Paolo Ciampi


Letteratura contemporanea, prosa, poesia, testi teatrali 

L’ambasciatore delle foreste 

Paolo Ciampi ci conduce alla scoperta della figura di George Perkins Marsh, primo ambasciatore degli Stati Uniti nell’Italia unita, padre dei grandi parchi americani ed ecologista ante litteram. Tra le foreste americane, le Alpi e l’Appennino italiano una storia di amore per gli alberi e le montagne. Un libro appassionante come un romanzo che parla di foreste da salvare, cambiamenti climatici, e che ci allerta sulla precarietà del pianeta 

Poco importa che si tratti di catastrofi che riguardano tutti, ogni volta che sente parlare di ambiente, l’autore comincia a sbadigliare preso dalla noia. A molti succede così. Un giorno però si imbatte nella figura di George Perkins Marsh, il primo ambasciatore in Italia degli Stati Uniti, nominato da Abramo Lincoln. Solo dieci anni più tardi capisce di chi si tratta: è l’uomo che nel secolo del progresso e dell’industria, prima ancora che la stessa parola “ecologia” abbia fatto la sua comparsa, capisce cosa sta succedendo al mondo. L’ambasciatore delle foreste ripercorre la vicenda umana di George Perkins Marsh, diplomatico e ambasciatore delle foreste nel mondo, da quelle del New England alle foreste del nostro Appennino, passando per i deserti dell’Africa. Con stile asciutto e colloquiale, in un dialogo costante con il lettore, Paolo Ciampi riporta alla luce la storia di una persona ingiustamente dimenticata – dall’altro lato dell’Atlantico, invece, Marsh è considerato il padre di parchi come Yellowstone –, che ci regala un nuovo sguardo sugli alberi, sulle montagne, sulla stessa nostra civiltà. Non c’è più noia, con questo personaggio stravagante, che frequenta a malincuore la corte dei Savoia, si appassiona alle saghe di Islanda, coltiva l’idea di portare i cammelli nelle praterie degli Stati Uniti, e che, un secolo prima dei forum internazionali e delle conferenze sul clima e sull’ambiente, parla di foreste da salvare, di cambiamenti climatici e ci allerta sulla precarietà del pianeta e sulla nostra stessa possibilità di sopravvivenza. 

Paolo Ciampi, giornalista e scrittore fiorentino, ha lavorato per diversi quotidiani e oggi è direttore dell’Agenzia di informazione della Regione Toscana. Si divide tra la passione per i viaggi e la curiosità per i nomi dimenticati nelle pieghe della storia. Ha all’attivo una trentina di libri usciti per editori come Mursia, Vallecchi, Giuntina, Ediciclo, Clichy. Gli ultimi, in ordine di pubblicazione, sono L’uomo che ci regalò i numeri (Mursia), sui viaggi e le scoperte del matematico Leonardo Fibonacci, Il sogno delle mappe (Ediciclo, Piccola Filosofia di Viaggio) e Cosa ne sai della Polonia (Fusta). Attivo nella promozione degli aspetti sociali della lettura, partecipa a numerose iniziative nelle scuole. Cura due blog, ilibrisonoviaggi.blogspot.it e passieparole.blog. 

Maria Rosaria Perilli



È il 1861: nasce il Regno d’Italia e in America scoppia la Guerra di secessione. In un momento storico cruciale e delicatissimo, un personaggio estremamente curioso diventa il primo ambasciatore in Italia degli Stati Uniti. Si chiama George Perkins Marsh e L’ambasciatore delle foreste di Paolo Ciampi (Arkadia Editore) ne racconta la storia. George è un personaggio curioso: appassionato di linguistica, amante della natura, uomo d’affari visionario ma sfortunato, viaggiatore e osservatore acutissimo. Tra incontri bizzarri, intuizioni geniali e una vicenda umana segnata da difficoltà non indifferenti, George emerge come un uomo profondamente moderno e lungimirante, ma soprattutto si svela come ecologista ante litteram. Seguendo passo passo la sua vita, il lettore entra in sintonia con lui e, pagina dopo pagina, il libro si rivela una chicca imperdibile.

Abbiamo posto qualche domanda all’autore, Paolo Ciampi, per approfondire la figura di George e il messaggio che il libro intende trasmettere raccontando questa singolare vicenda.

Per cominciare, com’è nata l’idea di approfondire e narrare la storia di George Perkins Marsh?

Sono i casi della vita, senza dover ricorrere alla solita frase sulle storie che bussano alla porta di chi è pronto a riceverle. Diciamo che sono stato fortunato: un giorno arrivò dalle mie parti una delegazione dell’Agenzia dei parchi degli Stati Uniti, incontrò i colleghi italiani e si meravigliò che da noi George Perkins Marsh, padre dell’ecologia prima che la stessa parola ecologia esistesse, fosse praticamente uno sconosciuto. Così lasciò in dono una ponderosa biografia. Però ci ho messo dieci anni per leggerla e per capire che questa era una storia da raccontare.

Se dovessi descrivere George con tre aggettivi, quali sarebbero e perché?

Curioso, perché senza la curiosità non si sarebbe mai posto le domande giuste. Irrequieto, di quell’irrequietezza che prova comunque a tenersi strette le cose che davvero contano. Pigro, intendendo quel genere di pigrizia che sa darsi molto daffare, non per ciò che da te pretendono ma per ciò che vuoi veramente. Inutile dire che in George ritrovo qualcosa di me. Anzi, chi mi conosce ha provato a stanarmi: parli di George o parli di te stesso?

Dalla narrazione emerge chiaramente come George sia stato un uomo che ha anticipato i tempi, sotto molteplici punti di vista. Secondo te, come avrebbe vissuto questi nostri anni e le crescenti preoccupazioni riguardanti l’ambiente?

Come uomo che per primo ha lanciato l’allarme sui cambiamenti climatici certo oggi sarebbe facile per lui constatare la correttezza dei suoi ragionamenti. Non credo però che sarebbe saltato su rivendicando le sue ragioni – stile l’avevo detto io – non era persona. Piuttosto con pragmatismo tutto americano si sarebbe rimboccato le maniche. E da qualche parte avrebbe cominciato. Magari senza scendere in piazza, semmai regalando un sorriso o un cenno di intesa ai ragazzi che oggi in tutto il mondo manifestano.

Nel libro racconti di esserti messo sulle tracce di George prima a Torino, poi nella tua Firenze. Che esperienza è stata?

Ho ritrovato le emozioni che altre volte ho vissuto quando ho deciso di ricostruire e raccontare la storia di altri persone più o meno nascoste nelle pieghe della grande Storia. Semmai questa volta ho sentito un’empatia più forte, che ha sconfinato in una sorta di immedesimazione. In ogni caso ho imparato che i luoghi che da una persona sono stati abitati o frequentati in qualche modo trattengono qualcosa di quella vita, anche se apparentemente non ne è rimasta traccia. E di un’altra cosa mi sono convinto: quando scegli di raccontare una vita prendi una decisione che non esaurisce gli effetti con la pubblicazione di un libro. Comincia una relazione che va avanti. Oggi di George so molto di più, grazie anche ad altre persone che con l’Ambasciatore delle foreste si sono riconosciute in una piccola comunità di affetti  e interessi.

Molti personaggi curiosi circondano George: qualcuno che ha suscitato il tuo interesse in modo particolare?

Non so se curioso sia la parola giusta, ma nel libro – e prima ancora nella vita di George – c’è una persona straordinaria, che forse meriterebbe un libro a parte. Caroline, la seconda moglie di George. Una donna notevolissima per spirito, intelligenza, anticonformismo: e per la verità è lei che ho conosciuto per prima, molti anni prima di imbattermi in George, grazie a un volume che raccoglieva pagine dei suoi diari relativi al periodo trascorso a Torino. Malgrado una malattia che l’ha segnata per tutta la vita Caroline era una donna coraggiosa e indipendente. Così come malgrado le rigidità e le ipocrisie dell’epoca George è stato un marito attento  e affettuoso.

Se ai lettori restasse in mente una sola cosa dopo la lettura de L’ambasciatore delle foreste, quale vorresti che fosse?

In realtà sono almeno due. Ovvero che la vita può prendere direzioni strane e impreviste, ma a volte è proprio questa la strada per diventare ciò che vogliamo. E poi, soprattutto per i più giovani: non è vero che non si possa fare niente. George era solo, nel secolo del Progresso che non ammetteva dubbi, eppure il suo messaggio ha lasciato un segno ed è stato raccolto. Vorrei che L’ambasciatore delle foreste fosse inteso come un libro sull’importanza delle parole – intendo le parole scritte – e su ciò che le parole possono mettere in movimento.



L’ambasciatore delle foreste – Paolo Ciampi

Non è facile introdursi nella vita di un uomo appartenuto ad un’epoca passata, raccontarla, risparmiarla dal proprio giudizio di uomo moderno. Bisogna entrare in punta di piedi, osservarne ogni sfaccettatura, comprenderne i perché.

Paolo Ciampi si imbatte casualmente nella storia di George Perkins Marsh e con “L’ambasciatore delle foreste” (Ed. Arkadia, 2018) realizza un ritratto sincero e affettuoso di questo personaggio importante, stranamente poco noto. Nella biografia redatta da David Lowenthal, Perkins Marsh viene definito “Profeta della Conservazione”. Ciampi declina questo appellativo facendoci avvicinare a colui che divenne il padre dell’ecologia, quando questo termine ancora non aveva un significato concreto.

George, così amichevolmente chiamato dall’autore, nacque il 15 marzo 1801 a Woodstock, nel Vermont, a stretto contatto con i boschi. E i boschi lo accompagneranno sempre nella vita, in un modo o nell’altro. 

 “Un bosco vicino è come un libro da tenere sempre sul comodino, per ciò che ci può insegnare. Il senso del tempo, per esempio. Oppure la responsabilità nei confronti di questa vita e insieme la possibilità di una vita diversa.”

Non eccelse negli affari, registrando svariati fallimenti. Malgrado un’esistenza percorsa da lutti e difficoltà, prestò un onorevole servizio come diplomatico in rappresentanza degli Stati Uniti prima a Istanbul e poi in un’Italia appena nata, proprio mentre la sua terra si immergeva in una lacerante guerra di secessione. 

Ma un uomo non è fatto solo da un elenco di eventi o di occupazioni. Difatti George fu un instancabile viaggiatore, dotato di un “robusto appetito per ogni conoscenza” e, incarichi istituzionali a parte, rimase sempre “un acrobata in precario equilibrio. Sospeso tra la voglia di dare il meglio di sé e la voglia di fare altro”, ossia vedere il mondo e le sue meraviglie. 

 “A volte si sceglie, a volte ci si fa scegliere da un luogo di cui […] si intuisce il contorno delle possibilità che offre. Ovvero di un’altra possibilità di essere se stessi.”

Proprio dal suo amore per la Natura e dalle riflessioni svolte durante i suoi viaggi, nel 1864 nacque “L’uomo e la natura. La geografia fisica modificata per opera dell’uomo”. Impressionato dalle avvisaglie di distruzione emerse con l’avanzare del progresso nel XIX secolo, il lungimirante George ribaltò la prospettiva del suo tempo e indagò sulle responsabilità umane nei cambiamenti ambientali.

 “E’ l’apprendista stregone, l’uomo. Disperde spensieratamente ciò che gli è alleato, per scatenare ciò che è destinato a rivoltarglisi contro”.

Paolo Ciampi ci fa capire che, se è possibile definire il valore di una persona in base al contributo che ha lasciato al mondo, senza dubbio Perkins Marsh fu incredibilmente prezioso. La sua opera ebbe infatti un’eco immensa e originò un’attenzione verso la Natura che, nella seconda metà dell’800, si manifestò con la creazione dei primi parchi nazionali degli Stati Uniti. L’influenza positiva non si limitò al Nuovo Mondo, bensì si espanse ispirando numerosi provvedimenti a tutela dell’ambiente nei decenni a seguire, giungendo fino ai giorni nostri. Fu così che ciò che sta fuori acquisì sempre più importanza per il suo legame con ciò che sta dentro, nello spirito, e che per parlare di civiltà divenne imprescindibile il rispetto della Natura.

L’autore non nasconde il proprio punto di vista e conclude il quadro con un invito a non seppellire le idee di George, a donar loro concretezza, perché “amare gli alberi significa amare assai più che gli alberi”.

Giulia Suman



L’AMBASCIATORE DELLE FORESTE

Chi conosce la scienza sente che un pezzo di musica e un albero hanno qualcosa in comune, che l’uno e l’altro sono creati da leggi egualmente logiche e semplici. Anton Cechov

Un consiglio di lettura estiva per chi, come me, ormai da tempo è immerso e perso in ogni tipo di lettura che riguarda boschi e foreste: l’omonimo libro, scritto dal giornalista e scrittore fiorentino Paolo Ciampi, che contiene il racconto della vita di George Perkins Marsh (1801-1882), ecologista ante litteram.
Ciampi mette nel cassetto un plico di fotocopie di un libro ricevuto da un collega: una poderosa biografia a firma di David Lowenthal, George Perkins Marsh: Prophet of Conservation. Dopo avere dimenticato quelle pagine (ci viene confessato che i discorsi sull’ambiente annoiano…), la curiosità rinasce e arriva la scoperta. E con essa la sorpresa.
Perkins è il primo ambasciatore in Italia degli Stati Uniti, nominato da Abramo Lincoln, un uomo che prima ancora che fosse stata inventata la parola ecologia (Ökologie è stata coniata nel 1866 dallo scienziato tedesco Ernst Haeckel), capisce cosa sta succedendo al mondo. Nato a Woodstock nel Vermont, è il primo a parlare di cambiamenti climatici, di foreste da salvare, attraverso i viaggi nelle foreste del New England ma anche e soprattutto fra le fronde maestose degli abitanti il nostro Appennino e le nostre Alpi. Un grido lontano e inascoltato. Le pagine che portano alla scoperta di questo ambasciatore delle foreste sono piene d riflessioni e illuminazioni sul senso degli alberi, sulle montagne e sulla nostra stessa civiltà. Un senso di gratitudine per i boschi pervade il pensiero di George, così ci piace chiamarlo insieme all’autore del testo. Vivendo fra Torino, Firenze e Roma, George gode della luce fiorentina e di quella che filtra fra gli alberi delle Alpi, che considera persone e non cose, sempre cedendo alla tentazione di una passeggiata. “Le Alpi per me sembrano avere un “respiro vitale” più di ogni parte nel resto del mondo” scriveva, possibilità di pace e di cura.
George è una voce solitaria in mezzo all’industrializzazione galoppante, tempi che corrono troppo veloci, dove non c’è più passato o futuro e resta la prepotenza del presente. Le parole però, a volte, e fortunatamente, creano fatti, soprattutto se sono in accordo con i tempi e mature per essi.
Nel 1864, anno in cui pubblica il suo Man and Nature or Physical geography as modified by human action, Lincoln concede alla California la Yosemite Valley, vincolandola a uso pubblico, per villeggiatura e svago. La valle non è ancora un parco ma l’idea che godere della natura può essere una strada per proteggerla germoglia. Nel 1872 ecco allora che il presidente Ulysses Grant istituisce il parco nazionale di Yellowstone, il primo in tutto il pianeta e che molti indicano come frutto delle idee di George. Henri David Thoreau è morto nel 1862 e non ha fatto in tempo quindi a leggere Man and Nature, un libro che serve ad attirare l’attenzione di osservatori preparati, ma il grande John Muir sì. Un uomo che si firmava John Muir, pianeta terra, universo, capace di dire: “sono uscito per fare una passeggiata e ho finito per star fuori fino al tramonto del sole, perché andare fuori, mi sono accoro, in realtà significava andare dentro”. John riesce a pescare da quanto ha dentro, e in qualche modo si riferisce anche a George. Le parole di George creano fatti, parole che uniscono uomini nel mondo. Allora come ora. Che fanno rete, si direbbe oggi.
George conosce anche le foreste di Vallombrosa, dove i vicini camaldolesi di San Romualdo, ordine benedettino, obbediscono a una regola che contiene precise raccomandazioni per salvaguardare gli alberi: il primo Codice forestale. Preghiera e lavoro, mistero e santità degli alberi: tu sarai abete per altezza di contemplazione. Gli alberi sono scale per collegare la terra al cielo, valga tanto per i monaci quanto per gli sciamani di aree lontane del mondo.
La natura senza uomo non è perfetta, la natura con l’uomo spesso si fa disastro, scrive Ciampi, e regolarmente il vero pericolo non è il nomade, il barbaro con le sue tende fuori delle città, ma il sedentario, il civilizzato. Nulla di più vero e attuale.
Una cultura non è migliore dei suoi boschi, dichiara il poeta inglese Wystan Hugh Auden, la si può valutare dai boschi, aggiunge Ciampi, non meno che dalle scuole, dagli ospedali, dalle prigioni. Inseguire la vita di George ha insegnato che la vita di ciascuno di noi è come un fiume di montagna che scende a valle, dove le vicende sono i sassi sott’acqua che le leviga e modella. Gli ostacoli che i giapponesi riconoscono nei loro specchi d’acqua dei giardini, con le carpe coraggiose che li evitano. Abbiamo appreso a misurarci con il silenzio. Con la quiete.
Con l’autore ci si vorrebbe solo abbandonare all’acqua di questo fiume, essere noi stessi acqua che scende a valle, prima che la corsa finisca, prima che l’acqua si mescoli ad altra acqua.
Chi conosce la scienza sente che un pezzo di musica e un albero hanno qualcosa in comune, che l’uno e l’altro sono creati da leggi egualmente logiche e semplici. Anton Cechov.
Un consiglio di lettura estiva per chi, come me, ormai da tempo è immerso e perso in ogni tipo di lettura che riguarda boschi e foreste: l’omonimo libro, scritto dal giornalista e scrittore fiorentino Paolo Ciampi, che contiene il racconto della vita di George Perkins Marsh (1801-1882), ecologista ante litteram.
Ciampi mette nel cassetto un plico di fotocopie di un libro ricevuto da un collega: una poderosa biografia a firma di David Lowenthal, George Perkins Marsh: Prophet of Conservation. Dopo avere dimenticato quelle pagine (ci viene confessato che i discorsi sull’ambiente annoiano…), la curiosità rinasce e arriva la scoperta. E con essa la sorpresa.
Perkins è il primo ambasciatore in Italia degli Stati Uniti, nominato da Abramo Lincoln, un uomo che prima ancora che fosse stata inventata la parola ecologia (Ökologie è stata coniata nel 1866 dallo scienziato tedesco Ernst Haeckel), capisce cosa sta succedendo al mondo. Nato a Woodstock nel Vermont, è il primo a parlare di cambiamenti climatici, di foreste da salvare, attraverso i viaggi nelle foreste del New England ma anche e soprattutto fra le fronde maestose degli abitanti il nostro Appennino e le nostre Alpi. Un grido lontano e inascoltato. Le pagine che portano alla scoperta di questo ambasciatore delle foreste sono piene d riflessioni e illuminazioni sul senso degli alberi, sulle montagne e sulla nostra stessa civiltà. Un senso di gratitudine per i boschi pervade il pensiero di George, così ci piace chiamarlo insieme all’autore del testo. Vivendo fra Torino, Firenze e Roma, George gode della luce fiorentina e di quella che filtra fra gli alberi delle Alpi, che considera persone e non cose, sempre cedendo alla tentazione di una passeggiata. “Le Alpi per me sembrano avere un “respiro vitale” più di ogni parte nel resto del mondo” scriveva, possibilità di pace e di cura.
George è una voce solitaria in mezzo all’industrializzazione galoppante, tempi che corrono troppo veloci, dove non c’è più passato o futuro e resta la prepotenza del presente. Le parole però, a volte, e fortunatamente, creano fatti, soprattutto se sono in accordo con i tempi e mature per essi.
Nel 1864, anno in cui pubblica il suo Man and Nature or Physical geography as modified by human action, Lincoln concede alla California la Yosemite Valley, vincolandola a uso pubblico, per villeggiatura e svago. La valle non è ancora un parco ma l’idea che godere della natura può essere una strada per proteggerla germoglia. Nel 1872 ecco allora che il presidente Ulysses Grant istituisce il parco nazionale di Yellowstone, il primo in tutto il pianeta e che molti indicano come frutto delle idee di George. Henri David Thoreau è morto nel 1862 e non ha fatto in tempo quindi a leggere Man and Nature, un libro che serve ad attirare l’attenzione di osservatori preparati, ma il grande John Muir sì. Un uomo che si firmava John Muir, pianeta terra, universo, capace di dire: “sono uscito per fare una passeggiata e ho finito per star fuori fino al tramonto del sole, perché andare fuori, mi sono accoro, in realtà significava andare dentro”. John riesce a pescare da quanto ha dentro, e in qualche modo si riferisce anche a George. Le parole di George creano fatti, parole che uniscono uomini nel mondo. Allora come ora. Che fanno rete, si direbbe oggi.
George conosce anche le foreste di Vallombrosa, dove i vicini camaldolesi di San Romualdo, ordine benedettino, obbediscono a una regola che contiene precise raccomandazioni per salvaguardare gli alberi: il primo Codice forestale. Preghiera e lavoro, mistero e santità degli alberi: tu sarai abete per altezza di contemplazione. Gli alberi sono scale per collegare la terra al cielo, valga tanto per i monaci quanto per gli sciamani di aree lontane del mondo.
La natura senza uomo non è perfetta, la natura con l’uomo spesso si fa disastro, scrive Ciampi, e regolarmente il vero pericolo non è il nomade, il barbaro con le sue tende fuori delle città, ma il sedentario, il civilizzato. Nulla di più vero e attuale.
Una cultura non è migliore dei suoi boschi, dichiara il poeta inglese Wystan Hugh Auden, la si può valutare dai boschi, aggiunge Ciampi, non meno che dalle scuole, dagli ospedali, dalle prigioni. Inseguire la vita di George ha insegnato che la vita di ciascuno di noi è come un fiume di montagna che scende a valle, dove le vicende sono i sassi sott’acqua che le leviga e modella. Gli ostacoli che i giapponesi riconoscono nei loro specchi d’acqua dei giardini, con le carpe coraggiose che li evitano. Abbiamo appreso a misurarci con il silenzio. Con la quiete.
Con l’autore ci si vorrebbe solo abbandonare all’acqua di questo fiume, essere noi stessi acqua che scende a valle, prima che la corsa finisca, prima che l’acqua si mescoli ad altra acqua.

Simonetta Sandri



George Perkins Marsh (1801-1882), primo ambasciatore Usa in Italia e primo “verde” della storia, senza sapere di essere un protomilitante “ecologista”, ma agendo compiutamente come tale, quando il termine ecologista non esisteva ancora. Non abbiamo difficoltà ad ammettere che non conoscevamo affatto il diplomatico, tanto meno l’ambientalista, ma non è una vergogna, perché “l’uomo dei boschi” era ignoto fino a poco tempo fa perfino a Paolo Ciampi, il giornalista fiorentino che sull’avventura pro-natura di Marsh ha scritto un gran bel libro, “L’ambasciatore delle foreste”, pubblicato nel 2018 per l’Editore Arkadia di Cagliari, terzo nella collana di narrativa Senza rotta (prima edizione dicembre 2018, ristampa subito a gennaio 2019, 160 pagine, 14 euro).

Ciampi ha lavorato per diversi quotidiani e dirige l’Agenzia di stampa della Giunta regionale toscana (“Toscana Notizie”). Ama i viaggi e la storia, è un blogger molto attivo. Ha firmato decine di testi, una trentina, nel più recente dei quali si è dedicato a un altro personaggio da scoprire: il geniale matematico pisano del XII secolo Leonardo Fibonacci. 

Al bando qualsiasi sospetto che questa recensione del libro su Marsh possa sembrare un atto di piaggeria nei confronti di un collega (entrambi abbiamo come datore di lavoro un’Amministrazione regionale). È stato l’editore sardo a suggerire la lettura e a sostegno dell’oggettiva qualità di questo saggio c’è la presenza tra i cinquantasette titoli proposti a febbraio per la candidatura al 73esimo Premio Strega. Non è poi entrato tra i dodici selezionati per la gara, ma resta un bel biglietto da visita la segnalazione degli Amici della Domenica, la giuria storica del popolare concorso.

Sulle prime, l’incontro di Ciampi con Marsh è stato freddino. Aveva a stento sfogliato il libro, regalatogli da un collega, sul primo ambasciatore degli Stati Uniti nominato da Abramo Lincoln nell’Italia da poco unita. L’illuminazione ha tardato dieci anni, ma è finalmente arrivata: anche quel Marsh è stato un pioniere americano nell’Ottocento, pur non essendo un esploratore, ma un difensore dell’ambiente. In anticipo su tutti, ha capito che il pianeta stava cominciando a cambiare, che l’impatto delle attività umane aggrediva il mondo sempre più pesantemente. Per primo ha parlato di cambiamenti climatici, per primo ha visto nelle foreste non un patrimonio immutabile nel tempo e destinato a crescere pazientemente come sempre, ma una risorsa che l’umanità stava mettendo in pericolo con comportamenti irresponsabili.

George Marsh era originario del resto nel Vermont, conosciuto America come The great mountain State (Il grande stato di montagna) e questo dice tutto sull’orografia del territorio. Il suo villaggio natale era Woodstock, che non è però quella del mega festival rock-hippie del 1969, celebrato invece a Bethel, nello Stato di New York. 

Tra le foreste è nato, per le foreste si è battuto, da “padre dei grandi parchi americani” ha operato per creare quello di Yellowstone, l’enorme area naturale protetta che conosciamo soprattutto come “casa” di Yoghi e Bubu, gli irresistibili orsi dei cartoni di Hanna e Barbera. Circondato da una foresta è morto, nell’abbazia toscana di Vallombrosa, col rammarico che nei boschi intorno mancassero “essenze” americane, tanto che aveva chiesto a un amico di fargli arrivare semi degli alberi del New England, da piantare nell’Appennino.

Conquistato dal personaggio e dalle sue motivazioni verdi, Ciampi ha approfondito la figura e l’azione del Marsh primo ecologo, del viaggiatore, del geografo dilettante ma di talento, del conoscitore di realtà diverse. Uno che certo non stava mai fermo.

Anche Paolo una ne fa, cento ne pensa e mille ne progetta. Scrive in prima persona, chiosa frequentemente con sue considerazioni, apre parentesi. È un procedere in soggettiva, in costante presa diretta.

Nei miei ragionamenti, non procedo mai bello dritto, nemmeno mi piace. I pensieri sono farfalle che sfuggono al retino della logica, se logica c’è. Dico e divago, divago e dico. C’è di peggio, comunque.

E comunque la si pensi sul clima e sul riscaldamento globale, non si può non essere d’accordo con lui quando canta lodi al cielo azzurro di Firenze.

Non c’è niente di più bello, in giornate così… sui lungarni, a volte, tutto sembra costruito con la stessa materia dei sogni.

Delle tante bellezze della città dei Medici avrà goduto certamente, George P. Marsh. Amava l’Italia, raggiunta nel 1961 come ambasciatore dopo undici anni trascorsi in Turchia e mai più lasciata. È stato a Torino, Firenze, Roma, le tre capitali del neonato Regno dei Savoia. L’ha girata, guidato dall’innata curiosità di geografo per amore della natura, ha stretto contatti coi principali “italiani” dell’epoca e ammirava Giuseppe Garibaldi. Entrambi erano convinti antischiavisti e quindi schierati per la causa nordista: il diplomatico americano si spese per fare affidare al generale italiano reparti dell’esercito dell’Unione nella guerra civile americana. Non se ne fece niente, ma rimase la stima.

Felice Laudadio



DISCORSO (NON PEDANTE) SULLA NATURA

Ho preso in mano L’ambasciatore delle foreste di Paolo Ciampi il giorno prima della proclamazione della dozzina dello Strega, per la quale il libro era candidato. Era anche una questione affettiva, trattandosi del candidato di Arkadia, la casa editrice per cui è stato pubblicato un mio romanzo, ma allo stesso tempo non un obbligo, tanto più che il tema vagamente ecologista un po’ mi lasciava perplesso. È stata quindi una prima gradita sorpresa scoprire fin dalle prime pagine che questa perplessità era condivisa dallo stesso autore (cenni biografici: fiorentino, giornalista, scrittore di viaggio). Nel libro si percorre in effetti la biografia di un intellettuale ed ecologista ante litteram, forse il primo degli ecologisti, ovvero l’americano George Perkins Marsh, studioso dai molteplici interessi e a lungo ambasciatore statunitense in Italia, nelle pieghe del diciannovesimo secolo. La seconda gradita sorpresa è stato vedere come viene trattata la storia di Marsh: è il Ciampi-giornalista che la scopre, la dimentica, la riprende, ci litiga, si appassiona, e soprattutto si mette e rimane in gioco per tutta la durata del libro, riuscendo in questo modo a chiamare empatia e partecipazione da parte del lettore. Non a caso, ancora prima di una biografia romanzata o di un libro di natura saggistica sulla natura, questo è a mio modo di vedere un libro di viaggi, come da predilezioni dell’autore, che segue il suo personaggio in traversate dell’oceano, escursioni, spedizioni nel deserto, semplici scampagnate, trovando nel mutamento di cielo, a dispetto del detto latino, le cause scatenanti, i motivi veri, della passione di Marsh per la natura (oggi diremmo, per l’ambiente), una passione che a sua volta viene accompagnata dall’approfondimento e dallo studio e si trasforma, in maniera non pedante, in trattato, in precetto, accompagnati da una certa dose di idealismo (le cose potrebbero sembrare in contraddizione, ma probabilmente è dalla giusta frizione tra praticità e utopia che possono o potrebbero nascere i cambiamenti, le evoluzioni). Tutto questo si risolve in una narrazione altrettanto non pedante, che attraversa continenti, soffermandosi a lungo in luoghi davanti a paesaggi italiani, e si nutre di suggestioni e richiami scientifico-letterari (un libro che ne contiene altri, insomma), senza mai perdere una propria qualità limpida, trasparente, lineare, solo a tratti un po’ didascalica specie in certi parallelismi con l’attualità specie italiana (deformazione professionale da giornalista?). Un libro cordiale, ecco, nel quale si viene accolti e affiancati da un autore altrettanto alla mano, mai invadente nonostante la propria presenza e mai nozionistico nonostante la natura, come già detto, biografico-scientifica dell’opera, che si situa in ultima analisi in un terreno florido, rigoglioso (per usare appunto una similitudine naturalistica) che unisce in maniera azzeccata narrativa, saggistica e divulgazione.



Arkadia entra nel tempio dello Strega

È in gara con “L’ambasciatore delle foreste” di Paolo Ciampi

La casa editrice cagliaritana Arkadia concorre ufficialmente alla 73esima edizione del premio Strega con “L’ambasciatore delle foreste”, romanzo dello scrittore fiorentino Paolo Ciampi. Comunicata ieri sul sito premiostrega.it e rilanciata sui social della Fondazione Bellonci, la notizia della candidatura è di straordinaria importanza per l’editoria regionale. L’opera è infatti la prima produzione interamente realizzata da un’impresa sarda a competere per il prestigioso riconoscimento.

Verso lo Strega

Proposto da Antonio Riccardi, scrittore e critico letterario, il titolo procederà ora verso le tappe successive del percorso di selezione. Primo appuntamento al festival “Libri Come” di Roma. Qui il 17 marzo saranno indicate le 12 opere da cui a giugno uscirà la cinquina che accederà alla finale dello Strega. Sinora (a mezzogiorno di oggi scade il termine ultimo per la presentazione della candidatura da parte degli Amici della Domenica) i libri ufficialmente in gara sono 50.

L’editore

Si tratta di un risultato che riempie di soddisfazione l’editore e quanti con lui lavorano nella redazione di viale Bonaria. «Per Arkadia, che quest’anno compie dieci anni di attività – dice Riccardo Mostallino Murgia – rappresenta il punto d’arrivo di un percorso coraggioso che si avvale di professionalità locali e che, forte delle proprie radici, guarda sin dal suo esordio oltre i confini dell’Isola». Un lavoro di ricerca costante per la realizzazione «di un progetto editoriale indipendente che trova il suo emblema» proprio ne “L’Ambasciatore delle foreste” di Paolo Ciampi, giornalista e scrittore fiorentino, camminatore sensibile ai problemi dell’ambiente, oggi direttore dell’Agenzia d’informazione della Regione Toscana.

L’ambasciatore

Biografia che si fa romanzo, il libro ha come protagonista George Perkins Marsh (1801-1882), primo ambasciatore Usa nell’Italia unita e ambasciatore delle foreste nel mondo. Ecologista ante litteram, la cui memoria è stata presto trascurata, fu il primo a porsi problemi diventati urgenti nel dibattito internazionale: i cambiamenti climatici e gli effetti delle azioni dell’uomo sull’ambiente.

Gli sfidanti

Un’opera d’indubbio valore letterario, visto il sostegno espresso dal critico Antonio Riccardi, che, superata la fase di ammissione, dovrà confrontarsi con almeno altri 44 titoli. Tra i nomi di spicco quello di Antonio Scurati, autore del best seller “M. il figlio del secolo”, e di Marco Missiroli col suo “Fedeltà”.

Manuela Arca

 

 

 



Il libro di Arkadia verso lo Strega?

Stamane il verdetto

Sono 35 i libri sinora candidati per il premio Strega 2019. Stamattina si saprà se ai titoli già proposti dagli Amici della domenica, si aggiungerà “L’ambasciatore delle foreste” del fiorentino Paolo Ciampi, pubblicato da Arkadia. La notizia sarebbe straordinaria per l’editoria regionale: si tratterebbe della prima produzione interamente realizzata da un’impresa sarda a correre per il rinascimento. Il responso sarà reso noto sul sito premiostrega.it dove dal 6 febbraio sono stati rivelati, divisi in 8 gruppi, i libri scelti. Oggi (il termine per la candidatura scade domani) si potrebbe avere la sorpresa de “L’ambasciatore delle foreste”. Se dovesse arrivare, il titolo procederà verso “Libri Come” del 17 marzo, festival romano in cui saranno indicate le 12 opere da cui a giugno uscirà la cinquina. Ecco i libri finora candidati: “La straniera”  di Claudia Durastanti, “Non ho mai avuto la mia età” di Antonio Dikele Distefano, “Un marito” di Michele Vaccari, “Il figlio del secolo” di Antonio Scurati, “Arenaria” di Paolo Teobaldi, “Io ho paura” di Silvio Perrella, “Sogni e altiforni” di Giordano Lupi e Cristina De Vita, “Fedeltà” di Marco Missiroli, “Le memorie di una gatta” di Lodovica San Guedoro, “Un giorno verrà” di Giulia Caminato, “Il rumore del mondo” di Benedetta Cibrario, “Luce rubata al giorno” di Emanuele Altissimo, “Migrante per sempre” di Chiara Ingrao, “Mazzarona” di Veronica Tommasini, “Hostia” di Federico Bonadonna, “Quella metà di noi” di Paola Cereda, “Fratello cattivo” di Sandro Gros-Pietro, “Verso Sant’Elena” di Roberto Pazzi, “Da un altro mondo” di Evelina Santangelo, “Di chi è questo cuore” di Mauro Covacich, “Dai tuoi occhi solamente” di Francesca Diotavelli, “Pontescuro” di Luca Ragagnin, “Un cuore tuo malgrado” di Piero Sorrentino, “Le rughe del sorriso” di Carmine Abate, “Ulisse e il cappellaio cieco” di Raffaele Bussi, “Carnaio” di Giulio Cavalli, “Lux” di Eleonora Marangoni, “Ottanta rose mezz’ora” di Cristiano Cavina, “Sonno bianco” di Stefano Corbetta, ”Naso” di Pasquale Panella, “Addio fantasmi” di Nadia Terranova, “Passato remoto” di Vittorio Cotroneo, “La rampicante” di Davide Grittani e “Destino” di Raffalele Romagnolo.

(m.a.)



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