 365 storie cattive, raccolte di racconti. Dover condensare una storia in poche pagine o doverne diluire la trama in un romanzo quali sfide presenta?
Sono approcci molto differenti anche se, ovviamente, alla base c’è sempre il comune denominatore della passione per il raccontare una storia o un intreccio di storie. Nella scrittura breve, come dicevi, è tutto condensato, bisogna aprire e chiudere la storia in poche pagine. Qui, più di tutto, conta l’dea che deve essere chiara e diretta. Ho seguito per anni il corso di scrittura creativa di Raul Montanari e ho avuto l’occasione di esercitarmi in oltre una trentina di racconti, con stili e linguaggi assai differenti ma sempre con il vincolo delle cinque cartelle di lunghezza. Questa costrizione è stata una palestra indispensabile perché ti aiuta a sottrarre, a eliminare il superfluo, a concentrarti su un obiettivo preciso. Poi, quando fai il salto nel romanzo, nel racconto lungo, tutto cambia. Mantenere l’equilibrio è molto più complesso, le leve da gestire sono molte di più e articolate, occorre mantenere viva l’attenzione del lettore, approfondire i personaggi, descrivere i luoghi. Il processo creativo è meno istintivo e più razionale, organizzato, perché sennò si corre il rischio di perdersi tra le righe.
Stefano Albè sei autore televisivo e appassionato di cinema: quale dei due mezzi vedresti più adatto per una trasposizione filmica di “Terra”?
Senza ombra di dubbio il cinema, da lì vengo e lì vorrei tornare, con questa o con un’altra storia. Come detto prima, il romanzo Terra è nato cinematograficamente, è pensato e strutturato come una sceneggiatura, i capitoli sono scene e c’è dovizia di elementi descrittivi e di una ambientazione molto chiara e reale. Anzi, faccio proprio un appello a registi e produttori di leggere il libro e di lasciarsi ispirare perché Terra è nato per andare sul grande schermo.
In chiusura Stefano Albè, come definiresti la televisione e la comunicazione in generale oggi e in quale nuovo progetto vorresti cimentarti?
Ho abbandonato la TV generalista da alcuni anni, quindi sono poco aggiornato. Ma ho divorato e continuo a divorare decine di serie TV che ormai sono il nuovo linguaggio del piccolo schermo. A volte anche abusato perché racconti che starebbero nei tempi di un film di media durata diventano serie di dozzine di puntate, inutilmente dilatate. Per il resto, il mondo della comunicazione mi sembra pieno di stimoli da una parte ma molto confusionario dall’altra. Si è un po’ persa la poeticità nella comunicazione e contano solo i numeri, le apparenze. Forse è solo una questione anagrafica ma l’emozione di una sala buia con il fascio di luce del proiettore, nel mio immaginario, vincerà sempre su qualsiasi social o TV. Nuovi progetti? Voglio continuare con la scrittura, sto lavorando a un paio di idee di romanzo, sono nella fase di analisi, ogni giorno ciascuna delle due storie si arricchisce di un personaggio, un’azione, un ambiente poi tirerò una riga e vedrò chi l’avrà spuntata, quale soggetto mi sembrerà più maturo per diventare romanzo.
Francesca Ghezzani
Il link all’intervista su La Gazzetta dello Spettacolo: https://bitly.ws/3dtfi
Ci sono autori che prima ancora di immaginare l’impalcatura della vicenda narrativa cercano la voce giusta per raccontarla: forse nella letteratura contemporanea Aramburu può essere considerato maestro di voce in questo senso. Altri che costruiscono intrecci e sviluppano trame grazie a personaggi quasi dotati vi vita propria, come faceva Pinter che non amava direzionare le sue donne e i suoi uomini sulla scena come un burattinaio onnisciente, ma lasciava che “scegliessero da soli come muoversi”. C’è chi invece racconta un luogo, prima delle vite che lo popolano; un luogo con la sua callosità e la sua polvere, la sua bellezza e le sue innumerevoli increspature. È così che nasce Terra edito da Arkadia per la collana Eclypse, romanzo d’esordio del talentuoso Stefano Albè, già sceneggiatore e autore televisivo. Noir psicologico ambientato in Sardegna, Terra si apre con una consolidata scelta narrativa, quella dell’evento traumatico (la perdita di una figlia) che segnerà per sempre l’animo di chi dovrà indagare sul mistero che avvolge una ragazza, affetta da un disturbo dell’udito e della parola, e sul reticolato di vite che invece si dipanano attorno ad una miniera, nutrice e sanguisuga, di coloro che le gravitano attorno. Niccolò è un neurologo e durante una gita in barca perde sua figlia Emma a causa di un violento naufragio. Un’esistenza che si appresta a scorrere nella mancanza e nel rapporto logoro con sua moglie Agnese. Viene così invitato in Sardegna da un collega conosciuto durante un convegno a dare il suo parere medico sul caso di Gaia, una ragazza sordomuta che però ha delle capacità eccezionali.
“Al di là delle spiegazioni, Gaia sente. Mi pare innegabile. Lo fa a modo suo, ma sente. Riesce a intercettare delle onde radio, abbiamo riscontrato che accade più con le alte frequenze, attorno ai 27 MHZ, quelle usate dai radio amatori, dalle Citizens Band o dai codici Morse, per intenderci”.
È certamente la figura della ragazza e quello che si porta dietro a condurre la narrazione: quando entra in scena il resto del racconto e i misteri del luogo e la terra stessa nella quale prendono forma i passaggi di questo romanzo restano sospesi. Gaia e il suo vivere dove capita, la sua vita senza storia sono il catalizzatore della nostra attenzione, è lei il personaggio trainante e il fine verso il quale tutto tende.
“Gaia era un animale, il suo aspetto minuto e delicato celava una forza da leonessa, un carattere determinato, energia pura che sprigionava in questa corsa per la salvezza. Non aveva più paura, era tornata nel suo ambiente, tra i suoi alberi e i suoi sassi, si sentiva a casa. Priva di tutto, solo i suoi piedi ruvidi, le sue gambe veloci, il suo corpo snello e i suoi occhi vivaci e mimetici, verdi nel verde che li circondava”.
Di lei e della sua bellezza ruvida e straordinaria, come la terra nella quale misteriosamente è cresciuta, si innamora Antonio, appuntato dei carabinieri che sarà chiamato a risolvere, con il supporto di Niccolò, la scomparsa di un uomo, tra le sterpe e una miniera che determina destini e regola i conti.
“Al centro di tutto, sempre lei, la miniera, la terra di sotto. Per quanto fosse chiusa oramai da oltre vent’anni, la miniera era il fulcro di tutti i discorsi, non solo come ricordo ma anche come presente e futuro, avevano tutti un rispetto mistico e deferente, come se stessero parlando di un essere in grado di respirare.”
Albè scava all’interno della coscienza di un’intera comunità che vive in un tempo sospeso dinamiche intime e collettive. Una comunità che chiede l’intervento del mondo esterno per indagare i suoi mali e risolvere i propri conflitti salvo poi scacciarlo (o tentare di farlo) quando penetra troppo in profondità per raggiungere memorie di un sottosuolo condiviso. Un esordio potente dove l’autore riesce a disegnare una tela narrativa, progettata con cura, nella quale ruoli personali e istanze collettive si incontrano consapevolmente generando una storia credibile, grazie a personaggi cari alla letteratura di genere (chi indaga ha sempre un passato da riscattare, un evento traumatico dal quale affrancarsi, chi viene indagato si mostra a mezzo di emissari e tuttofare, la terra naturale che si difende da quella edificata dall’uomo, per le ferite e le violenze per anni è stata costretta a subire) che però nelle loro scelte riescono a delineare tratti di unicità rendendo questo racconto un mainstream da leggere con la voracità bulimica di un giallo. Se le prime pagine rispettano i canoni di una scrittura didascalica, man mano che ci si addentra nella storia la narrazione diventa più consapevole e fluida, più autentica, rendendo questo esordio un lavoro molto interessante grazie ad un autore che converrà tenere sott’occhio.
“Il timer che scandiva l’attesa sentenziò la fine del gioco, il concorrente non aveva risposto nulla. Il conduttore gli comunicò che la parola da indovinare era proprio Terra. I due uomini scossero il capo e stapparono un’altra birra.”
Angela Vecchione
Il link alla recensione su Exlibris20: https://bitly.ws/399Po
Intervista a Stefano Albè, che ci racconta di un noir psicologico ambientato nell’Iglesiente in cui la ricerca della verità diventa lo strumento di espiazione in un palcoscenico naturale selvaggio e aspro, dove i protagonisti si trovano e si perdono tra miniere abbandonate e dune disegnate dal vento.Andiamo a scoprire la penna di questo sceneggiatore e autore televisivo, da oltre venticinque anni nel mondo della comunicazione come regista e progettista di eventi, affacciatosi ora sul panorama editoriale con il suo primo romanzo pubblicato da Arkadia, collana Eclypse.
Stefano, da quale evento si sviluppa l’intera trama?
C’è un elemento di rottura che spezza il ritmo lento e sospeso dei primi capitoli ed è il ritrovamento di un cadavere. Una morte che si presenta come accidentale, di un personaggio minore che entra ed esce di scena in un batter d’occhio. Un “non caso” che scoperchia il vaso di Pandora del fitto e articolato intreccio tra i personaggi che fino a quel momento si erano solo sfiorati. Riemergono i rimorsi del passato, prendono vita conflitti e amori, si cristallizzano incomprensioni e sensi di colpa. In un crescendo di ritmo e azione senza perdere di vista l’approfondimento psicologico dei personaggi.
La terra e la Terra che connotazione assumono nelle tue pagine?
La terra è l’elemento imprescindibile attorno al quale ruota tutto il corpus narrativo. E, come dici tu, assume nell’arco dei capitoli e rispetto ai diversi personaggi, un significato differente. La terra è salvezza per chi è naufrago ma è condanna per chi la scava a mani nude per tutta la vita. La Terra è nutrice e anima protettiva ma sa essere crudele e violenta. È mistero, sepolcro, la terra è roccia e sabbia ma la Terra è prima di tutto un patrimonio comune a tutti noi, da difendere ad ogni costo perché, come recita un antico detto, non l’abbiamo avuta in eredità dai nostri padri ma in prestito dai nostri figli.
Un racconto nato da un viaggio. Avresti potuto ambientare la storia anche altrove oppure non sarebbe stata la stessa?
Non questa storia. Quella parte di Sardegna che descrivo nel libro, l’Iglesiente, terra di miniere e minatori, è un luogo suggestivo, narrativamente potente, intriso di sangue e sudore. Ha dato vita a questa storia e potrebbe o potrà generarne altre mille. Ma non vale il discorso inverso, questa storia, questi personaggi sono figli del luogo, gli appartengono e in quei paesaggi, tra le dune e le gallerie, continueranno a vivere.
Le passioni, le sconfitte e i trionfi. Come inserirli in un noir?
Credo di poter dire di aver fatto il lavoro inverso. Sono partito da un tema, da alcune vicende umane che desideravo mettere in scena. Ho poi trovato la scena, il luogo dell’agire, perfetto, calzante. Il noir come linguaggio, tutto sommato, è arrivato per ultimo, è stata una naturale conseguenza di quanto avevo pensato e studiato negli anni. È stato un lavoro sartoriale, tagliare e cucire il vestito noir da far indossare a un tema forte e ricco di suo. Quindi una vestizione più che un inserimento. E una vestizione molto naturale, spontanea, quasi imprescindibile.
Che ruolo assume il silenzio?
È fondamentale. Lo è nella mia vita e lo è anche nel racconto. Credo che il silenzio, soprattutto nella società e nella cultura dei nostri giorni, sia altamente sottovalutato. Io lo considero come il livello più profondo di comunicazione/relazione: con sé stessi, con gli altri, con l’ambiente che ci circonda. Col passato e con il futuro. Il silenzio è un luogo, il più trascendentale dei luoghi in cui viviamo e agiamo. Un luogo in cui perdersi e ritrovarsi. Nel romanzo il silenzio vive in diverse forme, dal mutismo di Gaia al non detto di alcune relazioni, dall’assenza di chi non c’è più al mistero delle viscere della terra. E poi, il silenzio è uno straordinario contenitore narrativo perché in esso ogni piccolo bisbiglio è amplificato, una fronda mossa dal vento crea inquietudine, lo scalpiccio in una strada buia e silenziosa è presagio di pericolo imminente, una risposta non data lascia l’ascoltatore in uno stato di sospesa incertezza.
In chiusura, cosa ti ha dato questo libro e cosa pensi possa dare a chi ti legge?
È stato per molti anni un compagno di vita, il mio rifugio di silenzio. Mi ha permesso di rappresentare un po’ dei miei fantasmi, delle mie paure e dei miei sogni e di farli vivere attraverso dei personaggi che ho amato molto e che spero suscitino il medesimo sentimento anche nei miei lettori. Vorrei che le vicende di Niccolò, Gaia, Antonio ed Enea, i loro sentimenti sinceri, profondi, potessero servire a ritrovare e magari comprendere meglio qualcosa di noi stessi. Infine, il mio augurio è che questo romanzo riesca ad accendere l’attenzione del lettore per una terra complessa, affascinante, fragile che merita rispetto e che ha bisogno di essere amata e tutelata.
Francesca Ghezzani
Il link all’intervista su Sherlock Magazine: https://bitly.ws/38FPn
Buongiorno lettori,
vi segnalo il romanzo “Terra” dello sceneggiatore, autore televisivo, regista, progettista di eventi milanese Stefano Albè, edito Arkadia.
Biografia:
Stefano Albè vive a Milano e da oltre venticinque anni lavora nel mondo della comunicazione come regista e progettista di eventi. Appassionato di fotografia e cinema, ha lavorato come sceneggiatore e autore televisivo.
Ha contribuito alla realizzazione di Morto e mangiato e di 365 storie cattive, raccolte di racconti.
Terra è il suo primo romanzo.
Genere: romanzo noir psicologico ambientato nell’Iglesiente
Editore: Arkadia
Data di pubblicazione: 20 ottobre 2023
Numero pagine: 280
Sinossi:
Rimorso e redenzione in un noir psicologico ambientato nell’Iglesiente. La ricerca della verità come strumento di espiazione in un palcoscenico naturale selvaggio e aspro dove i protagonisti si trovano e si perdono tra miniere abbandonate e dune disegnate dal vento. Niccolò, Antonio, Gaia, Emma, Agnese ed Enea. Un articolato intreccio di relazioni ruvide, irrisolte e conflittuali, storie di persone che sembrano non incrociarsi mai, anche quando vivono nella stessa casa o masticano la stessa polvere. A unire e dividere, la terra, materna e violenta, rifugio e tomba, amata e stuprata. La terra come cuore sacro ancestrale al centro della vita e della morte. Dal ritrovamento di un cadavere si sviluppa una trama su più livelli dove indagati e indagatori si confondono e la ricerca scava in profondità nella coscienza di una intera comunità che giace assopita ai piedi del complesso minerario di Montevecchio.
Vi lascio il comunicato stampa:
“Terra”, in libreria l’esordio letterario di Stefano Albè
Sceneggiatore, autore televisivo, da oltre venticinque anni nel mondo della comunicazione come regista e progettista di eventi, Stefano Albè si affaccia sul panorama editoriale con il suo primo romanzo dal titolo “Terra”, pubblicato con Arkadia, collana Eclypse. In uscita il 20 ottobre, si tratta di un noir psicologico ambientato nell’Iglesiente in cui la ricerca della verità diventa lo strumento di espiazione in un palcoscenico naturale selvaggio e aspro dove i protagonisti si trovano e si perdono tra miniere abbandonate e dune disegnate dal vento. Niccolò, Antonio, Gaia, Emma, Agnese ed Enea. Un articolato intreccio di relazioni ruvide, irrisolte e conflittuali, storie di persone che sembrano non incrociarsi mai, anche quando vivono nella stessa casa o masticano la stessa polvere. A unire e dividere, la terra, materna e violenta, rifugio e tomba, amata e stuprata. La terra come cuore sacro ancestrale al centro della vita e della morte.
“Questo racconto è nato da un viaggio – ha spiegato l’autore. Da una scoperta inattesa e per certi versi magica.
Per primo ha preso luce il luogo, immobile e decadente ma ricco di fascino e storia; poi, uno dopo l’altro, sono emersi i personaggi e in ultimo le loro relazioni, le passioni, le sconfitte e i trionfi. La terra è al centro come spazio, come materia e come metafora, palcoscenico di esistenze che si consumano, si amano e si allontanano, peccano e risorgono. È madre nutrice e spietata vendicatrice di colpe che affondano le loro radici nel tempo, tra buie gallerie e aspre rocce. Avvolta dal silenzio”. Dal ritrovamento di un cadavere si sviluppa una trama su più livelli dove indagati e indagatori si confondono e la ricerca scava nella coscienza di una intera comunità che giace assopita ai piedi del complesso minerario di Montevecchio. “È una storia – ha infatti commentato la casa editrice – che affonda le sue radici in profondità, nel buio delle gallerie delle miniere. E che porta una luce che illumina le vite di più generazioni”.
Interessante.
Voi cosa ne pensate?
Buona lettura!
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Stefano Albè in Terra, romanzo di recente pubblicato da Arkadia, racconta una storia che prende avvio dallo strano incontro fra Niccolò De Santis, professore di Neurologia molto stimato, e una persona misteriosa che riesce ad attirarlo a Cagliari per sottoporgli un caso clinico fuori dal comune.
Niccolò è un uomo stanco; il suo matrimonio con l’impaziente Agnese è soffocato da una patina di abitudine e stanchezza. In Sardegna conosce una realtà del tutto ignota, un borgo minerario, Montevecchio, ormai disabitato:
Gli edifici erano perlopiù abbandonati e diroccati, privi di vita, segnati nel loro intimo da un destino crudele. Un lento declino che aveva portato intere famiglie a cercare vita altrove, nuove strade da attraversare, nuove case da abitare. La fatica di decenni di lavoro, sangue e sudore versati sopra e sotto una terra tanto ricca quanto crudele, si era trasformata in ruggine, nei corpi degli abitanti e in tutto il borgo, svuotandolo da dentro come un verme che divora il frutto che lo ospita.
L’Iglesiente, con le sue miniere ormai chiuse da tempo, è una terra difficile da decifrare per un uomo che viene dal continente. In questi luoghi aspri Niccolò incontra persone singolari e ascolta racconti di vite difficili, come quella di Pietro Marceddu, riscattatosi a fatica da un passato pesante senza però essere mai approdato a un presente da uomo libero, come con amarezza dice a Niccolò:
I vecchi padroni sono scappati via ma ci sono i loro figli. Ci tengono in pugno in modo ancora più subdolo: i loro padri usavano il bastone, questi usano il computer.
Durante la trasferta in Sardegna Niccolò rivede per caso Enea Sanna, un giornalista legato a un fatto drammatico che, undici anni prima, ha cambiato in modo irreversibile la sua vita e quella di Agnese.
Con questi ingredienti l’autore costruisce un romanzo intenso che narra senza sconti la durezza delle condizioni di vita dei minatori e delle loro famiglie, le operazioni illecite di chi arriva da lontano per sfruttare senza rispetto il territorio dell’isola, la spregiudicata manipolazione ai propri fini degli esseri umani più fragili da parte di loschi individui.
In ogni pagina è presente la terra con plurimi significati: terra che nutre e che avvelena, terra che copre tutto, anche ciò che si vuole occultare, terra che si ama e si odia, da cui si vorrebbe fuggire e alla quale si resta legati; terra personificata, nei confronti della quale gli isolani delineati da Albè nutrono sentimenti molto forti ed esprimono un grande attaccamento.
Veniamo dalla terra e alla terra torniamo, è l’equazione più semplice e in fondo è la più vera e rassicurante.
Giungendo a vere dichiarazioni d’amore:
Amiamo questa terra. È la nostra sposa e non permetteremo più a nessuno di umiliarla.
Sotto la superficie terrestre c’è il mondo minerario che, nonostante l’attività estrattiva sia da anni terminata, non è morto e torna sempre, con i suoi misteri, nei discorsi e nei pensieri degli abitanti.
Su questo sfondo l’autore intreccia in una fitta trama diversi fili: la vicenda personale di Niccolò, alle prese con una diagnosi complicata sulla condizione peculiare di Gaia, una giovane e selvatica sordomuta; la morte di uno sconosciuto e le relative indagini; la storia d’amore fra Gaia e uno dei carabinieri che investigano per chiarire le circostanze della morte misteriosa. Ed è proprio Gaia che sembra essere al centro di tutte le trame oscure.
Il romanzo, fino all’epilogo, sorprende con colpi di scena e mutamenti di prospettiva, lasciandoci la sensazione, giunti alle ultime pagine, che le cose non potevano che andare come sono andate.
Rosalia Messina
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Sceneggiatore, autore televisivo, regista e progettista di eventi, Stefano Albè si affaccia sul panorama editoriale con il suo primo romanzo dal titolo “Terra”, pubblicato con Arkadia, collana Eclypse.
Uscito il 20 ottobre, si tratta di un noir psicologico ambientato nell’Iglesiente in cui la ricerca della verità diventa lo strumento di espiazione in un palcoscenico naturale selvaggio e aspro dove i protagonisti si trovano e si perdono tra miniere abbandonate e dune disegnate dal vento. Niccolò, Antonio, Gaia, Emma, Agnese ed Enea. Un articolato intreccio di relazioni ruvide, irrisolte e conflittuali, storie di persone che sembrano non incrociarsi mai, anche quando vivono nella stessa casa o masticano la stessa polvere. A unire e dividere, la terra, materna e violenta, rifugio e tomba, amata e stuprata. La terra come cuore sacro ancestrale al centro della vita e della morte. Dal ritrovamento di un cadavere si sviluppa una trama su più livelli dove indagati e indagatori si confondono e la ricerca scava nella coscienza di una intera comunità che giace assopita ai piedi del complesso minerario di Montevecchio.
Francesca Ghezzani
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