Consigli di lettura
Ho chiesto a critici, scrittori e intellettuali che stimo una lista di libri da non perdere, pubblicati dal 2018 a oggi. Inizialmente pensavo a una classifica ma, effettivamente, in corso d’opera, mi sono resa conto che sarebbe stato – almeno per me – impossibile scegliere in termini quantitativi chi dovesse figurare in testa e chi in coda. Perciò, i libri sono elencati in ordine alfabetico a partire dal titolo, ho motivato le scelte in base al dono ricevuto, all’originalità dei testi e al coraggio, con particolare attenzione alla piccola e media editoria. L’iniziativa nasce soprattutto per dare spazio alle voci eretiche della letteratura italiana e ai libri penalizzati dalla pandemia. Avrei voluto consigliarne molti altri, ovvero tutti quelli che ho recensito nel corso di questi anni. Ad ogni modo, l’iniziativa si ripeterà il primo febbraio di ogni anno, per segnalare un libro basterà inviare una email a: suiteitaliana@gmail.com con poche – e sottolineo poche – righe di motivazione.
“A guardare il Nord” di Massimiliano Santarossa (Biblioteca dell’immagine)
Santarossa porta a compimento un progetto di scrittura ventennale, e raccoglie i suoi precedenti romanzi in un unico grande corpus con una scrittura mista, piena di inserti saggistici sulla condizione politica e economica attuale (e non solo, c’è proprio un excursus storico). Una scrittura realista, metallica, sempre attenta alla condizione degli ultimi, tratteggia un paese sventrato. Una vocazione, quella di Massimiliano, a guardare tra le macerie della nostra civiltà.
“Anatomia di un profeta” di Demetrio Paolin (Voland)
Un libro epico, quello di Demetrio Paolin, in cui autobiografia e narrazione storica s’intrecciano, con uno stile evocativo di forte impatto, quasi un dialogo tra Demetrio e Geremia. Un libro mistico, di perdizione oserei dire, la religione nel suo senso più profondo è una forma di perdizione, smarrisce il soggetto nell’illimitato.
“Ballate nere” di Diego Riccobene (Pequod)
Poesie barocche, la cui eleganza antica ritrova tradizioni apparentemente cancellate dalla banalità imperante. L’indimostrabilità di ogni certezza e un’oscurità creatrice guidano tale ricerca, sostenuta da un meticoloso lavoro di studio.
“Cantico dell’abisso” di Ariase Barretta (Arkadia)
Un romanzo forte, che qualcuno ha definito osceno: storia d’amore incestuosa di un figlio per un padre, furiosa competizione con un fratello più amato, scoperta lenta e dolorosa della propria omosessualità. Osvaldo e Mauro si contendono le attenzioni di un padre irraggiungibile, dovendo sbaragliare le ingerenze di una serie di donne, non solo la madre, con l’attitudine di scalare una montagna piena di insidie. Quanto colpisce in Ariase è la qualità della prosa, la capacità di districarsi tra monologo – si tratta di un’intersezione delle voci di più personaggi – e meditazione – che conduce coraggiosamente a una scrittura non convenzionale. Come l’autore stesso ha detto, questo è il suo libro più compiuto. È un romanzo forte, ma forse nella pornografia – nel senso in cui la intendeva Carmelo Bene – è sottesa la trama invisibile dell’inconscio.
“Canzonette stradaiole” di Antonio Veneziani (Hacca)
Antonio Veneziani scrive di una Roma periferica e brutale, ma estremamente seducente, piena di amori, corpi, e pianto che lamenta l’assenza di un affetto scomparso. Una città svuotata, derelitta, lascia il posto ai fantasmi di un luogo dove amore carnale e povertà s’incontrano miracolosamente, senza leggi e senza Dio, ma colmi di riconoscenza e lacrime.
“Conversari” di Alfonso Guida (Roundmignight)
Prosa poetica e poesia di Alfonso Guida sono pietre preziose raccolte dal fondo di un’anima sofferente che si fa carico di tutto quanto trova nel percorso. La grazia e il rigore stilistico sono di grande forza evocativa, trascinando con sé la storia dei dimenticati, luoghi di contenzione o d’abbandono, donne di un passato quasi mitologico, bassifondi. Da tali rovine scaturiscono perfezione metrica, lirismo puro e dolorosa abbagliante bellezza.
“Il colore del tuo sangue” di Paolo Restuccia (Arkadia)
Un thriller lynchano, visionario che si configura come un set cinematografico che deraglia in un sogno/incubo. È scritto con una lingua rapida e visiva, dove tutto scorre proprio come in una pellicola. Nella mente della protagonista compaiono molte scene di film. Il primo evocato è “Blow-Up” di Michelangelo Antonioni (1966, ispirato al racconto “Le bave del diavolo” di Julio Cortázar).
“La presenza e l’assenza” di Franz Krauspenhaar (Arkadia)
Krauspenhaar ha scritto un noir esistenziale sulla falsariga di Dürrenmatt. Un libro d’azione, con dialoghi serrati, ma anche visionarietà. Man mano che si procede, la trama si infittisce, approdando all’indagine psichica di due anime dannate, con un finale a sorpresa, volutamente non chiuso e non consolatorio. È un romanzo esistenziale, con un forte carico di violenza psicologica, sottile e spietato.
“Lo stigma” (Pequod) di Carlo Ragliani
Versi concisi ed essenziali sullo stigma, il segno imposto dal Dio biblico a Caino dopo aver ucciso il fratello. La silloge è parte di una trilogia dedicata al sacro, dove l’uomo assiste al miracolo pur vivendo nella caduta, dove ogni esistenza è al contempo uno stato di morte e di grazia.
“Ologramma in La minore” di Gianpaolo Mastropasqua (Caosfera)
Un libro che trae ispirazione da Bach e traduce in poesia la sua opera. Riportare l’accordatore universale a 432 hz per avviare una nuova epoca in risonanza con la frequenza curativa dell’universo. Si legge dall’inizio alla fine e capovolto dalla fine all’inizio, è abitato dal tempo binario, umano, e dal tempo ternario, divino.
“Stagioni scalene” di Edoardo Olmi (Ensemble)
Con una spiccata valenza politica, la poesia di Olmi, pur usando gli stilemi del lessico contemporaneo, social e giornalistico, raggiunge un lirismo pienamente compiuto proprio nella commistione dei linguaggi. Sarcastica e feroce, pienamente ribelle, raggiunge il suo massimo nel descrivere i paesaggi di Roma e Firenze. Competenza e cultura indagano la realtà con uno sguardo radicale, mediante un verseggiare metricamente compiuto.
“Stati di desiderio” di Marilena Votta (D editore)
È la storia di Daniella, ragazza mulatta, nata da un matrimonio misto, con padre giamaicano. Daniella è un modo per dire al mondo io esisto, diversa e scomoda, ma esisto, e posso cambiare il flusso d’energia se entro in una stanza. Lei è straniera ovunque. In Italia è mezza nera e in Giamaica le direbbero che è mezza bianca. Marilena ha una scrittura sensoriale, densa, tattile e visionaria.
“Tutte queste voci che mi premono dentro” di Andrea Di Consoli (Editoriale Scientifica Lettere)
Un memoir a metà strada tra critica letteraria e narrazione autobiografica, diviso in episodi – ognuno leggibile come un racconto a sé – e scritto con un italiano che molti autori sembrano aver dimenticato – ci tengo a specificarlo. Di Consoli è uno degli scrittori italiani che dimostrano maggiore compiutezza dal punto di vista semantico; in questi racconti-ricordi non mancano mai punti di riferimento della nostra tradizione poetica – spesso persone incontrate dal narratore – quali Scotellaro, Arpino, Riviello e molti altri. Ogni sezione parte con una riflessione – sulla politica, sulle sigarette, sui fantasmi – e procede come un reportage di gran stile fornendo quadri precisi e a tratti sconcertanti, ma non privi di compassione, del nostro Paese.
“Vodka siberiana” di Veronica Tomassini (autopubblicazione)
Veronica Tomassini descrive il disagio, la povertà, la periferia, ma lo fa con tratto onirico, e in ciò risiede la sua sfida: raccontare storie minime con uno stile massimo, rendere onore alla disperazione attraverso la religione. La prosa lirica dell’autrice, che oscilla di continuo tra poesia e narrazione autobiografica, indaga il tratto costitutivo della nostra esistenza e quanto ci rende dissimili dalla pulsione bestiale e dall’astrazione numerica. I paesaggi sono metafisici, e anche se possiamo intuire dove ci troviamo, siamo in un altrove assoluto. Prende le mosse da Limonov di Carrère creando una trama-lingua – non pura trama ma lingua che trama – indisgiungibile dal vissuto, dalle suture della memoria.
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Carlo Ragliani
Ragionando per etimi prima ancora che per quesiti, la pandemia sussume la natura collettiva su cui questa ricade, investendo sostanzialmente ogni manifestazione umana a questa contestuale. Il che, senza troppi mezzi termini, significa che il morbo (con le conseguenze principali di costrizioni e di privazioni) si è imposto impietosamente sulle aree di produzione artistica tout court, intaccando certamente sia la produzione, che qualità medesima, del prodotto artistico. Il mero disquisire, in questo tempo e di questi anni, attorno a quali, o quanti, testi siano stati nociuti (o peggio, tacitati completamente) dal male che sta piagando la quotidianità potrebbe essere di primo acchito argomento di poco valore, o invero bagatellare, rispetto ai risvolti più complessi che il Covid19 abbia fatto emergere e risaltare, in ogni sfaccettatura della società. Pur tuttavia, giungendo alla questione, nella compromissione dell’attività poetica complessiva del mercato editoriale, difficile risulta non affermare che i più penalizzati siano gli autori emergenti, ovvero – in linea di massima – pubblicati da casa editrici meno in luce. Volendo perciò contestualizzare una scelta che potrebbe sembrare arbitraria, se non anzi parziale in assenza di una spiegazione preliminare, non sarebbe corretto non soffermarsi sopra a quelle opere la cui fortuna sia stata stroncata dagli argomenti medesimi che questa tratta. Di qui, dunque, le ragioni che verranno appuntate andranno a concentrarsi primariamente attorno ad un elemento esteticamente compiuto nel verso che più vada ad informare quella tragica oscurità dei contenuti dei testi, battendo quelle soglie poetiche non riconosciute dalla maggioranza dei fruitori; fino a renderli di non attuale apprezzamento, se non anzi non allineabili con un filone di poesia tra i più condiviso. Tenendo ben presente che non si vuol fornire un elenco esaustivo o conclusivo in materia, appaiono, seguendo un ordine non preciso, i seguenti titoli a concludere l’intervento:
“Breviario delle aberrazioni” Michele Paladino (Fallone)
“Dialoghi con Amin” Giovanni Ibello (pubblicata in Russia dall’editore Igor Ulangin per la collana “Contemporary Italian poetry” diretta da Paolo Galvagni nel 2020)
“Favete linguis”, Mario Famularo (Giuliano Ladolfi)
“La consegna delle braci”, Giorgio Maria Cornelio (Luca Sossella editore)
“Misura del sonno”, Federico Federici (Anterem edizioni)
“Piazzale senza nome”, Luigia Sorrentino (Samuele editore – Pordenone legge)
“Taccuino dell’urlo”, Sonia Caporossi (Marco Saya)
“Tirrenide”, Maria Grazia Insinga (Anterem Edizioni)
“Unità stratigrafiche”, Laura Liberale (Arcipelago Itaca)
“Zebù Bambino”, Davide Cortese (Terra d’ulivi)
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Mattia Tarantino
Tre libri, tre linee: alterazioni di frequenza, traiettoria, spirale irrisolta. Tre libri, come un gesto intratrinitario, scaglia e logorio di amuleto. Tre libri come note per il margine, come increspature e sorgenti di una parola minore, di un corpo a corpo con la morte, la proprietà, il possibile. Si tratta di:
“Corpo striato” di Riccardo Frolloni (Industria&Letteratura)
“Solchi” di Jacopo Mecca (Fallone).
“Quaderno croato” di Vanni Schiavoni (Fallone).
Quaderno, corpo, solchi: metodo e combinazione, piega, ritaglio.
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Iolanda La Carrubba
“Aggredior virus. I migliori giorni della nostra vita” di Claudio Comandini (Mondo Nuovo): un saggio sulla controversa situazione pandemica, agli albori del suo insorgere.
“Essere e significare” di Antonio Francesco Perrozzi (Oedipus): un poema che affronta la complessità tra Mondo e Linguaggio.
“Città metafisiche” di Ilaria Palomba (Ensemble): una raccolta piena di patos, tra le difficoltà dell’esistere senza bisogno di confessioni.
“Fiabe dei mutamenti” di Tiziana Colusso (Bertoni): una raccolta di fiabe illustrate da Giuliana Milia che attraversa i mutamenti fisici e psicologici dei bambini, per descrivere e far vivere altri mondi possibili.
“Gli angeli della casa” di Silvio Raffo (Elliot): un romanzo immerso nell’atmosfera tra il gotico e la Nouvelle vague dai richiami noire.
“Il mondo visto da vicino” di Irene Sabetta (Il Convivio): una raccolta poetica che descrive una mappa delle avventure.
“Insoliti livelli di salute” AA.VV. curata da Iolanda La Carrubba (EscaMontage): una raccolta di poesie e racconti brevi su uno stato di salute precario, come la malattia influenza il corso della quotidianità.
“Poesie di ieri” di Stefano Bottero (Oedipus): una raccolta particolare tra dimenticanze e assenze.
“Sign(s) of the times. Pensiero visuale ed estetiche della soggettività digitale” di Serafino Murri (Meltemi): un saggio che analizza la soggettività digitale nel fenomeno dei social attraverso l’era della simultaneità.
“Zero, nessuno e centomila: Lo specifico teatrale nell’arte di Renato Zero” di Sacha Piersanti (Arcana): un saggio che attraversa l’arte zerofolle con uno sguardo attento al rapporto tra teatro e fenomeno Glam.
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Francesco Improta
In arte, a mio avviso, ogni rivoluzione avviene sempre e soltanto sul piano dello stile, non meraviglia che, nella scelta dei libri da consigliare, la mia attenzione sia caduta su quei testi dove la parola depurata di tutte le scorie, le incrostazioni e le sovrapposizioni ha recuperato, o quanto meno ha cercato di recuperare, la sua smagliante purezza e la sua adamantina trasparenza, perché solo così le cose tornano a essere dicibili e i sentimenti e le emozioni risultano definibili.
“Binari” di Monica Pezzella (Terrarossa)
Lo stile è personalissimo e inquietante: a livello sintattico il periodare tende a spezzarsi di continuo per il sopraggiungere di un’idea o di un’immagine che non ammette di essere ritardata, i dialoghi sono ridotti al minimo; la punteggiatura spesso latita e accostando un termine all’altro si viene a creare una gremitezza oggettuale da cui il lettore si sente sommerso e disorientato)
“Il cannocchiale del tenente Dumont” di Marino Magliani (L’Orma)
Il suo stile, che potremmo definire prevalentemente nominale in quanto predilige sostantivi e aggettivi, è conciso, sincopato, uno stile verticale come il paesaggio che descrive. La lingua colta e raffinata, nel complesso, non disdegna di attingere al dialetto; il risultato è uno straordinario impasto di suoni e di colori.
“Le verità bugiarde” di Marisa Papa Ruggiero (Oèdipus)
L’ordito del libro è costituito da astrattemi concetti, idee e referenti astratti su cui Marisa Papa Ruggiero tesse le sue invenzioni verbali, gli slittamenti di senso, le acrobazie linguistiche mossa da una evidente tensione filosofica e da una raffinata volontà ludica, comune a tutti o quasi gli artisti ma particolarmente spiccata in lei, a cui non mancano né istinto teatrale né consapevolezza delle proprie abilità linguistiche, che sfiorano talvolta il virtuosismo.
“Le stagioni del viaggio” di Maria Pia Romano (Besa)
Un’opera matura nella concezione, nella costruzione e nella realizzazione, sorretta da uno stile unico e inconfondibile che coniuga cronaca e leggenda, pubblico e privato e che indulge a frequenti digressioni, di carattere riflessivo o descrittivo, che l’autrice si concede per esprimere emozioni e convinzioni senza interferire nella vicenda principale.
“Non finirò di scrivere sul mare” di Giuseppe Conte (Mondadori)
Una sinfonia che per il tema trattato e per il senso di immensità misteriosa e insondabile ad esso connesso ci riporta alla mente La mer di Debussy; anche Conte non diversamente dal musicista francese spinge il lettore a fare uso della memoria e dell’immaginazione per cogliere tutte le valenze e le implicazioni culturali ed emozionali dei suoi componimenti. Una raffinata tessitura di immagini, suoni e colori esaltati per di più da una ricercata elezione lessicale e da una ricca strumentazione retorica (metafore antitesi, sinestesie). Un arazzo, meglio ancora, uno splendido e prezioso tappeto persiano, visto l’amore di Conte per quella civiltà.
“Ring” di Ilaria Palomba e Luca Perrone (scritto nel 2019, inedito)
Gli autori, dotati di talento non comune e in possesso di scritture diverse ma entrambe potenti e incisive, decidono di confrontarsi, calzando i guantoni e salendo sul ring, per dare vita a un incontro di boxe senza esclusione di colpi. Una novità nel panorama letterario italiano, per certi versi mi ha richiamato alla mente il duello tra un gesuita e un giansenista sui temi della Grazia e della Predestinazione in La Via Lattea di Louis Buñuel, lì affondi, fendenti e parate, qui guardia, montanti e diretti; comunque sia una chicca da gustare assolutamente sempre che qualche editore coraggioso voglia investire, cosa che mi auguro con tutto il cuore, su quest’opera straordinaria e per molti versi rivoluzionaria.
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Diego Riccobene
La lista che segue non è stilata in ordine di merito o di qualità. Trattasi di opere lette nel periodo in oggetto che, per diversi ordini di ragioni, avrebbero necessitato maggiore esposizione. O anche “fortuna”, se è così che si suole dire. Si definisca pure in questo modo, liberamente. La fortuna, in quanto Parca, in quanto forza, risiede probabilmente nel dolore che essa sa determinare, puntellando dogmi sotto il loro stesso nervo scoperto. Se sorgiva, a dirla tutta, non sia toccata dal barrage della contingenza, benché quest’ultima determini gli umori di chi la vede venire alla luce.
Con quale esattezza parlo di luce? Sapersi infervorare nel trapasso, per macularla d’ombre: è maniera dei libri che cito qui di seguito.
“Apologia di un perdente”, Marco Vetrugno (Elliot)
“Brama”, Ilaria Palomba (Giulio Perrone)
“Breviario delle aberrazioni”, Michele Paladino (Fallone)
“Gries”, Davide Brullo (Nino Aragno)
“Il fallout degli dèi”, Mark Bedin (RPlibri)
“La crepa madre”, Carlo Tosetti (Pietre Vive editore)
“Nature morte e vanità”, Alfonso Maria Petrosino (Vydia)
“Necropolis”, Giordano Tedoldi (Chiarelettere)
“Opus Metamorphicum”, Sonia Caporossi (A&B editore)
“Unità stratigrafiche”, Laura Liberale (Arcipelago Itaca)
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Marilena Votta
Tra i libri penalizzati dalla pandemia ho scelto:
“Brama” di Ilaria Palomba (Perrone)
“Il giorno in cui diedi fuoco alla mia casa” di Francesca Mattei (Pidgin)
“La sete” di Giovanni Lucchese (D editore)
Questi libri parlano tutti di disagio mentale ed esistenziale, i protagonisti sono afflitti dal bisogno d’amore come da una fame insaziabile, e sono tutti, in varia misura, delusi e traditi. Sono tutti sospesi, in bilico sull’orlo di vortici emotivi e fisici, nel modo evidente dei sopravvissuti.
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Giorgio Patrizi
“Dell’amore ed altre forature”, Nico Maraja (Ediciclo)
“Il cielo per Roma”, Mariano Baino (Exorma)
“Il libro delle case”, Andrea Bajani (Feltrinelli)
“Le cose da salvare”, Ilaria Rossetti (Neri Pozza)
“Lingua madre”, Maddalena Fingerle (Italosvevo)
Ilaria Palomba
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