Ferragosto, con il suo caldo torrido e la magia dell’estate al suo culmine, è il momento perfetto per immergersi nella lettura di un buon libro. In riva al mare, in montagna, sulle sponde di un lago o semplicemente rilassati sul balcone di casa, la scelta del libro giusto può trasformare questa giornata in un viaggio indimenticabile. La quiete dei luoghi di vacanza, il frinire delle cicale, il dolce suono delle onde che si infrangono sulla battigia, il fresco fruscio delle foglie tra i monti o il placido riflesso delle acque lacustri creano l’atmosfera ideale per perdersi tra le pagine di un romanzo avvincente o di un saggio, una guida ricca di curiosità, un volume di poesie. E allora, perché non approfittare di questo giorno di pausa per scoprire nuove storie e lasciarsi trasportare dalla magia della lettura? Ecco una selezione di libri per un 15 agosto all’insegna del relax e dell’avventura letteraria. E se poi la vacanza si protrae per più giorni, c’è ancora più scelta…
L’anno della garuffa di Anna di Cagno – Arkadia
16 marzo 1978: poche ore prima di Aldo Moro, Luca Barnaba viene rapito sotto gli occhi dei suoi genitori. Ha dieci anni ed è figlio di un famoso (e chiacchierato) costruttore di un’imprecisata città di un Sud minore, porto di sbarchi di sigarette di contrabbando. Monica, voce narrante, è amica “per forza” della sorella di Luca perché i genitori si frequentano. Una sera ascolta una conversazione tra il padre del bambino e un invitato e da allora il suo sguardo sul mondo degli adulti cambierà.
Due di noi di Camilla Rocca – Garzanti
La storia di due gemelle identiche, Alice e Viola, alle prese con il loro ultimo anno di liceo nella Milano degli anni Novanta. A unirle, un legame che loro soltanto sono in grado di comprendere e una promessa che si sono scambiate da piccole: «Non ti mentirò mai». Eppure crescendo qualcosa cambia, specie quando Francesco, all’ultimo anno di liceo, dice ad Alice, durante una festa, una frase che sconvolge la loro vita: «Per me, siete diverse». Un romanzo di formazione dal punto di vista di due sorelle per le quali “diventare grandi” significa soprattutto emanciparsi una dall’altra.
Tutto il bello che ci aspetta di Lorenza Gentile – Feltrinelli
La storia di Selene che non ha ancora trovato la sua strada, nonostante abbia già superato i trent’anni. Per trovarla, una notte d’estate fugge da Milano verso un paesino nel cuore della Puglia, il posto dove è cresciuta, immersa in una comunità spirituale, circondata dall’affetto degli amici e della famiglia. Qui Selene inizia a comprendere che a volte è necessario perdersi e sbagliare strada per trovare il coraggio di seguire i propri sogni.
Nostra regina dei burroni e delle mosche di Mimmo Sammartino – Exòrma
La protagonista è un’asina che durante la prima guerra mondiale, agosto 1916, si aggira sul campo della battaglia dell’Isonzo. In quei giorni perirono, tra le opposte fazioni, circa centomila persone. Lei, carica di grano e vettovaglie, marcia su crepacci e burroni, tra sangue e corpi mutilati, per portare conforto ai soldati affamati e insonni. Ma quando la caricano di fucili, obici e granate la nostra Regina pianta i suoi zoccoli a terra, non vuole trasportare strumenti di morte. Preferisce gli insulti e il nerbo sulla schiena. Sceglie la diserzione. Il libro è un elogio al valore della pazienza, della cura e dell’amicizia.
Ma i libri lo sanno di Roberta Corradin – Giunti
Due donne, anzi tre, quattro, cinque, o sette, nove, novecento, e corre voce sian già mille e tre. Tutte accomunate dalla morte di un uomo che hanno amato, e che le ha amate. Un uomo che amava la lettura e i libri. E li usava per fare breccia nel cuore delle donne. Ora che lui non c’è più, i suoi libri e la sua casa sono in pericolo. Renée e tutte le ladies si alleano ed escogitano un piano per salvarli. Un romanzo che racconta le cose da pazzi che possono fare le donne quando giocano in squadra, unite.
La donna che piangeva ai funerali di Wenyan Lu – Garzanti
In un piccolo villaggio della Cina settentrionale vive una donna che fa un lavoro insolito: piangere al funerale di perfetti sconosciuti. È talmente brava che tutti i presenti si commuovono alla vista delle sue lacrime. Pianto dopo pianto, scopre però che, dietro scuri tendaggi e bianchi crisantemi, ogni famiglia nasconde dei segreti; che, dietro la mite apparenza di mogli e madri silenziose, molte donne coltivano sogni e speranze. E quando emerge all’improvviso una rivelazione che ha a che fare con il suo matrimonio, sente il desiderio di credere di nuovo in qualcosa, di essere amata e soprattutto di versare almeno una lacrima che sia vera.
La ballata dei padri infedeli di Rosa Teruzzi – Sonzogno
La fioraia Libera, una sorta di Miss Marple milanese, è alle prese nuovamente con misteri tanto appassionanti quanto insondabili. Con lei la sua eccentrica mamma Iole supportate dalla giornalista di cronaca nera, la “Smilza”. Tornata dalla prima vacanza con il suo Gabriele, Libera è questa volta è alle prese con le ricerche di Hamma, uno spacciatore tunisino scomparso dopo una resa dei conti tra bande rivali. Sulle sue tracce in via ufficiosa, però, non ci sono solo loro, ma anche il rapinatore latitante Diego Capistrano, soprannominato il “Gatto con gli Stivali”, in passato amante – uno dei tanti – di Iole e che Libera sospetta sia suo padre.
Le donne della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani di Enrica Simonetti – Manni Editore
Il 10 dicembre del 1948 viene firmata la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, un documento sui diritti della persona adottato dall’Assemblea generale dell’ONU, alla base di molte delle conquiste civili del ‘900. Alla sua stesura contribuiscono otto straordinarie donne da tutto il mondo: Eleanor Roosevelt (Usa), Hansa Jivraj Mehta e Lakshmi Menon (India), Minerva Bernardino (Repubblica Dominicana), Begum Shaista Ikramullah (Pakistan), Bodil Begtrup (Danimarca), Marie-Hélène Lefaucheux (Francia), Evdokia Uralova (Bielorussia). L’autrice racconta il contributo che portarono alla Dichiarazione: l’attenzione all’ambito del lavoro, alle questioni di genere e al linguaggio sessista, all’infanzia, alle fasce più povere, ai diritti della donna nel matrimonio.
L’estate del primo bacio di Marilena Boccola – Oligo Editore
Sullo sfondo l’indimenticabile estate del 1982 e l’Italia campione del mondo. Maddalena ripensa all’adolescenza ormai lontana, quando andava in vacanza a Jesolo Lido con la famiglia, alle prese con i primi turbamenti amorosi e il desiderio di ricevere il primo bacio. Un sogno che si realizzerà proprio nella notte della finale mundial, quando si troverà distesa sulla sabbia del lido. Ma la realtà irromperà prepotente e sarà tardi anche solo per scambiarsi un indirizzo. Fanno da contorno la musica degli anni ’80, il walkman, il jukebox, il motorino “Ciao”, il telefono a gettoni, le pubblicità e i tanti miti di un’epoca indimenticabile.
A Bari con Lolita Lobosco di Alessandra Minervini – Giulio Perrone Editore
Una raccolta di passeggiate tracciate dalla forza dei cinque sensi: ognuna di questi aiuta il lettore a scoprire la Bari di ieri e di oggi prediligendo l’istinto alla ragione, il sentimento alla logica. A queste si aggiunge un sesto percorso, sul mare, a San Vito, nei pressi di Polignano, luogo iconico per la commissaria Lolita (ispirata dalla penna di Gabriella Genisi) e i baresi. Il sesto senso guida è l’amore, quello in cui Lolita crede. Il racconto è in prima persona, segue i codici dell’autofiction.
Una Roma così non l’hai mai vista di Matteo Ceccarini – Longanesi
Da dove si comincia a scoprire la Città Eterna? Seguendo i consigli di Matteo Ceccarini, conosciuto come @Themino e che si è guadagnato il titolo di “Cicerone social di Roma”. Con i suoi consigli da grande appassionato e il suo genuino entusiasmo per l’amata capitale (che conosce come le sue tasche) ha conquistato il web. 75 mete imperdibili e 13 passeggiate che vi porteranno a scoprire luoghi insoliti e capolavori imprescindibili, storie misteriose e antiche leggende, belvederi indimenticabili e quartieri da riscoprire.
La forma del desiderio di Andrea Magno – Arkadia
La poesia è un modo per guardare se stessi e gli altri? Andrea Magno sperimenta questa ricerca con l’osservazione attenta del mondo che lo circonda, che si trovi in riva al mare, immerso nel silenzio, puntando lo sguardo all’orizzonte, o nel caos di una metropoli. L’introspezione scaturisce da momenti particolari, in cui l’occhio metaforico è rivolto alla propria anima, all’esistenza che palpita in ogni angolo dell’universo. Le mani del poeta scavano nelle onde e nell’aria in cerca di legittima felicità e di necessaria bellezza.
L’Ombra di Virginia. Un’indagine di Stella Spada di Lorena Lusetti – Damster Editore
Decima indagine per l’investigatrice privata bolognese Stella Spada. Due casi da seguire, uno nel presente e uno nel passato. Un ragazzo è accusato di avere avvelenato i suoi genitori con un piatto di pasta, ed è proprio la madre, sopravvissuta per miracolo al veleno, che chiama Stella per tentare di scagionare il figlio dall’accusa di omicidio. Il discendente di un’antica famiglia bolognese vuole ribaltare la storia ufficiale che mostra i suoi antenati come spietati assassini.
Il richiamo dell’isola di Anna Pernice – Santelli Editore
Si narra che Fuerteventura alle Canarie sia magica, legata al chakra del terzo occhio e attraversata da un’ancestrale energia in grado di attirare a sé i viaggiatori. Così è successo ad Anna. Richiamata dalla potente energia dell’isola, decide di partire quasi d’impulso in piena pandemia e di farsi trasportare dal flusso degli eventi, la fluya. In un’avventura rocambolesca ed esperienze formative, l’autrice – nota travel blogger napoletana – ritrova la sé stessa più autentica, innamorandosene profondamente.
L’ultima estate in paese di Simonetta Tassinari – Corbaccio
In uno sperduto paese molisano di montagna, durante l’estate del 1975 giunge inaspettato un giovane straniero biondo, alto, a cavallo di un potente Kawasaki: Pierre Duchamp, di nazionalità belga, di professione architetto. Pianta la sua tenda ai confini del parco pubblico. Nello zaino ha un manuale di puericultura italiano, stampato proprio in quel paesino, unica traccia della sua famiglia d’origine, e che gli è stato consegnato, una volta finiti gli studi, dalla madre superiora dell’orfanotrofio nei pressi di Liegi nel quale è cresciuto. Con lui la gente del posto è gentile, ma evasiva. Gli unici a dargli una mano sono cinque liceali a cui il paese va stretto e che sognano l’avventura.
Divina di Patrizia Tamà – Historiae Rizzoli
Un romanzo storico che narra la tormentosa relazione con il Vate e quella, mai raccontata, con la scandalosa poetessa Cordula Poletti (sedici anni, e negli occhi la determinazione di chi si è già guadagnata il nome di “fanciulla maschia”). Una storia d’amore, odio, arte, che sa sedurci ancora oggi per la sua modernità, parlandoci di un amore che farà scandalo ma che non conosce generi e confini. Sullo sfondo rivivono l’Italia e l’Europa della Belle Époque, da Venezia a Berlino, e l’eccentrica comunità di intellettuali e artisti che attornia la Divina.
Il minimarket della signora Yeom di Kim Ho-Yeon – Salani
Dokko è un senza tetto e vive nella stazione centrale di Seoul. Quando trova per terra una pochette rosa contenente dei documenti e un portafogli, non può immaginare che la sua vita sta per cambiare direzione. Probabilmente la signora Yeom, un’insegnante di storia in pensione, ha perso la sua borsa quando si è addormentata in attesa del treno. Yeom è così grata che decide di portare Dokko fino al suo minimarket per offrirgli qualcosa da mangiare, e lo invita a tornare ogni volta che avrà fame. È l’inizio di un nuovo percorso di vita.
Il mostro sotto il letto di Salvatore Savasta – Giraldi editore
Una lunga lettera d’amore a sua moglie Alessia per raccontare la forza del restare insieme anche quando si diventa genitori di una bambina con una malattia rara, Zaira “la principessa indiscussa di tutto il suo mondo”. Senza mai perdere il sorriso, anzi, ogni suo pensiero ha il retrogusto della battuta, del buonumore. “Perché se c’è una cosa che i mostri mi hanno insegnato è che nei film non si muore solo se si resta uniti”. L’autore in rete è conosciuto come Savastascrivecose ed è molto seguito.
Conversando tra le stelle di Filippo Radogna – Edizioni Scudo
Un libro che racchiude percorsi di vita nel mondo della fantascienza e del fantastico. Quarantacinque interviste con scrittori, giornalisti, registi, divulgatori, studiosi, traduttori e artisti aderenti alla World Science Fiction Italia, sodalizio nato per diffondere la cultura dell’immaginario. Si parla di tutto, sino alla loro visione della vita, della società e della politica, discutendo anche di tematiche come i mutamenti climatici, la guerra in Ucraina e in Medio Oriente, l’intelligenza artificiale.
L’arte che abbiamo attraversato di Anna Peyron – Add editore
Il racconto della Torino degli anni Sessanta e Settanta in pieno boom economico e artistico che la stessa Peyron ha avuto modo di vivere. Una scena artistica molto vivace dalla galleria di Gian Enzo Sperone, alle mostre di Pistoletto, Merz, Penone, Boetti, Paolini, Zorio e Anselmo e tanti altri. Viaggi, amicizie, progetti e tanta arte “affascinante, imprevedibile, in perpetuo cambiamento”.
Vagabondi del Mani di Ambrogio Borsani – Neri Pozza
L’autore scava negli angoli segreti di una terra magica inseguendo storie di figure alla deriva e grandi avventurieri: da Bruce Chatwin – che volle essere sepolto dietro una sperduta chiesetta bizantina sul Taigeto, ignota persino agli abitanti del luogo – a Patrick Leigh Fermor che raccontò la storia dei manioti e si fermò a Kardamyli per costruire con Joan una casa incantata. Nella narrazione si intrecciano vicende di poeti maledetti, come Nikitas Nifakis e Nikifòros Vrettàkos.
E Lisbona sfavillava di Tino Mantarro – Bottega Errante
Un mosaico urbano in forma di reportage che ci porta nella capitale portoghese.
Arrivando a Lisbona si rimane colpiti dalla grandezza del fiume Tejo, dalla bontà dei pastéis de nata, ma in particolare dalla sua luce onnipresente. L’autore ci aiuta a scoprire i segreti che nasconde questa città, gli angoli meno raccontati e lo fa attraverso le chiacchiere con passanti occasionali, gli incontri con ispettori di polizia, meteorologi, comandanti di navi, astronomi, venditori di candele.
Terre piatte di Noreen Masud – Add editore
L’autrice inglese di origine pakistana ci racconta come a 16 anni ha dovuto lasciare il Pakistan perché diseredata dal padre. Il libro parla di colonialismo e postcolonialismo, di come l’occidente si racconta la storia e di chi ne paga le conseguenze, del ruolo delle donne in Pakistan. Tutto questo narrato attraverso la lente della natura, dei luoghi piatti e pianeggianti descritti e così amati dall’autrice, in cui la storia sembra non vedersi ma ha invece lasciato le sue tracce nascoste, rese invisibili.
Lecce e il Salento di Rosanna Precchia – Feltrinelli-Morellini
Una guida scritta da una giornalista di turismo che sa leggere le emozioni in ogni luogo. Così si scopre il Salento, terra tra due mari, con le sue spiagge, l’ospitalità della sua gente, l’architettura delle bianche chiese di pietra merlettata. E ancora le cripte ipogee e i resti della misteriosa civiltà dei Messapi. Lecce è pronta ad accogliervi tutto l’anno, con le feste patronali, i festival e la tradizione gastronomica da gustare in locali semplici o in ristoranti raffinati.
Isa Grassano
Vi scrivo solo una parola:
– infuriato
per non aver più fede
e non per palesato gabbo
ma non c’era altro modo
che amar per primi
saltando forra –
Addio!
L’autore
Siciliano dell’estremo sud, a volte viandante, altre volte stanziale, scrive contrapponendo la scrittura alla sua formazione scientifica. Ha esordito nella poesia con la raccolta Sotto falso nome (2014). Segue Da qui ho un posto comodo (2017). Insieme a Monica Conserotti ha curato la mostra di fotografia unita alla poesia dal titolo [Re]Fusioni: Un click di parole, presentata alla Settimana Mozartiana di Chieti (2016) e al CartaCarbone Festival di Treviso (2017). Nel 2017 ha partecipato al Sirmio International Poetry Festival. Sempre con Monica Conserotti ha curato le mostre [Re]Visioni: Shooting Haiku e [Re]Furtive: Donne che fotografano Donne. La sua lirica Una gabbia è stata ispirazione per un quadro dell’artista Antonio Minerba. Nel 2020 ha curato la raccolta Fuori dal coro e diversi suoi altri lavori sono apparsi in riviste e antologie specialistiche. Dal 2016 è direttore artistico del “Festival Autori in Piazza” che si tiene a Chieti nella terza settimana di luglio di ogni anno.
Paquito Catanzaro
Il link alla videorecensione: https://tinyurl.com/37k9txx4
Da quando la poesia ha trovato la strada per uscire dal guscio nel quale era stata “forzatamente” rinchiusa nell’età adolescenziale, e lì rimasta per un trentennio, il desiderio, creatura fiera, potente, rivoluzionaria del nostro Io più profondo, è stato l’armeggio dominante che, vieppiù, affinatosi nel tempo, ha dato ad Andrea Magno la spinta a cercare, a creare immagini, rimandi, ricordi, figure dentro il suo universo…..che assomiglia tanto al nostro, diremmo meglio, alla nostra parte femminile quanto a quella maschile di ognuno di noi.
E poi la bellezza della poesia vive nell’incontro, nell’evento che per magia si genera fra la mente del poeta, nel dare la forma a quelle pulsazioni tradotti in versi, e l’incrocio con la mente dei lettori in quell’impatto. Si perché questo evento si verifica quando “quel verso”, “quella espressione poetica”, proiettata in immagine, assomiglia moltissimo a quella stessa che al lettore è balenata in mente in qualche fugace occasione, che ha accarezzato o cullato in qualche momento creativo, ma che era rimasta lì, “appesa”, senza trovar quiete. Adesso ritrovare quei versi, in un contesto poetico, è come una magia che ruba l’anima e la mente. Tutto questo rende questo incontro/evento “speciale”. Grazie Andrea non bisogna aggiungere null’altro. Basta scorrere e ripercorre i suoi versi. Poi da sempre l’insularità che Andrea avverte, sente, in modo particolare, trova riscontro nel bisogno che alberga dentro di noi, ci rende unici, cioè quello, a modo nostro, di sentirci Isole. Un altro elemento che caratterizza in maniera particolare la poesia di Andrea è quello di non fare sconti a nessuno, a partire da se stesso. Punta dritto al verso sclerotizzato, puro, ma pregno, vero, efficace. Tale è e dev’essere il poeta: libero da ogni schema, senza condizionamenti, libero da preconcetti di qualunque natura. Fra gli altri, ci sono dei passaggi, dei rimandi forti (e sono tanti!!!), veri pugni allo stomaco che il poeta assesta prima a se stesso ed poi al lettore. Sono quelli quando Andrea tira in ballo Dio. In un primo momento sembra quasi come a volerne prendere le distanze, a guardar bene è come se volesse tirarci dentro il concetto, d’impatto, a forza.
“Solo silenzio”
Accade
di restare a guardare
dietro i vetri della finestra
il dolore in strada,
e dio
che sta sempre
nella stanza accanto
resta a guardare anche lui.
“Noli mi tangere”
Nessun dio
accarezza terra
spargendo miseria
Per noi, questi momenti altro non sono che lo sforzo, “il conatus” che compie l’intelletto per risalire verso un desiderio di Bene, comunemente inteso, non soggettivo, capace di compensare quell’anima che quello slancio ha compiuto o sta compiendo. Potremmo parlare di questo bisogno dell’anima, a cominciare da quella di Andrea, verso quella ricerca del Vero, del Bello, del Giusto, in sé, che in tanta pars riscontriamo dentro i suoi versi. Come se ci fossero delle soglie alle quali il pensiero di Magno ci trasporta per poi lasciarci la libertà di una scelta da compiere. I versi, le parole possono diventare suoni e si sa quanta potenza ci possa essere dentro certe vibrazioni e suoni fantastici. Perché, come si sa, la fantasia non si fa dominare dal libero arbitrio. La lirica, Una gabbia, appunto, ha ispirato questo quadro dell’artista Antonio Minerba. Come a dire che la musicalità della espressione dei versi di Andrea può aprire squarci di luce nell’animo delle lettrici e dei lettori e portali ad immagini ad esse collegate. Poi, sganciate dalla nostra volontà percorrono vie di libertà cui il poeta non pensava di doverci o poterci condurre. La loro scaturigine ha una medesima fonte: la ricerca della libertà, del piacere e del sogno (vedi link a seguire), universalmente inteso.
“Amar senza misura”
ma di te vento, adoriamo
il tuo portarci leggere
fin dove eravamo mai state,
resteremo un attimo in silenzio
– forse ci aiuterà a capire
il tuo sussurro –
ascoltando quel che c’è sfuggito
nel cercare la felicità.
Mutuando un pensiero già espresso potremmo dire: “Cercare la felicità è difficile quanto cercare la bellezza”.
Salvatore Spallina
Il link alla recensione su Suonidelmondo: https://tinyurl.com/23nrwc5v
… oggi la parola si allunga
nell’ora della tristezza
e adesso ognuno al suo posto,
io resto qui, mi sistemo la maschera
tra scena e orchestra,
e adesso musica.
Se tutti pensiamo che indossare una maschera equivalga a fingere, Andrea Magno, nelle sue poesie, ribalta questa narrazione e la indossa per svelare il sé profondo, il sentire dell’uomo contemporaneo. Ci svela lo sguardo con cui osserva il mondo e le persone, la prospettiva (di cui si sente “ladro”) dalla quale scruta i sentimenti, gli stati d’animo, i ricordi, per poi compiere il “miracolo” del nominarli, di dar loro forma e contenuto attraverso le parole. È come se ogni singolo aspetto del vivere venisse sezionato, tagliato a fette, ridotto a brandelli. E, per ogni piccolo pezzetto scomposto, andasse a ritrovare una nuova collocazione, ad avvolgere quei brandelli di nuove vesti, per dar loro un nuovo battesimo. Per riconoscerli. Sistemarli dentro uno schema antico in un modo nuovo.
Ogni poesia è distruzione di ciò che si conosce, al fine di compierne un restauro e una riappropriazione:
nel mulinare di frammenti
in ordine sparso,
nel lasciarmi indietro
una rinuncia,
schiaffo alla bellezza,
digiuno a cui sottrarsi,
non è dato tempo di svegliarsi
da qualche parte nelle viscere
a un saremo
che adesso non sarà,
sono vecchio e ancora
rincorro illusioni
nello sconfortante delirio
di auspici spirati.
Nel loro incedere, i versi di Andrea veicolano una ricerca di pace e di aiuto rivelandoci che essa può compiersi solo attraverso la dissoluzione, affrontando il setaccio delle contraddizioni, indagando lo scontro degli opposti, per poi placarsi non appena varcata la soglia della “domanda” a cui non si richiede risposta, ma solo attenzione, consapevolezza.
Poi c’è la ricerca continua della musicalità del verso, del ritmo che è sempre costante e coerente, anche quando rallenta o accelera. Un invito alla danza, alla suola strusciata negli intervalli del ritmo “… nell’affinità delle sfumature tra spirito e carne”, “… nell’ombra di due attimi… in quello spazio inventato dove dolore lascia spazio a felicità”.
Dalla prefazione di Salvatore Basile
Andrea Magno
Siciliano dell’estremo sud, a volte viandante, altre volte stanziale, scrive contrapponendo la scrittura alla sua formazione scientifica. Ha esordito nella poesia con la raccolta Sotto falso nome (2014). Segue Da qui ho un posto comodo (2017). Insieme a Monica Conserotti ha curato la mostra di fotografia unita alla poesia dal titolo [Re]Fusioni: Un click di parole, presentata alla Settimana Mozartiana di Chieti (2016) e al CartaCarbone Festival di Treviso (2017). Nel 2017 ha partecipato al Sirmio International Poetry Festival. Sempre con Monica Conserotti ha curato le mostre [Re]Visioni: Shooting Haiku e [Re]Furtive: Donne che fotografano Donne. La sua lirica Una gabbia è stata ispirazione per un quadro dell’artista Antonio Minerba. Nel 2020 ha curato la raccolta Fuori dal coro e diversi suoi altri lavori sono apparsi in riviste e antologie specialistiche. Dal 2016 è direttore artistico del “Festival Autori in Piazza” che si tiene a Chieti nella terza settimana di luglio di ogni anno.
Livio Partiti
Il link al podcast su Il posto delle parole: https://tinyurl.com/33rb5w5t
“Per scrivere ho solo bisogno di vivere, di curiosare, di conoscere, di dialogare e confrontarmi”.
Andrea Magno torna in libreria con una raccolta di poesie dal titolo La forma del desiderio (Arkadia 2024); quando l’ho incontrato, un paio d’anni fa a un festival, Magno non faceva niente per sembrare un poeta, non si atteggiava – come si dice a Roma – e non tentava di sembrare aulico o lirico fuori ordinanza. Ho preso il suo libro e l’ho aperto a caso. Ho letto qualche parola: “– cominciare – / è una parola bellissima”, e mi è venuta voglia di farci quattro chiacchierare su poesie, poesia e poeti.
Buongiorno Andrea, la tua prima raccolta poetica è del 2014 (Sotto falso nome), dieci anni fa. Questo nuovo libro, La forma del desiderio, celebra un anniversario?
Buongiorno e grazie Paolo, e un grazie anche a chi ci leggerà. Anche se può sembrare, a quasi dieci anni esatti dal mio primo libro, non si celebra nessun anniversario, che poi gli anniversari mi sanno anche di commemorazione. In mezzo ce ne sono stati altri due, parlerei di una cadenza quasi triennale, in fondo seguo il consiglio del buon Enrico Nascimbeni. All’uscita del primo libro mi disse che un libro è come un figlio e che come tale va seguito. I libri di poesia, in particolare, hanno vita lunga bisogna dare loro attenzione per almeno due anni. È in pratica quello che ho fatto. La poesia ha tempi lunghi di sedimentazione. Più che un anniversario io lo sento come una festa, per me è la festa delle parole, le mie.
Quando hai scoperto la tua passione per la scrittura poetica?
Per la lettura non c’è una data precisa. Negli anni del liceo ho iniziato leggendo Vincenzo Caldarelli e poi Montale, Salinas, Quasimodo, Bukowski. Mi piace anche citare Asimov, perché sono appassionato di fantascienza.
La scrittura invece è nata una decina di anni fa, oserei dire per caso. Nata sui social. Mi hanno iscritto in un gruppo “Scrivi un romanzo in dieci parole”, ho cominciato a scrivere delle cose e mi piaceva molto. Col tempo le dieci parole sono diventate di più scoprendo che mi veniva quasi naturale. Poi la sorpresa di essere notato da Enrico Nascimbeni e quindi la prima pubblicazione in una collana da lui curata. Probabilmente la mia poesia navigava sottotraccia e improvvisamente è venuta fuori. Il mio professore di filosofia del liceo ha scritto di me: “La prima volta l’ho conosciuto quando di anni ne aveva sedici. La sua vita, come la nostra, ha attraversato montagne russe e acquitrini melmosi. Ma in un cantuccio della memoria la sua mente continuava a coltivare, stilemi, lexemi, baci di vocali, jazzistici incontri di vocali e consonanti”.
Quanto tempo hai impiegato per raccogliere i versi di questa raccolta?
Per scrivere ho solo bisogno di vivere, di curiosare, di conoscere, di dialogare e confrontarmi. Sono questi gli irrinunciabili generatori di emozioni, anche perché non ho una formazione poetica o letteraria essendo i miei studi, liceali e universitari, scientifici. Ritengo, piuttosto, di essere fortunato per aver ricevuto il dono di riuscire a trasfondere le emozioni nelle parole, almeno così dicono. In realtà non c’è un tempo definito. Questi versi vanno dal 2017 (anno di pubblicazione del mio secondo libro) a oggi se ci riferiamo alla loro scrittura. Tecnicamente invece per diventare libro diciamo che c’è stato un lavoro di quasi un anno insieme all’editore visto che le poesie scritte sono molte di più, per scegliere quali e per la loro rappresentazione grafica. Il mio scrivere poesie non ha l’obiettivo libro, anche se poi in un certo momento nasce l’esigenza libro e l’esigenza di una omogena rappresentazione di tutte quelle parole buttate su fogli.
Già dal titolo della raccolta emerge potentemente una parola che è anche un simbolo: desiderio. Che cos’è per te, come uomo e come autore?
Spesso “desiderio” viene associato a “mancanza” e in effetti se si va a guardare l’etimologia della parola che viene dal latino “assenza di stelle” potrebbe anche essere. Io invece auspicherei di considerarla in maniera diversa, non una mancanza ma una presenza spesso immaginaria a cui fare riferimento per seguire una strada, una stella che ci indichi il cammino. Mille e poi ancora mille possono essere le forme assunte dal desiderio durante la nostra vita. Uno sprone ad andare avanti, a perseguire i sogni. Credo non ci siano differenze tra uomo e autore, il desiderio è uno dei casi in cui l’intento di entrambi tende a coincidere e a perseguire lo stesso scopo nel senso lato del termine, il primo magari in silenzio mentre il secondo con le parole. Aggiungerei che il desiderio è una astrazione, e non deve mai diventare voglia di possesso, perché diventa compulsione ed è altra cosa. In una poesia passata l’incipit recita “Non voglio possederti, perché se ti possedessi potrei perderti, e questo sarebbe insopportabile”. Questo sarebbe la perdita del desiderio e quindi del vivere.
In una poesia, A morte, scrivi tra l’altro: Uccidete i poeti/sono solo uomini fatti di parole. La parola poetica può essere una colpa per la nostra società?
Non casualmente parlo di uccisione del poeta/uomo e non della poesia. No, la parola poetica non può essere una colpa, infatti non viene mai additata la poesia, ma il poeta, chi prova a diffonderla. Dico sempre: “Che poi a scrivere poesia che ci vuole, prendi le parole e le metti in fila, senza nessuna colpa. Poi ognuno ci troverà la colpa che vuole”. Le parole non hanno mai colpe, è l’uso delle parole che è colpevole in senso positivo o negativo, ma comunque colpevole. Aggiungerei che uccidere i poeti è un simbolismo nel quale mi rifugio per ricordare la trascendenza dell’essere umano che richiede la libertà e la capacità di vedere oltre l’urgenza immediata, e spesso egocentrica, contrapposta a un vuoto interiore che spesso si cerca di riempire con le parole, che non muoiono mai.
Mi sembra che scegli per i tuoi versi parole di uso quotidiano, quindi non ricerchi parole singolari, termini rari?
Gesualdo Bufalino ne Il Malpensante scriveva: “Scrivo poesie che si capiscono, devo sembrare un cavernicolo”. In realtà non mi sono mai posto il problema, qualche “termine raro” capita anche a me di usarlo, ma solo perché funzionale al testo, e non per arricchirlo. Sono per una poesia diretta, senza fronzoli, non lunga e che arrivi al dunque senza orpelli, in cui l’immagine racconti in maniera immediata l’emozione. Questo non vuol dire che sia la maniera corretta, ma credo dopo anni a me la più congeniale. Sarà un mio limite, ma ho due condizioni per la poesia, non devo girare foglio per finire di leggerla e non devo avere vicino il vocabolario. Probabilmente il mio lessico è scarno e a corto di parole edulcorate, ma è il mio modo per arrivare al lettore. Una presunzione la mia.
Come lavori per scrivere una poesia?
Spesso mi chiedo se siamo noi a scrivere le poesie o siano le poesie a scrivere noi. Credo che la poesia sia già dentro di noi, dentro tutti noi, poi per alcuni accade la magia dello scrivere, del riuscire a esternare. Qualche tempo fa scrissi che il poeta “racconta di noi senza avarizia, non concedendo alibi alla vita” . Ecco, direi che il poeta ha la fortuna di riuscire a tirare fuori i versi nascosti dentro, sconoscendo l’avarizia nella generosità del dare e, senza concedere, ma soprattutto senza concedersi alibi; la poesia è un regalo che la vita ci concede, che ci prende per mano, e ci accompagna nel nostro viaggio, una trasparenza di emozioni che avvolge le parole. Non c’è un vero e proprio lavoro, block-notes e una penna in tasca sono una cosa irrinunciabile, quasi come acqua nel deserto della quale non si può fare a meno. È più forte di me, quando balena un pensiero o vedo o sento qualcosa che mi suggerisce, allora devo metterlo nero su bianco, buttarlo lì senza stare a pensarci, senza nessuna elaborazione, e magari resta lì per mesi, poi in un attimo la scintilla. Nascono così le mie poesie, poche correzioni e qualche limatura. Senza nessuna ansia.
Più di una volta isoli in un verso solo una “e”, qual è il peso che dai a questa lettera/parola?
Mi ha incuriosito, e sono andato a guardare questo mio uso della “e” inconsapevole, cercando di farlo diventare consapevole. È un taglio netto nei versi a sottolineare la contiguità e sovrapposizione contemporanea di due immagini, a volte tre. Un modo per rafforzare la sequenza. Ma è anche un modo per indugiare sui versi precedenti, preparandosi alla lettura di quelli successivi. Un momento di pausa per chiedersi dove sto andando e da dove sono arrivato. Indubbiamente un grande peso nella mia scrittura, immagino anche dovuta a un momento di pausa di riflessione nella stesura definitiva della poesia. Un accodamento che dà lo stesso valore e la stessa dignità ai versi precedenti e successivi anche se separati da una sola “e”.
Una parola che torna spesso è “culo”, che spazio ha il sesso nella tua ispirazione?
Premesso che viene ripetuto solo quattro volte, non vorrei si pensasse troppo male (sorrido) anche se il sesso di primo acchito può sembrare l’ispirazione predominante, in realtà lo è, si trasforma sempre in qualcosa di etereo e irraggiungibile. In una dico “fu un illecito/quel tuo culo,/non feci in tempo/a non guardarlo/e mi fottesti.” In un’altra “giudicando affrettatamente/dimenticò/la lode al culo/perdendo l’occasione”. Il “culo” e non c’è altro modo di dirlo, di usare altra parola che non sia questa, è dematerializzato, non è puro sesso. Nell’eccezione più comune forse sì, per me è solo una delle forme che può assumere il desiderio. Mi viene da pensare al desiderio di bellezza, e proprio la bellezza mi riconduce alla sezione aurea, a quella spirale meravigliosa che ritroviamo in qualunque cosa sprigioni bellezza, e a cui Fibonacci diede un nome, no, non lo chiamò “culo” ma “serie aurea”. Tutte le “forme” che attraggono, siano esse concrete o visioni, tutte (o quasi) ricadono dentro la sezione aurea, la perfezione, ma è la perfezione che percepisce il nostro occhio, la nostra mente, siamo sempre alla ricerca delle bellezza che deve essere inaccessibile altrimenti cessa il desiderio. E comunque il sesso e l’attrazione hanno sempre un loro perché soprattutto quando i versi diventano carnali, e la passione incute quel timore reverenziale a cui non riusciamo mai a sottrarci. Infatti non a caso ho scritto anche: “quel culo/– visto da qui –/una distrazione di certe notti”.
L’ultima lirica della raccolta comincia così: “Dal ruolo di poeta/mi affranco,/sarebbe barare”. Cosa vuol dire per te il ruolo di essere poeta?
L’ultima lirica è un saluto, un arrivederci. Vi saluto e adesso da poeta torno a essere l’uomo. Non so se essere poeta è un ruolo, di sicuro so soltanto che quando le parole finiscono su un foglio di carta cominciano a pesare, di qualunque tipo siano. Il ruolo del poeta, se un ruolo c’è, come per chiunque scriva, credo sia quello di dire la verità, senza sotterfugi, chiara e pulita, spiattellata lì, forse per il poeta ancor di più. Il “dono” della sintesi dovrebbe aiutare anche a denunciare, ribellarsi, e questo credo che avvenga magari dietro maschere che non smettiamo mai di indossare. Ognuno ha la sua maschera, il poeta ne indossa sicuramente una, e così anche ogni lettore. Una bellezza i lettori, perché ti fanno scoprire cose che non pensavi di aver mai scritto. Chiudo, non prima di averti ringraziato, con dei versi citati da Salvatore Basile nella prefazione:
… oggi la parola si allunga
nell’ora della tristezza
e adesso ognuno al suo posto,
io resto qui, mi sistemo la maschera
tra scena e orchestra,
e adesso musica.
Paolo Restuccia
Il link all’intervista su Storygenius: https://tinyurl.com/fbtum3fr
Data / Ora
Date(s) – 05/05/2024
6:00 pm – 8:00 pm
Luogo
Museo Archeologico La Civitella
Categorie
Presentazione libri
Presentazione de “La forma del desiderio” di Andrea Magno presso la Sala dei Frontoni del Museo Archeologico Nazionale “La Civitella” a Chieti domenica 5 maggio 2024 alle ore 18:00.
Dialogherà con l’autore Tonita Di Nisio
Letture a cura di Emanuela Di Maggio e Giancamillo Marrone.
Non mancate!
Il link alla segnalazione su Abruzzo Oggi: https://tinyurl.com/38hhnvst