Stefano Zangrando


Note di lettura: “Fratello minore : sorte, amori e pagine di Peter B.” di Stefano Zangrando.

Di quali intrecci di emozioni, nonostante l’approccio razionale che si raccomanda nell’avvicinare l’opera di un autore, di quali aspirazioni identitarie, anche inconsce, e anche di quali aspirazioni ad evidenziare distanze per mantenere un atteggiamento critico si colora, soprattutto se sostenuto da una intensa frequentazione, il rapporto tra uno scrittore ed uno suo studioso? Quali implicazioni possono implicitamente arricchire chi studia rispetto all’esempio che riceve? Fratello minore. Sorte, amori e pagine di Peter B. di Stefano Zangrando (Arkadia editore) è la trascrizione di questo genere di avventura interiore, resa ancora più intensa dal fatto che lo studioso è anche autore in proprio, disponibile quindi alla decifrazione degli aspetti più nascosti della relazione vita – composizione letteraria. Zangrando infatti è studioso di narrativa in lingua tedesca, nonché autore di opere di narrativa, come Quando si vive (Keller, 2009) e Amateurs (alpha beta, 2016). L’autore oggetto dell’indagine è Peter Brasch (1955 – 2001), scrittore tedesco poco noto in Italia, ed un po’ dimenticato anche nel suo paese. Zangrando azzarda con successo la coniugazione della simpatia umana per il personaggio – autore (“si scrive soprattutto per chi si ama, vivo o morto che sia”) e la consonanza critica con le sue opere. E’ la tentazione costante che, quando anche negata, alberga frequentemente negli studi critici, qui sottoposta a parziale sedazione dalle suggestioni indotte dall’andamento narrativo del testo. Zangrando prova a raccorciare al minimo possibile lo scarto tra vita ed opera, attraversando la vita del suo autore come se fosse un’opera letteraria, o meglio, rinunciando con scelta felice a tracciare una linea netta di demarcazione tra esperienza assistenziale e tensione artistica. (posto che una tale rigida distinzione possa in ogni caso plausibilmente proporsi). Durante i suoi soggiorni berlinesi, Zangrando inizia a seguire le tracce del suo autore, frequentando i quartieri in cui aveva vissuto, incontrandone amici e compagne, leggendone gli scritti. Più si addentra nella ricerca, più sente crescere affinità e vicinanze, avverte con consapevolezza via via crescente un senso di confidenza con il suo autore, scandaglia qualche elemento di identificazione :”c’era qualcosa, in quel giovane uomo tormentato, che toccava una mia corda nascosta. Perché lo sentivo così vicino, così familiare?”. Peter Brasch è figlio di un ebreo in fuga dal nazismo che, appena conclusa la Seconda Guerra Mondiale, rientra a Berlino. Qui si converte al comunismo, e si costruisce una carriera da burocrate di partito nella Germania di Pankow. Questi trascorsi possono bastare a spiegare una certa rigidità nei suoi rapporti con i figli, che a sua volta contribuisce a motivare alcuni tratti del carattere del Brasch adulto. Come il fratello Thomas, poeta e regista, fin dall’università (da cui verrà espulso per aver espresso solidarietà al poeta dissidente Wolf Biermann) matura una profonda insofferenza verso il regime che opprime la Germania Est, e conculca le aspirazioni alla libertà di espressione della cerchia di letterati ed artisti di cui fa parte. Mentre il fratello riparerà all’Ovest, Peter resterà nella DDR, sperando dapprima nello sviluppo di qualche riforma di regime, ma via via perdendo fiducia in soluzioni interne al sistema comunista. La sua posizione di dissidenza appartata si prolungherà anche nel periodo successivo alla caduta del muro, relegandolo al ruolo di giovane (muore a 56 anni) sopravvissuto sia al regime comunista sia alla sua antitesi, quel capitalismo presto galoppante che pervade la Berlino appena riunificata. Zangrando compie una sorta di itinerario interiore, alla ricerca dell’altro, di quel Peter che è indubitabilmente altro da lui, ma che a mano a mano che ne esplora ogni possibile espressione della personalità gli si manifesta in una singolare contiguità. Scava nel suo personaggio fino ad essere pervaso del suo modo di vedere il mondo, e lo rivela quel tu con cui nella prima parte si rivolge a Peter e che poi si trasforma nel tu con cui colloquia con se stesso nella terza. La conoscenza del carattere dell’uomo si ricava dalle testimonianze di chi lo ha conosciuto, gli amici, anzitutto, con cui ha condiviso idee e visioni del mondo: sono anni in cui, anche al di là del muro, certe affinità ideologiche cementano anche i rapporti amicali, ne costituiscono anzi a volte il necessario presupposto. Il ritratto si completa con i ricordi delle donne che lo hanno amato, spesso con grande dispendio di confusa generosità, ma certo senza riuscire a lenirne l’inquietudine esistenziale che lo ha accompagnato dai tempi dell’università, e che la grande quantità di alcool consumato non è riuscita a guarire. Ma il ritratto si completa, agli occhi di uno scrittore, anche con la lettura appassionata e felicemente priva di acribia critica (è l’uomo, nella sua integralità che qui si ricerca) delle opere di Brasch, che, ben oltre il valore letterario (che peraltro il libro proclama, invitando alla riscoperta di testi quasi dimenticati) ne denunciano le incertezze, e ne rivelano attese e delusioni. E Peter scrive per il teatro, lavora, sempre in via precaria, per la radio, scrive poesie (a volte fin troppo influenzato dalle opere del fratello, dirà una sua amica), scrive per i bambini, verso i quali dimostra una straordinaria capacità di ascolto e di parola, fino all’ultimo sfortunato tentativo narrativo. Ne deriva un profilo straordinariamente dettagliato: un artista maledetto nient’affatto compiaciuto del suo stato. Un’esistenza costantemente “contro” logora più o meno fatalmente i rapporti con se stesso, perché corrode l’opinione di se e del proprio agire (con conseguenze tanto più esiziali per un artista, che nella sua opera riversa le proprie attese più urgenti), compromette relazioni e ed amori. Brasch è figlio del suo tempo e del suo mondo, in modo del tutto particolare, ponendosi sistematicamente in posizione antagonistica verso le idee dominanti; da ciò la sua condanna ad una marginalità che si direbbe al tempo stesso subita e goduta, visto che gli consente autonomia assoluta di giudizio. Soffre però molto del cupo conformismo imposto dal comunismo, ne patisce l’angustia di orizzonti che il regime impone per perpetuarsi, una religione senza dei, che nella Germania est almeno dagli anni Settanta del Novecento tende a degradare la lotta di classe in ossessione del controllo. Ma la caduta del muro non lo coinvolge granché: non riesce a trovare sintonia (o non vuole) con il capitalismo aggressivo che subito comincia a manifestarsi. Come dirà la sorella Marion, in una testimonianza – rappresentazione teatrale che Zangrando inscena nella seconda delle tre parti del libro: “(Peter) non stava da nessuna parte, non con il sistema, non con l’annessione da parte dell’occidente. Non eravamo neanche nei movimenti per i idirtti civili, non eravamo i dissidenti sotto i riflettori dell’ovest: Eravamo un’opposizione interna, diffusa, che puntava a liberarsi del vecchiume senza gettarsi nelle braccia del mercato.” Tutto ciò, avendo a che fare con la Germania, riguarda tutti noi europei, e contribuisce, lo si voglia o no, alla comprensione del nostro presente a volte così avaro di punti di riferimento. Ma quanto tempo è passato, da quando questi temi erano centrali per la nostra cultura? Zangrando ci fa riflettere sulla precarietà del concetto di contemporaneità, che pare divorato dall’urgere sempre più rapido degli anni. E allora, Peter, per molti di noi più o meno un coetaneo, è un nostro contemporaneo? Molti di noi hanno assistito, sia pure molto da lontano, agli avvenimenti che hanno contribuito a formare l’universo culturale di Brasch, eppure oggi il suo quotidiano ci pare già consegnato alla storia, non ci riguarda se non per stimolare un confronto tra il suo modo di interpretare il mondo (come ci perviene dai suoi scritti), e il nostro essere nel mondo di allora. Ed ecco quindi che la commemorazione di Brasch, nel giorno in cui avrebbe compiuto sessant’anni, a cui partecipa Zangrando con altri amici e conoscenti dell’autore, presso la birreria gestita dal poeta Bert Papenfuß, (che avrebbe chiuso il giorno dopo), assume una funzione di rito catartico. Consacra un distacco, e finisce per sancire una distanza (anche se non voluta) non tanto cronologica quanto culturale, tra Brasch e Zangrando, e di riflesso tutti noi, che, grazie alle suggestioni che questo libro esprime, del mondo interiore dello scrittore tedesco abbiamo conosciuto rabbie, ideali, disamori ed utopie.

Luigi Preziosi



Fratello minore: Sorte, amori e pagine di Peter B. di Stefano Zangrando (Arkadia Editore 2018) 

Stefano Zangrando omaggia con questo libro lo scrittore berlinese Peter Brasch. Ci racconta della sua famiglia conservatrice e conformista, dalle origini ebree. La vita e le passioni di Peter lo incuriosiscono al punto tale da frequentare Berlino più e più volte. Partendo da un romanzo dello scrittore, apparentemente introvabile, la voce narrante ripercorre gli anni di Peter all’università di Lipsia, gli anni del crollo del Muro, il suo amore per la scrittura e la fatica immane di emergere. Di lui ci racconta la passione per l’alcol e le sigarette, la poesia, la prosa e il teatro. Del suo non-bisogno degli altri e delle sue donne, che lo hanno amato o abbandonato. Ne esce un personaggio controverso ma particolare, in grado ad esempio di entrare nella mente pura dei bambini dando loro spunti per liberare la fantasia o provocandoli in modo bonario ma fermo perché non si uniformassero alla massa. Così pure emerge un Peter Brasch rivoluzionario, seccato dalla povertà e dalle censure della DDR e legato in maniera profonda al fratello maggiore Thomas che, al contrario, sta avendo successo nella Repubblica Federale. Perché Peter B. si sentiva incompreso e rifiutato? Perché era così visionario e instabile?
Fratello minore. Un unico libro suddiviso in più parti e raccontato da voci diverse, che interpretano la vita di Peter dal loro personale punto di vista. Vi invito a questa interessante e originale lettura.

Federica Belleri



Zangrando a Berlino sulle tracce di Peter Brasch

Questo è un libro che fa venire in mente i primi films di Wim Wenders, quelli in bianco e nero. Anche questo libro è in bianco e nero, con tutte le sfumature del grigio, il colore della Berlino sospesa fra la decomposizione della DDR e l’assorbimento consumistico nella Bundesrepublik. In quell’arco di anni fra la fine dell’una e l’altro, il grigio era il colore dominante: il colore dei portoni scrostati dei vecchi quartieri provenienti direttamente dalla Repubblica di Weimar, passando per il Terzo Reich e la succursale germanica del socialismo reale. Insomma il cuore dell’Europa, «l’Europa prima che sparisca».
L’autore è Stefano Zangrando, scrittore nato nel 1973 a Bolzano, ma con un link sempre in funzione su Berlino, dove ha ottenuto nel 2008 una borsa di scrittura della Accademia delle Arti, e nel 2009 ha vinto un premio italo-tedesco per traduttori. Questo suo terzo libro nasce dall’interesse dell’autore per Peter Brasch, figlio di un ebreo in fuga dai nazi che, diventato comunista, fa una relativa carriera burocratica nella Germania dell’Est, e fratello del più celebre Thomas Brasch, poeta e regista fuggito all’Ovest nel 1976, dove ha raccolto qualche successo (come il film “Ritorno a Berlino” del 1988) ma ha fatto una brutta fine. Peter resterà invece in DDR sperando inizialmente in una riforma dall’interno, ma sempre più critico, fino a venir espulso dall’università per aver espresso solidarietà a Wolf Biermann. Diventerà scrittore e uomo di teatro non di successo, un dissidente appartato della Berlino est, sopravvissuto poco più di un decennio all’unificazione delle Germanie.
Nei suoi momenti di vita berlinese Zangrando conosce gli amici e le ex-compagne di Peter Brasch, trova i suoi libri ormai dimenticati, ed un giorno navigando in rete incappa in due registrazioni televisive degli anni ‘90, restandone impressionato: «c’era qualcosa, in quel giovane uomo tormentato, che toccava una mia corda nascosta. Perché lo sentivo così vicino, così familiare?».
Zangrando adotta nella narrazione uno stile “sperimentale”, basato sul montaggio di materiali diversi: conversazioni e testimonianze, brevi testi letterari e lettere di Brasch, impressioni e descrizioni d’ambiente. Una forma narrativa & saggistica, documentaria ma anche introspettiva. Un’opera aperta, che rivolge al lettore domade senza risposta. Filo conduttore della narrazione è un vagabondaggio per la Berlino “mutata” di oggi, alla ricerca delle tracce sue e di quell’altro tempo, intrecciando un dialogo con l’assenza di Peter. A partire dalla casa dove ebbe il tetto più durevole, sulla Choriner Straße: «è un buon posto per abitare, dopo l’89. Al confine tra Mitte e Prenzlauer Berg, da qui in pochi minuti sei in Alexanderplatz – se vuoi fiutare bene i venti che spirano da ovest e che stanno spazzando via tutto, un po’ alla volta, in un paziente e implacabile lavoro di erosione; oppure in un attimo sei nella Schönhauser Alee, l’asse più in fermento di questo ex-quartiere operaio che, nel giro di un decennio o poco più, verrà colonizzato e tirato a nuovo dai figli di papà occidentali, tedeschi e non solo. Molti autoctoni, i più anziani soprattutto, se ne andranno da qui nei sobborghi, arresi ad affitti sempre più insostenibili; qualcuno della tua cerchia resisterà e lo incontrerò».
La parte centrale e più sostanziosa del libro – come è giusto che sia per il libro su di un uomo di teatro – ha la forma del racconto di una messinscena di teatro-verità, in cui Zangrando utilizza le testimonianze che ha raccolto direttamente dalle testimoni. Le molte donne della sua vita (amanti, amiche, familiari) vengono narrate come se si incontrassero su un palcoscenico per raccontarsi reciprocamente la loro esperienza di Peter, incrociando diversi punti di vista, tramite i quali prende corpo la storia – umana, artistica e (involontariamente) politica – di Peter. Dice la sorella Marion: «non stava da nessuna parte, non con il sistema, non con l’annessione da parte dell’occidente. Neanche a lui del resto andava giù il termine “riunificazione”. L’ho detto, quelli come noi le cose volevano cambiarle dall’interno. Non eravamo neanche nei movimenti per i diritti civili, non eravamo dissidenti sotto i riflettori dell’ovest. Eravamo un’opposizione interna, diffusa, che puntava a liberarsi del vecchiume senza gettarsi nelle braccia del mercato. E siamo quelli che la storia ufficiale ha voluto dimenticare».
Il fratello di Peter (e di Marion), Thomas, fuggito in occidente sarà sotto i riflettori come dissidente, ma trasformerà la sua incompatibilità con la generalizzata competitività occidentale in alcoolismo e tossicodipendenza, fino a venirne travolto. Peter, rimasto ad est fino alla fine, verrà travolto dalla stessa irriducibilità quando l’ovest ingloberà l’est: «il denaro, disse, è la nuova forma della censura» ricorda nella scena di teatro-verità Katja, la miglior amica di Peter. La sua precarietà, sia lavorativa che esistenziale, si aggraverà con la “riunificazione”, o comunque non migliorerà. Proverà anche a scrivere un romanzo, come chiedevano gli editori ed i media occidentali, ma nessuno se ne accorgerà. Gli verrà negato anche un posto da insegnante, e si farà distruggere anche lui dal bere, come il fratello. Lo troveranno una mattina riverso a casa sua. E a questo punto, chiaramente, la tragica traiettoria di Peter viene ad assumere una forma universale. La forma non più solo di una storia della DDR, ma della decadenza dell’Europa mercantile, dell’eclissi dell’intellettuale, della crisi della sinistra, della nostra crisi, della crisi di chi scrive e di chi legge. «È qui – dice Zangrando a se stesso – che ti sembra abbia origine la vostra affinità: si scrive innanzitutto per chi si ama, vivo o morto che sia».
Il libro si chiude con il racconto della commemorazione di Peter Brasch, nel giorno in cui avrebbe compiuto i 60 anni, tenuta nella Kneipe [birreria] gestita dal poeta Bert Papenfuß, che chiuderà il giorno dopo (è quindi insieme una commemorazione di Peter e della Kneipe). «Seduto a lato del palco, fumando e bevendo davanti a quella declamazione sublime e sinistra – dice Zangrando – compresi tutt’a un tratto che stavamo celebrando un addio. Un addio al locale in cui ci troviamo, certo, che tra poco avrebbe chiuso per sempre; ma anche un addio a Peter, poiché il Prenzlauer Berg [quartiere e movimento letterario] che quella sera lo stava ricordando era un mondo in via d’estinzione – perché, così com’era morto Peter, prima o poi tutta quella Berlino sarebbe invecchiata e poi morta, morta». Eh già, si muore, si è tutti in transito. E quindi questa è anche una parabola sulla condizione umana, sulla sua provvisorietà.

Roberto Antolini



IL ROMANZO

Sorti, amori e pagine di Peter B.

Bolzano, Stefano Zangrando presenta domani “Fratello minore”

 

Domani 8 novembre, alle ore 18, nell’aula magna della Fondazione UPAD (Via Firenze 51- Bolzano), in collaborazione con la Scuola di scrittura creativa “Le Scimmie”, Stefano Zangrando presenterà “Fratello minore. Sorte, amori e pagine di Peter B.” (Arkadia), un libro curioso e originale che è saggio e romanzo insieme, biografia a più voci dello scrittore Peter B. e autobiografia letteraria e intellettuale di Stefano Zangrando, nella Berlino Est degli anni ’80 e ’90, dunque poco prima della fine della DDR e poco dopo la sua nuova vita nella Germania unificata, ma anche nella Berlino di oggi, seconda patria o patria spirituale dell’autore. Un libro scritto in seconda persona, dove il “tu” è sia Peter (ovvero Peter Brasch, poeta, drammaturgo e scrittore morto prematuramente nel 2001) sia Stefano, in un continuo interrogare testi e testimoni, e in un continuo attraversare il concetto di minorità. Peter B., infatti, è fratello minore del più famoso Thomas, ma anche di Zangrando, in un’idea di letteratura in cui ciò che conta è la centralità del testo e della parola, e non la visibilità mediatica dell’autore o la sua appartenenza all’ universo dei grandi editori. Nell’epoca del narcisismo di massa (è il tema dell’edizione 2018-2019 del Seminario internazionale sul romanzo, il progetto del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento cui Stefano Zangrando collabora sin dalla prima edizione), dove allo scrittore si chiede di apparire e sedurre, più che scrivere, forse è meglio lavorare nell’ombra ma con impegno e serietà, scrivendo ciò in cui si crede, come ha fatto, ad esempio, norbert c. kaser, che usava persino le iniziali minuscole, poe- ta sudtirolese scomodo e per- ciò emarginato, altro fratello minore con cui il narratore trova diverse consonanze. Peter B., dunque, è una persona realmente esistita che diventa personaggio letterario attraverso la reinvenzione e la ricostruzione dell’autore, che non l’ha mai incontrato ma di cui ha raccolto le testimonianze di coloro che gli erano stati amici e soprattutto delle donne che l’avevano amato. Leggendo i suoi testi, Zangrando scopre una forte affinità estetica con questo scrittore dimenticato, per- ciò decide di farlo uscire dall’oblio. “Fratello Minore”, infatti, contiene diversi testi di Peter B. tradotti dall’autore e disseminati nella narrazione, come tessere di un mosaico che lentamente si compone per dare vita a una vicenda umana, politica e letteraria. Insomma, ci troviamo di fronte a un libro davvero ibrido e polifonico, capace di suscitare domande nel lettore e che proprio sulle domande costruisce la sua forma. Ad accompagnare Zangrando e le sue letture, giovedì ci sarà anche il chitarrista Marco Buzzoni. L’ingresso è libero.

Giovanni Accardo



«Critica e rispecchiamento» Zangrando racconta Peter B.…in seconda persona

Studi psicologici statunitensi (ce ne sono sempre di nuovi, all’ultimo grido) sostengono che l’uso della seconda persona (alternativo a quello della prima o della terza) rende più sicuri, e più spigliati e incisivi. Usare il “tu” invece dell’“io” creerebbe una salutare distanza da se stessi, come a chi accada di guardarsi nello specchio per rivolgersi rimproveri o invece lodi, o sul proprio taccuino personale di annotare stati d’animo e pensieri attribuendoli a un “tu” immaginario, ma in realtà l’amico più intimo, perché di altri non si tratta che di noi stessi. Là dove la seconda persona è invece sostituita dalla terza, il viraggio di punto di vista ottiene l’effetto contrario: avvicina. L’altro al quale ci si rivolge frontalmente, quel “lui” o “lei” che diviene all’improvviso semplicemente “tu”, perde di fredda oggettività e guadagna in termini di prossemica, divenendo oggetto di un’assonanza che se portata all’estremo si fa persino fusione, simbiosi. In versione narrativa, i risultati sono pressappoco gli stessi. Una biografia, e biografia romanzata peraltro, definisce attraverso l’uso del “tu” una posizione dello scrittore-narratore molto peculiare. Quest’ultimo stabilisce di osservare lo scorrere del tempo di un altro, del personaggio del quale racconta la vita, ma è giocoforza che via via alla temporalità di quell’altro mescoli la sua propria; giocoforza che il protagonista della biografia divenga una sorta di alter-ego del biografo, e che le due vite amalgamandosi diano luogo a un ibrido nuovo, capace di modificare le esistenze di narrato e di narratore, di biografo e di “biografato”. Stefano Zangrando, autore trentino ma berlinese di adozione, dedica un romanzo “saggistico” alla vita di un autore ebreo tedesco: Fratello minore. Sorte, amori e pagine di Peter B.. Lo fa sin dalle prime pagine dichiarando come la sua ricognizione biografica disegni anche un proprio personale percorso. Sebbene «sottomessa alla metamorfosi», la Berlino lungo le cui grandi arterie Zangrando muove i suoi passi, le case, i teatri, gli altri luoghi sui quali punta il suo sguardo accurato, rapito ma esatto, è la stessa città dove il protagonista, Peter Brasch (poeta, drammaturgo, scrittore) ha consumato la parte più prolifica della sua breve vita (muore quarantenne). Dove si è dissipato, si è dato all’alcol, dove con ambivalente partecipazione ha seguito successi e destini diversi dai fratelli: Klaus, Marion, Thomas, tutti come lui letterati. E là dove ancora ha avuto amori, troppi amori, sino all’incontro con una vera compagna la cui presenza comunque non arresta l’inquietudine profonda che anima Peter B.. Prima c’è stato il ritorno dei genitori in Germania, una volta finita la guerra e di poco attutite le peggiori minacce antisemite (un senso di straniamento profondo continua a serpeggiare in famiglia). Poi, per il giovane Peter, l’università, abbandonata dopo accuse di sobillazione politica (siamo negli anni settanta). La fuga dalla Germania es. La definitiva scelta di dedicarsi alla letteratura, «in mancanze di vie di fuga». E una poliedricità di scrittura che lo insegue, è spinta creativa che lo tiene in vita tanto quanto affatica i suoi fragili nervi. Tormenti del protagonista che trascolorano nei rovelli del biografo (per il quale «critica e rispecchiamento» sono speculari all’interrelazione tra verità e finzione). In molti raccontano Peter B.. E di questa ricostruzione polifonica di un artista e del suo mondo, il punto più debole è paradossalmente la soluzione stilistica scelta come la più connotante: l’uso della seconda persona. Il “tu” pronunciato per buona parte del libro, se trasmette tutta la potenza del “corpo a corpo” tra lo scrittore e il suo materiale, e tra Peter B realmente esistito e quello re-immaginato dall’autore, però crea uno iato, uno spazio vuoto e smaterializzante, che non sempre è facile riempire.

Lisa Ginzburg



Salto.bz: Nel suo nuovo libro si è accostato alla figura di Peter Brasch. Perché proprio Peter Brasch?

S.Z.: Innanzitutto Peter Brasch viene nominato come tale solo in due punti del libro: nella citazione d’apertura e nella nota finale. Per il resto si parla sempre solo di “Peter B.” Vale a dire che in questo libro, anzi, in questo saggio romanzesco Peter Brasch è trasformato in un personaggio letterario, che ha preso molto in prestito dall’originale, ma che non pretende di coincidere interamente con quello. Brasch non l’ho mai conosciuto di persona, in compenso a Berlino ho persone amiche che lo conoscevano bene, che l’hanno amato e che ne sono state amate, e questo è il motivo per cui mi sono imbattuto in lui. Sia menzionata qui almeno Rosemarie L., che è stata per anni la mia pensionante e ogni tanto lo è ancora: mi raccontava spesso di questo amico di famiglia, poiché sapeva che anch’io faccio letteratura e m’interesso di letteratura tedesca. Una cosa mi fu chiara fin dall’inizio: questo Peter non riuscì, per ragioni personali e storiche, ad affermarsi veramente come autore. Quattro anni fa poi lessi finalmente alcuni suoi testi e vi percepii un’affinità estetica ed esistenziale. Così all’improvviso ebbi voglia di fare qualcosa per salvarlo dall’oblio, e questo con i mezzi di un autore e al tempo stesso di un mediatore letterario: arte romanzesca, riflessione critica, traduzione. Ne è nato un confronto molto personale, che però si serve anche di strumenti oggettivi.

Lei è traduttore, ha vissuto a lungo a Berlino è adesso traspone in italiano la vita di uno scrittore tedesco. È letteratura europea quella che fa? Sia sincero.

Magari fosse così. Poiché tuttavia qui, cioè nel caso di Peter e mio, ci muoviamo piuttosto nel sottobosco della grande letteratura europea – il titolo Fratello minore vi allude anche, alla condizione di “minore” – preferirei lasciare da parte un’etichetta tanto onorevole e dire: quel che ho tentato di fare è trasmettere un operato letterario e un modo particolare di vivere come artista della parola, ossia libero, ribelle, coerente – e dissipativo, sempre a un passo dal fallimento.

Peter Brasch aveva vari fratelli e sorelle, tutti attivi nel campo della cultura. Oggi però è rimasta in vita solo una sorella che con la cultura ha poco a che fare e attualmente diffonde informazioni sui propri fratelli. Che cosa se ne sa della morte prematura dei fratelli?

Qui devo contraddirla. Marion Brasch, un tempo conosciuta solo come moderatrice radio, in passato era forse considerata soltanto come la poco nota sorella dei tre “fratelli selvaggi” Brasch, ma oggi è un’autrice apprezzata, che ha in parte raccolto l’eredità estetica proprio di Peter, rielaborandola in modo del tutto originale. A lei peraltro devo non solo l’accesso al lascito di Peter nell’archivio dell’Accademia delle Arti di Berlino, ma il fatto stesso che nel suo primo libro abbia raccontato della sua famiglia: senza questo romanzo familiare e i colloqui con lei una parte del mio libro non sarebbe venuta alla luce. E Marion Brasch non è neppure ingenua: nel suo romanzo non pretende affatto il monopolio della verità sui suoi fratelli, ma dà semplicemente la sua versione soggettiva e in parte inventata, come si conviene all’arte narrativa. Eppure, a quel che so, quel che narra dei suoi fratelli appare veritiero a chi li ha conosciuti: la letteratura esplora infatti la verità esistenziale delle persone molto più di quella biografica, non importa dunque quanto ciò che si narra sia fedele alla realtà dei fatti. E lo stesso vale per Fratello minore.

La famiglia Brasch viene descritta spesso come “i Mann dell’Est”. Cosa c’è di vero? O è solo uno scomparto di comodo?

A questo riguardo non ho molto da dire, dovrebbe chiedere a Marion Brasch… “I Buddenbrook dell’Est” suona comunque come uno slogan che qualche giornalista da terza pagina si sia inventato per vendere a forfait questa storia familiare. E tuttavia quella dei Brasch è una storia tedesca molto particolare, poiché in essa l’elemento storico e quello privato s’incontrano in modo più unico che raro. A me però, quando ho concepito il libro su Peter, non interessava tanto la famiglia Brasch, quanto un uomo e uno scrittore poco noto nella cui cerchia amicale sono capitato per caso, e qualcuno in cui mi è parso di riconoscere un fratello, “nello spirito” come “nella sorte”. Alcune parti della sua storia familiare, poi, sono entrate gioco forza a far parte del materiale narrativo.

Sui Brasch è uscito da poco anche un film…

L’ho visto, mi è piaciuto, l’ho trovato piuttosto convenzionale ma pulito, tuttavia non mi ha propriamente entusiasmato: dopo tre anni di ricerche i contenuti mi erano già quasi tutti familiari. Inoltre la figura di Thomas Brasch, il famoso poeta tedesco orientale, sovrasta più o meno inevitabilmente tutti gli altri membri della famiglia – a parte Marion, che nel film fa un po’ da contrappunto ancora vivo e in certo qual modo distaccato al tutto. Di Peter, che già in vita soffrì abbastanza all’ombra del fratello maggiore, si viene a sapere molto poco, e tra questo poco, stranamente, anche qualcosa che durante le mie ricerche ero stato pregato di omettere. Ma di questo adesso preferisco non parlare.

Che cosa resta di Peter Brasch? Un’esistenza larvale nella luce dei fratelli?

Peter Brasch non era un “grande” autore, questo non si può negarlo – ne era cosciente lui stesso. Ma era uno scrittore di talento, politicamente ed esteticamente consapevole. Ed era, a dispetto dell’alcolismo che gli ha reso difficile la vita, un uomo libero e passionale, che riuscì fino all’ultimo giorno della sua vita a restare fedele a se stesso e ai suoi cari. Qualunque cosa resti di lui, posso solo dire che fino a poco tempo fa si trovava soltanto nel mondo tedesco. Da qualche tempo vive e freme un suo doppio nelle pagine di un romanzo in lingua italiana. Di ciò lui sarebbe certamente contento, e quest’idea rende felice anche me.

Martin Hanni
(Traduzione dall’originale in tedesco a cura di Stefano Zangrando)



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Arkadia Editore è una realtà nuova che si basa però su professionalità consolidate. Un modo come un altro di conservare attraverso il cambiamento i tratti distintivi di un amore e di una passione che ci contraddistingue da sempre.

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