Il tornello dei dileggi, un romanzo sui compromessi dell’anima e del vissuto
“La mia intenzione era quella di ‘giocare’ sperimentando il linguaggio scritto che rarissime volte ho trovato altrove”
Intervista a Salvatore Massimo Fazio per l’uscita del suo libro Il tornello dei dileggi, Arkadia edizioni
Scrivere un romanzo, soprattutto da esordienti della narrativa, è un triplo salto carpiato nel vuoto. Ovvero, nel pieno sovraffollato, sovrabbondante, delle proposte editoriali, che poi sempre vuoto è perlopiù, Salvatore Massimo Fazio ha dimostrato grande coraggio nel dare alle stampe Il tornello dei dileggi (ed. Arkadia nella collana Eclypse); e con lui lo stesso editore.
Difficile sintetizzare la trama, forse perché proprio l’a-narratività è la chiave di questo romanzo/non romanzo sui “compromessi dell’anima e del vissuto”, spesso insostenibili. E per fortuna ci sono i libri, le storie, la lettura, anche del titolo in questione, ad aiutarci.
“Non saprei se dirti che sviluppare un romanzo con la tecniche della negazione della narratività, sia frutto di coraggio: certo è che nel progetto di pubblicare un romanzo, la mia intenzione era quella di ‘giocare’ sperimentando il linguaggio scritto che rarissime volte ho trovato altrove. Nel primo capitolo faccio un cameo, citando Isabella Santacroce” spiega lo scrittore siciliano, già autore di saggi filosofici, nonché psicopedagogista e animatore culturale con il blog molto seguito Letto, riletto, recensito, che ha anche una altrettanto frequentata pagina Facebook.
Santacroce è un suo modello letterario?
È sicuramente un’autrice che, seppur abbia letto il solo Luminal, mi ha influenzato, nella bellezza di quello stile propriamente suo. Ma incosciente lo sono sempre, di mio.
A quale scrittori o generi ti senti di ascrivere il tuo Tornello?
Nessuno, non per pretesa di assolutizzare uno stile, quanto in primis per non oltraggiare gli scrittori; secondariamente per la scelta di scrivere liberamente per poi, avendo chiaro cosa volevo fare, legare appunti, e riflessioni che coincidevano con la narrazione con l’idea di creare una meta narrazione al fine di appendere i ‘panni’ contenuti nel libro: dal titolo al codice ISBN.
Il dileggio sembra essere uno sport diffuso soprattutto sui social. Perché ne hai voluto fare il focus della tua storia?
Tanti anni fa un velleitario della follia certificata, mi ha chiesto di aiutarlo per presentare i suoi dialoghi con l’altissimo. L’ho fatto. Poi mi ha supplicato di presentare una sua opera, non l’ho fatto. Poi ancora altre. Me lo sono ritrovato a scagliarsi con dileggi contro me, nel momento in cui ho dato un parere per un fatto che esulava dalla sua persona. Mi spiace molto perché si parla di una intellighenzia potente. Frattanto tra i miei bigliettini con annotazioni rileggevo certi comportamenti che ho osservato nelle diverse città in cui ho vissuto: non è vero che la matrice sociale cambia il modus comportandi. Ad ogni categoria psicogena corrisponde del patologico, seppur io sia contro la nosografizzazione.
Sembrerebbe che tu ti sia divertito a scrivere questo romanzo.
Non ti sbagli. L’interesse, oltre ad attingere dalle fonti curate e conservate per 7 anni, è stato quello di sviluppare il gioco del linguaggio scritto, diversificandolo da ciò che fino ad allora avevo letto. Sfoltire, tagliare soggetti, rendere implicito senza annotazioni o ripetizioni. E mi è piaciuto ancor di più quando il mio agente letterario, Patrizio Zurru, dopo 3 anni che possedeva il mio lavorio, mi ha detto “qui giochiamo da arditi”. Dopo aver ricevuto alcuni ‘no’ e altri ‘sì’ nel rappresentarmi, mi ha assegnato un editor che si è divertito con me ed è stato esplicito nel dichiararlo un potenziale romanzo diverso da ciò che si legge continuamente. Certo c’è chi si è addormentato, c’è chi mi ha dato dello psicopatico, dimenticando che io li curo gli psicopatici e ne conosco gli effetti di rebound e le dinamiche psichiche che si attivano: “Ti dico che sei X perché in verità lo sono io”.
Ti sposti in tante città nel pur breve racconto. Le conosci direttamente?
Sì, sono città che non ho soltanto visitato, ma proprio vissuto. Sono rientrato a Catania quattro anni fa perché le condizioni di salute di mio padre prima e di mia madre a seguire, hanno cavalcato l’onda della mia preoccupazione, pertanto voglio essere in prima linea a capire cosa succede.
Perché la narrativa dopo tanti saggi?
Chiedilo a Piero Lipera, amico storico. Colui che negli anni mi ha sempre detto “Lo scrivi un romanzo con il tuo stile ballerino?”. È il Presidente dell’Associazione ‘Amici dell’Aiuto’, quelli che da anni aiutano i bisognosi veri, una piccola associazione catanese alla quale ho devoluto le royalities dopo l’uragano che ha colpito Catania lo scorso 26 ottobre. È anche uno dei personaggi nel libro.
Nel suo vagabondar-disgraziato il romanzo di Salvatore Massimo Fazio fa della società qualcosa di liquido, in cui ci si tuffa e ci si ustiona. È un irritante attraversamento, una lucida presa di coscienza, in cui ogni cosa viene posta sotto una cinica lente di ingrandimento. È un nichilismo allegro quello messo in bocca ai protagonisti del libro. Allegro perché con la sua ironia, capace sempre di strappare un sorriso al lettore, sta l’altra faccia della medaglia: la disillusione. Aristide, Franco Paolo e Andrea, rispettivamente il diavolo, il musico, il maestro e il saggio, sono quattro segmenti estrapolati dalla retta caotica della modernità. A ciascuno il proprio dolore, il proprio amore, il proprio combattimento quotidiano. A Paolo però è stato assegnato il ruolo del protagonista e la sua storia è un incubo che si mischia alla realtà. Catania, Milano e Torino sono tre città della disgrazia, ma in un mondo in cui nulla è anche un villaggio è un baratro. Se in un sogno riappaiono i simboli, nella realtà stanno le loro matrici. Quando anche l’onirico è invaso dalla quotidianità, ciò vuol dire che il processo di alienazione e reificazione è giunto a conclusione. Tutto è cosa, oggetto, compreso il sognatore. Della cosa in sé non si studia più la sua essenza, ma solo la superficie. Essa viene collocata in un contesto per essere rimodellata e riadattata alle esigenze. La modernità crea luoghi in cui gli oggetti sono conservati per essere rimaneggiati, fin quando non vengono gettati. L’obsolescenza programmata vale anche per le persone. Il tornello dei dileggi è quindi un circolo vizioso che tutto trasforma fin quando la giostra non si ferma per far scendere chi è ormai stanco e usurato e per far salire chi è pronto a essere deriso, maltrattato e trasformato. Sconclusionata è ogni azione, ogni dialogo, ogni proposito messo in campo, perché non c’è tempo per pensare al dopo, bisogna divertirsi. Ma è un gioco frivolo quello che si innesca. È caotico ed edonistico. Coinvolge la vita e i suoi sentimenti, banalizza su ogni senso, perché ciò che è destinato al nulla ha un unico significato: la fine. Così ogni personaggio di questa storia è parte “manomessa” dell’ingranaggio. Nulla si salva. Dalla politica al calcio, dall’amore alla cultura, Fazio guarda a ogni aspetto e tira le conclusioni. E in questo romanzo in cui tutto è scherno, il nichilismo diventa una forza illuminante, in quanto per ricostruire c’è bisogno di distruggere… anche la cosa in sé.
“Chi osa dire una verità è dileggiato”. Dialogo con Salvatore Massimo Fazio
In un panorama letterario spesso ripetitivo e prevedibile, Il tornello dei dileggi, (Arkadia Editore) debutto nella narrativa del catanese Salvatore Massimo Fazio, già filosofo e saggista oltre che psicopedagogista, si distingue per profondità dei temi e originalità del linguaggio. Romanzo profondo e divertente, in cui numerosi personaggi ironici e tragici, una storia d’amore misteriosa e complicata e uno sguardo sarcastico sul mondo culturale italiano si alternano a vere e proprie disquisizioni filosofiche sui temi classici e imprescindibili della condizione umana, fino a un finale spiazzante che ribalta il punto di vista su tutto quel che è stato narrato prima. Ne abbiamo dialogato con l’autore.
Il tuo stile di scrittura è particolare, tra la prosa poetica e il flusso di coscienza, o forse c’è anche qualcos’altro che mi sfugge. Fatto sta che si legge e si pensa, non è il solito stile paratattico fatto di frasi brevi che va tanto di moda oggi, ma non è nemmeno un fraseggio ampio dal sapore antico. E’ uno stile nuovo. Come lo definiresti?
Non saprò mai se il mio stile è nuovo, so che ci sono anni a leggere sicuramente storie interessanti, ma delle quali non ne potevo più, e allora giochiamo con lo stile, come quelli che scrivono tutto in minuscolo, o quelli che non usano la punteggiatura, pensa tu: ai premi li candidano per questi sotterfugi, così magari da sconfessare la purezza di quei pochi premi rimasti puliti per l’appunto. Puliti? Può darsi, come il contrario però! “Si legge e si pensa…” dici bene: fu questo l’intento, stravolgere le figure della lingua italiana usata per lo scritto per poi ricamare e con cura e cautela artigianale, sfoltire, sfoltire a più non posso, pur mantenendo un ensemble di significanti. Non so dirti se è uno stile nuovo, è sicuramente il risultato di un esperimento: la meta narrazione per tenere legate al filo dei panni tutte le vicende, che fanno riferimento alle culture esposte, appese.
Paolo, il protagonista, è un intellettuale, rilascia interviste, frequenta salotti culturali, le sue opinioni hanno un peso. Ad un certo punto riceve un’accusa di misoginia, cui replica con un ragionamento ineccepibile in cui rivela le contraddizioni insite in certi meccanismi del mondo del lavoro. Credi che il politicamente corretto serva a mascherare le dinamiche reali?
Nel mio intento, Paolo è uno dei protagonisti, colui che appare di più perché l’incipit è di una donna con la quale legherà, per capire che è pazza e lo sta portando al sacrificio: questo il movente dell’accusa di misoginia. Succede nella sua esperienza lavorativa che il danno lo fa un gineceo di carogne infette di sesso femminile, dunque le misogine sono le componenti di questo gineceo, ma è solo uno dei passaggi. C’è di tutto nel romanzo e tocca tutti i generi, ciò per rispondere al fatto che il politicamente corretto è sì una maschera, ma ci sono gli intuitivi che quella maschera riescono a fartela cadere e allora non importa più il politically correct. Inezia.
“Il tornello dei dileggi nasceva a Catania per volontà di quattro illustri personaggi ai quali la città aveva riconosciuto dei soprannomi: Aristide era il diavolo, Franco il musico, Paolo, ovviamente, il maestro e Andrea il saggio. Il format era centrato sul modus vivendi di ognuno dei quattro riguardo agli argomenti in scaletta. Il tutto condito con approvazione eccessiva o disapprovante dileggio del pubblico che veniva sollecitato e aizzato da infiltrati, amici dei quattro.” Il tornello dei dileggi nel romanzo è uno spettacolo, un format. Una specie di moderno e più aggressivo Costanzo Show. Mi ha ricordato molto però anche le dinamiche delle discussioni sul web. Quali sono, nel mondo odierno, i dileggi?
Voglio precisare che Il tornello dei dileggi è la traslitterazione de “Il tinello del dileggio”, format realmente esistito a Catania, e fondato da Andrea Pennisi. Format che ho avuto l’onore di rappresentare assieme ad altri tre partecipanti. Quanto ai dileggi oggi, sono molti e nuovi: oggi chi osa dire una verità perché gli appartiene, se non conviene ai maiali, se non piace a chi del radical chic ne fa una professione di fede, è dileggiato prima ancora di esporsi; capita anche nel mondo lavorativo dove si innesca potente la teoria del capro espiatorio, attenzione, ciò che sto per dirti è duro, ma è vero: dipende il contesto in cui sei, ciò che conta sono le scarpe che porti, i vestiti che indossi, il malessere più brillante che racconti… la produzione, la salvezza, l’impegno non conta molto, anzi viene dopo, se c’è tempo. Se tu osi, dico soltanto osi, sfiorare l’idea di un richiamo al lavoro, sei inteso, lo dico in termini psicologici, come un leader autoritario che dispone e non dà possibilità di replica; quando invece manco il tempo di essere leader hai. Altro dileggio, dunque!
Il romanzo ruota intorno alla storia d’amore tra Paolo e Adriana, o almeno così sembra, fino a un finale a sorpresa che non riveliamo. Poi c’è Giovanna, una moglie, sullo sfondo. Cosa rappresentano questi personaggi? Al di là delle vicende che narri, hanno una funzione simbolica?
La storia d’amore non è soltanto dei due succitati, proprio Giovanna è il Super Io, il controllore perfetto che non irrigidisce, l’astrazione, la dimensione altra, la nevrosi e apatia che si realizza junghianamente se ti fermi troppo tempo senza avere rapporti sessuali che ti appaghino. Ecco la simbologia: dall’esperimento socio-individualizzato, all’archetipo: quella sfera che osservi, che ruota e sempre ti consegna novità, ma tu stai fermo a guardare una sola zona.
Paolo ha frequentato un istituto alberghiero, dopo essere sfuggito agli “snob dei licei”. Riuscirà comunque però a realizzare un percorso universitario soddisfacente. Pensi che ci siano dei pregiudizi in Italia verso le scuole professionali? E che i diversi istituti scolastici si portino ancora dietro una divisione per classe sociale?
La scelta di proporre una maturità alberghiera nasce per diversi motivi: in primis per sconfessare quel qualunquismo che abbatte a tutti i costi gli studenti di questa e altre scuole tecniche e professionali, con l’avallo, se non erro, di un pessima uscita di un giornalista qualche anno fa contro il sistema alberghiero sulle pagine di un quotidiano democraticissimo! Il pregiudizio è violento e si erge principalmente da sinistra: la sinistra dei giovani, dei miliziani post università, dei docenti accademici, rossi (io non dimenticherò mai il 1998 ad un esame di Storia Moderna presso la facoltà di Scienze della Formazione. Il docente, silurato un candidato, ne chiamò un altro, guardò il libretto di quest’ultimo e disse: “ma lei è un geometra, cosa vuole qui?” – Università degli Studia di Catania, anno 1998). Il pregiudizio non si manifesta con certa intensità da sinistra perché ogni volta che un politicizzato a destra dice la sua, vengono affossate idiozie di migliaia di sinistrorsi. Questo è il punto: il discrimine non sta a destra, ma proprio dall’evoluzione di certa sinistra che pian pianino non si è più capito nulla dove starebbe. La sinistra attuale, come i sindacati: inflazione per distruggere l’immensa immagine della grande Madre Russia. Anche di questo racconterà Paolo ad Adriana, e si scontreranno, perché lei ha appreso che deve stare al posto giusto nel momento giusto, in sintesi, ha applicato quella che in analisi, il suo analista è complice, è la razionalizzazione, dunque la distruzione dell’uomo, che si porta fuori dal setting il cadre costituitosi: la rovina ontologica!
Fotografia di Leonardo Lodato Proprio qui volevo arrivare, Paolo ha un passato di impegno politico a sinistra, anche piuttosto militante, ma nel presente è disilluso, forse anche vagamente di destra, anche se poco convinto. Sembra una visione piuttosto diffusa, è anche la tua? E da cosa nasce secondo te questa disillusione?
È la visione di molti. Purtroppo c’è tensione, specie negli ambienti culturali, a dichiarare il proprio intento politico: rischi di essere ghettizzato. Così non va bene. Io a Catania posso farti i nomi di Giovanni Coppola, Pietrangelo Buttafuoco, ma anche di Marco Pitrella o addirittura Antonio Di Grado, quest’ultimo, raffinato italianista che non si tira indietro nel fregarsene di pensare se un autore è politicamente esposto a destra, almeno così appare dalle sue ultime pubblicazioni. Che sia la mia visione è quasi scontato, l’imbecillità di osservare con pregiudizio a destra se n’è andata prestissimo, rimanendo in una visione che realizzi una pars costruens al di là delle scelte o delle appartenenze politiche.
Paolo è un consulente filosofico, una specie di alternativa alla psicanalisi. Tu sei sia filosofo che psicopedagogista. Pensi che queste due vie per la conoscenza di sé siano in alternativa o complementari?
Partendo dal presupposto che chi possiede il suffisso PSI spesso la vocale “O” sa farla solo con il bicchiere capovolto, stando alla mia esperienza ovviamente, rammento che la filosofia e relativa consulenza e la psicologia e relativa psicoterapia e analisi, esistono solo e grazie a ciò che si sviluppò nel V sec. a. C. in Grecia, dunque la riflessione pedagogica. Se con un atto di umiltà, spargendosi il capo di cenere, si accettasse che sociologicamente il suffisso di cui sopra ha preso il sopravvento in masse di laureati, che oltre a lavorare, oltre ad essercene uno per stanza in ogni casa, oltre a non aver interessi se non dichiarare sentenze verso qualunque movimento faccia un’altra persona, in sintesi, oltre a razionalizzare la propria vita puntando sempre il dito verso l’altro, oltre una infinità di canagliate che a modo loro li fa camminare con spalle dritte e petto in fuori (“ma certo che sono di sinistra!”, felici annunciano al popolo pensando che, come ti dicevo prima gli psicopatici li riconosco, conosco anche chi della manipolazione ne fa unica fucina di conoscenza personale per squalificare un diretto collega, quando invece è lui, palesemente, il manipolatore), oltre tutte queste bestialità, dunque se si accettasse e ricordasse che esistono perché ad ‘aprire i giochi’ fu – nuovamente – la riflessione pedagogica, allora la filosofia non sarebbe un’alternativa alla psicologia, bensì la strategia migliore per evitare di spellare economicamente chi vive un processo di malessere. Ciò ovviamente non toglie la mia ammirazione invece per bioniani, junghiani, hillmiani e tutti quanti ti servono le chiavi per non approdare al delitto della razionalizzazione: una illusione per tirare avanti a campare male e che riporti all’altro che ti mantiene.
Nel romanzo parli molto anche di calcio. Trovi che anch’esso abbia una valenza filosofica? E che sia un’ulteriore strada per la conoscenza?
Il calcio, è troppo importante per me, per molti. Ha una straordinaria valenza filosofia che richiama Feuerbach, ma anche altre tesi di esponenti non indifferenti: inventarsi Dio per sopravvivere. Col calcio, ci si attacca alla ritualizzazione storica dove ci si sfogava a vedere animali che sbranavano gladiatori. Oggi ci si sfoga a urlare contro il vento qualunque parola, che sia di appartenenza o meno, per scaricare tensioni di settimane di abitudinarietà. Il calcio infine ti permette di fare i conti con te stesso: il tifoso ha un ruolo che conosce bene e che struttura al meglio quando si unisce ad altri: si scopre, sa chi è, sa dove può arrivare la sua potente tragedia di essere umano in terra.
Incontriamo Paolo su un treno per Milano, poi in un museo a Madrid, ha studiato a Palermo, vissuto a Londra. Che significato ha la geografia nella tua narrazione? E oggi tutto il mondo è paese o ancora i luoghi determinano le nostre vite e le nostre scelte?
Purtroppo, lo ammetto a malincuore, il famoso detto ‘tutto il mondo è paese’ è realissimo. La geografia, non saprò mai se ha un ruolo essenziale nella mia narrazione: ho raccolto per più di sette anni appunti su ciò che osservavo e ciò che mi e che capitava attorno a me, che ho vissuto tutte le città citate nel romanzo, città dove mi sono accorto, rientrato a Catania quattro anni fa per una grave situazione familiare di salute che ha coinvolto tutti i miei diretti amati, che risposte, arroganze, gesti gentili e isterie varie sono identiche dal nord dell’amata Norvegia alla multiculturale e multi politica Turin, per passare dalla bellissima Firenze e dal cuore del mondo che è l’asse Roma-Catania.
Nella colonna sonora del libro campeggiano CCCP e CSI, i gruppi fondati da Giovanni Lindo Ferretti. Cosa hanno rappresentato per la tua generazione?
Anche i PGR e PG3R, che furono sempre fondati da Ferretti. Sicuramente hanno rappresentato la grande necessità di trovare la strada anti depressione, che ha sortito il seguito di chi vuole osservare solo la superficie. Che negli ultimi quindici anni Ferretti sia passato al cattolicesimo, poi a destra, poi vicino alla Lega, per poi tornare ad Atreju e dichiarare che è in debito con il popolo di destra, non cambia nulla se mai fossimo (fossero, n.d.a.), riusciti a fregarcene di stare nel luogo giusto al momento giusto per non sparire, giusto per citare il personaggio di Adriana nel Tornello. Questo è l’umano e non necessita di mantenere una linea.
“Sbocciava l’illusione dell’amore semplice”, scrivi a un certo punto. Invece l’amore di Adriana per Paolo è contraddistinto da molte indecisioni, dubbi, ripensamenti, anche giudizi. Paolo ad un certo punto le attribuisce disturbi della personalità. E’ una diagnosi reale, o tendiamo a vedere come malattie psichiche quello che degli altri non ci fa piacere e non asseconda i nostri desideri?
Nello specifico, ho riportato una di quelle ‘recite’ alle quali ho assistito e che ho vissuto, in diversi luoghi d’Europa e ho voluto marcare anche la distinzione tra ciò che è un atteggiamento contro la figura femminile e ciò che è un dato reale: Adriana gioca con Paolo perché Paolo è un addetto ai lavori. Adriana si accorge e decide di non sottostare: ma in verità a cosa sottostà? A ciò che non riconosce: la sua malattia del pensiero, perché Paolo ne è potentemente preso da non giustificare tutto, ma cercare sempre una via di dialogo per capirsi.
“Lì è importante esserci, perché c’è la gente giusta al posto giusto. Paolo non amava questo orribile ménage, era un’alternativa fittizia, tutta una fregatura quel salvare la forma e rimanere visibili tra amici o pseudo tali”. In questo brano stai descrivendo l’attuale panorama culturale e letterario italiano?
No, descrivo ciò che ho detto sopra. Però se mi lanci l’asso io lo colgo e posso dirti che, se vuoi approdare a una dimensione letteraria medio alta devi: cercare l’editore indipendente figo, anche se rosichi che non pubblichi con le major; dichiararti spudoratamente non di sinistra, ma comunista, sai di quel comunismo che teneva molto con slogan e bandiere all’idea di famiglia? Dunque una cosa che io non ho mai conosciuto ad personam, poi se sei capace devi scrivere sempre di ‘minchia’ o di melodrammi: verrai recensito, ben visto, sarai il nuovo e l’altro è sempre inferiore… solo che queste idee te le coltivi in quel centimetro cubo che ti è rimasto in testa.
Definiresti Paolo un nichilista? Molti dei riferimenti filosofici che cita lo sono. E chi è oggi un nichilista? Un romantico deluso? O un realista?
Il nichilista contemporaneo lo è perché cognitivista e ragionatore, dunque un realista. Paolo non è nichilista, i contesti che formano il tentativo di romanzo, lo sono.
Una domanda difficilissima: spiegaci il finale a sorpresa, in poche parole, senza rivelarlo
Rispondo con semplicità difficilissima: incesto, astrazione, schizofrenia e onirismo quanto sono presenti in tutti?
A Catania sentirsi straniera nella propria città. Ma Adriana è fuori posto ovunque, dice di sé allo specchio, in un mattino di terrore e Scirocco. Esplodono i cassetti perfettamente ordinati nel computo dei quaranta e più anni e degli uomini, a volte appaganti a volte meno, tutti in un fiat, passati da alba a flagello. Esce la sera con amiche recenti e anche trentenni. La calura devasta meno se è trama senza ordito, se non c’è relazione ma impatto, endorfina. Qualche scopata, appunto, in presunta libertà. Non è suora Adriana, è sola. È vana in un procedere per specchi che cancellano. Talvolta le capita di pensarsi con un ometto a passeggio, ben accolta nei luoghi rituali, nella città che raramente dorme, che non ha politica. Sa di se stessa la magia di un decollo perfetto, dell’aereo che si impenna, s’alza, vira e poi schizza.
Lettori e lettrici, buongiorno, oggi vi propongo l’intervista a Salvatore Massimo Fazio autore del libro “Il tornello dei dileggi” pubblicato da “Arkadia Editore” che ci invoglierà a leggere questo suo ultimo lavoro.
Intervista
1 – Come è nata l’idea di scrivere il tuo libro “Il tornello dei dileggi”?
Ha una gestazione molto lunga il mio primo romanzo: 7 anni. Prima di questo esordio alla narrativa, avevo scritto, poco, soltanto di saggistica e partecipato ad un concorso di racconti (Segni d’amore, nel 2009) che vinsi e come premio ricevetti la pubblicazione del racconto con enricofolcieditore.it. Il mio interesse per la narrativa è stato spesso e sovente lontano, però negli anni raccoglievo spunti fuoriuscenti da osservazioni sociali, ho vissuto in diverse città europee notando che usi modi e costumi cambiano, ma le azioni, i modus operandi e le caratteristiche comportamentali rimango identiche da popolo a popolo. Delle volte ci si sorprende come da un quartiere ad un altro di una città cambi l’inclinazione dell’esposizione di un termine, sovente non si fa attenzione ai mood pensandi, dei diversi popoli.
2 – Mi descriveresti il tuo romanzo con tre aggettivi?
Certo dato che è una sperimentazione del linguaggio scritto: esperimento, lingua, edificante.
3 – Ci sono diversi personaggi: ti va di raccontarci qualcosa di almeno un paio di loro?
Andrea, è il personaggio chiave, perché da lui nasce anche il titolo dato al libro, che ha scelto editor con editore. Andrea nella realtà esiste proprio per un format che si fece a Catania tra il 2013 e il 2015 dal titolo “Il tinello del dileggio”; chiedendo allo stesso e storpiando un po’ il titolo divenne “Il tornello dei dileggi”. È un uomo libero Andrea, ma quando si convince che qualcosa gli è stata commessa contro non ci sono alternative per farlo rientrare ai margini della verità, dunque frammenti di paranoia che si presentano e si annunciano per passare ad Adriana che è una persona che sa tutto, ma non per vanto o piaggeria autorefernziale, quanto perché malata. Paolo è il protagonista fake, che si infatua e innamora di Adriana, ma come avrai letto di questo amore avrò scritto non più di 2000 battute, dato che lui è l’asse del metaromanzo dove sono appesi tutti gli elementi che sviluppo, in primis la sperimentazione del linguaggio scritto. Giovanna: una metafora?
4 – Per quanto riguarda invece il titolo e la bella copertina che cosa ci puoi dire?
Ho risposto già sopra sul titolo, quanto alla copertina non ho mai avuto pretese, lascio fare all’editore, potrebbe mettere pur e una falce e martello, un fascio littorio o uno scudo crociato … importante che non mettano mai una maglia a strisce verticali bianconere. La mia è una istigazione a leggere al di là del titolo: è un plus il titolo, che disgraziatamente fa breccia assieme alla copertina all’occhio del lettore.
5 – La vicenda si svolge in varie città: Milano, Catania e Torino. C’è un motivo per il quale hai scelto proprio queste tre?
C’è Palermo, Roma e la Roma Calcio (e il Catania Calcio) e un passaggio a Madrid. La motivazione è semplice: sono alcune delle città dove ho vissuto.
6 – C’è un messaggio in particolare che vorresti arrivasse per primo ai tuoi lettori?
Godete della metanarrazione.
7 – Ci puoi raccontare, se c’è, un aneddoto sul tuo libro?
Oh certo: anni fa relazionai con una donna che ha in parte le sembianze di Giovanna in parte di Adriana. Il libro, pur rimanendo nelle mani del mio agente letterario per due anni e più si è rivelato profetico: ho di recente relazionato con una donna che è la rappresentazione chiara della tesi psicologica della profezia che si autorealizza: in sintesi, vicenda, terminologia, stile e linguaggio sono la vita di questi.
8 – Come ti descriveresti con tre aggettivi?
Fiscale, preciso, miliziano.
9 – Quali sono le tue passioni e hobby?
Il calcio: il Catania e la Roma. Il resto è contorno per affrontare il vivere.
10 – Infine una curiosità: qual è stato il tuo ultimo libro che hai comprato e/o letto?
“Italico” di Elsa Flacco. Che ho letto invece “Aritmia” di Elena Mearini.
Biografia
“È un pensatore catanese, che ha vissuto a fasi alterne in diverse città europee. Debutta nel 2005 con “L’albero di farafi o della sofferenza”, scritto a 4 mani col collega Giovanni Sollima, pubblicato per CUECM. Nel 2009 a seguito della vittoria del premio per racconti “Segni d’amore” è pubblicato da enricofolcirditote.it, il suo racconto si intitola “Villa regnante”. Nel 2011 per CUECM pubblica un saggio di 90 pagg. che lo renderà noto al grande pubblico “Insonnie. Filosofiche, poetiche, aforistiche”, qui si esalta la smania distruttiva come edificazione rovesciata. Nel 2016 il potente Bonfirraro lo mette sotto contratto e Fazio pubblica “Regressione suicida: dell’abbandono disperato di Emilio Cioran e Manlio Sgalambro”. È uno scoop di interesse e polemiche (che lo stesso Fazio non ha mai disdegnato). È fondatore del blog “Letto, riletto, recensito!”, prima come branca (2014), del suo sito, poi dal 2017 con dominio indipendente. Forma una squadra di interessati al concetto di libro, altri chiedono di non collaborare più, altri se ne vanno per personali intemperie: da tre anni il blog è stabile. “Il tornello dei dileggi”, è stato accolto dalla critica con diffidenza ma con interesse, dato il suo debutto annunciasse un gioco sulla lingua scritta.
Massimo Salvatore Fazio. Il tornello dei dileggi. Arkadia Editore
Dopo la felice esperienza in saggistica, Massimo Salvatore Fazio approda alla narrativa e lo fa con una proposta che già dal titolo (Il tornello dei dileggi – Arkadia editore 2021) presenta una chiara presa di posizione: la possibilità della parola. L’autore usa questo strumento per scardinare la trappola dello stile, e se alla cosciente sovrapposizione della prassi retorica aggancia l’innovazione, se alla sperimentazione programmata sostituisce ben presto l’inconsapevolezza propria dell’artista, ecco che dal flusso di coscienza che ne deriva nasce un’opera di straordinaria complessità. Più che di uno scrittore, infatti, questo può dirsi l’esito di un franco pensatore il quale, bloccando metaforicamente un filo di zinco a due estremi (Paolo e Adriana, i protagonisti) riesce ad appendervi un’infinita sequenza di situazioni e personaggi altrimenti e apparentemente ingiustificabili. Nulla pertanto può dirsi superfluo e inutile in questo romanzo, neppure le digressioni calcistiche o i rimandi autostradali o le figure che appaiono per scomparire nello stesso momento dell’apparizione. Vita come scansione di una quotidianità ripetuta e lacerante, eppure fortemente imprevedibile perché vita. Del resto niente è come sembra, o meglio, l’autore fa sì che niente sia per come si voglia. Incurante della trama, fedele oppositore dei celeberrimi fan del plot a tinte gialle, la “storyless” di Fazio palleggia i suoi personaggi nel teatro di città molto distanti fra di loro, benché profondamente unite per anima e coscienza. Ed eccola un’altra chiave di lettura di questo romanzo: la coscienza. Una coscienza membranosa, quasi materialmente tangibile, che fa a pugni con se stessa, sospesa fra l’etica convenzionale e la negazione della morale, in bilico fra i sentimenti più puri, le passioni, e il tradimento non dell’altro, ma di un sé tormentato dalle pulsioni. Amore, incesto, proiezione di incesto, o semplicemente sogno o interpretazione letterale dei fatti. Così si arriva al doppio finale, un’invenzione che sa di monito; un meccanismo che l’autore progetta per dare libertà al lettore, chiamiamolo potere, ma anche per ingabbiarlo al completamento dell’intero testo, pena l’incomprensibilità di un tutto destinato a collocare l’opera nei piani di un riguardoso rispetto. Leggetelo il tornello dei dileggi, ne vale assolutamente la pena.
Il tornello dei dileggi di Salvatore Massimo Fazio (Arkadia Editore)
In libreria il nuovo libro di Salvatore Massimo Fazio, Il tornello dei dileggi, pubblicato da Arkadia Editore collana Eclypse.
Scritto con la mano di un nichilista ravveduto, “Il tornello dei dileggi” è un romanzo divertente a tratti esilarante e che commuove, costellato di altrettante situazioni esilaranti continue che si incrociano con il vissuto reale di ogni persona e che sfociano negli interrogativi di base dell’esistenza. La vicenda si dipana in diverse città, quali Madrid, Roma, Torino e Catania, e impegna un nugolo di personaggi i quali, sfiniti dai continui capovolgimenti di fronte si troveranno alla fine a chiedersi chi siano in realtà, fino a giungere ad una conclusione inaspettata, degna della prima professione dell’autore: è uno psicopedagogista. Né di formazione, né distopico, in un nuovo modo e originale di raccontare, Fazio muove i destini dei personaggi calandoli nella società, nella politica, nelle realtà più crude e, a volte, divertenti. Un dettaglio: come nei suoi precedenti saggi di filosofia, non manca di inserire il giuoco del Calcio, nello specifico trasformando la Roma e il Catania, squadre per le quali tifa e articola tesi, come focus di un’avventura, in questo romanzo nel nome di Vincenzo Montella. Dopo anni di saggistica, con non poche polemiche (si pensi a titoli come “Insonnie” o “Regressione suicida”), l’autore catanese approda alla narrativa con struttura e stile nuovissimi: Kafka e Beckett? Forse. Ma forse no.
Salvatore Massimo Fazio è nato a Catania nel 1974. Scrittore, filosofo, giornalista, agitatore culturale e pittore, collabora con il quotidiano nazionale “La Sicilia”, il web magazine “SicilyMag” e il mensile catanese “Paesi Etnei Oggi”. Nel 2014 ha fondato il blog “Letto, riletto, recensito!”. Dopo la prima laurea (2002), pubblica nel 2005 I dialoghi di Liotrela. L’albero di Farafi o della sofferenza, con il poeta e scrittore Giovanni Sollima. Nel 2007 consegue la seconda laurea, con una tesi che afferma la potenza della pedagogia contro l’inflazione della psicologia. Nel 2009 vince il primo premio del concorso nazionale “Segni d’amore” e pubblica il pamphlet Villa regnante. Nel 2011 esce il libro che lo ha reso noto al grande pubblico, Insonnie. Filosofiche, poetiche, aforistiche. Nel 2016 firma il saggio Regressione suicida. Nel 2019 è presente nell’antologia Catanesi per sempre e, nel 2020, in Siciliani per sempre. Ha vissuto a fasi alterne tra Catania, Roma, Eastbourne, Bodø, Torino e Biella. Presidente del comitato scientifico al Festival internazionale del libro e della cultura di Catania “Etnabook”, nel 2021 ha presieduto la giuria del primo contest regionale “Sicilia Dime Novels”.
Una delle cose che capitano, quando entri in contatto con una nuova casa editrice, è che partecipi a incontri, talvolta a pranzi, ogni tanto a riunioni di lavoro, di questi tempi soprattutto virtuali, via telefono o mail, e in queste occasioni in genere ti imbatti in altri autori che fino a quel momento non conoscevi e che vengono dal loro universo magari lontanissimo e portano con sé la loro carica umana e professionale, nonché letteraria. In un fortunato incontro – che poi in fondo, chiamiamolo col suo nome, era una cena cinese da Sonia all’Esquilino – ho conosciuto Salvatore Massimo Fazio che ha appena pubblicato per Arkadia (la casa editrice di cui sopra) un romanzo dal titolo Il tornello dei dileggi. Malgrado non fosse proprio un frequentatore abituale della cucina orientale, la cena gli è piaciuta (menomale, il ristorante l’avevo indicato io), e poi la conversazione ha lasciato velocemente la letteratura (lo preferisco, a me i libri piace leggerli, non parlarne, e nemmeno m’interessano mai gli aneddoti sugli autori, i premi e le combriccole), per vagare piacevolmente verso altri lidi, così da sorprendermi nello scoprire un filosofo cosmopolita catanese, che è vissuto in varie città del mondo, acceso tifoso della Roma, intesa come squadra di calcio. A quel punto leggere il libro e avere voglia di fargli delle domande per questa nostra consueta intervista, è stato naturale. Quando lo leggerete anche voi, tenete a mente quello che vi dico, Il tornello dei dileggi è un libro che non è davvero finito fino a quando non hai girato l’ultima pagina e corre verso quel finale con l’obbiettivo di trascinare il lettore attraverso un gioco meta letterario e per molti versi ingannevole, che si rivela appunto nel finale. Con una lingua piegata a una lieve e giocosa sperimentazione che è forse il segno più evidente che si tratta del lavoro di uno che – passando dalla saggistica alla narrativa – si è voluto divertire con le possibilità espressive offerte dalla narrazione. Ed ecco quindi le domande e le risposte.
Prima di tutto, incuriosisce il titolo, non banale e un poco incomprensibile, Il tornello dei dileggi, rappresenta bene il tuo modo di affrontare la narrativa, giocando con le parole, ma di che cosa si tratta esattamente?
Ringraziandoti per la domanda perché mi dà possibilità di svelare quale doveva essere, a mio parere, il titolo originale: Voglio vedere dalla finestra la Mole Antonelliana. Un titolo alla Wertmuller, come mi ha detto giorni fa il mio maestro in area psicologica, Riccardo Mondo. Tolta questa divagazione, vengo al dunque: è merito dell’editor, dell’agente letterario e dell’editore, che hanno trovato nel romanzo il riferimento al format “Il tinello del dileggio”, fondato anni fa dal visionario Andrea Pennisi, che mi coinvolse. Era una citazione, è diventato un capitolo e trasformando il nome è diventato titolo del libro e c’è un perché: la necessità di un meta romanzo è stata indispensabile, per raccogliere tutti quei ‘fatti’ inseriti nel romanzo stesso che ha le sembianze di un tornello da stadio. Proprio come funziona il tornello allo stadio, che non funziona mai!
Ovviamente, inevitabile, la seconda domanda è: chi te lo ha fatto fare di passare dalla forse un poco scomoda posizione di filosofo a quella probabilmente ancora meno comoda di narratore?
A dir il vero non c’è una motivazione specifica. Da sette anni raccoglievo esperienze ed esempi socio culturali; sono catanese, ma ho vissuto a Palermo, Torino, Firenze, Biella, Eastbourne e Bødo (sua maestà il caso: dove la mia Roma ne ha prese 6), per concludere che si è tutti diversi, ma si è fortemente uguali nelle reazioni rabbiose, di gelosia, di follia e di depressione. Questi pensieri riportati su fogliettini, in rigoroso ordine temporale, li ha letti il fraterno parente/amico Piero Lipera che esordì dicendo: “Ti si conosce come saggista e non poche polemiche hai suscitato con la tua tesi del nichilismo cognitivo, e non dimenticare che nel 2017 fino alla fine rimanesti in corsa al concorso nazionale di Filosofia “Le figure del pensiero”, dove il podio d’argento fu tuo… dietro a un mostro sacro: perché non provare a scrivere un romanzo sulla poligamia?” Anni dopo, non ci pensavo proprio, ne parlai con il mio nuovo agente letterario, che mi disse: c’è da crederci, ma tu devi crederci, perché tu sei scommessa per tante cose. Puoi piacere e infastidire o solo infastidire o solo piacere, ma quel cogliere lo stile di un saggista nella narrativa potrebbe apparire sorprendente. Così mi sono imbattuto e dopo sette anni, totali, è uscito per i tipi di Arkadia e la posizione scomoda è subito giunta: conigli (a proposito di ruggiti, n.d.a.) che hanno uscito gli artigli per far sapere a me che apprezzavano il mio dirottamento verso la narrativa per poi dire ad amici, miei, che solo un matto poteva sperimentarsi in un salto così rischioso. Ci sono rimasto e per i valori umani in cui credo e per la fanghiglia che ho difeso a spada tratta in altri contesti e di questa, uno che, quanto a manipolazioni io faccio un lavoro che le riconosco, mi pare sia un bravo professionista: ti tartassa di chiamate per ottenere velatamente la certezza d’esser primo ovunque. Così da guadagnarsi la vita eterna!
E pure la terza mia domanda non brilla per originalità, ma è doverosa: quanto c’è di te nel protagonista, Paolo, e nella vicenda che racconti? Lo definisci “consulente filosofico” e chi ti conosce sa che sei molto impegnato nel sociale a Catania…
Di me in Paolo c’è solo che è tifoso della Roma e che ama Montella (Vincenzo), che giocò e allenò l’unica squadra della Urbe; allenò il Catania e la Fiorentina e Paolo che è un consulente filosofico, miscela queste tre squadre nel nome di questo grande calciatore che in un derby capitolino gliene fece 4 alla squadra della regione dove si trova collocata la Urbe. Quanto alla questione del sociale, è un paradosso che subisco: supporto i fragili, proprio come ti ho detto prima, ma quando questi escono vanità e carognaggine, mi spiace molto, perché noto che il mondo ha difficoltà a modificarsi: per chi? Per queste persone che hanno da ridire sempre su tutto. Loro sono i migliori: ma se tali sono perché chiedono favori? Io li ho fatti, e sin dove potrò li farò ancora, stavolta magari per fomentare e alimentare lo squallido che c’è in diversi ipocriti.
La critica al mondo dei talk show televisivi è anche una critica alla società dei media in sé? Sarebbe più sana una società senza televisione o social network, e in ogni caso è possibile, oppure il nostro destino è ormai quello di conviverci e semmai lagnarsene?
La critica al mondo dei talk show è mirata come metafora. Partendo da quello che è diventato il titolo del libro, dunque la variante sul format, Il tornello dei dileggi, tutto gira attorno al dileggio, è preparato a tavolino, e reale rimane questa preparazione. Diversi sono i talk show che la stampa d’inchiesta ha svelato; ma metafora è anche quando la società finta perbenista, nonché figlia del malessere interiore, cerca riscatto nel peggio. Nel romanzo ad esempio c’è Adriana che aggredisce Paolo dicendo che la cosa migliore è “Stare nel luogo giusto, sempre, sennò sei fuori dal giro; e il luogo giusto è quello dove ci sono tutti, non importa se ti dileggiano”. Ma come è dentro al giro, al posto giusto, Adriana non se lo chiede? No! Perché è vittima di una solitudine che si è creata… stando, appunto, nel ‘mondo giusto nel momento giusto dove non ci si perde perché ci sono tutti’. In breve: un po’ come asserivano i Francofortesi, nella tesi della ‘Folla solitaria’. Dunque anche in buona fede una critica alla necessità del sociale, che, mio malgrado vado contro alcune “mie” categorie professionali, la sociologia e la psicologia, affermano indispensabili: nulla di più errato! Se uno vuole andare in giro per casa sua e godersi la sua cagnolina e la domenica andare allo stadio senza avere rapporti, non è detto che imploda in ansie e panico, basta pensare che molte volte le cause ansiogene e depressive sono esogene e causate dai rapporti sociali. Quanto al destino che i media contemporanei possono imporre, beh la popolarità riescono a darla a tutti: anche a chi comunica verità scomode e per tal motivo viene vessato, minacciato e attaccato, pertanto ben vengano, ma si risveglino le coscienze. In modi poco ortodossi: bisogna pulire il mondo dei maestrini in tutte le categorie dove loro operino. Chi asserisce con certezza e dati fondati, non può essere attaccato e per di più ricevere il seguito di un gregge che gli si oppone, perché poi sei costretto a portarli in tribunale e ti devi o scontrare con giudici (GIUDICI: cioè uno che giudica te!!!) o godere del trionfo che non eri tu a sbagliare.
Il lettore leggendo il tuo romanzo penserà che si tratta di una storia d’amore, l’amore in crisi, quello tra Paolo e Giovanna, l’amore nascente, quello per Adriana, si sbaglierà?
Il gioco della meta narrativa, può creare basi per ambedue gli… errori.
Tante le citazioni, da Battiato (e ce l’aspettavamo – forse per via di Catania) a Giovanni Lindo Ferretti (Cccp e Csi, ecc.), che ruolo hanno nella storia?
Battiato è il mio cantautore preferito e ho regalato alcune sue citazioni attinte da canzoni a diverse ambientazioni, non c’entra il fatto che sia della provincia etnea; Quanto a Ferretti e carriera con band e solitaria, si, quello che ho ripreso rientra fortemente in un ruolo determinante. Le parole di Giovanni Lindo Ferretti sono mitragliate e al contesto del romanzo si accostano bene: non si può rimanere fermi in posizioni politiche se qualcosa scuote i nostri interessi dalla parte opposta. Dunque non è vero che il male assoluto è sempre e solo di un colore. Ferretti era indispensabile.
Come hai scritto il romanzo? Quanta attenzione hai dato alla lingua della narrazione, alle battute dei dialoghi?
Ecco la domandona. In verità ho scritto a ruota libera. L’editor mi ha aiutato a far ordine. Però inevitabilmente desideravo sperimentare: sintassi, ipotassi, paratassi. Mozzature, capriole e sospensioni, con una meta narrazione che non ti fa perdere il filo. Non so se sono riuscito nell’intento. Quanto alla lingua della narrazione mi andava di divertirmi, giocare, creare neologismi, ribaltare la linearità del soggetto, verbo, predicato, asfaltare, togliendoli, i soggetti! Questo ho fatto. Comprendo che può dare pure fastidio, specie ai dotti della scrittura, specie i contemporanei, quelli che ogni anno concorrono a premi prestigiosi, per poi versare tonnellate di defecatio perché il segnalante arriva dove può!
“Le idee, quelle mi fanno paura di te. Le idee” dice Adriana a Paolo. Tu hai mai avuto paura di un’idea?
Certo che ne ho avuto paura: ad un certo punto della mia vita ho incontrato, non personalmente, uno che si chiama Pallotta che diceva di avere un’idea chiara e che avrebbe portato a termine in breve: rendere l’ A.S. Roma prima squadra al mondo, con stadio personale etc etc. Questo signore, l’ha affondata la Roma! Ma ancora, io temo le idee di chi si dichiara di una sponda politica condannandone un’altra per portare cosa e quale novizia e nuova qualità? Non lo so… tutto sembra uguale, non vedo migliorie. Dunque le temo, e me ne sto alla larga.
C’è nel libro anche la passione per lo sport, anzi più precisamente per il calcio, anzi di più, per la squadra della Roma. Come si conciliano la ricerca filosofica, la narrativa e il tifo?
Preciso che la Roma è in tutti i miei libri, dipinti, spettacoli, performance: senza Roma non avrei approfondito mai la ricerca filosofica personale e individuale; non avrei mai fondato una tesi che poi gli addetti ai lavori battezzarono col nome di “Nichilismo cognitivo” prima, e “Pessimismo ragionato”, secondariamente. Anche per la narrativa vale lo stesso discorso: se non c’è Roma non c’è scrittura che tenga. Vorrei anche ricordare un’altra precisazione in merito al calcio: ho il cuore diviso in due, tanto da dichiararmi ‘giallorossazzurro’, perché tifo anche per il Catania, nonostante sia drammatico vivere la realtà che proprio le due tifoserie non si amano per nulla.
Nel romanzo veglia e sonno, realtà e sogno, sembrano mescolarsi tra loro. Quello che hai scritto è un viaggio onirico?
L’importante è che non sia sonno… ahahha. Si mescolano sì! Potrebbe essere un viaggio onirico, forse un incesto, forse un’allucinazione, forse un’estasi figlia di un trionfo sportivo, forse tutto… forse che anche in questo caso ho voluto lasciare aperto il romanzo e come dettomi dalla candidata allo Strega Mearini: C’è poesia e tanta, c’è novità della lingua scritta e c’è un mistero enorme.
Luce e ombra. “Il tornello dei dileggi” il romanzo di Salvatore Massimo Fazio
Tanti personaggi, ciascuno con le loro storie e inseriti all’interno di contesti diversi. I numerosi punti vista però nel finale diventeranno uno, con la scoperta di un nuovo senso esistenziale. È questo Il tornello dei dileggi dello scrittore siciliano Salvatore Massimo Fazio, pubblicato da Arkadia nel 2021. Dopo anni di saggistica, filosofia e giornalismo, l’autore giunge a questo primo romanzo di circa cento pagine, dove amarezza e felicità, divertimento e riflessione vanno di pari passo. “A Catania sentirsi straniera nella propria città. Ma Adriana è fuori posto ovunque, dice di sé allo specchio, in un mattino di terrore e scirocco. Esplodono i cassetti perfettamente ordinati nel computo dei quaranta e più anni e degli uomini, a volte appaganti a volte meno, tutti in un fiat, passati da alba a flagello.” Ecco l’incipit del libro, in cui emerge lo stile dello scrittore, a tratti poetico, sicuramente non comune, dove emerge una penna in grado di unire narrazione letteraria a un modo di raccontare filosofico. D’altra parte Salvatore Massimo Fazio è un filosofo, per la precisione nichilista e affezionato a Cioran. In parte questo lato emerge nel volume, coi personaggi immersi all’interno dell’ineluttabilità della vita, dove a volte regna un sottile nonsense, che può essere piacevole, ma anche, in certi casi, malinconico. Per questo regna dall’inizio alla fine del testo questo dualismo tra luce e ombra, sorrisi e mestizia, dualismo che realmente fa parte delle nostre vite e sta a noi decidere come viverle, che aspetto dargli, lasciandoci scivolare addosso gli eventi e le emozioni negative. È vero, in parte questo romanzo è nichilista. Nel finale, però, che naturalmente non posso svelare, un senso all’esistenza lo si trova ed è veramente inaspettato.
Romanzi corali, thriller storici, gender gap, lingue immaginifiche, il ritorno del conte philosophique (sicuri che se ne fosse mai andato?), attualità, Medioevo e perfino un fototesto dedicato alla geografia creativa di Antonia Pozzi: la lista delle buone letture per Natale in dieci titoli. Il pranzo narrativo è servito.
1) LAURA PARIANI, QUANDO DIO BALLAVA IL TANGO (LA NAVE DI TESEO)
Guai contraddirli, guai farli inciampare nei propri lombi, guai dargli figli che li disturbino.
E le donne? Alle donne, che restano sempre, va il compito di far continuare la vita. Così, resistendo, costruiscono il mondo – in cui altri uomini partiranno, scapperanno, moriranno, scompariranno.
“Una persona può cambiare vita, casa, amore, però anche se ti spogliano di tutto rimane qualcosa che sta in te da quando impari a ricordare, cioè molto prima di aver l’età della ragione: il midollo di un altro modo di vivere”.
Nel tempo in cui un pezzo di Italia si riversò oltre l’Oceano per diventare Argentina, le donne sono i connettori nel discorso, la parola e la memoria dell’amore che è stato spezzato: di generazione in generazione, di qua e di là del mare. Sedici sono, le loro storie intrecciate dentro questo romanzo corale: ogni vita riverbera di ciò che è stato prima, e in quello che manca si annidano nostalgia e rimpianto. Sul lungo corridoio della Storia, si aprono le porte delle loro esistenze minime, gravide di ricordi ma mai ricordate. Una madre senza figli, una figlia senza padre, una bisnonna senza patria. E ancora: una, diventata moglie per procura, un’altra abbandonata incinta a sedici anni, una infine sedotta da uno zio, un’altra ancora sposata all’assassino di suo fratello. La loro voce sale dalle pagine di questo romanzo, rimasto per troppo tempo fuori dagli scaffali ed ora ristampato da La Nave di Teseo: epico, ardente, magistrale.
Sulla materia feroce di cui sono fatte la famiglie, sul fascismo domestico, sull’incapacità di comunicarsi come umani, sulle mille infinite compromissioni necessarie per sopravvivere, sulla reale possibilità di essere inclusi in una società altra, sull’essere altrove, sul perdere sé per l’idea di un mondo diverso: a questi temi universali guardano i cardini di questo libro. E per ognuno c’è un tango.
2) ROBERTO CONTU, LA TIGNA (CASTELVECCHI)
Ma suona, la campanella del primo giorno di scuola, anche per quelli che a scuola non ci andranno, perché le loro vite di studenti stanno deviando verso un territorio che non è più contenuta dentro la scansione di ore e materie: Luca, Francesco (il primo amico), Benedetta (fidanzata di Francesco).
Roberto Contu sceglie un tema di difficilissima attualità: di ragazzine improvvisamente madri non usa molto parlare, eppure la maternità precoce è, in questi ultimi vent’anni, una realtà in cui la scuola inciampa sempre più frequentemente. Lungo i bordi di quel momento di prima, bruciante solitudine determinata dalla necessità di scegliere si muovono tutti i personaggi di questo romanzo in cui la scuola è la filigrana della società, e tra gli attori protagonisti c’è anche il senso profondo della letteratura.
“… dopo quel baratro la possibilità del bene comunque persiste, rabbiosa, tignosa della tigna più pura, che il solo poter contemplare l’idea di quel bene, di quella luce, di tutta quella vita, quello è il vero finis terrae del senso umano. Arrivare fin là, inoltrarsi fino a quella vertigine proibita, oggi, è umanamente inaccettabile per tutti, non è credibile, di più: per chi ha il dono dell’intelligenza può sembrare ingiusto, perlomeno stupido. Eppure, o la letteratura ha il coraggio di osare oltre quelle colonne d’ercole, e con lei la vita, la sua vita, la mia vita o allora sì che si diventa irrilevanti, allora sì che davvero si muore: ma non si muore, preside, no che non si muore, la domanda più assillante che dovrebbe assillarci non è perché si muore, ma perché si vive”.
Una storia di crinale: di vite in trasformazione, di domande complesse, di campanelle che suonano, di quel momento in cui si comincia a tracciare la propria consapevolezza nei ruoli dell’esistenza. Roberto Contu ha il fegato di interrogarsi, oggi, sul senso della felicità e, soprattutto, di non calcare la via del buio: le sue pagine sulla sintropia sono il miglior oroscopo che ci si possa augurare per ogni possibile domani.
3) PAOLO COGNETTI, L’ANTONIA (PONTE ALLE GRAZIE)
Paolo Cognetti entra, da scrittore e amante della montagna, nell’archivio di quella vita, sceglie versi, lettere e immagini e li ricuce lungo la spina dorsale dell’esistenza di Antonia Pozzi. Ne esce un ritratto vivido, dall’interno, fatto di slanci e ramponi, di amicizie e speranze, di amori segreti e ardenti: L’Antonia bruciata dal sole di agosto dopo una camminata, in cordata con Emilio Comici, innamorata del suo insegnante di latino e greco, al rifugio Mezzalama quota 3036 metri, che sogna di diventare madre (o di morire), che aspetta gli amici dell’università, che osa dare le sue poesie in lettura al suo relatore ma poi si pente. L’Antonia dei versi infiniti.
Io fui nel giorno alto che vive oltre gli abeti, io camminai su campi e monti di luce – Traversai laghi morti – ed un segreto canto mi sussurravano le onde prigioniere – passai su bianche rive, chiamando a nome le genziane sopite – Io sognai nella neve di un’immensa città di fiori sepolta – io fui sui monti come un irto fiore – e guardavo le rocce, gli alti scogli per i mari del vento – e cantavo fra me di una remota estate, che coi suoi amari rododendri m’avvampava nel sangue –
Nevai , scrive Cognetti, è “poesia di scialpinismo”, di fiori e di neve, di quelle particolari risonanze emotive che, nella vita di Antonia Pozzi, rivelano l’intensità del suo sentire. Quanto questo sia stato frutto dell’andare (tra città e montagna, tra solitudine e amore, tra pianura e ascesa) emerge in queste pagine di silenzio, di verticalità, di intensa poesia.
4) GRAZIANO GALA, SANGUE DI GIUDA (MINIMUM FAX)
Non si può non volere bene a Giuda. Però non è che lo si capisca da subito (del resto, sarà per qualcosa che lo chiameranno in quel modo, no?).
Perché Giuda è strano. Parla coi santi, parla coi gatti, parla con le pietre. Parla con le stanze della casa, che sudano e si muovono. E c’ha quella fissa di Pippo Baudo, unica divinità catodica in grado di placare lo spirito tremendo di suo padre, sempre pronto a uscirsene dalla credenza per riempirlo di botte.
Così ci vuole che si aprano le porte della casa, che il gatto Ammonio dica la sua, che il furto del vecchio televisore Mivar vada al posto che deve nel progetto che altri hanno per la vita e la casa di Giuda, che il paese cominci a rivelarsi per quello che è. E, insomma, piano piano, certo che si capisce, cos’è, quell’innominabile tradimento collettivo che gli ha strappato di dosso perfino il nome, segnando il suo destino sociale.
“Accà stavano tutti ‘ncazzati, e non cu unu a caso: accà stavano tutti ‘ncazzati cu mme. Che novità, penso: è na specialità de ‘stu paise cercare nu capro espiatorio e io, belati a parte, so’ proprio preciso per il ruolo”.
Scritto in una lingua insieme arcaica e immaginifica, fatta di terra, di lividi, di sole feroce, di ferita e di bruciante pietà. È prosa, ma suona in versi. È dialetto, ma di nessun luogo. È amaro, grottesco, paradossale. E tremendamente realistico.
5) CAROLINE CRIADO PEREZ, INVISIBILI – COME IL NOSTRO MONDO IGNORA LE DONNE IN OGNI CAMPO. DATI ALLA MANO (EINAUDI)
Oppure. Fate un gioco con voi stessi: prendete un foglio di carta e scrivete il nome di un robot della vostra infanzia. Estendete l’esperimento a chi vi sta intorno: quindi confrontatevi mentre, contemporaneamente, potete cominciare a interrogarvi se sarà proprio un caso che alla parola “persona” venga associato in prevalenza un immaginario maschile. Possibile che questo immaginario non condizioni il modo in cui costruiamo la nostra realtà e la abitiamo?
“La storia del genere umano. La storia dell’arte, della letteratura, della musica. La storia dell’evoluzione. Ci sono state presentate come fatti oggettivi, ma in realtà nascondono un inganno, giacché sono distorte dalla mancata percezione di metà del genere umano, e persino dalle parole che vorrebbero esprimere quelle mezze verità. Una mancata percezione che ha creato vuoti informativi, che ha alterato ciò che pensiamo di sapere su noi stessi e alimentato il mito dell’universalità maschile. E anche questo è un fatto”.
Per il Times il lavoro di Caroline Criado Perez è “un libro potente e provocatorio”. Letto dopo due anni di pandemia, una crescita spaventosa di femminicidi e un aumento della disoccupazione femminile, viene da chiedersi se, più che di provocazione, non si tratti piuttosto di una lettura della nostra realtà dannatamente lucida. Criado Perez parte dall’assunto che la mancanza di dati di genere comporti di necessità una lettura e una progettazione distorta della realtà.
Per esempio. Lo sapevamo che i crash test prevedono “di norma” l’utilizzo di manichini modellati sul corpo maschile? Che la ricerca medica è basata su campioni “di norma” prevalentemente maschili? Che la tecnologia (persino la grandezza e il peso dei cellulari che usiamo) si modella “di norma” su esigenze di corpi maschili? E ci sarà relazione tra questi assunti e il fatto che negli incidenti stradali muoiono più donne, che patologie ed effetti collaterali femminili non vengono riconosciuti (se non come eccezioni), che persino il riconoscimento vocale funziona il 70% meglio con le voci maschili?
Dal lavoro di cura non riconosciuto (interessantissima la parte in cui viene spiegato come nasce il Pil), all’organizzazione di tempi e spazi (rivelato infine il mistero del perché ai bagni delle donne c’è sempre la coda), fino ai libri scolastici, ai videogiochi, a film e cartoni animati: 450 pagine per tastare i confini di un enorme rimosso collettivo.
6) SUSANNA CLARKE, PIRANESI (FAZI EDITORE)
Che cos’è, dunque, la Casa? Luogo di solitudine disumana. Confine sull’abisso. Perfetto limite in equilibrio tra desiderio umano ed elemento naturale. Metafora di conoscenza. Immagine di alienazione.
Vestiboli, scalinate corrotte, maree che improvvisamente inondano e possono essere fatali: dentro il labirinto, Piranesi è un Minotauro che ha smarrito la memoria di sé. L’Altro si presenta due volte alla settimana: vuole il racconto delle ultime scoperte della Casa, chiede conto, porta qualche regalo per la sopravvivenza minima.
“Una volta trovata, la porta è sempre con noi. (…) Bisogna tornare nell’ultimo luogo dove si viveva prima che il pugno di ferro della razionalità moderna afferrasse le menti degli uomini”
È la parola scritta a tenere ordine: Piranesi rinomina il mondo come un dio esiliato, tiene nota di ogni minima variazione, indicizza i discorsi che fa con l’Altro, stabilisce un calendario di movimenti in base ai pericoli che il mare muove alla Casa. Così è quando una mano sconosciuta traccia nelle stanze parole nuove, che l’equilibrio si incrina, svelando a Piranesi ciò che a lui stesso era stato occultato.
Un fantasy? Forse, meglio, il ritorno in grande stile del conte philosophique: enigmatico e appassionante.
7) BIANCA PITZORNO, SORTILEGI (BOMPIANI)
In tre racconti, una parabola sul sortilegio come elemento scardinante: una bambina troppo bella e troppo intelligente che sopravvive da sola senza la famiglia; un uomo che si innamora delle orme di una donna senza averla ancora vista; un profumo di biscotti che attraversa il mare e riempie di desiderio e sconvolgimento tutti quelli che incontra per strada, senza che li abbiano assaggiati.
Nello spazio della mancanza (la protezione della famiglia, il corpo della donna, la mano che sforna i biscotti di vento) si formula il destino, ed è sempre la parola lo strumento del cambiamento.
“Simil delitti non si scuoprono mai se non per qualche accidente, essendo delitti commessi invisibilmente e diabolicamente”
Dal Seicento al Novecento, tre secoli di incantamenti tra Toscana Sardegna e Argentina: di come l’ignoranza, per incredulità e malizia, possa cancellare la più innocente delle vite; di come l’innocenza possa trasformarsi nella più potente delle alleate e nella più fredda delle nemesi; di come il ricordo costituisca il più radicale, consolatorio, travolgente incantesimo.
Storie da un medioevo interiore per un gioiello a tre punte.
8) LUISA GASBARRI, IL MALE DEGLI ANGELI (BALDINI+CASTOLDI)
Tre donne, tutte uccise dal fuoco: belle, giovani, orribilmente sfigurate.
Per Sara Wolner non si tratta dell’effetto di tragici incidenti; qualcosa risuona nella sua testa come l’emersione di una ritualità nascosta. Quando, tra Svizzera e Germania, ottiene di poter indagare, comincia a ricomporsi la memoria di una storia oscura e scomoda.
“Il fuoco e il dolore condividevano in fondo la stessa natura: stabilivano un’incommensurabile distanza tra sé e il mondo”
Vril, si chiamava, la setta femminile dedita al viaggio iniziatico della trasformazione, che intrecciò con Hitler e il nazismo un rapporto esclusivo, ambiguo, potente. Dunque quello con cui Sara si trova a fare i conti è qualcosa di più di un dubbio: se le Vril non fossero scomparse insieme al rogo del Reich? Se qualcuno (qualcosa) stesse dando loro la caccia nei quattro cantoni d’Europa?
Un thriller che si muove nel tempo, teso e inquieto.
9) SALVATORE MASSIMO FAZIO, IL TORNELLO DEI DILEGGI (ARKADIA EDIZIONI)
Lui fa il consulente filosofico, della parola fa tormento e salvazione, la sua vita è in costante crisi, di Giovanna non vuole più sapere, ogni singolo anelito spira per Adriana.
Poi c’è il tempo di Adriana: tempo altalenante e manipolato, di volontà non coincidenti, di tentativi e ritrosie improvvise. È il tradimento compiuto, dice Paolo: quello da cui non si torna indietro.
Infine. Infine c’è Giovanna.
“Trasformati dove vuoi, con chi vuoi, ma trasforma le presenze, gli indugi e le tensioni. Ci sono altre vite qui. E mancano. Se non ti trasformi, resisti e vivi. E se resisti e vivi non è detto che non anneghi”.
Catania è il proscenio delle vite, delle nevrosi, delle mode, della dialettica infinita, del calcio come religione e diversivo, dei locali, delle notti di caldo totale. Nulla, però, è come appare. E il tornello dei dileggi è insieme giostra e gogna, finzione e infinita impostura.
10) MATTEO TREVISANI, LIBRO DEL SANGUE (EDIZIONI DI ATLANTIDE)
Di che sostanza è fatto il tempo? Forse il tema più profondo, la vera domanda che questo libro ci rivolge, è proprio questa interrogazione: mistica e in qualche modo anche magica.
C’è una sorta di tensione arcaica nel modo in cui Matteo Trevisani arriva a muovere un materiale immaginario che lavora sugli strati più profondi del nostro essere umani. Quanto di ciò che è passato prosegue in noi e si riverbera su ciò che sarà e che saremo? A questo rispondono genealogia e araldica: soprattutto quando si tratta di intervenire su una maledizione.
“C’è una ricchezza in ogni linea di sangue (…) e tutti dovrebbero poter sapere quanto lontano affonda la propria esistenza. Da quanto lontano arrivano. Vedrebbero il mondo con occhi diversi”.
Così quando Matteo si presenta a casa di Alvise, non sa che da lui acquisirà non solo il sapere e il mestiere, ma anche un modo totalmente diverso di stare tra immanenza e impermanenza. E quando riceverà via mail da un mittente sconosciuto il proprio albero genealogico, completo della data della sua stessa morte, avrà una settimana di tempo per riconnettersi al proprio passato, e per capire il vero senso di un monstrum che sembra non essersi mai pacificato.
‘IL TORNELLO DEI DILEGGI’, PRIMO ROMANZO DI SALVATORE MASSIMO FAZIO, FILOSOFO NICHILISTA
GIOVEDì 11 NOVEMBRE E’ USCITO
‘IL TORNELLO DEI DILEGGI’
IL PRIMO ROMANZO DI SALVATORE MASSIMO FAZIO
ARKADIA EDITORE in collana ECLYPSE
“Il tornello dei dileggi” (pp. 106, € 14,00, Arkadia 2021) è il debutto alla narrativa del filosofo, saggista, giornalista, pittore, Salvatore Massimo Fazio. Il romanzo punta a sconfessare i modus operandi che certune specie, appellati come esseri umani, praticano nella loro vita: sport, lavoro, istruzione, politica, sentimenti, pur d’apparire a danno di altri, che umani lo sono, ma più fragili e che sono il vero motore della società. Gli oltraggi della relazione che i due protagonisti, definiti ‘puri’, Paolo e Adriana, si scambiano, sono figli di stress causati da viscidi repressi, frustrati, malvagi ‘sviolinatori’, raccomandati da un sistema che marcia in autonomia, ma con le parole di Fazio, queste canaglie iniziano la discesa verso il loro personale successo: una cloaca di deiezioni intinta a propria immagine e somiglianza, la loro prole! L’autore, così passa da quel ‘pessimismo ragionato’, di cui è fondatore, alla pratica della restituzione: leggendolo si ride a crepapelle, ma riflettendo molto. Impegna un nugolo di personaggi i quali, sfiniti dai continui capovolgimenti di fronte si troveranno alla fine a chiedersi chi siano in realtà; metterà con le spalle al muro i manipolatori “meschine canaglie”, spiegando attraverso i dialoghi tra i due protagonisti e tra quattro attori di un format, Il tornello dei dileggi, le motivazioni del loro comportamento fino a giungere ad una conclusione inaspettata, degna della prima professione dell’autore: è uno psicopedagogista. Fazio approda alla narrativa con struttura e stile nuovissimi, forse eredi di quella chirurgica scrittura del saggio e non del saggista, che nei quattro giorni a seguito della pubblicazione, del Tornello è stato richiesto il rifornimento in diverse regioni italiane. Chi è Fazio? Una miscellanea tra Kafka, Marai, Brecht e Kundera? “Interessanti tutti, ma continuo a preferirgli due Francesco: Permunian e Totti”. Sorprendente!
L’autore
Salvatore Fazio detto Massimo è nato a Catania nel 1974. Scrittore, filosofo, giornalista, agitatore culturale e pittore, collabora con il quotidiano nazionale “La Sicilia”, il web magazine “SicilyMag” e il mensile catanese “Paesi Etnei Oggi”. Nel 2014 ha fondato il blog “Letto, riletto, recensito!”. Esordisce nel 2005 con I dialoghi di Liotrela. L’albero di Farafi o della sofferenza, scritto assieme al poeta Giovanni Sollima. Nel 2009 pubblica il pamphlet Villa regnante. Nel 2011 esce il libro che lo ha reso noto al grande pubblico, Insonnie. Filosofiche, poetiche, aforistiche. Nel 2016 firma il saggio Regressione suicida. Nel 2019 è presente nell’antologia Catanesi per sempre e, nel 2020, in Siciliani per sempre. Detesta gli ipocriti dei quali dice: “discepoli di forme distruttive, peggiori delle mafie, il loro volto è biglietto di presentazione”.
Arkadia Editore è una realtà nuova che si basa però su professionalità consolidate. Un modo come un altro di conservare attraverso il cambiamento i tratti distintivi di un amore e di una passione che ci contraddistingue da sempre.