La rosa dei 20 autori tra i quali saranno scelti tre finalisti per la 36esima edizione
Il Comitato tecnico del Premio Letterario Chianti, esaminati i testi di narrativa editi nel periodo dall’1 gennaio 2022 al 30 giugno 2023, ha compiuto una seconda selezione sui quaranta testi scelti, portando a 20 la rosa degli autori e delle loro opere, di seguito proposti in ordine alfabetico. Da questa lista il Comitato trarrà, dopo ulteriori opportune selezioni e confronti, i tre autori finalisti, i cui nomi saranno comunicati entro il mese di febbraio 2024.
1- Baldelli Simona – Il pozzo delle bambole – Sellerio
2- Bicchi Luigi – Il noce dell’alderga – NIE
3- Borrasso Francesco – Sott’acqua – Giulio Perrone editore
4- Bortolotti Nicoletta – Un giorno e una donna – HarperCollins
5- Camurri Roberto – Qualcosa nella nebbia – NN editore
6- Casadio Paolo – Fiordicotone – Manni
7- Fallai Paolo – Un inverno lungo un anno – Solferino
8- Gori Leonardo – La libraia di Stalino – Tea
9- Lepri Roberta – DNA Chef – Voland
10-Lupo Giuseppe – Tabacco clan – Marsilio
11-Manganelli Lietta – Aspettando che l’inferno cominci a funzionare – La nave di Teseo
12-Nata Sebastiano – Memorie di un infedele – Bompiani
13-Ossorio Antonella – I bambini del maestrale – Neri Pozza
14-Gigi Paoli – La voce del buio – Giunti
15-Pignatelli Anna Luisa – Il campo di Gosto – Fazi
16-Sartori Giacomo – Fisica delle separazioni in otto movimenti – Exorma
17-Scudeletti Massimiliano – La laguna dei sogni sbagliati – Arkadia
18-Soriani Melania – Bly – Mondadori
19-Spampinato Lorena – Piccole cose connesse al peccato – Feltrinelli
20-Tuti Ilaria – Come vento cucito alla terra – Longanesi
Il Premio letterario Chianti è promosso dai Comuni di Greve in Chianti (Firenze), Unione Comunale Barberino V.E -Tavamelle Vel di Pesa (Firenze), Castellina in Chianti (Siena), Gaiole in Chianti (Siena), Impruneta (Firenze), Radda in Chianti (Siena), San Casciano Val di Pesa (Firenze), Castelnuovo Berardenga (Siena) e dall’Associazione Culturale Stazione di Posta di Firenze con l’ideatore del Premio Paolo Codazzi, con il coinvolgimento delle loro biblioteche. Nell’organizzazione della manifestazione il Rotary San Casciano – Chianti.
Il link alla segnalazione su MET: https://bitly.ws/3ceL9
Negli ultimi mesi del 2023 sono usciti, a non molti giorni di distanza l’uno dall’altro, due libri che presentano una certa affinità, sia per la città di cui parlano, Firenze, sia per l’evidente affetto che gli autori, fiorentini entrambi, nutrono verso di essa, sia perché in ciascuno dei due la città è rappresentata attraverso gli occhi di altri due fiorentini illustri e grandi scrittori. Si tratta di Il babbo di Pinocchio, di Paolo Ciampi (Arkadia editore) e di A Firenze con Vasco Pratolini, di Valerio Aiolli (Giulio Perrone editore). Due lunghe passeggiate in una città ormai scomparsa, una città vivace e popolana, oggi consegnata mani e piedi ai turisti e privata, forse per sempre, della sua anima più autentica. Ma andiamo con ordine. Partiamo con Il babbo di Pinocchio: qui un giornalista che non ha voglia di andare a dormire, e nel quale riconosciamo l’alter ego dell’autore, Paolo Ciampi, nota una figura d’uomo dall’aspetto vagamente anacronistico seduta su una panchina di piazza San Lorenzo. Il giornalista non ci pensa su due volte e si mette a sedere accanto all’uomo: per un po’ stanno in silenzio, poi lo sconosciuto inizia a parlare, definendo Firenze come “la città di Acchiappacitrulli”. Un momento! La città di Acchiappacitrulli… chi è che ha coniato questo buffo nome? Possibile che… in poche parole, lo sconosciuto si rivela essere Carlo Lorenzini, per tutti Collodi, il padre di Pinocchio. I due, lo scrittore ottocentesco e il giornalista del XXI secolo, si fanno un giro per la città, ripercorrendo i luoghi di Lorenzini detto Collodi, facendo rivivere la Firenze di un tempo, confrontandola con la Firenze di oggi, così cambiata, così snaturata. La passeggiata è anche un pretesto per ricostruire la vita e l’attività letteraria di Carlo Collodi, pardon, Lorenzini, cui l’essere diventato famoso in tutto il mondo a causa del famoso burattino da lui creato va un po’ stretto. E, essendo Paolo Ciampi l’autore di questo delizioso racconto, non possono mancare le digressioni, le riflessioni, l’affabulazione caratteristica del suo modo di scrivere. Il lettore, nel mio caso la lettrice, si lascia portare in giro per la Firenze antica e moderna, si lascia sedurre dalla conversazione di questi due uomini che nel giro di una notte si fanno tutta la città a piedi, fermandosi di tanto in tanto in qualche bar a bere qualcosa. E rimane di stucco, la lettrice, specialmente se conosce Paolo Ciampi di persona e il suo sorriso disarmante, quando a un certo punto legge che a tutti quelli che lo lodano per il suo buonumore e per il suo viso sempre sorridente, il narratore replica con sarcasmo: dovrebbero vedermi a casa mia… rivelando l’indole malinconica che comunque la lettrice aveva già percepito leggendo le altre opere del Nostro. Anche Valerio Aiolli ci porta in giro per una Firenze d’altri tempi, anche se più vicina a noi rispetto a quella in cui è vissuto Lorenzini: la Firenze di Vasco Pratolini, il quartiere di Santa Croce, San Frediano, la mitica via del Corno, dove ha vissuto gli anni dell’adolescenza e dove è ambientata Cronaca di poveri amanti. Anche per Valerio Aiolli quella Firenze è svanita: «Posso darvi un consiglio?», scrive: «Non andateci, in via del Corno. Oggi via del Corno non esiste. O meglio esiste, ma non vive.» Anche in questo caso la rievocazione di una città che non c’è più, non quella dei monumenti abbaglianti per il loro splendore e dei fast food, dei negozi di vestiti e di souvenir, ma quella dei bottegai, degli artigiani, dei ragazzi che giocavano in strada. Una città amata e magistralmente ritratta da Vasco Pratolini, la cui vita e le cui opere vengono qui sapientemente riproposte al lettore, o alla lettrice, da Valerio Aiolli.
Nota dell’editore sull’immagine
Il Giardino di Boboli è un parco storico della città di Firenze. Nato come giardino granducale di Palazzo Pitti, è connesso anche al Forte di Belvedere, avamposto militare per la sicurezza del sovrano e la sua famiglia. Il giardino, che accoglie ogni anno oltre 800.000 visitatori, è uno dei più importanti esempi di giardino all’italiana al mondo ed è un vero e proprio museo all’aperto, per l’impostazione architettonico-paesaggistica e per la collezione di sculture, che vanno dalle antichità romane al XX secolo. Il giardino di Boboli è uno dei più famosi giardini della penisola. I giardini furono costruiti tra il XVI e il XIX secolo, dai Medici, poi dagli Asburgo-Lorena e dai Savoia, e occupano un’area di circa 45.000 m². Alla prima impostazione di stile tardo-rinascimentale, visibile nel nucleo più vicino al palazzo, si aggiunsero negli anni nuove porzioni con differenti impostazioni: lungo l’asse parallelo al palazzo nacquero l’asse prospettico del viottolone, dal quale si dipanano vialetti ricoperti di ghiaia che portano a laghetti, fontane, ninfei, tempietti e grotte. Notevole è l’importanza che nel giardino assumono le statue e gli edifici, come la settecentesca Kaffeehaus (raro esempio di gusto rococò in Toscana), che permette di godere del panorama sulla città, o la limonaia, ancora nell’originario color verde Lorena.
Marisa Salabelle
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di Paolo Codazzi
Ciò che accade prima non è necessariamente l’inizio.
Henning Mankell
Mi sono limitato come sempre a seguire il mirabile consiglio che il Re di Cuori dà ad Alice:“Comincia dal principio e prosegui finché non arriverai alla fine, poi fermati”.
Lewis Carroll
Inerpicandosi per la ripida scalinata, ingobbita dalle radici di un pigro nespolo isolato poco distante nel prato digradante il terrapieno che la sorregge sui lati, rampante all’oratorio edificato sotterrando una precedente chiesetta normanna, costruita sulle fondamenta di un tempio pagano adattato a cappella bizantina e il cui snello campanile fu aggiunto dagli arabi come minareto, quasi ascendendo nell’azzurro corrugato di nuvolaglie venose intrecciate con le scie dei numerosi aeroplani che come avvoltoi si avvicinano in lente spire attorno alle spoglie montagne modellanti una spontanea cavea all’orchestra del luminoso e seducente golfo, si voltano le spalle al mare, contenuto dalla balaustra in tufo fiancheggiante, a ridosso della scogliera, il tratto rettilineo del lungomare di quella città mediterranea nella quale molte etnie hanno ottenuto ristoro, qualunque sentimento avesse mosso il loro a volte brutale approdo.
Sui martoriati scogli si accanivano le onde di un mare assai agitato, sciabordando violenti scrosci fin oltre la carreggiata dove la graffiante e vaporizzata sonorità del transito delle auto si solveva nel salso pulviscolo sospeso per alcuni attimi insieme agli svolazzanti gabbiani, per poi ricadere rinfrescando i passanti dalla sciroccosa umidità per altri versi stimolante acute sensazioni assai diffuse in tutta la regione che, a detta di molti luoghi comuni, pare incoraggino e assecondino smanie sensuali.
In quella città, passiva precorritrice dell’integrazione razziale, devota alle fedi appese alle punte di lancia – si legge nella prefazione storica di una vetusta guida dell’isola acquistata da Cosimo prima di intraprendere il viaggio – un cronista del secolo diciassettesimo garantisce l’esposizione per alcuni giorni della mitica Pietra dell’unzione, di marmo rossastro maculato di bianco, in origine nella basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, poi portata a Costantinopoli nel dodicesimo secolo e da qui forse trafugata dai crociati nel sacco del 1204, e duplicata subito in molte imitazioni, come tibie e femori reliquiari, alcune delle quali, sempre si dice, per contraddittoria devozione, qualificano il mercato antiquario della regione frantumate in pezzi, così come i barbari spezzavano l’argenteria romana dando valore soltanto al peso del metallo e non alle forme in esso vitalizzate. Su quella sacra pietra le saghe tramandano che prima di essere sminuzzata, sconsacrandola definitivamente, da una setta integralista di cristiani del quattordicesimo secolo, giunti sull’isola dal monastero egiziano di Santa Caterina del Sinai per diffondere l’ascetismo e le regole di vita del monaco Evagrio, siano state torturate e seviziate delle donne accusate di sortilegio malefico a seguito di ricorrenti e contagiose epidemie di peste bubbonica cui quella città, aperta ai marinai di tutto il continente, era particolarmente esposta. E a niente valsero le ricorrenti normative degli organi di potere riguardo le quarantene imposte alle navi prima di accedere nel porto tra i più frequentati del Mediterraneo. Queste cicliche pestilenze, prima che venissero intuite le vere cause, sparsero nell’isola un clima di superstizione o di ambigua interpretazione del senso della fede, scatenando nel corso dei secoli pubbliche e private crudeli persecuzioni ai danni di guaritrici o donne di fora come erano appellate, delle quali le ricostruzioni storiche riportano ben pochi elementi ma di cui le sagre locali sono ricche di particolari. Si sostiene anche, secondo indicazioni di affermate leggende popolari, che nella quadreria di un’anonima famiglia nobiliare, locata in uno dei palazzi storici della città, sia conservato uno specchio di tela armena ricavata da una sofisticata lavorazione del papiro, la cui cornice era parte integrante di uno dei numerosi specchi che in precedenza, negli anni tra la fine del dodicesimo secolo e gli inizi del tredicesimo, erano esposti da uomini, generalmente di cultura araba, collocati agli angoli delle strade di Palermo, che offrivano ai passanti l’opportunità di potersi acconciare o sistemare la pettinatura dietro libero pagamento di un’offerta. In particolare, lo specchio di un tale Assad Ibn Al-Hourani, di probabile origine armena o mesopotamica – riporta la guida nella sezione sagre e leggende –, considerato una sorta di patriarca di questi ambulanti, pare possedesse prodigiose proprietà per effetto della lieve convessità della superficie e della composizione fisica nella quale la parte generalmente occupata dal cristallo o dal metallo specchiante era invece intessuta da una raffinata tela ricavata dal raro papiro armeno, Cyperus papyrus, la stessa specie di cui i magrebini Aghlabiti di Tunisia impiantarono alcune piantagioni nell’isola fin dalla conquista avvenuta nel nono secolo subentrando ai Bizantini e che, forse, tramandano sempre i miti popolari, questo specchio potesse, in certe coincidenze, duplicare e fissare sulla tela, come una moderna lastra fotografica, le immagini che gli si offrivano con la sola condizione che i volti riflessi appartenessero a soggetti innamorati, secondo concetti di amore cortese prevalenti nella cultura araba oramai saldamente sedimentata nell’isola, nonostante il potere politico fosse da qualche anno in mano alle dinastie normanne. Questo specchio di tela, al cui interno si narra oziasse uno spirito benigno, fuddittu o mazzamareddu negli idiomi isolani, pronto a destarsi per soccorrere l’amore di turno, per quanto successivamente ricercato non era mai stato trovato e talune versioni popolari, raccolte da vari testi sulle tradizioni locali, garantivano che nel quindicesimo secolo, in un periodo increspato dal disagio delle popolazioni per l’avvento in Sicilia della Suprema Santa Inquisizione spagnola, su di esso fosse stato dipinto, da un giovane pittore del nord, il ritratto di una coetanea nobile siciliana e che fra i due fosse sbocciato un imprudente amore, malgrado il ritratto rappresentasse impegno sentimentale, commissionato dal fidanzato della ragazza, anch’egli di blasonati ascendenti, nell’imminenza del loro matrimonio secondo usanze assai diffuse in Sicilia probabilmente risalenti alla dominazione bizantina.
Questo testo è l’incipit del romanzo di Paolo Codazzi “Lo specchio armeno“, pubblicato recentemente (2023) da Arkadia
Giacomo Sartori
Il link all’incipit su Nazione Indiana: https://bitly.ws/3bIqk
Venerdì 2 febbraio alle 18:00 abbiamo il piacere di ospitare Vladimir Di Prima, scrittore e regista indipendente con a seguito parecchi lavori premiati in ambito nazionale e internazionale. Lo scittore accompagnato dal caro Mario Falcone che ringraziamo di tutto cuore, presenterà il suo nuovo romanzo “Il buio delle tre” pubblicato da Arkadia editore nel mese di dicembre.
Vladimir Di Prima, con ironia e garbo, ci racconta attraverso le tragicomiche peripezie per affermarsi come scrittore di uno straordinario Pinuccio Badalà, protagonista del romazo, una storia sul mondo dell’editoria che fa sorridere e arrabbiare al tempo stesso.
Trama
In un paesino della Sicilia che subisce passivamente i grandi eventi della Storia, Pinuccio Badalà, figlio di un sindacalista coinvolto nella strage di Bologna e poi morto qualche anno dopo in seguito a un bizzarro incidente, sogna di diventare un grande scrittore. Nei modi di un’appassionata cronaca il romanzo narra tutte le peripezie del protagonista per ricevere udienza dai grandi marchi dell’editoria italiana. Vent’anni e più di illusioni e delusioni, viaggi della speranza, personaggi grotteschi e indimenticabili. Una grande e amara parodia della decadenza culturale dei nostri tempi nelle ambizioni di un provinciale con il solito dilemma: genio incompreso o espressione infinitesimale della mediocrità?
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PISTOIA – Giovedì 1 febbraio alle ore 17 nella Sala Manzini della biblioteca San Giorgio, presentazione del libro “Il babbo di Pinocchio” di Paolo Ciampi (Arkadia, 2023). Dialogano con l’autore, Rossella Chietti presidente dell’associazione Amici della San Giorgio e Giuseppe Previti. L’evento è stato curato dall’associazione Amici della San Giorgio, in collaborazione con Giallo Pistoia.
È la notte di San Lorenzo, una notte di festa nel cuore della torrida estate fiorentina, la città come sempre presa d’assalto dai turisti. Due uomini si siedono sulla stessa panchina, osservano il mondo che passa intorno a loro, cominciano a chiacchierare. Chi parla è un giornalista dei nostri anni, che avrebbe preteso di più dal suo lavoro e comunque dalla vita. Ma possibile che l’altro sia Collodi? Perché no? Sono tante le cose che possono succedere nella notte di San Lorenzo a Firenze, se si ha voglia di crederci. Soprattutto se si vagabonda fino all’alba, nei luoghi che furono di Collodi e poi di Pinocchio. Fino a scoprire la Firenze che era nella Firenze che è. Oppure l’uomo dietro lo pseudonimo Collodi, Carlo Lorenzini, una creatura fragile e notturna, segnata da innumerevoli delusioni annegate nell’alcol. Eppure capace di regalare sorrisi e sogni, con il suo sguardo ironico e la battuta pronta che da sempre è nello spirito dei fiorentini. Un viaggio in una Firenze insolita, nell’esistenza del grande scrittore e della sua principale creatura, Pinocchio, capace di regalarci ancora oggi, in tempi così complicati, un esempio autentico di vita.
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Notte di San Lorenzo, si festeggia nella consueta torrida estate fiorentina, ricca come sempre di chiasso e di turisti.
Due uomini, nel loro girovagare, capitano a far sosta sulla medesima panchina, e, mentre osservano la moltitudine di
gente che passa attorno a loro, cominciano a chiacchierare. La voce narrante è quella di un giornalista dei nostri
giorni, a cui il suo occasionale interlocutore sembra assomigliare a Collodi. Possibile che sia lui ? Tutto può accadere nella notte di San Lorenzo a Firenze, basta volerlo credere….§
Specie, se, si comincia a girare per Firenze e, massimamente, se si gira per quelli che furono i luoghi di Collodi e del suo Pinocchio, ed è quello che faranno i nostri nuovi amici. E così arriveranno a scoprire la Firenze che era nella Firenze che è! E anche chi è in verità quest’uomo di nome Carlo Lorenzini, in arte Collodi. Una creatura fragile e…notturna, segnata da tante delusioni….affogate nell’alcol. Ma anche capace di far sorridere e sognare. Uno sguardo sempre ironico, la battuta pronta e scanzonata dei fiorentini, mentre i due camminano per una Firenze insolita, nel segno del grande scrittore e della sua creatura, quel Pinocchio che ancora oggi resta un esempio di come si debba vivere. Un giornalista fa due passi per Firenze in una caldissima notte di Sal Lorenzo e si ferma su una panchina. Qui è seduto un omino un po’eccentrico nel vestire, che bofonchia qualcosa “Collodi, maledizione, ancora Collodi. Perché
non mi ricordano con il mio nome. Carlo. Carlo Lorenzini”. Già. colui che ha scritto uno dei libri più conosciuti
nel mondo, trentacinque milioni di copie vendute, “Le avventure di Pinocchio”.
PAOLO CIAMPI si immagina questo incontro e le relative conseguenze ne IL BABBO DI PINOCCHIO, dando a vedere di essersi palesemente divertito nello scriverlo, e tratteggiando una Firenze magica, dalle molte facce e quasi senza
tempo, pur nel trascorrere degli anni.
Conosciamo così un Collodi deluso perché si è sentito poco considerato , pur se ha venduto milioni di copie in tutto il mondo. Ma rivolgendosi al suo interlocutore si consola dicendo ” …del resto fu così anche per Dante…”
E così Lorenzini affoga i suoi rimpianti nell’alcol e inizia questo girovagare notturno tra Collodi e il giornalista
fiorentino Paolo Ciampi, con un continuo dialogare che ci fa entrare in due esistenze diverse, con un comune denominatore, Firenze, che, pur vista in tempi diversi, è pur sempre una sola.
E noi la vediamo attraverso gli occhi dei due protagonisti che ci illustrano la loro vita(particolarmente frustrato
anche nei rapporti familiari il Lorenzini)ma anche le piazze, i palazzi, le vie, i monumenti.
Questa di PAOLO CIAMPI sembra una favola che ci porta avanti e indietro nel tempo, magnificando intanto la città, che viene descritta con una passione e un amore infiniti, partendo da uno spunto, che già fa colpo di per se stesso. Due
interlocutori di secoli diversi si incontrano nella lunga notte di San Lorenzo, e Lorenzini ne appprofitta, in una sorta di…autointervista, per raccontare se stesso, la sua vita, il suo capolavoro.IL tutto in una serata ricca di
ricordi, pensieri, impressioni, che i due protagonisti si scambiano. Di Lorenzini apprendiamo tanti aspetti della sua
vita, con lui che si lamenta che sia stata sempre poco conosciuta e poco considerata. Una serata che interesserà e divertirà il lettore, raccontata con uno stile narrativo perfetto, e con la capacità di restituirci quella che era
la Firenze del Lorenzini.
Bravi Ciampi/Lorenzini per questa originale godibilissima lettura!
Il link alla recensione su Il blog di Giuseppe Previti: https://bitly.ws/3bq6x
Giuseppe Previti
Lo scrittore e regista Vladimir Di Prima ha presentato il romanzo alla Feltrinelli di Catania
Tragico eppure comico, sognante eppure reale, il sesto libro dello scrittore e regista Vladimir Di Prima – Il buio delle tre (edito da Arkadia Editore) – lascia piacevolmente colpiti da una riflessione che si cela, incessante e puntuale, dietro le pagine: l’editoria è satura, le librerie piene di libri di poco conto, e chi nutre da sempre il sogno della scrittura rarissime volte riesce nel suo intento. È proprio questo il filo strutturale della storia, il ‘grillo parlante’– come lo definisce lo stesso Di Prima – nella vita e nella mente del protagonista Pinuccio Badalà, dal nome sicilianissimo come la terra in cui vive. Figlio di un sindacalista coinvolto nella strage di Bologna, morto qualche anno dopo a causa di un buffo incidente, Badalà a un certo punto inizia a coltivare il sogno di diventare uno scrittore e si fa strada nel mondo difficoltoso dell’editoria, mentre tutti sembrano disprezzare il suo manoscritto. Ma il protagonista non si perde d’animo e, tra mille peripezie, si dedica alla ricerca di un buon editore per più di vent’anni. Inoltre, c’è il Sud e c’è il Nord in questo libro, c’è la differenza ancora impelagante tra terroni e settentrionali. Il Salone del Libro di Torino, ad esempio, è un’occasione di incontro per tanti scrittori facoltosi o che si credono tali, facilitati da concorsi e da scuole di scrittura; e poi c’è Pinuccio, un personaggio bizzarro, ironico e umile, che però, come accade quando non si riesce a raggiungere degli obiettivi, matura una crescente invidia per chi realizza il proprio sogno. Il protagonista sembra non farcela mai, ma nonostante questo si rialza, non si arrende. È forse il suo mentore, il suo insegnante, a fargli da guida, un po’ come Virgilio faceva con Dante. Tutto ha inizio con una serie di tragedie: l’incidente di Ustica, la strage di Bologna del 2 agosto 1980, fino ad arrivare a un excursus di alcuni dei momenti chiave della storia italiana e non solo (l’elezione di Gorbaciov, la strage di Capaci, il crollo delle torri gemelle, la cattura di Bernardo Provenzano, l’attentato a Charlie Hebdo). Il Buio delle tre ci invita a interrogarci sul valore della cultura, in un mondo che appare sempre più povero di letteratura vera e ricco piuttosto di libri senza valore. Pagina dopo pagina, l’autore rivela a noi lettori alcune massime sulla scrittura e sul mestiere dello scrittore, grazie alla vita ‘comica’ e allo stesso tempo veritiera del protagonista. Il buio delle tre è un libro autobiografico, come lo stesso autore ha affermato in occasione della presentazione.
Laureato in Giurisprudenza e poi anche una laurea magistrale in Criminologia. Se posso, da cosa nasce questo distacco così profondo tra ciò che ha studiato e le attività che svolge adesso, quelle di regista e scrittore? Cosa le è rimasto di quegli studi?
«Mi sentivo ingabbiato in qualcosa che non faceva parte di me, non mi immaginavo chiuso in un ufficio o in un tribunale – racconta Vladimir Di Prima -. A un certo punto ho sentito l’esigenza di fare un lavoro più creativo. Non rinnego assolutamente i miei studi, perché studiare è importante e sicuramente il mio percorso di formazione mi ha lasciato qualcosa, ma ho avuto la fortuna di capire che non era la mia strada e di avere al mio fianco dei genitori che mi hanno sostenuto in questa scelta».
Spostandoci sul libro adesso… Il buio delle tre è un testo tragicomico che segue le peripezie di Pinuccio: lei ha senz’altro puntato sull’ironia in un mondo e in una generazione che tendono sempre più alla tristezza. Secondo Lei perché molti giovani sono ‘amanti’ della tristezza?
«La generazione dei giovani vive dentro il mondo dei social media, che li costringe a guardarsi costantemente in uno specchio falsato: quello di altri giovani che fanno cose sempre più belle, più entusiasmanti – spiega lo scrittore -. Qui già si crea una prima frattura. E allora iniziano a maturare sentimenti negativi, legati soprattutto legati a un senso di inferiorità. I giovani credono di essere felici nella loro nicchia di infelicità».
Nel titolo la parola ‘buio’ si ricollega al mondo dell’editoria. Come lascia intuire Pinuccio Badalà, si tratta di un mondo un po’ oscuro?
«Indipendentemente da quello che Pinuccio Badalà pensa sul mondo dell’editoria, io adesso vorrei spezzare una lancia a favore di quest’ultimo: tantissime case editrici ricevono a settimana cinquecento manoscritti – aggiunge Di Prima -. Come leggerli tutti? È necessario fare una cernita. Il messaggio che alla fine vorrei diffondere tramite Il buio delle tre è che c’è sempre speranza, che è giusto fallire e poi rialzarsi e non smettere mai di credere nei propri sogni».
Chiara Schembra
Il link all’intervista su Unict Magazine: https://bitly.ws/3baU7
Il Comitato Tecnico del Premio Letterario Chianti, esaminati i testi di narrativa editi nel periodo dall’1 gennaio 2022 al 30 giugno 2023, ha compiuto una prima scelta di titoli comprendente i seguenti quaranta testi, di seguito proposti in ordine alfabetico. Da questa lista il Comitato trarrà, dopo ulteriori opportune selezioni e confronti, i tre autori finalisti, i cui nomi saranno comunicati entro il mese di febbraio 2024.
1. Albinati Edoardo, Uscire dal mondo, Rizzoli
2. Baldelli Simona, Il pozzo delle bambole, Sellerio
3. Bianca Federico, Riscatto, Felici
4. Bicchi Luigi, Il noce dell’Alderga, NIE
5. Bona Giorgio, La lacrima della giovane comunista, Arkadia
6. Borrasso Francesco, Sott’acqua, Giulio Perrone
7. Bortolotti Nicoletta, Un giorno e una donna, HarperCollins
8. Camurri Roberto, Qualcosa nella nebbia, NN
9. Casadio Paolo, Fiordicotone, Manni
10. Cassioli Silvia, Il capro, Il Saggiatore
11. Cecconi Arianna, La girandola degli insonni, Feltrinelli
12. Ciano Martino, Itinerari della mente verso Thomas Bernhard, A&B
13. Drago Marco, Innamorato, Bollati Boringhieri
14. Durastanti Claudia, Cleopatra va in prigione, Minimum Fax
15. Falco Giorgio, Il paradosso della sopravvivenza, Einaudi
16. Fallai Paolo, Un inverno lungo un anno, Solferino
17. Gori Leonardo, La libraia di Stalino, Tea
18. Innocenti Simone, L’anno capovolto, Blu Atlantide
19. Lepri Roberta, DNA Chef, Voland
20. Levi Lia, Per un biglietto del cinema in più, Salani
21. Lupo Giuseppe, Tabacco clan, Marsilio
22. Manganelli Lietta, Aspettando che l’Inferno cominci a funzionare, La Nave di Teseo
23. Miorandi Paolo, Nannetti. La polvere delle parole, Exorma
24. Mondadori Sebastiano, Verità di famiglia, La Nave di Teseo
25. Naspini Sacha, Villa del seminario, E\O
26. Nata Sebastiano, Memorie di un infedele, Bompiani
27. Ossorio Antoniella, I bambini del maestrale, Neri Pozza
28. Paoli Gigi, La voce del buio, Giunti
29. Pardini Vincenzo, Il passo dei briganti, Vallecchi
30. Permunian Francesco, Elogio dell’aberrazione, Ponte alle Grazie
31. Piersanti Claudio, Ogni rancore è spento, Rizzoli
32. Pignatelli Anna Luisa, Il campo di Gosto, Fazi
33. Sartori Giacomo, Fisica delle separazioni in otto movimenti, Exorma
34. Scudeletti Massimiliano, La laguna dei sogni sbagliati, Arkadia
35. Soriani Melania, Bly, Mondadori
36. Spampinato Lorena, Piccole cose connesse al peccato, Feltrinelli
37. Spila Cristiano, I baffi di Gadda e altri malinconici oggetti, Avagliano
38. Tuti Ilaria, Come vento cucito alla terra, Longanesi
39. Veltri Francesca, Malapace, Miraggi
40. Vichi Marco, Nulla si distrugge, Guanda
Il Premio letterario Chianti è promosso dai Comuni di Greve in Chianti (Firenze), Unione Comunale Barberino V.E -Tavamelle Vel di Pesa (Firenze), Castellina in Chianti (Siena), Gaiole in Chianti (Siena), Impruneta (Firenze), Radda in Chianti (Siena), San Casciano Val di Pesa (Firenze), Castelnuovo Berardenga (Siena) e dall’Associazione Culturale Stazione di Posta di Firenze con l’ideatore del Premio Paolo Codazzi, con il coinvolgimento delle loro biblioteche.
Sponsor della manifestazione è il Rotary San Casciano – Chianti.
Il link alle segnalazioni: https://bitly.ws/3aPkm