Stefano Zangrando


STEFANO ZANGRANDO, «FRATELLO MINORE. SORTE AMORE E PAGINE DI PETER B.», ARKADIA

Il no di Peter Brasch alla democratura tedesca: un romanzo inchiesta

A fare da protagonista nel romanzo di Stefano Zangrando Fratello minore (Arkadia pp 2020, € 15,00) è la figura di Peter Brasch, cui il libro si intitola, ma un ruolo determinante è esercitato dalla città di Berlino, scenario della vita di Peter e simbolo di tutte le lacerazioni e le contraddizioni che hanno segnato la storia di buona parte del Novecento e segnano ancora il carattere della Germania di oggi. Lo scrittore cui Zangrando dedica la sua più recente prova narrativa e vissuto infatti a Berlino est, negli anni della DDR: un tedesco anomalo e inquieto, di origine ebraica, artista maledetto, dissidente appartato e irriducibile tanto nella Germania dell’Est che in quella riunificata.
Scrittore, drammaturgo, regista e poeta, Peter nasce in una famiglia che vive in prima persona drammi e le tragedie del secolo scorso: il padre Horst, era un ebreo in fuga dal nazismo e fu poi eminente funzionario del partito comunista della DDR; il fratello Thomas, il più noto, a sua volta scrittore e regista, fuggì a ovest; la sorella Marion è scrittrice anche lei e custode dell’archivio di Peter. Zangrando ha composto un’opera ibrida e per molti versi aperta: la storia di Peter B. in qualche modo lo chiama direttamente in causa, e così l’investigazione diventa una contesa per conseguire sì l’identità di un intellettuale tedesco, ma forse anche quella dell’autore stesso. I documenti e le testimonianze di parenti e amici qui convocati si dispongono in uno scenario nel quale Thomas e il fratello minore Peter si configurano come emblemi delle due Germanie, due “fratelli” destinati alla separazione. La loro ricongiunzione risulta di fatto impossibile: i due Brasch, alcolisti entrambi, morranno in circostanze tragiche, nel 2011, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, sopraffatti da un’inquietudine che nulla riusciva a placare.
Nato a Bolzano nel ’73, Zangrando è traduttore dal tedesco e narratore. La sua attenzione verso la cultura tedesca si è appuntata in special modo nei confronti di autori che praticano forme narrative di tipo sperimentale e anche questo libro si compone di materiali eterogenei, che tali restano perché non viene compiuta alcuna operazione di sutura che dissimili le fratture  e le alterità della situazione: testimonianza, testi letterari e teatrali, pagine saggistiche si alternano senza ordine apparente. Narrazione-verità così come teatro-verità era stato quello perseguito da Peter. E mai come in questo caso la verità è franta e la contaminazione costituisce la modalità di approccio eletta da un autore che esercitando l’arte del tradurre si trova programmaticamente esposto alle aperture del linguaggio.
Fratello minore più che un romanzo è la messinscena di un’allegoria drammatica che genera risonanze tangibili fino all’attualità. Il montaggio trova il punto di avvio proprio nel motivo del viaggio,  su cui Zangrando scrive righe rivelatrici. Racconta infatti di essersi imbattuto per caso nella figura di Peter Brasch, grazie a un video del ’91 nel quale l’artista tedesco, intervistato sula funzione del teatro, sottolineava il valore del DDR-Gefühl, il «senso di provenienza e di appartenenza», che portava gli spettatori a nutrire grandi aspettative nei confronti del teatro prima dell’89. Dopo la riunificazione le cose vanno ben diversamente: «Il denaro in effetti ha una parte rilevante, e in tal senso oggi qui sostituisce l’ideologia».
Peter B. invece ha confermato fino alla morte il proprio diniego nei confronti della democratura, termine con cui indicava i sistemi che si proclamano democratici, ma che esercitano sottili coercizioni sui membri della società. A questa forza, della quale Peter avvertiva la pressione e la pervasività, possono rispondere solo i singoli votati all’esercizio di una drammatica e solitaria resistenza, praticata nella forma di espressioni culturali alternative e dissonanti.

Graziella Pulce



Fratello minore 

Sono gli anni Novanta. Manca poco all’alba e il freddo si insinua tra gli edifici di Berlino est, riempiendone ogni spazio. Le vie sono deserte, il silenzio è denso e a puntellare i marciapiedi ci sono unicamente i lampioni quando un uomo, solo e solitario, prende a far strada nella semioscurità della città. È un quarantenne fallito, uno scrittore che nel corso della propria carriera non è stato capace di raggiungere la fama sperata, quella celebrità tanto desiderata, e che tutto ciò che riesce a pensare, a domandarsi, è se negli anni che ha ancora davanti – Pochi? Tanti? – sarà capace, in un certo qual modo, di porvi rimedio, di rifarsi. Oltre vent’anni dopo a solcare le stesse vie di Berlino c’è uno scrittore italiano che in Germania va molto spesso. Un autore che, intercettate per caso le tracce del vecchio narratore, uomo a lui sconosciuto, decide di voler provare a ricostruirne la storia, a seguirne le “molliche di pane” letterarie disseminate in giro per la città. Interrogando chi lo ha conosciuto, visitando i luoghi della sua vita, porgendogli domande in prima persona attraverso i testi che riesce a recuperare. E allora viene a conoscenza di una storia incredibile, di un’esistenza passata nell’ombra del mondo stesso dai tratti quasi epici. La fuga dal nazismo con i genitori ebrei, i fratelli artisti come lui, le vicende sentimentali e una letteratura dolcissima e sconosciuta…
Il piacere della pura narrazione è uno degli aspetti della letteratura che più mi sono cari e, allo stesso tempo, uno di quei caratteri che, ahimè, sembrerebbero sempre più difficile da rintracciare nella narrativa contemporanea. Fortuna, però, che c’è chi ancora ha voglia di raccontare storie. Storie che abbiano un livello introspettivo alto e che si pongano interrogativi profondi, che si facciano e che ci facciano domande sulla natura di determinate condizioni umane, certo, ma che riescano nel frattempo anche a intrattenere con narrazioni ben congegnate, intrecci ben delineati, personaggi magistralmente costruiti. Ed ecco, Fratello minore. Sorte, amori e pagine di Peter B. ha in sé ogni sfaccettatura di questi aspetti. È il ritorno alla narrativa di Stefano Zangrando, ed è un gran bel ritorno. Zangrando è scrittore, traduttore e insegnante. Molto attivo nell’ambito della promozione culturale del SudTirolo, collabora con diverse testate, tra cui “DoppioZero”, “Nazione Indiana”, “L’indice dei libri” e “Il manifesto”. Ha pubblicato con Keller Quando si vive e con Alpha Beta Amateurs. Insomma, sa il fatto suo, Zangrando, e leggendo questo suo ultimo, bellissimo romanzo non lo si può non notare. Una storia di solitudine che si mischia a vicende storiche enormi, intrigante e ben scritta, consta di tipi umani estremamente interessanti, ambientazioni palpabili e uno stile brillante. Un romanzo che si legge rapidamente, ma che velocemente non si può dimenticare.

Mattia Insolia



Il romanzo dell’addio?

Questo è un romanzo difficile e intenso, capace però di coinvolgere con emozioni profonde il leore paziente. Soprattutto i lettore amante di cose tedesche, anzi germaniche, anzi di quella Germania un po’ speciale che fu la Ddr, Repubblica Democratica Tedesca, e dell’ambiente berlinese, ma non solo, all’epoca del socialismo reale. Circola un’aria di scavo memoriale, e un tantino elegiaca, nella ricostruzione che Stefano Zangrando fa di quel periodo e della figura enigmatica di Peter Brasch, che esce però viva dai vari pezzi che l’autore raccoglie pescando dai più diversi materiali. Ma è una figura che, pur nelle tante angolature che la delineano, rimane sfuggente e misteriosa, emblema di una insondabilità riferibile forse a ciascuno: Ti vedo, o almeno credo. E’ uno dei momenti più sfocati della tua biografia. In bianco e nero, si direbbe, o forse è solo Berlino est che a quest’altezza, sei anni dopo il cosiddetto crollo del Muro, è ancora immersa in larga parte in un grigio fatiscente, che smorza i facili entusiasmi nostalgici di chi ti vede dal futuro: dal variopinto supermarket dell’Europa d’inizio millennio. Mentre descrive e racconta, nel suo lavoro di investigazione letteraria, Zangrando si mee nei panni di un osservatore attento a far parlare il personaggio, ma lasciandolo coi suoi dubbi, le sue gioie (poche) e le sue disperazioni. Spesso anzi gli parla, lo racconta in seconda persona, sentendosi un compagno di strada che vorrebbe con lui aprire un dialogo al presente. I colloqui a tu per tu con Peter B. sorreggono tuo l’impianto narrativo, e diventano rabbiosa interlocuzione nell’epilogo surreale in cui si mescola la scrittura di Zangrando con quella di Peter e il vissuto berlinese del primo con quello del secondo, nel momento della sua morte e della sua immaginata resurrezione 15 anni dopo, la sera in cui avrebbe compito i sessanta anni e gli amici di Prenzlauerberg hanno organizzato una serata per festeggiarlo. In queste ultime struggenti pagine l’autore confessa di aver capito il motivo del suo interesse per l’amico mai conosciuto sul quale ha ricamato il romanzo. La serata, inizialmente seria e commossa, provoca poi disagio nell’autore che si allontana, preso da un senso di grottesco. E nel percorso visionario lungo i viali di Berlino fino alla casa che era stata dimora di Peter, comprende che quella esperienza è finita, che quel mondo di intellettuali post-socialisti di seconda e terza fila uniti dal ricordo dell’amico scomparso è finito, che quella Berlino degli ultimi anni del socialismo e dei primi dopo la Wende è finita. Finita anche nella architettura della nuova cià “rifaa”, nei locali, nelle persone: Seduto a lato del palco, fumando e bevendo davanti a quella declamazione sublime e sinistra, compresi tu’a un trao che stavamo celebrando un addio… era un mondo in via d’estinzione – perché, così com’era morto Peter, prima o poi tua quella Berlino sarebbe invecchiata e poi morta, morta. E allora capii che io stesso… tendevo a un addio, o almeno a un bilancio: a tirare le somme di quel che Berlino era stata per me per un decennio e più.. Quello che resta sono le testimonianze di chi lo ha conosciuto, che vengono rielaborate in un montaggio diegetico e quasi teatrale, gli scarni documenti di archivio e di filmati post 89, lettere, spezzoni delle opere e delle novelle di Peter Brasch, traduzioni originali di testi riportati alla luce, altrimenti dimenticati rispetto ad eredità più celebrate di più autorevoli autori della letteratura di quel periodo. Bisogna dire infatti che il protagonista o, meglio, il deuteragonista ( e non certo rispetto al fratello “maggiore”) era appunto il “fratello minore” del ben noto e fortunato Thomas Brasch, entrambi membri di una famiglia di intellettuali e scrittori attivi dagli anni Sessanta nella Ddr, famiglia vissuta in parte sotto l’ombra protettiva del sistema tedesco orientale; e di cui Peter era l’anima ribelle, meno ortodossa, sempre in conflio col padre, alto funzionario del partito, e spesso in contrasto anche col fratello che percorre parallelamente una carriera letteraria più stabile e conforme alle direttive culturali ed artistiche che vengono dall’alto. Peter è però anche meno costante nel lavoro letterario, i risultati sono incerti e discontinui, il successo non gli arride come sicuramente si aspetta. La sua vita resta in ombra, incontra fallimenti e conseguenti delusioni, e anche nella vita privata sono frequenti le fasi di infelicità e depressione che lo portano a vivere con difficoltà anche gli anni del nuovo assetto nella repubblica riunificata.
Il ritratto dello scrittore si interseca con quello della società e del sistema della Ddr: sia nel modo in cui questa società la vede Peter Brasch che nella interpretazione che ne dà Zangrando, facendo proprie le parole stesse di Peter: “Non ha senso parlare di una Ddr-Identität, c’è semmai un Ddr-Gefühl, un senso di provenienza e di appartenenza”, sentimento comune a molti cittadini dell’est dopo la riunificazione. Non “Ostalgie”, nessun desiderio di restaurazione del vecchio sistema, ma sostanziale scetticismo sul nuovo assetto e nessuna fiducia nel mito capitalistico: Presto sarà tuo uguale e ugualmente asfissiante, in questa fregatura chiamata capitalismo. Se la Germania dell’est era una ‘diatria’, dirai fra un paio d’anni in una intervista, quella di oggi è una ‘democratura’ – tu e i tuoi giochi di parole, non puoi proprio farne a meno (p.21).
Zangrando, che pure in Amateurs aveva visto nella capitale tedesca la scoperta del nuovo mondo e quasi l’iniziazione alla avventura della vita adulta, sembra ora voler dire addio alla cià (la donna diseredata che mi aveva accolto e raccontato una delle sue molte storie), quasi a chiudere un capitolo della propria vita e dei propri sogni. Difficile pensare che una cià tanto amata, tanto centrale per lui, possa sbiadire nella irriconoscibilità e scomparire come scomparso è Peter B. Il legame con quel mondo è per Zangrando troppo intenso e vorremmo attendere, lo speriamo almeno, nelle prossime opere del giovane scrittore un ritrovamento e una riappacificazione con quei luoghi, la loro storia e col senso profondo delle esperienze ivi trascorse.
Pur nella prosa accurata, levigata, piana della narrazione, la struttura appare complessa per l’intreccio delle parti, dei piani, dei tempi e dei luoghi, dei punti di vista. Qualcuno ha accennato ad un “furioso eclettismo stilistico” di Zangrando, ma l’osservazione vale non tanto per il lessico e la prosa in sé, quanto piuttosto per l’architettura strutturale delle 200 pagine, per i materiali estrapolati che, come dicevamo, sono compositi e giustapposti frontalmente, senza soluzioni di continuità. Difficile distinguere le parti in cui è il vero protagonista (Zangrando) o l’apparente (Peter B.) che parla. La forma sperimentale, con la suddivisione nelle tre parti (TU, LORO, NOI) consente all’autore, che si sdoppia in personaggio, di conversare direttamente anche con se stesso; ma la tecnica è ardua anche perché in questo Bildungsroman l’intento biografico è continuamente sopraffatto dalla pulsione autobiografica. Per restituire alla luce una figura di scrittore dimenticato, l’autore svolge un bilancio con se stesso e con le proprie aspirazioni. Ciò non è naturalmente una novità nel romanzo contemporaneo, ma il modo in cui Zangrando lo ha fatto dimostra originalità e pieno controllo. 

Carlo Bertorelle



Il libro Stefano Zangrando nel nuovo romanzo analizza scenari passati e contemporanei

L’Europa dopo il Muro

Lo scrittore: «Il confronto con altri mondi arricchisce»

È tra i quattro finalisti italiani del concorso European Union Prize for Literature 2019, (la proclamazione del vincitore mercoledì 22 maggio), ed è anche candidato al Premio Comisso. Stefano Zangrando, scrittore dell’Alto Adige, con il nuovo libro Fratello minore. Sorte, amori e pagine di Peter B. (Arkadia Editore) sarà a Rovereto il 30 maggio, in un reading musicale di Marco Buzzoni alla biblioteca dell’Istituto Don Milani (ore 15), modera Laura Modena.

Il romanzo, intrecciando biografia, finzioni, documenti e traduzione, racconta dello scrittore Peter Brasch (Cottbus, 1955 – Berlion, 2001), che in Ddr visse il crollo del Muro di Berlino e il cambiamento che ne seguì. Zangrando, nato a Bolzano, è autore, traduttore e docente. Nel 2008 ha ottenuto una borsa di scrittura dell’Accademia delle Arti di Berlino, nel 2009 il riconoscimento Nuove leve del Premio italo-tedesco per la traduzione letteraria. Tra le sue opere Quando si vive (Keller, 2009) e Amateurs (Alpha Beta, 2016). Vive e lavora fra il Trentino-Alto Adige e Berlino.

Zangrando, chi è Peter B. e in che senso è un «fratello minore»?

«Peter B. è la trasfigurazione romanzesca di uno scrittore di Berlino Est realmente esistito, figlio di ebrei tedeschi fuggiti dal nazismo e poi rientrati nelle Germania socialista. Amico stretto della mia pensionante berlinese, Peter era il fratello minore di uno degli autori più dotati della Germania Est, fuggito ad Ovest nel 1976, mentre lui rimase dall’altra parte del Muro. Ma è un “minore” anche nel senso che la sua carriera non è mai decollata e la sua opera è rimasta poco nota anche in Germania. Il libro vuole recuperarne la memoria, il valore umano e artistico, e in un certo senso riportarlo in vita».

Insieme agli altri artisti citati nel libro, Peter B. come ha vissuto il ruolo di intellettuale prima e dopo la caduta del Muro di Berlino?

«Peter B. scrive che dopo l’89 si passa da una “dittatria” a una “democratura”. Buona parte della popolazione nei regimi realsocialisti sperava che la cosidetta svolta avrebbe portato a una riforma del sistema, più libertà e democrazia; non si aspettava invece quella che agli occhi di molti non fu una riunificazione, ma un’annessione dell’Est da parte dell’Ovest. I frutti più estremi della disillusione che ha fatto seguito a questo processo sono gli odierni rigurgiti neonazisti».

Secondo Peter B. la StaSi sapeva che il paese era alla frutta e ne ha accompagnato il crollo. Emerge questo dallo studio delle sue opere?

«Non proprio. L’opera letteraria di Peter è ricca di immaginazione, spesso fiabesca, a volte onirica. Tutto ciò che in questi testi  si può cogliere della realtà è filtrato dalla fantasia, dissimulato, anche il senso di immobilità storica che si scontava Ddr. Intorno all’89 Peter lavorava per il teatro e da un suo dramma di quegli anni, emerge più che altro lo scetticismo nei confronti di ogni rivoluzione non accompagnata da un vero istinto ribelle, in grado di riflettere a fondo su come il singolo e la società possano migliorarsi».

Che idea di Europa è messa in luce dal suo romanzo «Fratello minore»?

«Il libro è senz’altro animato da una certa nostalgia europeista, e un recensore ci ha visto una parabola della perdita della funzione dell’intellettuale dopo l’89. Di certo è anche un confronto fra diversi momenti della storia europea: quello di un regime illiberale, in cui la critica poteva solo nascondersi tra le righe di un dramma, e quello di una libertà insidiosa, perché offerta in cambio delle trasformazioni di ognuno, nel modo più pervasivo possibile, in consumatore. Nel libro tuttavia queste due epoche sono confrontate con l’oggi, dal quale forse è possibile rileggere quella duplice storia traendone nuovi spunti».

Lei cita anche due poeti sudtirolesi, Kaser e Pichler. C’è qualche tratto che li accomuna a Peter B.?

«Norbert Kaser e Anita Pichler sono citati non solo virtù di certe affinità o coincidenze, ma anche dell’incontro tra un autore di frontiera e il suo soggetto tedesco. Il libro è tutto costruito nel confronto con l’altro, così come lo è la storia soprattutto novecentesca e contemporanea dell’Alto Adige. Crescere fra due mondi in senso geografico, com’è successo a me, o in senso storico, come Peter B., insegna a guardare le cose da prospettive diverse, e l’Europa è una continua variazione prospettica. Spostare lo sguardo, sconfinare, uscire da sé per arricchirsi e maturare: Fratello minore parla anche di questo, e ogni riferimento all’Alto Adige o all’Europa non è casuale».

Gabriella Brugnara



Il romanzo dell’addio? 

Stefano Zangrando, Fratello minore. Sorte, amori e pagine di Peter B., Arkadia, 2018, pp. 199, Euro 15 

A volte la foto di famiglia può risultare fuorviante. Lo scrittore e regista Peter Brasch aveva dieci anni meno di suo fratello Thomas, nato nel 1945, il prediletto (poeta, scrittore e regista, noto prima nella Ddr e poi anche all’estero, quando riuscì a espatriare); ne aveva cinque meno di Klaus, attore sfortunato, e cinque più di Marion, la più giovane, che avrebbe scritto un romanzo su di loro, tutti figli di Horst Brasch, giornalista, funzionario di partito, ministro dell’istruzione popolare del Brandeburgo e varie altre cose, che si portava appresso la famiglia nelle diverse sedi dei suoi incarichi di crescente prestigio finché non divenne, nel 1966, viceministro della cultura della Germania Est.
Le vicende di questo gruppo di persone sono raccontate da Stefano Zangrando in Fratello minore. Sorte, amori e pagine di Peter B., un romanzo inchiesta che è insieme un corpo a corpo con l’opera di Peter Brasch e con un certo ambiente berlinese che Zangrando conosce a fondo e a cui deve la sua maturità di autore e di traduttore. Nel romanzo si succedono sezioni diverse: a quelle raccontate in seconda persona, con una continua allocuzione allo scrittore scomparso, si alternano le traduzioni da varie opere di Peter Brasch; nella seconda parte assistiamo a una prova teatrale nella quale le figure femminili della vita di Peter si confrontano sulle sue vicende e su quelle della Germania. Al centro, un notevole Intermezzo, dove Margit, la donna più importante nella vita di Peter, né dà forse il ritratto più efficace.
Fra le imposizioni del partito e lo sguardo onnipresente della polizia politica, i fratelli Brasch crebbero soprattutto nella pratica artistica, vissuta spesso come veicolo di un’alternativa al presente: non tanto per fuggire a ovest – come avrebbe fatto Thomas, più critico nei confronti della Ddr, ma certo non dissidente – quanto per dare corpo alla fragile illusione di un’opposizione interna. Negli anni sessanta e settanta del Novecento le aspirazioni e perfino gesti quotidiani dei fratelli e dei loro amici sembrano estremamente difficili; gli affetti e le inevitabili rivalità sono sommersi dall’alcool, in cui affonda per prima la madre, Gerda. Sulle tracce di Peter, Zangrando ripercorre i tentativi di un autore che segue il corso della vita senza riuscire a imprimergli una svolta, come invece sa fare il fratello maggiore, che in occidente pubblica circa un libro all’anno. La vita di Peter trascorre all’insegna di una periodica dissipazione. Negli intervalli lavora a teatro, ma soprattutto alla radio, dove realizza adattamenti, radiodrammi. Scrive racconti per l’infanzia e incide audiostorie: quando insegna ai bambini è formidabile. Peter non riesce a imboccare fino in fondo la propria strada, e Zangrando è molto efficace nel lasciarne trasparire l’umanità, mentre lo vediamo dibattersi fra un impegno e l’altro, incapace di ripartire davvero. Come lui, i familiari e gli amici letterati bevono molto, in modo meno trionfalmente teatrale di quanto accade nei romanzi russi, come se il grigiore d’ordinanza della Ddr finisse talvolta per rifrangersi non solo nelle pozzanghere sulla strada davanti all’osteria, ma anche all’interno. Il personaggio di Katja, che è-e-non-è Katja Lange-Müller, scrittrice oggi affermata, ricorda chiaramente gli sforzi di Peter: “Aveva una sua propria consistenza di scrittore, solo che non la si trova dappertutto. Non nelle poesie, ad esempio, dove il modello di Thomas si fa troppo sentire. Ma per il resto Peter era Peter. E aveva un suo umorismo impertinente e inimitabile, che Thomas poteva scordarsi. Il solo ostacolo di Peter fu lui stesso”.
Rimasto nella Ddr, per un po’ Peter riesce a viaggiare (Austria, Norvegia, Inghilterra) ma, a causa del suo anticonformismo, si vede ritirare il passaporto. Più si procede nella ricostruzione della sua vita, più sembra che le sue speranze si infrangano contro un presente che non smette mai di essere ostile: caduto il Muro, infatti, Peter non si ritrova nella “protervia della nuova Germania”, né davanti alle esigenze di un teatro che in pochi giorni gli chiude le porte senza neanche avvertirlo. “Il denaro – commenta Katja – è la nuova forma della censura”. L’ultimo tentativo di Peter è il romanzo Schön hausen del 1999, la storia del necroforo Gianluca Cardinale che si muove in una Sicilia immaginaria; ma è una nuova delusione. Nonostante fossero divisi dal successo, i due fratelli morirono nel 2001, distrutti dall’alcool, a quattro mesi di distanza l’uno dall’altro, e questa volta fu Peter a precedere Thomas. Nelle loro lunghe telefonate notturne non si intrecciava un legame fatale come si incontra in altre vicende familiari, ma certo alcune coincidenze non passano inosservate. Si può parlare della loro fine perché il mistero di questa storia – che Zangrando racconta e immagina con partecipazione e misura – non sta tanto nella sua conclusione, quanto nel suo sviluppo, in ogni scelta sospesa fra necessità e libertà. 

Walter Nardon



Arkadia Editore

Arkadia Editore è una realtà nuova che si basa però su professionalità consolidate. Un modo come un altro di conservare attraverso il cambiamento i tratti distintivi di un amore e di una passione che ci contraddistingue da sempre.

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