LO STORICO È COME UN CHIRURGO UBRIACO?
Il racconto, in Italia, è stato spesso considerato un genere minore, un parente povero del romanzo, addirittura una sorta di romanzo in miniatura. In altri paesi, invece, il racconto gode di grande considerazione. Sovente ne sono state analizzate e sviscerate le sue tecniche e si è giunti alla conclusione che scrivere un racconto è più difficile che scrivere un romanzo. Se nel romanzo ci si può “distrarre” questo non lo si può fare con il racconto dove bisogna fare grande attenzione ai tempi, ritmi, modi; dove una particolare cura deve essere riservata ai finali. Possiamo vedere quanta attenzione ha dedicato a tutto ciò uno dei maggiori narratori contemporanei: l’argentino Andrés Neuman. Autore che, nelle sue raccolte di racconti brevi e brevissimi, “Le cose che non facciamo” (Sur 2016), “Vite istantanee”(Sur 2018), riesce a dosare alla perfezione i vari elementi a cui ho accennato più sopra e a fornire conclusioni spiazzanti, impreviste, imprevedibili che inducono noi lettori a vere e proprie ristrutturazioni cognitive. Ho ripensato a Andrés Neuman leggendo la raccolta di racconti, bella e elegante, “Lo storico dei disguidi” di Paolo Codazzi, pubblicato da Arkadia (2021) nella collana diretta da Marino Magliani, Luigi Preziosi, Paolo Ciampi, “Senza Rotta” . Paolo Codazzi è di Firenze. Per decenni è stato consigliere delegato di un’impresa nel ramo delle costruzioni. Ma la sua passione, alla quale si è dedicato fin da giovane, è la scrittura. Appassionato di Storia antica, ha fondato nel 1983, con Franco Manescalchi, la storica rivista fiorentina “Stazione di posta”. Ha ideato e presiede il prestigioso Premio Letterario Chianti. Ha pubblicato due raccolte di poesie, “Il primo viaggio” (Seledizioni 1977); “L’inventore del semaforo” (Esuvia 1987). Ha pubblicato i romanzi, “Come allevare i ragni” (Lalli 1982); “Caterina” (Amadeus 1989); “Il cane con la cravatta” (Mobydick 1999); “Il destino delle nuvole” (Mobydick 2009); “La farfalla asimmetrica” (Tullio Pironti 2014); “Il pittore di ex voto” (Tullio Pronti 2017). Ha pubblicato la raccolta di racconti “Nei mattatoi comunali” (Solfanelli 1992); “Segretaria del caos” (Mobydick 2002). E ora questa raccolta, “Lo storico dei disguidi”. Si tratta di un libro composto di 15 racconti che richiede un’attenta lettura soprattutto per gustare l’eleganza dello stile, l’eleganza del linguaggio. Si tratta di un libro in cui la realtà che ci circonda non è mai qualcosa di puramente oggettivo, ma che, nello stesso tempo, non cede mai a un soggettivismo radicale. La realtà si “fa” mano a mano che si legge. Per dirla con un termine preso a prestito dalla teorie cognitiviste, è co/creata. Co/creata dal rapporto dei personaggi tra di loro, co/ creata dal rapporto del lettore con i personaggi. Questa forte sensazione di co/creazione è data anche, o soprattutto, dallo stile di Codazzi, uno stile raffinato, elegante, con un periodare originale dove la costruzione della frase è precisa e avvolgente e dove ha un ruolo fondamentale l’affabulazione.
Faccio un esempio del periodare di Codazzi citando un brano dal racconto “L’attesa”: “Il traffico di quel pomeriggio autunnale innalzava vapori che nascondevano le strade adiacenti dissolvendosi infine al contatto con il cielo colorato di nubi, alcune madri girovagavano con i figli nei prati recintati da un luccicante filo di ferro ben tirato, le prime luci si accesero alle finestre dei moderni edifici circondanti la piazza; foglie gialle cadevano dai giovani alberi sulle auto in sosta pressate in tutta l’area libera dal verde” (Pag. 102).
Un altro pregio della raccolta è il variare dei registri narrativi. Si va dal comico, al grottesco, al fantastico, al misterioso, al drammatico con finali che, spesso, richiedono ristrutturazioni cognitive da parte del lettore. Con tempi, ritmi, modi sapientemente dosati come nelle narrazioni brevi di Andrés Neuman. Qualche esempio qui di seguito. Nel racconto “Cani”, ambientato nelle strade centrali di Firenze, il protagonista, portato alla digressione storica, è testimone dello scontro di due padroni di cani, padrone il primo di un mastino di nome Nunzio, padrone il secondo di un maremmano di nome Giacomo, due razze che non si sono mai amate. La descrizione della scena e di una Firenze popolata di turisti, combinata alla digressione storica, anche erudita, porta al registro comico e grottesco.
Un grottesco che ritroviamo anche in “Estetiche delle urine”, racconto che prende l’avvio da tracce di affreschi che vengono alla luce negli ultimi giorno dell’anno dell’ultimo anno del secondo millennio: “… tracce di affreschi quattrocenteschi vennero alla luce spicconando le pareti dell’ampio locale, un tempo utilizzato come refettorio, all’interno della porzione più antica dell’edificio monastico dove erano previsti lavori di restauro e trasformazione per accogliere i pellegrini dell’incombente anno giubilare proclamato dal papa non senza reiterate polemiche interne alla Chiesa per il ripetersi di queste indulgenze plenarie che qualche porporato considerava troppo frequenti e tali da rinsecchire il valore religioso rappresentato” (Pag. 124-125).
La vicenda del ritrovamento degli affreschi, della loro attribuzione sono narrati con ironia, con un registro grottesco e comico, ma si tratta di un comico amaro perché ci da uno spaccato del funzionamento, o meglio non-funzionamento della burocrazia, dei giochi di potere sottostanti le attribuzioni, i ritrovamenti, i ritardi. Un registro ancora diverso, quasi buzzatiano, lo riscontriamo in “Nei mattatoi comunali”. Qui Luigi, il protagonista, deve andare a recuperare la sua auto al centro raccolta auto rimosse che ha un ingresso comune con i mattatori comunali. Luigi sbaglia ingresso e, da questo momento, inizia per lui un’avventura che ha del mostruoso. Un mostruoso che nasce dal quotidiano, dalla banalità del quotidiano e che, proprio per questo, diventa ancora più inquietante. A proposito di ristrutturazioni cognitive e di finali spiazzanti, un finale spiazzante e che fa meditare lo troviamo in “A passo di vedova”.
Rachele
“era vedova della propria memoria cancellatasi dalla sua mente, quasi trentenne, per un trauma conseguente a un grave incidente del quale fu l’unica sopravvissuta dei quarantotto passeggeri, tra i quali i suoi genitori, a causa del tamponamento di un massiccio automezzo all’autocorriera su cui viaggiava durante una gita parrocchiale verso un santuario della Madonna del centro Italia” (Pag. 83).
Quando Rachele è dimessa dall’ospedale, essendo quasi tutti morti amici e conoscenti, viene trasferita in un convento di suore carmelitane. Il tempo passa e Rachele continua ad essere vedova della sua memoria:
“I quasi cinquant’anni di Rachele, dei quali gli ultimi venti trascorsi nella quiete del convento o al piccolo cimitero a parlare con i morti, mutilati di memoria retrograda con lievi effetti sulla memoria anterograda, cioè sui ricordi di avvenimenti successivi al trauma, rendevano la sua esistenza come quella di un bambino tendente ad acquisire velocemente esperienza dei fatti della sua giovane vita senza possibilità, ovviamente, di ricondurle a memorie precedenti per quanto con ostinato e inconsapevole dinamismo, ella, come un mendicante di memorie, scavava nelle miniere degli altrui ricordi, ne indossava il rimpianto, inseguendo serenità della mente nei momenti felici rievocati dai referenti e acquisendo, pur senza rendersene conto, mute tessere dell’oscuro mosaico della sua anamnesi e in ciò, consciamente assecondata dalla comprensione dei parenti dei defunti nel tentativo di consentire che attraverso i loro racconti, le loro memorie, Rachele riuscisse lentamente a recuperare frammenti del suo passato smottato nelle profonde gallerie della sua mente annettendo alle motivazioni originali delle visite al cimitero anche quella di aiutare la smemorata donna che con la sua costante presenza concedeva conforto all’afflizione dei congiunti” (Pag. 84).
Cosa accadrà della memoria di Rachele? Cosa accadrà delle sue visite al cimitero? Come si declinerà il rapporto tra memoria e oblio che è la tematica principale che percorre il racconto? Lascio al lettore scoprirlo. Altro finale spiazzante è in “Scuola di Ballo”, un racconto ambientato in una villa secentesca appartenente ad un ramo inferiore del casato dei Medici, situata all’estrema periferia della città. Il protagonista narra in prima persona e narra di una scuola di ballo che si svolge en plein air. Racconta stupito di come, ad un certo punto, lui che non ne era mai stato in grado, di essere capace di fare eleganti figure di tango e di cantare canzoni con una intonazione sorprendente. Il finale illumina di una luce retrospettiva il racconto che si svolge in un’atmosfera vagamente incantata. In altri racconti emerge una tematica importanti, declinata in sue diverse articolazioni: la Storia e i suoi rapporti con le storie.
In “Lorenzo” il protagonista è Bertino Panerai, che ha una storia di vita molto particolare, che è un collezionista di cartoline illustrate e che, in tenuta da podista, marcia ripetutamente intorno alla Piazza Duomo di Firenze. Viene chiamato Lorenzo perché, oltre alla tenuta da podista, indossa un corto mantello azzurro “come le cronache cittadine testimoniavano indossasse Lorenzo il Magnifico durante i tornei cavallereschi in Santa Croce” (Pag. 17).
Ad un certo punto del racconto Bertino alias Lorenzo muore. Muore davvero? Resuscita? Sta di fatto che una gran folla assiste ancora una volta alla sua marcia intorno al Duomo compresi i giornalisti. Uno di questi si rivolge al pubblico e, tra le altre cose, parla del premio che Bertino dovrà ritirare per la sua collezione di cartoline illustrate. Da qui l’analisi della relazione che intercorre tra collezionismo e Storia. Il collezionismo: “… è una forma di storia non inferiore alla Storia, attraverso la conservazione dei manufatti oggi considerati più o meno negletti ma rappresentativi delle epoche, della vita di intere generazioni… Noi stessi non prevediamo il giorno, forse tra dieci anni, o un secolo, in cui i nostri televisori piatti, le lavatrici, saranno stimoli per collezionisti come le macchine da cucire delle nostre nonne, le rumorose macchine da scrivere e tutti i nostri discendenti avranno l’opportunità di scoprire la tenerezza della Storia che agli uomini sensibili potrà far ricordare benevolmente le generazioni risucchiate dal tempo ” (Pag.33).
Riflessioni sul vero, la verosimiglianza, la veridicità della Storia le troviamo nel racconto “L’insonnia di Garibaldi”. Qui il protagonista è colto mentre è impegnato in una conferenza sul suo libro, “l’insonnia di Garibaldi”, organizzata dal Comitato Scientifico della Società Matematica. Nel libro sono narrati, grazie a documenti inediti, fatti ignorati della vita di Garibaldi. Ma è proprio così? E’ proprio vero quello che sostiene il conferenziere? E sono proprio vere le tesi sostenute nel suo libro?
Dietro il registro narrativo grottesco, ma anche inquietante, si nascondono interrogativi che hanno attraversato l’epistemologia del passato e che attraversano quella contemporanea: cos’è vero? Cos’è la verità? Cos’è verosimile? Qual è il rapporto tra la verità e la verosimiglianza: “Ogni storia verosimile, incoraggiata dalle presunte vere storie del presente e del passato, prossimo e remoto, può davvero assurgere a verità a pari dignità per quanto nondimeno suscettibile di essere contraddetta esattamente come tutte le storie, come tutte le narrazioni. Lo storico è come un chirurgo ubriaco che non ammetterà mai consapevolmente di aver errato un intervento e totalmente ignaro di quanti potrà averne falliti senza nemmeno rendersene conto, poiché pur conoscendo l’anatomia, la fisiologia e la sintomatologia del corpo umano non potrà mai accomunare tutta questa conoscenza con le peculiarità di un singolo corpo umano e dei motivi che lo hanno condotto a patire certe patologie, comuni a tanti altri individui, ma per motivazioni talvolta del tutto dissimili” (Pag. 51-52).
E, infine, “Vespe e cannoni” dove si narra di una vespa che, intimorita da un gesto di un artigliere francese, va a sbattergli contro la palpebra dell’occhio destro. Questo toglie la vista al militare che stava sparando ai nemici prussiani. Risultato: il proiettile cambia traiettoria ed esplode nel cuore della cavalleria francese. L’ anonimo narratore afferma:
“Solo io conosco quanto vi ho narrato, solo io so che molti avvenimenti della Storia, celebrati da generazioni di studiosi e politici, in realtà furono frutto del caso, o meglio di quella parola formata dalle stesse lettere: il Caos. Solo io so che ogni anno da quasi trecento anni, quando in Sassonia viene rievocata la vittoria al cospetto di eredi dei soldati che parteciparono o morirono nella cruenta battaglia, molti anche provenendo dalla Francia, e un effluvio di fiori e marmi ricopre i sedimenti di ossa e metalli trasformando il luogo in presidio permanente per la pace, una lapide dovrebbe essere eretta anche a ricordo dell’inconsapevole vespa che con il suo atto capovolse le sorti della battaglia, della guerra, della Storia” (Pag. 136). Chi è il misterioso narratore? E’ forse la vespa che racconta in prima persona. O si tratta dello storico dei disguidi, quello storico che dà il titolo a questa bella raccolta?
Andrea Cabassi
Il link alla recensione su Giuditta legge: https://bit.ly/3SGdccz