“Ora lo capisco con chiarezza. Arriva un tempo in cui è meno faticoso perdonare che
serbare rancore.”
La frase presente nel libro che qui racconterò, e che ho scelto come incipit della mia
recensione, è rimasta lì per tanti giorni, proprio tanti, e continua a tenermi fermo
davanti ad essa, a guardarla come fosse un’opera d’arte, inquietante, sconvolgente,
perché dice tanto, quasi tutto.
Le parole ci sono donate da Paola Musa, affermata scrittrice, traduttrice, poetessa,
paroliera per tanti musicisti e premiata con numerosi riconoscimenti, che ha scritto
“Umor vitreo” quarto romanzo di una serie dedicata ai vizi capitali, pubblicato da
Arkadia Editore nella collana Eclypse: il vizio che percorre le pagine del romanzo è
l’invidia.
L’autrice ci fa raccontare da una signora anziana, ricoverata in una casa di riposo, la
sua vita vissuta in un paese immaginario, ma in un contesto sociale e temporale più
che verosimile, che rimanda a vicende purtroppo note al nostro Paese reale.
Le protagoniste del romanzo sono due donne, Ania Ledon, che conosciamo a 83 anni
in una residenza per anziani, e quella che avrebbe dovuto essere la sua amica del
cuore, Marla Naiges che conosciamo grazie al racconto di Ania stessa ad un
giornalista, della loro vita fin da piccole. Il vero obiettivo della curiosa intervista che
avrete modo di godervi leggendo il romanzo, è il marito di Marla, un essere umano
che potremmo azzardare a definire inutile, ma che si rivelerà determinante nello
svolgersi del futuro di questo fantomatico Paese. Nessuno poteva immaginare che
queste due bimbe, una invidiosa dell’altra, sarebbero diventate da adulte le
rappresentanti di due modi opposti di intendere la vita. Un sentimento
apparentemente così infantile, cresce come un cancro silente tra giochi, scaramucce, e
ingenui scambi di sguardi e parole, generando metastasi fatali. L’invidia cresce, e
muta nel tempo. Come una massa velenosa dimenticata sotto un sole cocente, si disfà,
si diffonde, avvolge gli animi e li stritola come fa il rancore. Toglie il respiro.
“Il preludio di ogni dittatura segue sempre le regole della semplicità.”
La famiglia di Ania è una famiglia che sta bene, non benestante attenzione, ma che
vive bene sostenuta da un padre professionalmente preparato, con un ruolo di
responsabilità in una miniera, molto importante in quel periodo storico, mentre Marla
e colui che con il passare del tempo le crescerà accanto e diventerà suo marito,
Arteno Gora, stanno sostanzialmente dall’altra parte della barricata. Non vivono
male, ma se gli altri si potessero definire i benestanti, questi sono i più sfortunati. Il
tempo passa, il tempo cambia le cose, chi sta bene forse pensa troppo a se stesso
(tutto cambia, nulla cambia), chi sta meno bene ad un certo punto decide che si può e
si deve cambiare. Gli schieramenti si capovolgono, chi prima era invidioso ora non lo
è più?
Non ne sarei troppo sicuro, e allora vi riporto una nuova frase estrapolata dal
romanzo, a mio parere molto vera:
“Viviamo di continuo nella falsa percezione di ciò che siamo o vogliamo realmente e,
quando lo capiamo, è sempre troppo tardi.”
Torniamo alla frase iniziale. Pensando al rancore, mi viene in mente la muffa che si
forma sul formaggio, o su altri prodotti che dimentichiamo nascosti dietro a vasetti e
cartocci nel frigo di casa, una vera trasformazione del prodotto originale che viene
avvolto da una sorta di lanuggine dai toni grigiastri o verdognoli che facilmente si
espande e trasmigra su prodotti vicini. Può l’invidia essere il male originario, può
l’invidia trasformarsi, generare qualcosa di più grave, farsi come dicevo metastasi.
Non ci avevo mai pensato in questi termini, per me l’invidia finiva là, dove il
desiderio smodato di qualcosa che non potevo e non avrei mai potuto avere, svaniva
nella coscienza dei limiti della mia condizione, lasciando come un filo di bava delle
lumache, ma questa storia mi ha fatto conoscere capitoli successivi di un romanzo
della vita probabilmente molto diffuso, potenzialmente molto pericoloso, realmente
sempre presente, spesso subdolo.
Mi è piaciuto moltissimo questo romanzo, e ringrazio molto l’editore che me lo ha
proposto. Chissà se, e perché, ha pensato potesse essere proprio il romanzo per me.
Forse non è stato così, e va bene ugualmente. Leggetelo e fatene tesoro.
Grazie all’autrice Paola Musa.
Claudio Della Pietà
“È strano, penso talvolta, come la gente sia capace di guardare dall’altra parte per
lunghissimo tempo, pur di non essere costretta a schierarsi e protestare contro certe
violenze e atrocità quotidiane, e come all’improvviso tutto quell’orrore risalga come
un conato, e ciò che fino a poco prima accadeva senza un moto d’indignazione o un
sussulto di dignità divenga, attraverso un singolo episodio, all’improvviso, una
miccia di pura, incontenibile rabbia.”
Claudio della Pietà
Il link alla recensione su Gli Amanti dei Libri: https://bitly.ws/W6Iw
Umor vitreo, Paola Musa, Arkadia. A molti anni di distanza dalla scomparsa di Marla Naiges, moglie e sodale di Arteno Gora, professione dittatore dell’immaginaria e tuttavia tragicamente verosimile Livania, Ania Ledon, oramai più che ottuagenaria, ma in gioventù amica carissima d’infanzia della donna, accetta per la prima volta di rilasciare in esclusiva a una celebre firma del giornalismo un’intervista-memoriale, nonché un ultimo tentativo di difendersi dall’accusa di connivenza con l’atroce regime: rivelerà però, con le sue parole, molto di più, segreti, intrighi, invidie, abusi… Elegante, destabilizzante, da non perdere.
Gabriele Ottaviani
Il link alla recensione su Convenzionali: https://bitly.ws/UQ9d
Il nuovo libro di Paola Musa, Umor vitreo, quarto titolo della serie dedicata ai “Vizi Capitali” iniziata nel 2019 con L’ora meridiana, che racconta, senza mai cadere nella banalità e in una cornice contemporanea, i demoni dell’accidia, cui hanno fatto seguito La figlia di Shakespeare, in cui ha costruito una storia magistrale intorno alla superbia, e il più recente Nessuno sotto il letto, una commedia sull’avarizia non solo materiale ma anche spirituale e culturale, pervasa da un sottile humor nero. Con Umor vitreo l’autrice affronta il tema dell’invidia, e lo fa attraverso una elaborata scrittura che ci porta nell’immaginario paese di Livania.
Questa la storia: Dopo molti anni dalla scomparsa di Marla Naiges, moglie e compagna politica del dittatore Arteno Gora, la sua amica d’infanzia Ania Ledon, oramai ultraottantenne, accetta per la prima volta di rilasciare una testimonianza del loro lungo e controverso rapporto a un noto giornalista. Ambientato in un Paese immaginario, la Livania, ma con una descrizione verosimile sulle dinamiche che conducono all’instaurazione di una dittatura, il racconto di Ania è l’estremo tentativo di difendersi dall’accusa di complicità con il regime di allora, di respingere la riduttiva definizione di amica della diavolessa, diventando poco a poco l’autoanalisi spietata di un rapporto d’amicizia avvelenato dall’invidia, dalla prevaricazione e dall’impossibilità di superare psicologicamente le differenze sociali.
L’autrice: Paola Musa è scrittrice, traduttrice, poetessa. Vive a Roma. Ha ottenuto diversi riconoscimenti in ambito poetico. Collabora da anni con numerosi musicisti come paroliere. Ha firmato
diverse canzoni per Nicky Nicolai insieme a Stefano Di Battista e Dario Rosciglione. Per il teatro ha composto le liriche per la commedia musicale Datemi tre caravelle (interpretata da Alessandro Preziosi, con musiche di Stefano Di Battista) e La dodicesima notte di William Shakespeare (per la regia di Armando Pugliese, sulla musica di Ludovico Einaudi). Ha scritto con Tiziana Sensi la versione teatrale del suo romanzo Condominio occidentale, portato in scena da attori vedenti e ipovedenti in importanti teatri romani, e al Festival internazionale Babel Fast di Targoviste (Romania). Lo spettacolo ha ottenuto la medaglia dal Presidente della Repubblica e la menzione speciale per il teatro al “Premio Anima”. Nel 2008 ha pubblicato il suo primo romanzo, Condominio occidentale (Salerno Editrice), selezionato al Festival du Premier Roman de Chambéry e al “Premio Primo Romanzo Città di Cuneo”. Condominio occidentale è diventato un tv movie per Rai 1 con il titolo Una casa nel cuore e con protagonista Cristiana Capotondi (2015). Nel giugno 2009 è uscito il romanzo Il terzo corpo dell’amore (Salerno Editrice) e nel marzo 2012 la sua prima raccolta di poesie Ore venti e trenta (Albeggi edizioni). Per Arkadia Editore ha pubblicato i romanzi Quelli che restano (2014), Go Max Go (2016), L’ora meridiana (2019), La figlia di Shakespeare (2020) e Nessuno sotto il letto (2021).
Alessandro Scarnecchia
Il link alla segnalazione su Terza Pagina Magazine: https://bitly.ws/UCua
un romanzo molto particolare questo di Paola Musa, scrittrice, traduttrice e poeta, che tratta il tema dell’invidia, uno dei vizi capitali, il quarto con cui si cimenta, sempre per Arkadia editore, dopo quelli dell’accidia, della superbia e dell’avarizia. Sono due le protagoniste principali di questa storia, Marla e Ania, che si conoscono sin da piccole perché vivono nello stesso paese vicino a delle miniere; faranno un cammino di vita totalmente diverso ma rimarranno in contatto, seppur in modo distorto, doloroso e incomprensibile, per molti anni fino al tragico epilogo. Intorno a loro ruotano numerose persone, in particolare i genitori di Ania e suo fratello Reza e Arteno Gora, marito di Marla, sono i principali co-protagonisti/e. L’elemento che contamina profondamente la relazione tra Ania e Marla è l’invidia che quest’ultima prova da sempre verso l’amica e che la porta a commettere continue azioni insensate, traumatiche, assurde che rovinano il loro legame e avranno delle ricadute sulle persone a loro vicine. L’autrice usa l’escamotage, molto originale, di immaginare che un giornalista chieda ad Ania, ormai anziana e sola, di raccontargli con sincerità la sua vita e il suo rapporto con Marla, che ha fatto una fulminante e incomprensibile carriera politica accanto ad Arteno, per scriverne un articolo e questo le dà lo spunto per confessargli alcuni fatti di cui nessuno era a conoscenza i quali, seppur ancora dolorosi, aiutano a tracciarne un ritratto completo seppur distorto dall’umor vitreo dell’invidia.
Daniela Domenici
Il link alla recensione su Daniela & Dintorni: http://bitly.ws/REvL
Uscito in libreria il 30 giugno il nuovo libro di Paola Musa, Umor vitreo, quarto titolo della serie dedicata ai “Vizi Capitali” iniziata nel 2019 con “L’ora meridiana”, che racconta, senza mai cadere nella banalità e in una cornice contemporanea, i demoni dell’accidia. A questo lavoro ha fatto seguito: “La figlia di Shakespeare”, in cui ha costruito una storia magistrale intorno alla superbia, e il più recente “Nessuno sotto il letto”, una commedia sull’avarizia non solo materiale ma anche spirituale e culturale, pervasa da un sottile humor nero.
Con “Umor vitreo” l’autrice affronta il tema dell’invidia, e lo fa attraverso una elaborata scrittura che ci porta nell’immaginario paese di Livania. Paola Musa è scrittrice, traduttrice, poetessa. Vive a Roma. Ha ottenuto diversi riconoscimenti in ambito poetico. Collabora da anni con numerosi musicisti come paroliere. Ha firmato diverse canzoni per Nicky Nicolai insieme a Stefano Di Battista e Dario Rosciglione. Ha composto liriche per il teatro. Ha scritto con Tiziana Sensi la versione teatrale del suo romanzo “Condominio occidentale” che ha ottenuto la medaglia dal Presidente della Repubblica e la menzione speciale per il teatro al “Premio Anima”. In questo suo nuovo lavoro affronta una tematica densa di significati significanti. La trama in breve racconta che: dopo molti anni dalla scomparsa di Marla Naiges, moglie e compagna politica del dittatore Arteno Gora, la sua amica d’infanzia Ania Ledon, oramai ultraottantenne, accetta per la prima volta di rilasciare una testimonianza del loro lungo e controverso rapporto a un noto giornalista. Ambientato in un Paese immaginario, la Livania, ma con una descrizione verosimile sulle dinamiche che conducono all’instaurazione di una dittatura, il racconto di Ania è l’estremo tentativo di difendersi dall’accusa di complicità con il regime di allora, di respingere la riduttiva definizione di amica della diavolessa, diventando poco a poco l’autoanalisi spietata di un rapporto d’amicizia avvelenato dall’invidia, dalla prevaricazione e dall’impossibilità di superare psicologicamente le differenze sociali. Paola Musa si racconta e ci racconta in questa intervista il suo poderoso impengno per e nella cultura.
Il 30 giugno è uscito con Arkadia in tutte le librerie il suo nuovo romanzo “Umor vitreo”. Ce ne parli…
“Umor vitreo” è un romanzo in cui la protagonista decide, dopo essersi sottratta per molto tempo, di rilasciare una intervista riguardo il suo rapporto di amicizia con la moglie di un dittatore. Attraverso la finzione letteraria ho cercato di affrontare varie tematiche, quello principale è il sentimento dell’invidia. Il libro fa parte di un progetto più ampio, su cui sto lavorando da diversi anni, che ha trovato il sostegno della mia casa editrice, Arkadia.
È il quarto libro di una collana dedicata ai “Vizi Capitali”, perché questa scelta?
Inizialmente non era una scelta programmata. Quando stavo scrivendo “L’ora meridiana” (2019, Arkadia editore), mi sono resa conto che il personaggio che andavo delineando era, a tutti gli effetti, un accidioso. Questa casuale costruzione mi ha suggerito l’idea di proseguire nella direzione di un’analisi dei vizi capitali nella contemporaneità. Un progetto ambizioso, che comunque m’intrigava.
Gli altri tre libri quali argomenti affrontano?
“L’ora meridiana”, il primo della serie, è appunto dedicato al vizio dell’accidia. “La figlia di Shakespeare” (2020) è ambientato nel mondo del teatro e affronta il tema della superbia. “Nessuno sotto il letto” (2021) è una commedia che parla di avarizia, anche morale.
Che cosa è un vizio capitale?
I sette vizi (Superbia, Accidia, Avarizia, Gola, Lussuria, Ira, Invidia), sono detti “vizi capitali” non perchè più gravi, ma perchè sono origine di altri peccati.
Oggi perché può suscitare interesse parlare di “Vizi Capitali”?
I vizi capitali fanno parte della nostra cultura cristiana occidentale. Erano molto importanti nel Medioevo come espressione di una precisa morale in rapporto alle virtù. Spesso dimentichiamo quanta arte abbia prodotto questa riflessione sugli “abiti del male”, come li definì Aristotele. Trovavo interessante indagare come, in un mondo oramai laico, questi “vizi” oramai rientranti più nella sfera della psicologia che della religione, fossero mutati. Umberto Galimberti ha scritto un libro davvero interessante in tal senso, dal punto di vista filosofico-sociologico. Io ne parlo attraverso la narrativa.
Quanta invidia c’è nella nostra società?
Tantissima. Tutti abbiamo provato almeno una volta questo sentimento, ma la società in cui viviamo ci esorta a essere ancora più competitivi, I social ci costringono a vivere il successo altrui come un nostro fallimento, a sentirci sempre inadeguati, e quindi a guardar “male” chi ha più di noi, chi percepiamo immeritatamente migliori di noi.
Faccio un passo indietro: l’invidia che cosa è?
Il termine deriva dal latino “invidere” che significa “guardar male”. E’ un sentimento spiacevole, una tristezza per i beni e le qualità altrui. Secondo la fede giudeo-cristiana, è per l’invidia del diavolo che la morte è entrata nel mondo. E’ il più insidioso tra tutti i vizi capitali, e in qualche modo il più devastante: se, ad esempio, la gola e la lussuria mirano alla soddisfazione (seppure mai del tutto soddisfatta) di un piacere, se la superbia si ammanta del proprio ego, se l’avarizia trova conforto nell’accumulo di denaro e l’ira scarica le proprie energie negative con la rabbia, l’invidia sembra non dare un attimo di tregua a chi la prova, è, appunto “una passione triste”, la più meschina delle passioni.
Soprattutto perché l’invidia si radica così profondamente in molte persone?
Come ho accennato prima, l’invidia è sentimento connaturato all’uomo, trattandosi di un sentimento che scaturisce dal confronto con l’altro. Il problema è quando diventa patologico, come dire, un tratto importante della personalità di un soggetto.
È possibile uscire dal sentimento invidia?
Certo. Occorre, credo, lavorare sull’autostima, sul senso del desiderio, sull’empatia. È un discorso in realtà molto complesso che non possiamo affrontare qui.
Nella nostra epoca dove tutto viaggia a suon di social l’invidia si è impossessata ancora di più delle nostre anime oppure è solo più evidente?
Credo sia più evidente e anche volutamente sollecitata, per spingerci a emulare, a competere, a comprare e consumare.
Il libro è ambientato in un paese immaginario, Livania… perché questa scelta e cosa rappresenta?
Lo scopo era quello di raccontare una invidia “patologica” all’interno di un processo storico (seppure inventato), in cui invidia personale e sociale diventano pericolosamente distruttivi. Mi serviva un contesto ben preciso.
Chi è Marla Naiges? Soprattutto cosa rappresenta nell’itinerario narrativo del libro?
Marla è l’invidiosa. Ma, come si scoprirà con la lettura, non è riduttivamente solo questo. Nessuna persona lo è.
Perché Ania Ledon, oramai ultraottantenne, sente la necessità di raccontarsi e raccontare a un noto giornalista?
Essendo stata legata tutta una vita a Marla, sente la responsabilità, alla fine, di definire che tipo di relazione ci fosse tra loro, imparando così molto anche su sé stessa.
Il racconto di Ania dove vuole arrivare?
Su questo non direi nulla, è giusto che i lettori lo scoprano leggendo il libro.
Prima a presentazione a Roma il 18 luglio?
Sì, al Teatro Marconi, all’intero della Rassegna Aperitif D’autore diretto da Tiziana Sensi.
Siamo alla fine ma vorrei tornare all’inizio: chi è Paola Musa?
È difficile autodefinirsi! Ci provo. Paola Musa è una che ama scrivere, che vive la scrittura come strumento di ricerca, di riflessione sull’uomo e le sue passioni.
Come proseguirà il progetto sui Vizi Capitali?
Ci sto lavorando. Come si dice: “Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco!”
Il link all’intervista su Barbara Fabbroni: http://bitly.ws/LhSA
BLOG L’estate è entrata con tutto il suo calore e la Sicilia domina la scena con cinque nuovi titoli di Castelli, Cacciatore-Catalano, Rausi, Cassar Scalia, Tomasello. La Controcopertina va a “Umor Vitreo”, Arkadia, quarto volume della saga sui vizi capitali di Paola Musa. La Copertina alle nuove dissertazioni di Francesco Permunian per Edizioni Scientifiche
Due settimane, quelle dal 27 giugno al 10 luglio, che segnano ritorni di bestselleristi e di debutti per il nostro blog di consigli alla lettura… e con un’altissima percentuale di siciliani. Libri sotto l’ombrellone proprio come il mare dell’isola di Trinacria: vastissima scelta!
Si inizia martedì 27 giuno dove risalta Roberta Castelli: l’autrice etnea, trapiantata in Toscana esce per il colosso del giallo e del thriller Fratelli Frilli Editori, con un titolo che richiama Catania: “Il delitto di via Etnea“. Sempre oggi tornano in libreria Cristina Cassar Scalia con “La banda dei carusi” (Einaudi), Simone Rausi con “Il colore delle cose non dette” (Rizzoli) e il debutto di Dario Tomasello con “Cronicario” (Marsilio); tra i non siciliani Rosemary Tonks esce con “Il Baccalà” (Il Saggiatore).
Venerdì 30 giugno l’attesa è finita per quello che è il libro controcopertina: “Umor Vitreo“, edito da Arkadia, quarto capitolo della saga dei vizi capitali di Paola Musa. Il 30 giugno è anche il giorno di Niccolò Cusano con “La pace della Fede”, Lorenzo de’ Medici Press, che vanta introduzione, traduzione e note di Marco Vannini, di Alberto Radicati di Passerano e il suo “Dissertazione filosofica sulla morte“, Il Saggiatore, e di Beppe Mecconi con “I proverbi della Signorina Celide” per Topffer. Esce anche il nuovo di Jury Romanini, “Otto anni“, per ExOrma.
A luglio ritroviamo la coppia Raffaella Catalano e Giacomo Cacciatore che tornano con un libro a sfondo sociale dal titolo “A Salina il vento cambia“ per i tipi di Leima, il nuovo libro di Igor Patruno e Giacomo Galanti, “Il delitto di Chiavari. La strana morte di Nada Cella” per Armando editore e Maharaj Nisargadatta con “Essere è amore“, anche questo edito da il Saggiatore. E il libro copertina? Eccolo nell’ultimo giorno delle due settimane: lunedì 10 luglio torna il “colosso veneto” Francesco Permunian che in “Tutti chiedono compassione e altre microstorie“, Editoriale Scientifica, racconta come ci si può fermare sui social a raccontare inutilità.
Le uscite di martedì 27 giugno
Roberta Castelli, Il delitto di via Etnea, Frilli
Manfredi era un brillante poliziotto ma ha lasciato il lavoro quando il destino, con un tiro mancino, gli ha tolto ciò che di più prezioso aveva. Mariolina invece, rimasta per sempre promessa sposa, ha solo sfiorato una felicità che non ha fatto in tempo ad afferrare, perdendo l’unica cosa che le rimaneva: il senno. Diventati amici per caso, mentre erano alla ricerca di risposte difficili da scovare, hanno trovato conforto in un’amicizia che li sostiene ancora oggi. Oltre alla passione per i casi da risolvere, in comune hanno la capacità di vedere e sentire cose che altri non riescono a percepire. In questa strana e ufficiosa indagine, i due si muovono tra le vie del malfamato quartiere Bottegaccia, cercando di capire chi possa avere ucciso Momar, il senegalese che vendeva cd in via Etnea. Ad aiutarli, l’ex collega e amico di Manfredi, l’ispettore Nicola Romano. Catania è la principale protagonista di questo romanzo, con le sue tante ferite ancora aperte e una storia che sembra volerla condannare all’eterna infelicità.
Cristina Cassar Scalia, La banda dei Carusi, Einaudi
Da quando si è trasferita sotto l’Etna, al vicequestore Vanina Guarrasi non era mai successo di lasciarsi coinvolgere tanto da un caso. Ma ora il brutale omicidio su cui deve indagare è quasi un fatto personale. Per lei, per la sua squadra e per un gruppo di «carusi» che già in passato le è stato d’aiuto. In una mattina di aprile, alla Playa, l’unica spiaggia sabbiosa di Catania, viene scoperto il cadavere di Thomas Ruscica, qualcuno lo ha ucciso con un colpo di rastrello alla testa. Thomas era uno dei «carusi» di don Rosario Limoli, parroco di frontiera che opera nel difficile quartiere di San Cristoforo. Vanina lo conosceva: un ragazzo con una famiglia e un passato pesanti alle spalle, però determinato a rifarsi una vita e ad aiutare altri come lui. Criminalità organizzata o delitto passionale? Questo è il dilemma che da subito si trova davanti la polizia. Finché gli indizi non cominciano a convergere tutti sulla stessa persona. Eppure né Vanina, né il suo vice Spanò, né l’inossidabile commissario in pensione Biagio Patanè, di cui alla Mobile nessuno può più fare a meno, credono alla sua colpevolezza. Per scagionarla saranno pronti, ognuno a modo proprio, a trascurare o a mettere in gioco anche la loro vita privata.
Simone Rausi, Il colore delle cose non dette, Rizzoli
Da piccola Nina sognava di inventare un nuovo colore. Ora ha vent’anni e, dalla morte di suo fratello Samuele, la sua vita non ne ha più nean-che uno. Lavora come grafica da casa, senza mai parlare con nessuno, fino alla sera in cui riceve un messaggio anonimo: una persona che dice di vivere nel suo palazzo e sembra sapere tutto di Samuele. Prima di rivelarsi, le propone un esperimento: 36 domande a cui rispondere a turno, senza riserve. Nina scopre la vita segreta di suo fratello e un’inaspettata somiglianza con il misterioso sconosciuto che non ha nome, non ha sesso e ha l’insolita abitudine di leggere il dizionario prima di dormire. Passa in rassegna i vicini ed entra nelle loro vite dalla porta di casa, ma tutte le volte che sembra avvicinarsi alla soluzione la verità le sfugge di nuovo. C’è Prosperina, la portinaia che sa tutto degli inquilini; l’ingegner Barra, sempre chiuso nel suo studio; i Balsamo, una giovane coppia in crisi; la signora Kovacs con la bellissima figlia adolescente Sarah; la caotica famiglia Angeli; l’affascinante pasticciere Pietro, con le sue torte che chiudono le giornate. Chi è che le scrive? Nina sa davvero così poco delle persone che le abitano accanto? E di suo fratello? La storia di un dialogo nel buio tra due perfetti sconosciuti che si tendono la mano per salvarsi dal dolore.
Dario Tomasello, Cronicario, Marsilio
Emanuele Trevi: “Grottesco, lunatico, visionario, il poema di Dario Tomasello è un viaggio in direzione della verità, un’opera raffinata e sorprendente”
Cronicario rimanda all’idea di un sanatorio disperante, di un’insanità inguaribile e irredimibile. In questa atmosfera estenuata, S. è protagonista e voce narrante di una catabasi, di un viaggio picaresco che si svolge a Giadida, città solare e inquietante, affacciata su un angusto braccio di mare. Giadida in arabo significa “nuova”, perché il passato non sembra avere diritto di cittadinanza a queste latitudini. Un coro di personaggi grotteschi scandisce le fasi dello spostamento nello spazio e nel tempo di questo flâneur postmoderno: personaggi che forse attentano alla sua vita, o più probabilmente alla loro, e agli ultimi residui di una qualche plausibile umanità. Nel frattempo, qualcuno – che ha visto troppo – scompare misteriosamente nello specchietto retrovisore di un’automobile; una torma di individui disperati, a frotte, invade gli spazi metropolitani, sbucando dal nulla. Uniche vie di fuga dall’orrore: un amico di infanzia mutaforma (spesso appare nelle vesti di un gatto persiano); l’ape regina, spettro materno e severo, e una ragazzina che riporta il passato nel presente. Sospeso tra riferimenti a numi quali Stefano D’Arrigo e Jolanda Insana e una struttura ritmica che spesso allude all’hip hop, Cronicario ripropone la forma poema, giacché quell’abisso che è lo Stretto pretende un registro vertiginoso e molteplice. Dario Tomasello vive e insegna a Messina. Ha pubblicato nel 2006 la plaquette Prima dell’inizio. È autore, tra i molti altri volumi, di Stretto di carta. Guida letteraria di una regione di confine (il Palindromo, 2021). Ha scritto e realizzato numerosi testi drammaturgici.
Rosemary Tonks, Il Baccalà, Il Saggiatore
Min ha vent’anni, abita a Londra ed è terribilmente anno- iata dalla vita. L’unica cosa che sembra dare sollievo al suo tedio sono gli uomini che orbitano attorno al suo centro gravitazionale. C’è Fritz, ventiduenne dall’accento tedesco che fuma la pipa e non ha rispetto per le donne; c’è Billy che non alza quasi mai la voce, è preciso e controllato. Si prende cura di sé, forse fin troppo: saune, sbiancamento dei denti, lucidatura delle scarpe, champagne nei tre momenti della giornata in cui è accettabile; c’è Claudi, con il tic del «mia cara» infilato insistentemente in tutte le sue frasi e poi c’è George, suo marito. Quest’ultimo è così invisibile ai suoi occhi che un giorno Min ha, accidentalmente, spento la luce della stanza quando lui era ancora dentro. Ma sopratutto è il Baccalà. Un baritono che la irrita più di qualsiasi al- tro uomo abbia mai conosciuto. A volte le fa qualche regalo, facendola infuriare ancor di più. Ne è disgustata e attratta allo stesso tempo, e per questo non riesce a mettere a tacere una volta per tutte le sue avances. Come se non bastasse, si è anche presa la gotta. Ma in che direzione va la vita di Min? Per molti anni, questo romanzo è scomparso dalle librerie, per volontà stessa dell’autrice che ha distrutto quasi tutte le copie. Un classico contemporaneo divertente e schietto, scritto nel 1968, Il Baccalà anticipa la fioritura del femminismo negli anni settanta, evidenziando l’artificialità del genere e invertendo i processi dell’ oggettificazione sessuale.
Le uscite di venerdì 30 giugno
Libro controcopertina, Umor Vitreo di Paola Musa, Arkadia
Dopo molti anni dalla scomparsa di Marla Naiges, moglie e compagna politica del dittatore Arteno Gora, la sua amica d’infanzia Ania Ledon, oramai ultraottantenne, accetta per la prima volta di rilasciare una testimonianza del loro lungo e controverso rapporto a un noto giornalista. Ambientato in un Paese immaginario, la Livania, ma con una descrizione verosimile sulle dinamiche che conducono all’instaurazione di una dittatura, il racconto di Ania è l’estremo tentativo di difendersi dall’accusa di complicità con il regime di allora, di respingere la riduttiva definizione di amica della diavolessa, diventando poco a poco l’autoanalisi spietata di un rapporto d’amicizia avvelenato dall’invidia, dalla prevaricazione e dall’impossibilità di superare psicologicamente le differenze sociali.
Jury Romanini, Otto anni, ExOrma
Una donna in fin di vita chiede al marito di non legarsi a nessun’altra per otto anni, dopo la sua morte; questo è il tempo che occorre al corpo umano per rigenerare totalmente le sue cellule. «Fra otto non sarai più tu! I tuoi occhi non mi avranno mai vista, le tue mani non mi avranno mai accarezzata». Una vita normale, un amore, il lavoro, l’umanità dei bar di campagna e poi… Dopo il lutto, l’uomo si perde in un bosco e arriva a una casa “sospesa” tra mondi (quello tangibile e quello immaginifico, quello del pensiero e dei saperi), custodita da un guardiano e dalle sue sapienti galline. Quando trascorsi otto anni l’uomo lascerà la casa, sarà un uomo tutto nuovo e dovrà cercare la rotta per un futuro possibile.
Niccolò Cusano, La pace della Fede. Introduzione, traduzione e note di Marco Vannini, Lorenzo de’ Medici Press
Nel 1453, subito dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi, mentre i più progettavano una nuova crociata, Niccolò Cusano scrisse il De pace fidei. In esso si immagina un Concilio tenuto in cielo tra i filosofi di tutte le religioni, alla presenza del Verbo, cioè Cristo, degli apostoli Pietro e Paolo e del Signore stesso, per ricercare la pace tra le diverse fedi. Essa viene effettivamente trovata grazie al generale riconoscimento che, al di là delle diversità teologiche e di culto, è sempre un unico Dio quello che in realtà tutti i popoli hanno adorato, nella comune ricerca della beatitudine eterna. Religio una in rituum varietate: una sola religione nella diversità dei riti, è la formulazione sintetica che Cusano offre per una vera e duratura pace religiosa. Opera straordinaria per i tempi in cui fu pensata e scritta “La pace della fede” è un testo che ha ispirato nei secoli molti filosofi sul tema dei conflitti religiosi, ma che non manca di rivelare tutta la sua attualità nel nostro tempo.
Alberto Radicati di Passerano, Dissertazione filosofica sulla morte, Il Saggiatore
«Un uomo stanco o sazio di vivere può morire quando lo desidera senza recare offesa alla natura, poiché morendo egli utilizza il rimedio che la natura gli ha generosamente messo nelle mani per curarsi dei mali di questa vita». Difendere il diritto inalienabile al suicidio e all’eutanasia sostenuti da un’esplicita filosofia naturalistica e libertaria nell’Europa settecentesca non poteva non essere fonte di scandalo e repressione. Il suo autore, il conte Radicati di Passerano, già esiliato a Londra per le sue idee ribelli e con- trarie allo spirito del tempo, dopo la pubblicazione venne infatti arrestato. La Dissertazione filosofica sulla morte, ap- parsa per la prima volta nel 1732, con il titolo Philosophical Dissertation upon Death, Composed for the Consolation of the Unhappy sotto lo pseudonimo “A Friend of Truth”, rima- ne ancora oggi un testo di grande interesse, dove il filosofo sostiene che la paura della morte è indotta nelle persone da credenze e superstizioni. Bisogna accettare serenamente quello che è un evento naturale e se necessario, saperlo scegliere consapevolmente.
Beppe Mecconi, I proverbi della Signorina Celide, Topffer
Trovare le origini di un proverbio è come trovare le origini di un mito. Bisogna essere buoni raccontatori di storie, e saper scavare nel passato più favoloso e lontano. In questo libro Beppe Mecconi parte da un dato realistico: una Celide cinquantaseienne, che vive a San Terenzo – Liguria di Levante – che legge Pinocchio e Buzzati, e che incontra festosamente la gente del luogo nell’euforia della libertà ritrovata, siamo nel 1946. Celide conosce la ambiguità contraddittoria dei proverbi, simile a quella delle nostre vite. E ne indaga le fonti quasi smascherandoli, mostrandone la aleatorietà, spesso appesa al filo di una vocale o di una consonante difforme. La fantasia di Mecconi, che i lettori ben conoscono, si sfrena nei racconti e nelle illustrazioni, evocative e a tratti esilaranti. Il lettore partecipa felice a questi giochi di parole che sono anche giochi, salti, balli dell’immaginazione. E alla fine ringrazia Beppe Mecconi per tanta aerea felice grazia inventiva. (Giuseppe Conte)
Dall’introduzione di Francesco De Nicola: “C’era una volta […] nell’immediato secondo dopoguerra l’abitudine a riunirsi in dieci, venti persone nella casa di un vicino e di ascoltarlo mentre raccontava qualcosa: una storia vera o inventata. E intanto, mentre il racconto andava avanti c’era chi si commuoveva o si metteva a ridere, chi parteggiava per un personaggio e chi lo detestava e intanto qualcuno sbocconcellava o bevucchiava qualcosa; e così, intorno alla metà del secolo scorso, si passavano piacevolmente le serate insieme, ascoltato un bravo affabulatore e con il piacere di incontrarsi. […] Ora, a quel tempo che sembra lontano secoli segnato dal piacere di comunicare e di passare insieme le serate ci riconduce Beppe Mecconi, che ci porta nella cucina di una casa colorata del suggestivo borgo di San Terenzo, affacciato nel Golfo dei Poeti tra Lerici e La Spezia, e qui, stupiti e affascinati, ascoltiamo la signorina (di mezz’età) Celide. Senza dubbio questa donna ha grandi doti di affabulatrice, tanto che chi ascolta viene del tutto coinvolto dalle sue parole e non sa trattenere le sue reazioni mentre segue il racconto fantasioso e bizzarro della nascita dei più noti proverbi. La storia dei proverbi è però solo un abile pretesto per inventare racconti incredibili che mescolano le realtà più certe con le fantasie più favolose per dar vita a imprevedibili racconti [… ] E così, col pretesto di raccontare le vere e misconosciute origini di noti proverbi, Beppe Mecconi, per bocca della vivace signorina Celide, intrattiene il lettore con le più fantasiose trovate narrative, esposte con arguzia e linguaggio diretto e coinvolgente, che fanno di questo libriccino una lettura amena e inconsueta che ha anche il merito di riportarci ad un tempo in cui la socialità era davvero il piacere indispensabile di trascorrere insieme ad altre dieci, venti persone – uomini e donne, adulti e ragazzi – una bella serata lasciando correre la fantasia…”.
Le uscite di sabato 1 luglio
Igor Patruno e Giacomo Galanti, Il delitto di Chiavari. La strana morte di Nada Cella, Armando editore
Nada Cella ha solo 25 anni il 6 maggio 1996, quando viene trovata agonizzante nello studio del commercialista Marco Soracco dove lavora come segretaria. L’ufficio si trova in una via centrale di Chiavari, piccola città della costa ligure. A scoprirla in quelle condizioni è proprio il suo datore di lavoro. Sono le 9 del mattino e la ragazza morirà in ospedale poche ore dopo. Fino a quel momento l’esistenza di Nada Cella è molto simile a quella di tante ragazze della sua età. Eppure negli ultimi tempi, come ricorderà spesso la madre Silvana con cui condivideva l’appartamento, la 25enne era preoccupata. Qualcosa la tormentava e voleva cambiare lavoro. Il primo a essere indagato per il brutale omicidio sarà proprio Marco Soracco. Secondo gli inquirenti sarebbe lui il killer. La sua vita, insieme a quella della madre Marisa Bacchioni, viene scandagliata a lungo. Poi la sua posizione verrà archiviata. Il caso di Nada Cella ricorda per certi versi quello di Simonetta Cesaroni. Come per il delitto di via Poma, gli investigatori negli anni percorreranno varie piste, ma ogni volta che la soluzione sembrerà a portata di mano qualcosa andrà storto. Fino al colpo di scena arrivato verso la fine del 2021. La Procura di Genova riapre il caso iscrivendo nel registro degli indagati una persona. Si tratta di una donna che all’epoca era stata sfiorata dall’inchiesta solo per pochi giorni. Ma anche in questo caso, l’entusiasmo iniziale si è affievolito dopo il risultato delle lunghe analisi sui reperti rimasti. Il mistero della morte di Nada Cella potrebbe rimanere per sempre custodito tra i caruggi di Chiavari.
Le uscite di venerdì 7 luglio
Raffaella Catalano e Giacomo Cacciatore, A Salina il vento cambia, Leima
ASalina si prepara la festa di Ferragosto, la più importante dell’anno. A finanziarla, richiamando sul posto le scollacciate Italiette, ballerine di fama televisiva nazionale, è l’imprenditore milanese Giampaolo Fratantoni, da anni trapiantato alle Eolie: è certo che l’evento lo aiuterà a raccogliere consensi per diventare il futuro sindaco di Santa Marina, un paesino dell’isola, e dare il via a speculazioni edilizie e altri illeciti. Intanto, nella stazione dei carabinieri si è insediato da poco un nuovo comandante, Franz Pomar, tedesco di madre e salinese di padre. Che ritroverà un suo vecchio amore e un carissimo amico, ma dovrà fare i conti con tutto quello che è mutato durante la sua lunga assenza. Tra ironia e amarezza, tra turisti beoti e nativi divisi tra il nuovo che avanza e la difesa delle tradizioni locali, la notte della vigilia ferragostana imprimerà una svolta inattesa alle vite dei tanti protagonisti. Perché non è facile fronteggiare ciò che accade quando, d’improvviso, il vento cambia.
Maharaj Nisargadatta, Essere è amore, il Saggiatore
Essere è amore è un viaggio nella natura della mente alla scoperta di cosa significa realmente essere per sciogliere, in maniera pratica, i conflitti e la sofferenza che apparentemente regnano nella nostra vita. Ci trasciniamo tra abitudini e aspettative, dolori ripetuti e gioie momentanee, senza comprendere l’insegnamento fondamentale, l’unico che dà senso a tutto: sentire realmente cosa significa essere vivi. Quando siamo svegli, stiamo tra la memoria del ricordo e l’aspettativa sul futuro per cui perdiamo la percezione del qui e ora. Quando proviamo dolore o piacere noi non siamo quel dolore o quel piacere, ma ne stiamo facendo esperienza. In questa raccolta di dialoghi, che costituiscono la forma più intensa di insegnamento non dualista di Nisargadatta Maharaj, l’interlocutore è provocato, incalzato senza sosta a scavare nella propria coscienza per smascherare tutte le proprie identificazioni e attaccamenti. Portare alla luce i propri contenuti inconsci, andare al di là della mente che separa e che crea un’individualità separata mentre non esistono limitazioni ci porta a scoprire che la verità essenziale è che semplicemente siamo, il resto è illusione.
Le uscite di lunedì 10 luglio
Libro copertina, Tutti chiedono compassione e altre microstorie di Francesco Permunian, Editoriale Scientifica
«L’odierna assurda e folle monomania di stare sempre sui social. Sembra quasi che tutti abbiano qualcosa d’importante da dire, qualcosa di necessario da comunicare al mondo intero. Anche se poi tutti, o quasi tutti, vogliono soltanto raccontare i fatti e i misfatti della loro vita privata. E più tale esistenza è per loro noiosa e tapina, oltreché disgustosa e miseranda oltre ogni limite, più ne parlano e straparlano chiedendo insistentemente attenzione come dei mendicanti che chiedono la carità per strada. Lungo le gelide e infinite strade del web. In realtà, tutti chiedono comprensione. O forse, alla fin fine, tutti chiedono compassione»
Il libro, uno zibaldone contemporaneo, è composto da due parti: “Tutti chiedono compassione” e altre microstorie e “L’angelo di Dondero”. Un dittico perfettamente in bilico tra realtà e finzione, tra posa e confessione, tra autobiografia e mascheramento, che raduna una polifonia di voci – voci di vivi e di morti – in cui emerge, riconoscibile, inconfondibile, tutto il mondo dello scrittore polesano, con la sua comica disperazione che sfocia in improvvise e struggenti pause liriche, ma qui come prosciugato in un distillato di essenzialità.
Francesco Permunian sarà ospite a settembre al Festival della Letteratura di Mantova. Il testo contiene una cristianissima e laicissima parola – compassione, appunto – che l’autore tenterà di far “risuonare” sulle assi del teatro Bibiena, “in modo che l’eco di siffatta umile e preziosa parola non si disperda nell’infinita babele di lingue e parole che si accumuleranno in quei giorni nelle piazze e nei teatri di Mantova”.
Nella prima parte prevale lo stralunato e caustico compilatore di appunti, che raccoglie dalla sua memoria materiale di scarto – «residui o calcinacci» – per annotare un sulfureo zibaldone dove troviamo una sarabanda di personaggi assurdi e grotteschi – uno scrittore di successo fallito, accumulatori seriali, indomiti baroni universitari, ex ballerine slovene gemelle soprannominate le «Kessler del Garda», un prete abusatore, vacanzieri «sciatori da neve artificiale» – o riflessioni sparse sulla letteratura e la scrittura in generale (in dialogo serrato con gli amati Manganelli, Kafka, Cioran, Calvino), o micidiali strali contro il circo culturali-mediatico e «l’odierna romanzeria nazionale», da sempre bersaglio di Permunian. Sono, queste microstorie, come «un cumulo di frammenti sempre sul punto di sbriciolarsi e franar per terra», una parodistica trenodia che ritrae il nostro mondo sempre sull’orlo di una catastrofe annunciata, dove «tutti chiedono compassione».
Nella seconda parte, invece, troviamo l’autore in veste di reporter, che si muove, accorato, nei luoghi della Resistenza del suo Polesine insieme al grande fotografo Mario Dondero, in un confronto di sobria commozione (e indignazione) con i fantasmi dei luoghi e della Storia. Permunian ricostruisce le storie dei partigiani caduti, stila l’elenco dei loro nomi, ne ripercorre le vicende drammatiche, ma non rinuncia mai al suo graffio surreale e visionario. Ad accompagnare lo scrittore e il fotografo, infatti, è un angelo perturbante che sembra uscito dal teatro della morte di Tadeusz Kantor. Sono, queste, pagine di trattenuta e sobria commozione, che aggiungono un nuovo tassello a quel mosaico composito, sempre uguale e sempre diverso, che è l’opera di Francesco Permunian.
Tutti i maggiori critici si sono frequentemente occupati delle opere di Permunian. Franco Cordelli lo ha inserito nel 2014 fra gli autori rappresentativi della letteratura italiana contemporanea. Di lui hanno scritto: «In Permunian sembra di riconoscere ancora intatto il potere della scrittura letteraria come era intesa dai grandi maestri moderni, da Kafka a Céline a Beckett» (Emanuele Trevi); «Lui è il più bravo. Ha battuto i colleghi cattivi della vicina regione, i Piovene e i Parise. Loro si muovono tentennanti fra tradizione e protesta, lui d’un balzo salta al centro della scena europea» (Angelo Guglielmi); «Permunian va a caccia di incubi, come altri, con il retino in mano, vanno ad acchiappare farfalle. Gremisce le pagine dei suoi libri e le rende brulicanti come le tavole nelle quali l’arte di Bosch ha rovesciato catastrofi ironiche» (Salvatore Silvano Nigro); «Non c’è narratore italiano che come Francesco Permunian riesca a farci percepire quanto i luoghi che abitiamo siano non già lo scenario di una narrazione o di un immaginario ma lo spazio in cui il nostro stesso carattere – e, di nuovo, un’intera antropologia – si forma» (Andrea Caterini).
Il libro di Permunian esce nella collana di non-fiction S-Confini, diretta da Fabrizio Coscia, per la Editoriale Scientifica, un nuovo progetto che punta a dare spazio a una scrittura che non si riconosce più nelle forme del romanzo o della narrativa tradizionale, ma diviene prosa nomade, tra il diario di viaggio e il personal essay, le note critiche e il reportage, il taccuino di appunti e il memoir divagante, superando ogni confine di genere.
Oltre al libro di Permunian, la collana, caratterizzata da una raffinata cura editoriale (copertine in cartoncino, con riquadro illustrato incollato a mano) ha pubblicato i volumi: “Panico” di Luca Doninelli, “Tutte queste voci che mi premono dentro” di Andrea Di Consoli, “Isula” di Francesco Borrasso, “Nella notte il cane” di Fabrizio Coscia, “Il picchio rosso” di Renzo Paris e “La vita incauta” di Rossella Pretto, quest’ultimo proposto da Wanda Marasco per le candidature al Premio Strega 2023.
Francesco Permunian (Cavarzere, 1951) vive e lavora da molti anni sul lago di Garda. Ha pubblicato diversi libri, tra cui La Casa del Sollievo Mentale, (Nutrimenti, 2011), ll gabinetto del dottor Kafka, (Nutrimenti, 2013, Premio Volponi), Costellazioni del crepuscolo (Il Saggiatore, 2017), Sillabario dell’amor crudele (Chiarelettere, 2019, Premio Dessì), Giorni di collera e di annientamento (Ponte alle Grazie, 2021), Elogio dell’aberrazione (Ponte alle Grazie, 2022), Stradario sentimentale del lago di Garda e del monte Baldo, con fotografie di Pino Mongiello (Oligo editore, 2023). Su di lui e sulle sue opere hanno scritto i maggiori critici italiani.
Salvatore Massimo Fazio
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