La guglia d’oro di Montserrat Roig – Arkadia Editore
Se sperate di leggere un libro sul paradiso sovietico, lasciate perdere, non proseguite. Se cercate le riflessioni di un’intellettuale disincantata sui tradimenti dell’urss, anche. Non parlerò né di economia, 1né di progressi sociali, ma nemmeno di gulag e di ospedali psichiatrici. Di questo si fanno carico ogni giorno i giornali occidentali.”
Affascinante e profondo il libro/reportage, La guglia d’oro, della scrittrice catalana Montserrat Roig, tradotto brillante da Pietro Dal Bon per la lungimirante casa editrice Arkadia – collana Xaymaca – per la prima volta in Italia.Questa storia ha inizio nel 1980, quando la casa editrice Progresso di Mosca invita la scrittrice nella città di Leningrado, l’attuale San Pietroburgo, con l’obiettivo di scrivere un libro sull’assedio che la città subì per più di novecento giorni da parte dell’esercito nazista durante la seconda guerra mondiale. Frutto di quel soggiorno, qualche anno dopo, Roig scrisse “La guglia d’oro”, non un semplice reportage di un viaggio o la storia di uno tra i più cruenti avvenimenti della seconda guerra mondiale, La guglia d’oro è la storia di una passione, di un amore sbocciato tra la scrittrice catalana e la bella e nostalgica Leningrado.
La prima cosa che vidi fu una guglia d’oro che si alzava in fondo alla strada. Era la guglia dell’Ammiragliato. Osip Mandel’štam scrisse che le case che ci sono fuori dalla stazione sono grigie come i gatti. Mi trovavo nella strada più lirica del mondo, secondo Alexandre Blok, e non me ne rendevo conto.
Al suo arrivo, nella città delle notti bianche, le viene affidato un interprete Nikolai, e così ha inizio per Montserrat il suo viaggio nella memoria dei sopravvissuti, nel dolore di chi ha combattuto per restare in vita, soffrendo la fame ma anche una riflessione sull’arte e la letteratura russa, un magnifico testo letterario fortemente ispirato.
Diviso in tre parti. La prima intitolata Il secondo Rasputin, riferimento alla sua guida/interprete, Nikolai, più ebbro che sobrio, si dice innamorato della sua seconda moglie ma non perde occasione per tradirla, accompagna la giornalista ai primi incontri con i testimoni dell’assedio: rievocazioni storiche, tratti veloci di vita quotidiana, e la monumentale bellezza delle architetture russe ma soprattutto è il ricordo di Puskin, Dostoevskij, vita, amori e morte a San Pietroburgo, prima di Leningrado.
Seconda parte dedicata a Pietroburgo, la città di Dostoevskji delle sue 43 case tutte ad angolo, doveconcepì l’intera geografia di Delitto e castigo e da dove si poteva immaginare l’angolo di Sonja Marmeladova e la casa di Alena Ivanovna, la vecchia usuraia. Delle strade e degli edifici resta poco, molte cose sono cambiate.
Terza e ultima parte dedicata alla memoria dell’orrore, alle creature dell’inferno
Dalla voce dei protagonisti che vissero i novecento giorni d’assedio, in particolare emoziona la storia di Alexandra Koss,all’epoca era una bambina di otto anni che leggeva Don Chisciotte in francese, dà l’idea emblematica che ci si può salvare attraverso la cultura, attraverso la letteratura, attraverso la bellezza, o come la storia di Raïsa Livovskaia che si unì a un’organizzazione di adolescenti, mentendo sull’età, impegnati contro i nazisti, o Ol’ga Berggol’c che durante l’assedio pianse una sola volta, per la morte del marito e non lo fece più.
Un giorno Tanja scrisse: “Eugenia è morta il 28 dicembre 1941, a mezzanotte e mezzo”. Poi avrebbe continuato a scrivere il suo diario d’inverno: “La nonna è morta il 25 gennaio, Lëka il 17 marzo, lo zio Aliocha il 10 maggio, la mamma il 13
maggio del 1942, alle otto e mezzo del mattino. I Savičev sono morti. Sono tutti morti.
L’assedio di Leningrado è anche la storia di una città che non vuole morire “Non c’è miglior cuoco della fame”, scrive la Roig, si aguzza l’ingegno, e così gli assediati inventano ricette impossibili con la gomma, olio di pittura, cuoio, ciabatte, per non morire. E poi l’arte e ancora la letteratura, l’amicizia con gli “amici dell’Unione degli Scrittori,” che sono rimasti nella sua memoria.
Il giorno in cui me ne andai da Leningrado, il cielo aveva recuperato il suo colore abituale: un grigio opaco e metallico. Pioveva, finivano le notti bianche. Andai a sedere sulla mia panchina in Piazza delle Arti, vicino alla statua di Puškin da giovane. Gli disse addio, addio al poeta dal braccio disteso. Gocce di pioggia salterellavano tra i suoi riccioli neri.
“La guglia d’oro” rappresenta un frammento necessario della storia, il desiderio di narrare, senza eroismo o commiserazione, l’anima russa, senza limiti o censure.
Montserrat Roig. Nata a Barcellona nel 1946, scomparsa nel 1991 dopo una breve malattia, scrittrice e giornalista spagnola, è stata autrice di romanzi, racconti, reportage e articoli giornalistici per i quali ha ricevuto diversi premi. Impegnata nelle lotte femministe e antifranchiste, ha militato in diverse organizzazioni, come il PSUC, dove cominciò la sua amicizia con Manuel Vázquez Montalbán. Molta roba i poc sabó, una raccolta di racconti, ottiene un primo importante riconoscimento letterario, vincendo il Premio Víctor Català nel 1970, ma la consacrazione arriva grazie al romanzo El temps de les cireres (Il tempo delle ciliegie), che ottiene il Premi Sant Jordi nel 1976. Dal 1977 vive con Joaquim Sempere, che traduce le sue opere in spagnolo, coniugando l’attività letteraria con il giornalismo d’investigazione. Ha collaborato con pubblicazioni presso “Serra d’Or”, “Tele-eXprés”, “Destino”, “Triunfo”, “Cambio 16” e “Avui”. Una delle grandi conquiste dell’opera di Roig è stata la capacità di unire, in anticipo sui tempi, la realtà più concreta, le testimonianze dirette, alla letteratura, in modo che la sua opera di finzione perseguisse un grande realismo e il suo lavoro
giornalistico si umanizzasse con le risorse della finzione.
Loredana Cilento
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