Paolo Ciampi


Paolo Ciampi
L’ambasciatore delle foreste

La vita di George Perkins Marsh, politico e ambasciatore americano, è una di quelle che è importante raccontare, sia perché è un personaggio storico non conosciuto quanto dovrebbe, sia perché il suo impegno per l’ambiente e il paesaggio lo rendono uno dei più importanti ecologisti, se non il primo, che la storia di questo pianeta abbia mai avuto. Nato in America ma cittadino del modo grazie ai suoi innumerevoli viaggi, capì l’importanza della preservazione della natura diventando un fiero sostenitore della creazione di aree protette e parchi nazionali in tutto il mondo. Paolo Ciampi, affermato autore di saggi e, da provetto escursionista, di vari libri di viaggio, ci porta indietro negli anni permettendoci con la maestria che lo contraddistingue, di rivivere la sua intensa esistenza e di rilanciare, se mai ce ne fosse bisogno, il suo importante messaggio: il pianeta va preservato, la sua natura è fragile e non deve soccombere ai maltrattamenti umani. Se così fosse, e in parte già lo è, la razza umana non potrebbe che scivolare lentamente in un oblio sempre più profondo, senza possibilità di ritorno. Una biografia intensa che si legge come un romanzo, un libro che può infondere la speranza di un futuro migliore in chi lo legge e che deve far riflettere sulla nostra incomunicabilità con il pianeta e le sue creature.

Andrea Vismara

 



Letteratura contemporanea, prosa, poesia, testi teatrali 

L’ambasciatore delle foreste 

Paolo Ciampi ci conduce alla scoperta della figura di George Perkins Marsh, primo ambasciatore degli Stati Uniti nell’Italia unita, padre dei grandi parchi americani ed ecologista ante litteram. Tra le foreste americane, le Alpi e l’Appennino italiano una storia di amore per gli alberi e le montagne. Un libro appassionante come un romanzo che parla di foreste da salvare, cambiamenti climatici, e che ci allerta sulla precarietà del pianeta 

Poco importa che si tratti di catastrofi che riguardano tutti, ogni volta che sente parlare di ambiente, l’autore comincia a sbadigliare preso dalla noia. A molti succede così. Un giorno però si imbatte nella figura di George Perkins Marsh, il primo ambasciatore in Italia degli Stati Uniti, nominato da Abramo Lincoln. Solo dieci anni più tardi capisce di chi si tratta: è l’uomo che nel secolo del progresso e dell’industria, prima ancora che la stessa parola “ecologia” abbia fatto la sua comparsa, capisce cosa sta succedendo al mondo. L’ambasciatore delle foreste ripercorre la vicenda umana di George Perkins Marsh, diplomatico e ambasciatore delle foreste nel mondo, da quelle del New England alle foreste del nostro Appennino, passando per i deserti dell’Africa. Con stile asciutto e colloquiale, in un dialogo costante con il lettore, Paolo Ciampi riporta alla luce la storia di una persona ingiustamente dimenticata – dall’altro lato dell’Atlantico, invece, Marsh è considerato il padre di parchi come Yellowstone –, che ci regala un nuovo sguardo sugli alberi, sulle montagne, sulla stessa nostra civiltà. Non c’è più noia, con questo personaggio stravagante, che frequenta a malincuore la corte dei Savoia, si appassiona alle saghe di Islanda, coltiva l’idea di portare i cammelli nelle praterie degli Stati Uniti, e che, un secolo prima dei forum internazionali e delle conferenze sul clima e sull’ambiente, parla di foreste da salvare, di cambiamenti climatici e ci allerta sulla precarietà del pianeta e sulla nostra stessa possibilità di sopravvivenza. 

Paolo Ciampi, giornalista e scrittore fiorentino, ha lavorato per diversi quotidiani e oggi è direttore dell’Agenzia di informazione della Regione Toscana. Si divide tra la passione per i viaggi e la curiosità per i nomi dimenticati nelle pieghe della storia. Ha all’attivo una trentina di libri usciti per editori come Mursia, Vallecchi, Giuntina, Ediciclo, Clichy. Gli ultimi, in ordine di pubblicazione, sono L’uomo che ci regalò i numeri (Mursia), sui viaggi e le scoperte del matematico Leonardo Fibonacci, Il sogno delle mappe (Ediciclo, Piccola Filosofia di Viaggio) e Cosa ne sai della Polonia (Fusta). Attivo nella promozione degli aspetti sociali della lettura, partecipa a numerose iniziative nelle scuole. Cura due blog, ilibrisonoviaggi.blogspot.it e passieparole.blog. 

Maria Rosaria Perilli



È il 1861: nasce il Regno d’Italia e in America scoppia la Guerra di secessione. In un momento storico cruciale e delicatissimo, un personaggio estremamente curioso diventa il primo ambasciatore in Italia degli Stati Uniti. Si chiama George Perkins Marsh e L’ambasciatore delle foreste di Paolo Ciampi (Arkadia Editore) ne racconta la storia. George è un personaggio curioso: appassionato di linguistica, amante della natura, uomo d’affari visionario ma sfortunato, viaggiatore e osservatore acutissimo. Tra incontri bizzarri, intuizioni geniali e una vicenda umana segnata da difficoltà non indifferenti, George emerge come un uomo profondamente moderno e lungimirante, ma soprattutto si svela come ecologista ante litteram. Seguendo passo passo la sua vita, il lettore entra in sintonia con lui e, pagina dopo pagina, il libro si rivela una chicca imperdibile.

Abbiamo posto qualche domanda all’autore, Paolo Ciampi, per approfondire la figura di George e il messaggio che il libro intende trasmettere raccontando questa singolare vicenda.

Per cominciare, com’è nata l’idea di approfondire e narrare la storia di George Perkins Marsh?

Sono i casi della vita, senza dover ricorrere alla solita frase sulle storie che bussano alla porta di chi è pronto a riceverle. Diciamo che sono stato fortunato: un giorno arrivò dalle mie parti una delegazione dell’Agenzia dei parchi degli Stati Uniti, incontrò i colleghi italiani e si meravigliò che da noi George Perkins Marsh, padre dell’ecologia prima che la stessa parola ecologia esistesse, fosse praticamente uno sconosciuto. Così lasciò in dono una ponderosa biografia. Però ci ho messo dieci anni per leggerla e per capire che questa era una storia da raccontare.

Se dovessi descrivere George con tre aggettivi, quali sarebbero e perché?

Curioso, perché senza la curiosità non si sarebbe mai posto le domande giuste. Irrequieto, di quell’irrequietezza che prova comunque a tenersi strette le cose che davvero contano. Pigro, intendendo quel genere di pigrizia che sa darsi molto daffare, non per ciò che da te pretendono ma per ciò che vuoi veramente. Inutile dire che in George ritrovo qualcosa di me. Anzi, chi mi conosce ha provato a stanarmi: parli di George o parli di te stesso?

Dalla narrazione emerge chiaramente come George sia stato un uomo che ha anticipato i tempi, sotto molteplici punti di vista. Secondo te, come avrebbe vissuto questi nostri anni e le crescenti preoccupazioni riguardanti l’ambiente?

Come uomo che per primo ha lanciato l’allarme sui cambiamenti climatici certo oggi sarebbe facile per lui constatare la correttezza dei suoi ragionamenti. Non credo però che sarebbe saltato su rivendicando le sue ragioni – stile l’avevo detto io – non era persona. Piuttosto con pragmatismo tutto americano si sarebbe rimboccato le maniche. E da qualche parte avrebbe cominciato. Magari senza scendere in piazza, semmai regalando un sorriso o un cenno di intesa ai ragazzi che oggi in tutto il mondo manifestano.

Nel libro racconti di esserti messo sulle tracce di George prima a Torino, poi nella tua Firenze. Che esperienza è stata?

Ho ritrovato le emozioni che altre volte ho vissuto quando ho deciso di ricostruire e raccontare la storia di altri persone più o meno nascoste nelle pieghe della grande Storia. Semmai questa volta ho sentito un’empatia più forte, che ha sconfinato in una sorta di immedesimazione. In ogni caso ho imparato che i luoghi che da una persona sono stati abitati o frequentati in qualche modo trattengono qualcosa di quella vita, anche se apparentemente non ne è rimasta traccia. E di un’altra cosa mi sono convinto: quando scegli di raccontare una vita prendi una decisione che non esaurisce gli effetti con la pubblicazione di un libro. Comincia una relazione che va avanti. Oggi di George so molto di più, grazie anche ad altre persone che con l’Ambasciatore delle foreste si sono riconosciute in una piccola comunità di affetti  e interessi.

Molti personaggi curiosi circondano George: qualcuno che ha suscitato il tuo interesse in modo particolare?

Non so se curioso sia la parola giusta, ma nel libro – e prima ancora nella vita di George – c’è una persona straordinaria, che forse meriterebbe un libro a parte. Caroline, la seconda moglie di George. Una donna notevolissima per spirito, intelligenza, anticonformismo: e per la verità è lei che ho conosciuto per prima, molti anni prima di imbattermi in George, grazie a un volume che raccoglieva pagine dei suoi diari relativi al periodo trascorso a Torino. Malgrado una malattia che l’ha segnata per tutta la vita Caroline era una donna coraggiosa e indipendente. Così come malgrado le rigidità e le ipocrisie dell’epoca George è stato un marito attento  e affettuoso.

Se ai lettori restasse in mente una sola cosa dopo la lettura de L’ambasciatore delle foreste, quale vorresti che fosse?

In realtà sono almeno due. Ovvero che la vita può prendere direzioni strane e impreviste, ma a volte è proprio questa la strada per diventare ciò che vogliamo. E poi, soprattutto per i più giovani: non è vero che non si possa fare niente. George era solo, nel secolo del Progresso che non ammetteva dubbi, eppure il suo messaggio ha lasciato un segno ed è stato raccolto. Vorrei che L’ambasciatore delle foreste fosse inteso come un libro sull’importanza delle parole – intendo le parole scritte – e su ciò che le parole possono mettere in movimento.



L’ambasciatore delle foreste – Paolo Ciampi

Non è facile introdursi nella vita di un uomo appartenuto ad un’epoca passata, raccontarla, risparmiarla dal proprio giudizio di uomo moderno. Bisogna entrare in punta di piedi, osservarne ogni sfaccettatura, comprenderne i perché.

Paolo Ciampi si imbatte casualmente nella storia di George Perkins Marsh e con “L’ambasciatore delle foreste” (Ed. Arkadia, 2018) realizza un ritratto sincero e affettuoso di questo personaggio importante, stranamente poco noto. Nella biografia redatta da David Lowenthal, Perkins Marsh viene definito “Profeta della Conservazione”. Ciampi declina questo appellativo facendoci avvicinare a colui che divenne il padre dell’ecologia, quando questo termine ancora non aveva un significato concreto.

George, così amichevolmente chiamato dall’autore, nacque il 15 marzo 1801 a Woodstock, nel Vermont, a stretto contatto con i boschi. E i boschi lo accompagneranno sempre nella vita, in un modo o nell’altro. 

 “Un bosco vicino è come un libro da tenere sempre sul comodino, per ciò che ci può insegnare. Il senso del tempo, per esempio. Oppure la responsabilità nei confronti di questa vita e insieme la possibilità di una vita diversa.”

Non eccelse negli affari, registrando svariati fallimenti. Malgrado un’esistenza percorsa da lutti e difficoltà, prestò un onorevole servizio come diplomatico in rappresentanza degli Stati Uniti prima a Istanbul e poi in un’Italia appena nata, proprio mentre la sua terra si immergeva in una lacerante guerra di secessione. 

Ma un uomo non è fatto solo da un elenco di eventi o di occupazioni. Difatti George fu un instancabile viaggiatore, dotato di un “robusto appetito per ogni conoscenza” e, incarichi istituzionali a parte, rimase sempre “un acrobata in precario equilibrio. Sospeso tra la voglia di dare il meglio di sé e la voglia di fare altro”, ossia vedere il mondo e le sue meraviglie. 

 “A volte si sceglie, a volte ci si fa scegliere da un luogo di cui […] si intuisce il contorno delle possibilità che offre. Ovvero di un’altra possibilità di essere se stessi.”

Proprio dal suo amore per la Natura e dalle riflessioni svolte durante i suoi viaggi, nel 1864 nacque “L’uomo e la natura. La geografia fisica modificata per opera dell’uomo”. Impressionato dalle avvisaglie di distruzione emerse con l’avanzare del progresso nel XIX secolo, il lungimirante George ribaltò la prospettiva del suo tempo e indagò sulle responsabilità umane nei cambiamenti ambientali.

 “E’ l’apprendista stregone, l’uomo. Disperde spensieratamente ciò che gli è alleato, per scatenare ciò che è destinato a rivoltarglisi contro”.

Paolo Ciampi ci fa capire che, se è possibile definire il valore di una persona in base al contributo che ha lasciato al mondo, senza dubbio Perkins Marsh fu incredibilmente prezioso. La sua opera ebbe infatti un’eco immensa e originò un’attenzione verso la Natura che, nella seconda metà dell’800, si manifestò con la creazione dei primi parchi nazionali degli Stati Uniti. L’influenza positiva non si limitò al Nuovo Mondo, bensì si espanse ispirando numerosi provvedimenti a tutela dell’ambiente nei decenni a seguire, giungendo fino ai giorni nostri. Fu così che ciò che sta fuori acquisì sempre più importanza per il suo legame con ciò che sta dentro, nello spirito, e che per parlare di civiltà divenne imprescindibile il rispetto della Natura.

L’autore non nasconde il proprio punto di vista e conclude il quadro con un invito a non seppellire le idee di George, a donar loro concretezza, perché “amare gli alberi significa amare assai più che gli alberi”.

Giulia Suman



L’AMBASCIATORE DELLE FORESTE

Chi conosce la scienza sente che un pezzo di musica e un albero hanno qualcosa in comune, che l’uno e l’altro sono creati da leggi egualmente logiche e semplici. Anton Cechov

Un consiglio di lettura estiva per chi, come me, ormai da tempo è immerso e perso in ogni tipo di lettura che riguarda boschi e foreste: l’omonimo libro, scritto dal giornalista e scrittore fiorentino Paolo Ciampi, che contiene il racconto della vita di George Perkins Marsh (1801-1882), ecologista ante litteram.
Ciampi mette nel cassetto un plico di fotocopie di un libro ricevuto da un collega: una poderosa biografia a firma di David Lowenthal, George Perkins Marsh: Prophet of Conservation. Dopo avere dimenticato quelle pagine (ci viene confessato che i discorsi sull’ambiente annoiano…), la curiosità rinasce e arriva la scoperta. E con essa la sorpresa.
Perkins è il primo ambasciatore in Italia degli Stati Uniti, nominato da Abramo Lincoln, un uomo che prima ancora che fosse stata inventata la parola ecologia (Ökologie è stata coniata nel 1866 dallo scienziato tedesco Ernst Haeckel), capisce cosa sta succedendo al mondo. Nato a Woodstock nel Vermont, è il primo a parlare di cambiamenti climatici, di foreste da salvare, attraverso i viaggi nelle foreste del New England ma anche e soprattutto fra le fronde maestose degli abitanti il nostro Appennino e le nostre Alpi. Un grido lontano e inascoltato. Le pagine che portano alla scoperta di questo ambasciatore delle foreste sono piene d riflessioni e illuminazioni sul senso degli alberi, sulle montagne e sulla nostra stessa civiltà. Un senso di gratitudine per i boschi pervade il pensiero di George, così ci piace chiamarlo insieme all’autore del testo. Vivendo fra Torino, Firenze e Roma, George gode della luce fiorentina e di quella che filtra fra gli alberi delle Alpi, che considera persone e non cose, sempre cedendo alla tentazione di una passeggiata. “Le Alpi per me sembrano avere un “respiro vitale” più di ogni parte nel resto del mondo” scriveva, possibilità di pace e di cura.
George è una voce solitaria in mezzo all’industrializzazione galoppante, tempi che corrono troppo veloci, dove non c’è più passato o futuro e resta la prepotenza del presente. Le parole però, a volte, e fortunatamente, creano fatti, soprattutto se sono in accordo con i tempi e mature per essi.
Nel 1864, anno in cui pubblica il suo Man and Nature or Physical geography as modified by human action, Lincoln concede alla California la Yosemite Valley, vincolandola a uso pubblico, per villeggiatura e svago. La valle non è ancora un parco ma l’idea che godere della natura può essere una strada per proteggerla germoglia. Nel 1872 ecco allora che il presidente Ulysses Grant istituisce il parco nazionale di Yellowstone, il primo in tutto il pianeta e che molti indicano come frutto delle idee di George. Henri David Thoreau è morto nel 1862 e non ha fatto in tempo quindi a leggere Man and Nature, un libro che serve ad attirare l’attenzione di osservatori preparati, ma il grande John Muir sì. Un uomo che si firmava John Muir, pianeta terra, universo, capace di dire: “sono uscito per fare una passeggiata e ho finito per star fuori fino al tramonto del sole, perché andare fuori, mi sono accoro, in realtà significava andare dentro”. John riesce a pescare da quanto ha dentro, e in qualche modo si riferisce anche a George. Le parole di George creano fatti, parole che uniscono uomini nel mondo. Allora come ora. Che fanno rete, si direbbe oggi.
George conosce anche le foreste di Vallombrosa, dove i vicini camaldolesi di San Romualdo, ordine benedettino, obbediscono a una regola che contiene precise raccomandazioni per salvaguardare gli alberi: il primo Codice forestale. Preghiera e lavoro, mistero e santità degli alberi: tu sarai abete per altezza di contemplazione. Gli alberi sono scale per collegare la terra al cielo, valga tanto per i monaci quanto per gli sciamani di aree lontane del mondo.
La natura senza uomo non è perfetta, la natura con l’uomo spesso si fa disastro, scrive Ciampi, e regolarmente il vero pericolo non è il nomade, il barbaro con le sue tende fuori delle città, ma il sedentario, il civilizzato. Nulla di più vero e attuale.
Una cultura non è migliore dei suoi boschi, dichiara il poeta inglese Wystan Hugh Auden, la si può valutare dai boschi, aggiunge Ciampi, non meno che dalle scuole, dagli ospedali, dalle prigioni. Inseguire la vita di George ha insegnato che la vita di ciascuno di noi è come un fiume di montagna che scende a valle, dove le vicende sono i sassi sott’acqua che le leviga e modella. Gli ostacoli che i giapponesi riconoscono nei loro specchi d’acqua dei giardini, con le carpe coraggiose che li evitano. Abbiamo appreso a misurarci con il silenzio. Con la quiete.
Con l’autore ci si vorrebbe solo abbandonare all’acqua di questo fiume, essere noi stessi acqua che scende a valle, prima che la corsa finisca, prima che l’acqua si mescoli ad altra acqua.
Chi conosce la scienza sente che un pezzo di musica e un albero hanno qualcosa in comune, che l’uno e l’altro sono creati da leggi egualmente logiche e semplici. Anton Cechov.
Un consiglio di lettura estiva per chi, come me, ormai da tempo è immerso e perso in ogni tipo di lettura che riguarda boschi e foreste: l’omonimo libro, scritto dal giornalista e scrittore fiorentino Paolo Ciampi, che contiene il racconto della vita di George Perkins Marsh (1801-1882), ecologista ante litteram.
Ciampi mette nel cassetto un plico di fotocopie di un libro ricevuto da un collega: una poderosa biografia a firma di David Lowenthal, George Perkins Marsh: Prophet of Conservation. Dopo avere dimenticato quelle pagine (ci viene confessato che i discorsi sull’ambiente annoiano…), la curiosità rinasce e arriva la scoperta. E con essa la sorpresa.
Perkins è il primo ambasciatore in Italia degli Stati Uniti, nominato da Abramo Lincoln, un uomo che prima ancora che fosse stata inventata la parola ecologia (Ökologie è stata coniata nel 1866 dallo scienziato tedesco Ernst Haeckel), capisce cosa sta succedendo al mondo. Nato a Woodstock nel Vermont, è il primo a parlare di cambiamenti climatici, di foreste da salvare, attraverso i viaggi nelle foreste del New England ma anche e soprattutto fra le fronde maestose degli abitanti il nostro Appennino e le nostre Alpi. Un grido lontano e inascoltato. Le pagine che portano alla scoperta di questo ambasciatore delle foreste sono piene d riflessioni e illuminazioni sul senso degli alberi, sulle montagne e sulla nostra stessa civiltà. Un senso di gratitudine per i boschi pervade il pensiero di George, così ci piace chiamarlo insieme all’autore del testo. Vivendo fra Torino, Firenze e Roma, George gode della luce fiorentina e di quella che filtra fra gli alberi delle Alpi, che considera persone e non cose, sempre cedendo alla tentazione di una passeggiata. “Le Alpi per me sembrano avere un “respiro vitale” più di ogni parte nel resto del mondo” scriveva, possibilità di pace e di cura.
George è una voce solitaria in mezzo all’industrializzazione galoppante, tempi che corrono troppo veloci, dove non c’è più passato o futuro e resta la prepotenza del presente. Le parole però, a volte, e fortunatamente, creano fatti, soprattutto se sono in accordo con i tempi e mature per essi.
Nel 1864, anno in cui pubblica il suo Man and Nature or Physical geography as modified by human action, Lincoln concede alla California la Yosemite Valley, vincolandola a uso pubblico, per villeggiatura e svago. La valle non è ancora un parco ma l’idea che godere della natura può essere una strada per proteggerla germoglia. Nel 1872 ecco allora che il presidente Ulysses Grant istituisce il parco nazionale di Yellowstone, il primo in tutto il pianeta e che molti indicano come frutto delle idee di George. Henri David Thoreau è morto nel 1862 e non ha fatto in tempo quindi a leggere Man and Nature, un libro che serve ad attirare l’attenzione di osservatori preparati, ma il grande John Muir sì. Un uomo che si firmava John Muir, pianeta terra, universo, capace di dire: “sono uscito per fare una passeggiata e ho finito per star fuori fino al tramonto del sole, perché andare fuori, mi sono accoro, in realtà significava andare dentro”. John riesce a pescare da quanto ha dentro, e in qualche modo si riferisce anche a George. Le parole di George creano fatti, parole che uniscono uomini nel mondo. Allora come ora. Che fanno rete, si direbbe oggi.
George conosce anche le foreste di Vallombrosa, dove i vicini camaldolesi di San Romualdo, ordine benedettino, obbediscono a una regola che contiene precise raccomandazioni per salvaguardare gli alberi: il primo Codice forestale. Preghiera e lavoro, mistero e santità degli alberi: tu sarai abete per altezza di contemplazione. Gli alberi sono scale per collegare la terra al cielo, valga tanto per i monaci quanto per gli sciamani di aree lontane del mondo.
La natura senza uomo non è perfetta, la natura con l’uomo spesso si fa disastro, scrive Ciampi, e regolarmente il vero pericolo non è il nomade, il barbaro con le sue tende fuori delle città, ma il sedentario, il civilizzato. Nulla di più vero e attuale.
Una cultura non è migliore dei suoi boschi, dichiara il poeta inglese Wystan Hugh Auden, la si può valutare dai boschi, aggiunge Ciampi, non meno che dalle scuole, dagli ospedali, dalle prigioni. Inseguire la vita di George ha insegnato che la vita di ciascuno di noi è come un fiume di montagna che scende a valle, dove le vicende sono i sassi sott’acqua che le leviga e modella. Gli ostacoli che i giapponesi riconoscono nei loro specchi d’acqua dei giardini, con le carpe coraggiose che li evitano. Abbiamo appreso a misurarci con il silenzio. Con la quiete.
Con l’autore ci si vorrebbe solo abbandonare all’acqua di questo fiume, essere noi stessi acqua che scende a valle, prima che la corsa finisca, prima che l’acqua si mescoli ad altra acqua.

Simonetta Sandri



Arkadia Editore

Arkadia Editore è una realtà nuova che si basa però su professionalità consolidate. Un modo come un altro di conservare attraverso il cambiamento i tratti distintivi di un amore e di una passione che ci contraddistingue da sempre.

P.iva: 03226920928




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