Giovani e Covid: in una ricerca le loro percezioni
Da poco online la pubblicazione, frutto di una indagine di Marco Tuzzolino tra i giovani, molti dei quali valtellinesi, intevistati tra aprile e maggio
Come si sono confrontati i giovani con il periodo di lockdown e la pandemia di Covid-19? Alcune risposte si trovano nella recente pubblicazione curata dal ricercatore Mauro Tuzzolino per Arkadia Editore. I giovani e la crisi del Covid-19. Prove di ascolto diretto è il titolo scelto per il libro pubblicato digitalmente lo scorso agosto, frutto di una ricerca avviata a metà aprile, a partire da un questionario di indagine rivolto a giovani dai 15 ai 35 anni e compilato in forma anonima online. Alla raccolta dei dati hanno partecipato, dal 18 aprile al 5 maggio, 567 giovani, il 41 per cento dei quali proveninete da Sondrio e provincia. Questo grazie ad una collabroazione con Vittorio Lo Verso, docente all’Itis Mattei, e ai suopi colleghi che ne hanno accolto la sollecitazione, promuovendo l’indagine tra i loro studenti. La risposta è stata massiccia e dall’analisi dei dati è emerso che la comunità nazionale ha resistito, nonostante le difficoltà, ai difficili mesi del lockdown. Inoltre, dalla ricerca si evince una grande capacità di adattamento della comunità educante, che ha dimostrato di reagire a un avvenimento traumatico come la pandemia ricorrendo alla didattica a distanza. La convivenza con il Covid-19 ha palesato il disorientamento dei giovani, che hanno visto un’ulteriore espropriazione del loro futiuro, specialmente le giovani donne e i giovani del sud, in particolare quelli che vivono in un ambiente urbano. Mutano le relazioni umane, i rapporti con l’ambiente. Si percepisce un processo di colpevolizzazione dell’organizzazione sociale, come se la crisi costituisse un campanello di allarme per le scelte e i comportamenti da adottare in futuro. Lo studio fornisce un quadro interessante della percezione che i giovani hanno avuto ed hanno dell’evento epocale che ci ha travolto. Per loro il Covid-19 è pericoloso, anche se è più alta al sud la percezione del pericolo. La pandemia ha determinato disorientamento. A fronte del quale, però, i giovani hanno espresso sostanziale fiducia nelle istituzioni e nel volontariato, molto meno nella Chiesa (solo il 26 per cento degli intervistati). Giudizi positivi sulla “didattica dell’emergenza” e non come “opzione pedagogica” da perseguire. Questi e molti altri spunti sono offerti dalla ricerca, che è aperta da un’introduzione del sociologo valtellinese Aldo Bonomi. «È sempre utile – scrive – mettere l’orecchio a terra per continuare a cercare di capire cosa si agita nel sociale, tanto più in un tempo eccezionale come quello della pandemia. Un tempo che segna l’imaginario collettivo, specie di quello giovanile, inevitabilmente più recettivo e affamato di esperienza». Stando a quello che emerge dall’indagine, Bonomi spiega che, «nel tempo sospeso nel distanziamento fisico, i giovani hanno sperimentato un’ampia gamma di sentimenti, tra i quali estraniamento, lontananza e solitudine, che hanno cercato di elaborare ricorrendo alla mediazione autorevole degli inseganti, a loro volta rempotizzati a casa». Il sociologo si sofferma anche sulle aspettative di cambiamento suggerite dai giovani per il periodo post pandemia, «perché – scrive – la “nuova normalità” docrà, auspicabilmente, tenerne conto. In effetti ci si aspetta, o quanto meno si spera, in un cambiamento in meglio, in una normailità migliore della precedente, pur nell’incerta fiducia che la pandemia abbia reso migliore il genere umano. Diciamo che la pandemia ha aperto una finestra di fiducia, che forse per i millenials cresciuti nella cirsi post 2008 rappresenta un’esperienza nuova, sul fatto che le grandi questioni del nostro tempo possono essere affrontate in maniera più efficace quando ognuno è chiamato a dare un contributo, a partecipare alla vita della polis, in quanto soggetto di un’intelligenza sociale collettiva in fieri». Secondo Bonomi, «questa finestra era stata aperta dalla figura di Greta Thunberg, ma l’esperienza del Covid-19 ha contribuito a scavare non poco il solco della consapevolezza, temperando quel sentimento di fatalismo adattivo che pure alligna nei giovani intervistati. Tale consapevolezza va accompagnata, da insegnanti, genitori, dalla fragile comunità educante, perché rappresenta l’antidoto a uno scenario nel quale si addensano le nuvole grigie delle paure della pandemia, della crisi ecologica, della crisi economica. Questa generazione è nata e cresciuta in un paese ch attraversa una metamorfosi dolorosa, rispetto alla quale il Covid ha agito come un grande dispositivo di accelerazione del cambiamento».
Alberto Gianoli