Marguerite Duras e Yann Andrea. Un racconto di Romina Casagrande da Ammatula#3
Marguerite Duras e Yann Andrea. Un racconto di Romina Casagrande da Ammatula#3
ROMANZO. Ispirarono Egon Schiele
Quando le donne sanno dominare
Classe 1977, insegnante di Lettere nei licei, Romina Casagrande firma un romanzo la cui trama ruota attorno al quadro La famiglia, dipinto a Vienna nel 1918 da Egon Schiele, artista dissacrante ed enigmatico. Una storia dominata da figure femminili potenti: quella di Edith Harms, la giovane moglie del pittore che porta in grembo un figlio che forse non nascerà mai, e Wally, affascinante e maliziosa. Sono loro a ispirare l’opera di Schiele, che lavora febbrilmente in una stanza colma di bozzetti che immortalano i ricordi di una vita. Con tratto ispirato e sicuro, l’autrice accompagna il lettore in un viaggio nell’universo creativo dell’artista austriaco, un crogiuolo di idee, carne e sentimenti.
Fabio Marcello
MERANO. Se a Merano c’è un luogo che ha a che fare con la magia, questo è sicuramente l’ex minigolf, da ormai due anni in gestione al circolo Est Ovest, che in questa cornice organizza incontri di musica e letteratura.
L’altra sera è stata la volta della scrittrice meranese Romina Casagrande, giunta alla pubblicazione della sua ottava opera letteraria. Se al suo esordio i luoghi e le ambientazioni prediletti dalla scrittrice erano legati al nostro territorio, con l’ultimo romanzo (“Le ragazze con le calze grigie”, per i tipi di Arkadia editore) Casagrande sembra avere imboccato la strada della letteratura narrativa ispirata a personaggi storici.
Dal suo esordio letterario nel 2011 con il romanzo di fantasia “Amailija”, Romina Casagrande non si è più fermata, anche grazie a un successo editoriale che la colloca nella ristretta cerchia degli scrittori altoatesini di madrelingua italiana. Con ambientazione in luoghi misteriosi dell’Alto Adige, per la casa editrice Nulla Die è uscita la trilogia fantasy “Dreamland Forest” (2011), “Falling Down” (2012), “Morning Star” (2013), oltre a “Scenderà un’altra notte” (2015).
Nel 2014 la svolta, e l’attenzione rivolta alla vita dei pittori e delle loro amanti. In particolare con il romanzo “La Medusa”, opera che attinge nella vita del pittore Théodore Géricault, il quale nel 1819 raffigurò il naufragio della fregata francese Méduse al largo delle coste mauritane. Nel 2017 arriva il volume “Lontano da te”, nel quale al centro della trama narrativa c’è Ophelia, celebre quadro di John Everett Millais.
Due opere che in comune hanno il fatto che ad un certo punto i protagonisti sono chiamati a fare i conti con se stessi e con le ombre seminate nel corso della loro vita.
Laureata in lettere e già insegnante presso la Provincia di Bolzano, Romina Casagrande ha collaborato con diversi musei bolzanini, ma è proprio dallo studio di leggende e folklore legato ai miti e alle tradizioni della sua regione che provengono le coordinate dalle quali è nata la passione per la scrittura.
Jimmy Milanese
«Nell’arte non esiste immoralità»
Egon Schiele tra amori e scandali
Il romanzo
Non credere a quanto ti racconteranno Egon o Gustav, o i pittori come loro che parlano di vita e di verità. L’arte è finita. (…) E se non vuoi restare intrappolata nel loro gioco, devi tenerlo bene a mente: è un teatro, mille riflessi di specchi. Wally smise di chiederselo quasi subito se l’arte fosse davvero finzione o realtà, ma iniziò a chiedersi immediatamente se ciò che Egon Schiele le proponeva fosse amore vero o stupida illusione. Romina Casagrande, a cento anni dalla morte di Schiele, nel romanzo Le ragazze con le calze grigie prova a spiegarci la storia controversa degli amori di uno dei più importanti pittori austriaci, partendo da Wally Neuzil e arrivando ad Edith Harms, senza tralasciare l’oscura vicenda delle accuse di molestie e stupro nei confronti di una quattordicenne, sua modella. Modella come lo fu anche, fin dal 1911, appenna diciassettenne, l’intraprendente Wally, la quale non fu solo musa ispiratrice ma anche compagna di vita, e che alla fine della loro relazione partì come infermiera volontaria sul fronte balcanico, dove morì nel 1917. Attraverso le vicende umane e sentimentali, la Casagrande tratteggia con grande precisione di particolari anche la vicenda artistica di Schiele, i tratti essenziali della sua arte oggetto di critiche anche furenti da parte del pubblico, un’arte che suscitava scandalo e che, proprio per questo, affascinava, attraeva. I quadri di Egon venivano acquistati in gran segreto, il suo raffinato eppur esplicito erotismo – che si palesava con dei tratti netti, obliqui, finanche nervosi eppure estremamente armoniosi, proprio come lo era il suo sorriso – venivano ammirati di sottecchi; di lui si parlava come di un mistero umano insondabile, un mostro geniale e libertino, dedito al sesso tanto quanto alla pittura, che la gente del paesino d’origine di sua madre, Krumau, additava ogni volta che intravedeva lungo le vie assolate.
Le vette
La Casagrande ha reinventato la vita di Egon Schiele restituendoci, però, la verità dell’opera e i suoi intenti, e lasciandoci toccare con mano l’altrettanta veridicità dei suoi rapporti passionali. Se Wally fu la divina amante, il punto iniziale, il turbine dei desideri, Edith – giovinetta borghese che nel 1915 diventerà sua moglie, che porterà in grembo un figlio mai nato e che morirà di febbre spagnola, proprio come Egon, nel 1918 – sarà il punto di (non) arrivo, un cuore che batte di dedizione per il suo amato ma che forse non raggiungerà mai le vette toccate da Wally. «Non può esister immoralità nell’arte» disse Egon durante il processo per stupro a quanti chiedessero conto dei suoi quadri scandalistici. «L’arte è sempre sacra, anche quando ha come soggetto i peggiori eccessi del desiderio».
La tensione perenne che si respira nelle sue opere coincide con la tensione del suo sguardo, del portamento, delle sue idee incomprese. Arte e vita, per Schiele, coincideranno sempre alla perfezione.
Giulia Ciarapica
Raccontare la vita di Egon Schiele, che voleva essere il più grande pittore di Vienna. Raccontarla senza altre mistificazioni rispetto a quelle che la sua reale biografia, così incredibilmente simile a una sceneggiatura, lascerebbe ricamare punto per punto. Raccontarla attraverso un romanzo in cui l’io narrante non sia né onnisciente né prevedibilmente riconducibile all’artista, bensì ancorato all’esperienza di due donne di assoluta importanza per il suo percorso: Wally Neuzil – che dal 1911 (aveva appena diciassette anni) fu sua modella, musa e compagna, e che alla fine della loro relazione partì come infermiera volontaria sul fronte balcanico, dove trovò la morte nel 1917 – ed Edith Harms – la giovinetta borghese che il 17 giugno 1915 diventerà sua moglie, ne porterà in grembo il figlio mai nato e che, come lo stesso Egon, morirà di febbre spagnola nel 1918. Questa la scelta di Romina Casagrande, che nel suo Le ragazze con le calze grigie, appena pubblicato da Arkadia, guarda all’artista proprio da quegli occhi femminili tante volte ritratti su carta e su tela: occhi sbarrati di stupore, vaghi di piacere, socchiusi nel compiacimento di avere le attenzioni dell’allievo prediletto di Gustav Klimt.
Il romanzo, che si apre con un’epigrafe di Oscar Wilde evidentemente profetica – «Each man kills the thing he loves» – si divide dunque in due parti: la prima, Wally, è il racconto della relazione tra Schiele e Frauelin Neuzil, ragazza di campagna orfana di padre giunta nella grande e deludente città con la nonna, la madre e le tre sorelle; la seconda, Edith, è la storia dell’incontro e del successivo rapporto tra l’artista e la secondogenita di un benestante meccanico ferroviario, sposata più per convenienza che per vero amore e nondimeno predestinata a un drammatico ruolo ancillare. Entrambe le vicende sono raccontate a partire da un preciso momento: quello dell’agonia di Edith, ormai prossima alla fine, mentre Egon, nella stanza accanto alla sua, dipinge il “loro” quadro, La famiglia, l’ultimo del pittore e destinato a rimanere incompiuto. In questo clima ferale, di guerra e malattia, Wally è cadavere già da qualche mese, e la sua voce narrante proviene da un altrove non meglio specificato; Edith, da parte sua, vaneggia e ricorda, come una Madonna terrena che non partorirà nessuna salvezza.
Romina Casagrande non si è concessa “licenze poetiche”: lo spiega lei stessa in apertura, in una nota apposita in cui dichiara di avere operato una selezione nella moltitudine di pubblicazioni su Schiele e di essersi basata principalmente sulla sua biografia più recente e più completa, oltre che sui diari dell’artista e della moglie. In alcuni punti del testo, poi, l’autrice ha dato vita a una forma di “interpolazione creativa”, incastonando brani autografi, marcandone alcuni in corsivo e lasciandone in tondo altri, specie nei dialoghi, quasi una sfida ai cultori del pittore perché si mettano alla prova e si dilettino a riconoscerli. Per i meno ferrati sull’argomento, invece, in coda al volume c’è un curioso specchietto con brevi cenni sui Personaggi principali, nel quale gli aspetti documentali (precisione storica) e quelli teatrali (personaggi intesi come Dramatis personae) finiscono per sovrapporsi in un’unica indistinta percezione. Sullo sfondo di una Vienna tra fin de siècle e Belle Époque molto meno incantata e incantevole rispetto alle aspettative degli stessi protagonisti – che tuttavia la vivono e la animano con la speranza di trovare un senso felice nel mondo (Wally e Edith) o con l’ambizione di passare alla storia (Egon) – la vita del pittore si intreccia a quella delle sue principali muse con un andamento non dissimile rispetto alle linee che ne renderanno immortale lo stile grafico e pittorico: linee nervose e tormentate, linee violente e sensuali. Per entrambe le donne, il carisma dell’artista è croce e delizia, dominio di un ego a cui è impossibile opporre resistenza e che attrae a sé anche nello scandalo e nella sciagura: quella dell’accusa di pedofilia e pornografia (Wally), quella della guerra e della malattia (Edith).
Non ci sono ragioni per cui Le ragazze con le calze grigie non debba piacere agli appassionati di un pittore divenuto, nel corso degli anni, un vero e proprio fenomeno di culto (si pensi anche al biopic uscito nel 2016, Egon Schiele di Dieter Berner). A patto, forse, che questi non cerchino tra le pagine di Romina Casagrande quella febbre – metaforica e reale – che ne animò l’esistenza fino a consumarla. Nello stile dell’autrice non c’è nulla che richiami con vigore l’estetica dell’artista, nessuna forma di “espressionismo” immediatamente percepibile come tale; ma questo, per certi versi, è spiegabile proprio con le regole del gioco narrativo e della focalizzazione adottata, dal momento che la voce narrante non è quella di Egon, bensì quella delle due figure femminili più importanti della sua vita (se si esclude l’adorata sorellina Gerti, sul cui rapporto ancora aleggiano torbidi sospetti incestuosi); due voci che tendono addirittura a una certa somiglianza, al punto che chi legge non ha mai la piena percezione di uno scarto netto tra caratteri che nella realtà, anche per estrazione sociale e culturale, dovevano essere piuttosto differenti.
Al netto di tutta la passione provata da entrambe per lo stesso uomo, è proprio il filtro prospettico a giustificare una certa moderazione, quasi una smorzatura, dei toni e degli episodi che avrebbero prevedibilmente avuto un’altra resa se fossero stati raccontati dal punto di vista del pittore. Quello di Wally e di Edith, dunque, sembra essere proprio questo: il tentativo di comprendere ed esprimere a parole quello che solo l’artista sapeva proiettare al meglio sui fogli e sulle tele, quella visione di se stesso e del suo immaginario che non aveva bisogno del linguaggio verbale, ma di linee, forme e colori di inimitabile efficacia.
Cecilia Mariani
La vita e l’arte di Egon Schiele in un grande romanzo