Lunga è la notte


Etnabook 2020: il programma completo, gli ospiti e i finalisti del Premio Letterario “Cultura sotto il Vulcano”

 La città dell’Elefante si veste di cultura ed è pronta ad accogliere ospiti prestigiosi, presentazioni, laboratori per bambini e molto altro ancora. Dal 25 al 27 settembre presso il Palazzo della Cultura di Catania prenderà vita la seconda edizione di Etnabook, Festival Internazionale del Libro e della Cultura, coorganizzato con la Città di Catania. Una tre giorni ricca di eventi che avranno inizio la mattina e termineranno la sera, grazie al lavoro incessante della direzione organizzativa e del Presidente del Comitato Scientifico Salvatore Massimo Fazio. In tutto questo, una novità assoluta: un Book Carpet tutto letterario, dedicato alla tematica del festival: Le Metamorfosi – Evoluzione e Rivoluzione. Lunedì 14 settembre, dalle ore 10:00, presso il Palazzo della Cultura di Catania si è svolta la conferenza stampa di presentazione di Etnabook alla presenza dell’assessore alla cultura e politiche scolastiche, la dott.ssa Barbara Mirabella e del presidente di Etnabook, dott. Cirino Cristaldi. Tra i tanti eventi collaterali annunciati durante l’incontro, ci sono un laboratorio di Yoga a cura di Giorgia Landolfo dal titolo “Medita, Scrivi, Trasformati” (partecipazione gratuita); la sezione Etnakids, curata da Matilde Leonforte e che avrà come protagonisti eventi ludici per imparare l’inglese e anche incontri con la Scuola del Fumetto di Palermo; gli appuntamenti a cura di Catania Book Party, da un’idea di Valentina Carmen Chisari con ospite lo scrittore Massimo Baraldi; e ancora un incontro in collaborazione con la CGIL di Catania con il prof. Salvatore Adorno e l’autore Andrea Micciché. Ci sarà anche uno Spazio Editori: tutti i giorni le case editrici aderenti (Lekton Edizioni, Edizioni Il Tricheco, Emil Edizioni e Akkuaria Edizioni) avranno la possibilità di dialogare con il pubblico e di far conoscere la loro realtà editoriale. Gli ospiti che hanno aderito al progetto sono davvero tanti e di grande rilievo culturale, tra questi, per citarne alcuni: Antonio Caprarica, Barbara Bellomo, Rosario Palazzolo, Luca Vullo, Claudio Pelizzeni, Sara Rattaro e Anna Giurickovic Dato, oltre ai tantissimi moderatori che accompagneranno gli incontri. Etnabook è anche il Premio Letterario “Cultura sotto il vulcano”, la cui premiazione per quanto riguarda le sezioni poesia e narrativa/saggio è prevista durante la serata di apertura, che ci svolgerà il 25 settembre alle ore 21:00 presso la Corte del Palazzo della Cultura di Catania e che sarà presentata dalla scoppiettante coppia composta da Paolo Maria Noseda (divulgatore culturale e noto interprete del programma “Che tempo che fa”) e dall’attrice siciliana Ester Pantano. Ad essere premiati, durante la manifestazione, non solo i vincitori del concorso letterario, ma anche personaggi del mondo giornalistico, artistico e letterario che si sono distinti per il loro impegno nella cultura, come Antonio Caprarica, Barbara Tabita, Mario Incudine, Leonardo Lodato, Andrea Pitrolino, Giovanni Di Stefano, Fabiola Foti, Gianni Nicola Caracoglia, Fernando Massimo Adonia, Daniele Lo Porto e Luca Vullo. A completare il quadro sarà anche il concorso dedicato ai booktrailer, una sezione interamente consacrata alla trasposizione cinematografica di opere letterarie organizzata in collaborazione con l’Associazione Dirty Dozen, la cui proclamazione dei vincitori avverrà domenica 27 settembre alle ore 20:00, presso l’auditorium Concetto Marchesi del Palazzo della Cultura. Durante la stessa serata verranno svelati anche i vincitori della sezione C (Un libro in una pagina) del Premio Letterario Etnabook – Cultura sotto il vulcano. Di seguito i finalisti di tutte le sezioni che compongo il Premio Letterario:

FINALISTI SEZIONE A – POESIA (in ordine alfabetico):

Francesco Cusa (L’isolamento; La morte), Bartolomeo Errera (Se le nuvole non avessero il cielo), Samuele Fazio (Zero), Gabriella Grasso (Ti aspetto qui), Elisabetta Liberatore (Ti racconto un giorno d’estate), Valeria Mazzeo (Il barcone di Caronte), Giuseppe Schembari (A conti fatti; Scivolo in un nonsense), Giuseppe Venticinque (L’altro me stesso).

FINALISTI SEZIONE B – NARRATIVA/SAGGIO (in ordine alfabetico):

Marta Aiello (Stranieri a casa loro, Robin Edizioni), Giampaolo Cassitta (Domani è un altro giorno, Arkadia Editore), Danilo Mauro Castiglione (Considerazioni, Algra Editore), Luciano Varnadi Ceriello (Il segreto di Marlene, Armando Curcio Editore), Massimo Cracco (Senza, Autori Riuniti), Maurizio Mattiuzza (La malaluna, Solferino), Giuseppina Mellace (I dimenticati di Mussolini, Newton Compton Editori), Marco Pappalardo (Diaro [quasi segreto] di un prof., Edizioni San Paolo), Marinette Pendola (Lunga è la notte, Arkadia Editore), Gianfranco Sorge (Perturbanti Congiungimenti, GOWARE).

FINALISTI SEZIONE C – UN LIBRO IN UNA PAGINA (in ordine alfabetico):

Paola Sabrina Baia (Buttafuoco), Morgana Chittari (Cinquecento), Danilo De Luca (A proposito del prof. Baldini), Massimo Rapisarda (Non c’è verso), Gianfranco Sorge (Codice blu).

FINALISTI SEZIONE BOOKTRAILER (in ordine alfabetico):

Giordano Bruno – Scintille d’infinito (Di Renzo Editore) di Guido Del Giudice e regia di Giuseppe Barbato; Il Gatto Geremia (Algra Editore) di Alessio Grillo; Il segreto di Don Ciccio (Bonfirraro Editore) di Angela Sorace, Videoproduzioni The CreKer; Ritmo binario – Il cratere Dostoevskij (Lekton Edizioni) di Raffaele Montesano, regia di Giovanni Botticella e Raffaele Montesano; Tutto in un giorno (Carthago Edizioni) di Annarita Schiavone e regia di Salvatore Bonaffini; Un viaggio chiamato psicoterapia (CTL Editore) di   Alessandra Parentela e Michela Longo, regia Fiorella Di Mauro.

 

Il link all’articolo su Quattrocanti: https://bit.ly/32SFGbt

 



Arkadia: Marinette Pendola e il ricordo di un agguato

Lunga è la notte, il romanzo di una storia vera

PARMA“Alla fine, la mia vita è stata serena. Semplice, forse persino banale, ma serena. Non ho bisogno di andare a rivangare vecchie storie. Alla mia età, non chiedo altro che di vivere in pace gli ultimi anni che mi restano. Pochi, a dire il vero, molto pochi. Ho settantotto anni. Non posso viverne molti di più”. Una storia sepolta dalla polvere degli anni; un paese lontano, un vociare confuso, donne e uomini votati al lavoro e al sacrificio; una sera come tante, un bambino come tanti. “Ora ricordo. Ricordo perfettamente quello che avvenne quella sera”. Un barlume di consapevolezza e lucidità attraversa Mimmo, lui che a quella faccenda non aveva più pensato, lui che era solo un bambino a cui vennero sottratte le carezze che sua madre amava serbargli. Eppure quella vicenda torna alla sua memoria come un boomerang, come un calcio sferrato a tradimento. Marinette Pendola in Lunga è la notte (Arkadia Editore) intesse un romanzo basato su una storia vera, un femminicidio, avvenuto negli anni Trenta a Bir Halima, un piccolo paese dell’Africa Settentrionale. L’autrice, nata in Tunisia da genitori siciliani, conosce la ruvidezza e le difficoltà di chi è dovuto emigrare per lavoro e necessità in un paese straniero. Da questo paese Marinette ci porta un aneddoto divenuto romanzo: tra le piccole case del villaggio, una donna viene uccisa. Da allora Mimmo non ha più pensato alla vicenda, ora si trascina solo nella sua casa di Bologna; sono passati molti anni, non ha più nulla da chiedere alla vita, eppure quella vecchia scatola contiene qualche immagine del tempo che fu. Era un bambino quando un colpo da arma da fuoco colpì quella donna e cambiò le sorti di una famiglia, di una comunità. Carmelina piangeva disperata, suo padre era nei campi, sua zia Tanina lo aiutò a crescere, ma la vicenda rimase un mistero. Tutto divenne dimenticanza. Fino ad ora. Lunga è la notte è il tentativo di rimettere insieme i pezzi della memoria, concludere una storia di lacerazione e perdita. Una corsa a ritroso mentre il tempo ha costruito distanza, cinismo, rassegnazione. Marinette Pendola, con una scrittura delicata e concitata, percorre gli anni, i sentimenti, i luoghi; il lettore è accanto a lei, segue le dinamiche e ne ripercorre le evoluzioni.

Di mia madre non ricordo niente. Non so di che colore avesse gli occhi, come portasse i capelli, se corti com’era di moda allora o lunghi e stretti in un concio come usavano le donne all’antica, se indossasse abiti scuri o le piacessero quelli allegri. Non so dire se era taciturna o loquace, gentile nei modi o sbrigativa. Nessuno mai mi ha parlato di lei, nessuno che abbia tenuto vivo il suo ricordo. È come se, insieme al suo corpo, fosse stato sepolto tutto quello che la riguardava. Scomparsa dal nostro mondo, cancellata per sempre. E ora, solo ora, per la prima volta dopo tutti questi anni, ecco che mi torna in mente.

Giulia Siena

 

Il link alla recensione su ChronicaLibri: https://bit.ly/35KSUsH



Chiacchierando con… Marinette Pendola

Ti avrei proposto la tisaneria e salon de thé Eutepia in un vicolo della vecchia Bologna in cui sorseggiare insieme un tè alla menta. Oppure sul lungomare semideserto di Hergla (Tunisia) al tramonto…

… e io non avrei saputo scegliere tra i due luoghi proposti da Marinette Pendola per chiacchierare del suo nuovo libro per la casa editrice Arkadia, e poiché l’immaginazione può tutto, scegliete voi dove meglio volete collocarci per seguire la chiacchierata tra noi.

“Lunga è la notte”, recente romanzo di Marinette Pendola per Arkadia, porta i lettori nel paesino tunisino di Bir Halima, nel quale il 21 giugno del 1936, nella comunità italiana, si consumò un tragico, inspiegabile delitto: l’uccisione di una donna siciliana, moglie e madre irreprensibile. A cercare di dipanare il mistero dopo un oblio durato lunghi anni, in cui è cresciuto e tornato in Italia, il figlio della vittima, presente sul luogo del delitto, la cucina della loro casa tunisina in una calda serata estiva: Mimmo. Le tracce della memoria, i ricordi famigliari segnati dalla tragedia, una piccola comunità che cerca in terra africana di preservare le proprie tradizioni e il legame con le radici, i pregiudizi dell’autorità francese che amministra il territorio, tutto questo è sconvolto dal sangue versato sulla soglia di casa. Come si legge nella bandella, Marinette Pendola è nata a Tunisi, da genitori di origini italiane, e in terra africana spesso guida i suoi lettori: con il romanzo autobiografico “La riva lontana” nel 2000 per Sellerio, e con i due romanzi editi per Arkadia “La traversata del deserto” nel 2014, e “L’erba di vento” nel 2016. Ma anche con le pubblicazioni legate all’attività del Progetto della memoria istituito negli anni Novanta dall’ambasciata italiana a Tunisi.

In che modo la storia vera che è la base di “Lunga è la notte” si inserisce nel tuo percorso narrativo? Segna una continuazione o uno stacco?

RISPOSTA: Il mio percorso narrativo gira intorno al tema della memoria. La storia vera mi ha permesso di creare un personaggio (Mimmo) che ha rimosso tutto il suo passato. Non ha memoria di ciò che avvenne e, per lungo tempo, non vuole averne. È comprensibile, considerato il grave trauma che ha subito. Però, in genere, chi è obbligato a lasciare il proprio paese vive di ricordi che alimentano una forte nostalgia. Insomma, in costoro il passato alimenta (e spesso tiene in piedi) il presente. Ed è ciò che ho incontrato quasi sempre. Raro è invece chi volutamente dimentica o rifiuta il passato tunisino [lo scrittore Gérard Spitéri, franco-maltese-tunisino, intitola un suo romanzo autobiografico “Bonheur d’exil”, ma è un caso unico]. Rispetto alla maggioranza degli esiliati, Mimmo ha un comportamento anomalo. M’interessava indagare questo aspetto. Quando ho cominciato a scrivere, ho assunto un impegno con me stessa: dare voce a chi non l’ha mai avuta. I primi due romanzi sono autobiografici perché l’urgenza di raccontare la mia esperienza (che poi è simile a quella di tanti) si è imposta. Poi ho cominciato a “navigare” fra le storie. Storie che ho sentito durante la mia infanzia, o raccontatemi nel tempo. È come se me le avessero consegnate perché le diffondessi. So di dare vita a un’umanità ignorata dalla storia ufficiale. È una responsabilità ma nello stesso tempo mi diverte e mi riempie di piacere. Inoltre rappresenta un po’ una sfida poiché i materiali sono di difficile reperimento, sparpagliati negli archivi di Tunisia, Francia e Italia, e devo lavorare molto creando di sana pianta situazioni e personaggi. “Lunga è la notte” si colloca in questo filone della memoria e della ricerca di dignità.

Nella premessa al libro fai una differenza fondante per la tua storia tra la verità dei fatti che, affermi, giace in un qualche archivio polveroso della Gendarmeria nazionale francese, e la verità dei personaggi che vivono all’interno del romanzo e a essa soltanto rispondono. Ma quale rapporto intimo lega tra loro la verità dei fatti e la verità dei personaggi in “Lunga è la notte”? E qual è il ruolo di te come scrittrice per gestire le due verità?

RISPOSTA: La verità dei fatti in sé è schematica: una donna è uccisa per motivi misteriosi. Poi si crede di trovare l’assassino che a sua volta viene ucciso. Questione risolta per le autorità. In questo schema si muovono i personaggi che sono tutti frutto della mia fantasia. La loro verità sta nella coerenza: sono sempre coerenti al loro mondo, alla loro psicologia, aderiscono totalmente alla storia e ad essa soltanto rispondono. Certo, lasciando liberi i personaggi di percorrere la loro strada, mi allontano dalla verità storica. Ma questo mi appare secondario rispetto a quello che ho voluto esprimere. Ho fatto questa scelta per vari motivi: uno è preservare la privacy dei discendenti delle persone che hanno vissuto questo evento. Un altro era un obiettivo ambizioso: m’interessava capire come si muove nella vita una persona che ha assistito a un atto così violento come l’omicidio della propria madre. Inizialmente non ero in grado di prevedere l’evoluzione del personaggio Mimmo che si è costruito da sé man mano che la storia prendeva corpo. In sostanza, il fatto reale è stato l’humus che ha dato corpo a Mimmo. Il mio ruolo è stato quello di dargli spazio, lasciarlo crescere dandogli tempo.

Se Mimmo è il personaggio cardine, che con la sua memoria riavvolge i fili del racconto, sono le donne quelle su cui è maggiormente concentrata l’attenzione narrativa. Inevitabilmente la vittima, che assedia il lettore per la tragica fine, ma ancora di più le due donne, che in quella lunga notte e nei giorni successivi, si fanno carico delle incombenze, della cura e anche di cercare di dare un senso con il chiacchiericcio delle loro confidenze e l’acume delle riflessioni: Tanina, la cognata della vittima, e ’Nzula, la vicina di casa, detective in embrione e sagace pensatrice. Due donne giovani che cercano di razionalizzare il dolore e di dare spiegazioni all’accaduto, arrivando molto vicine alla verità.

Che cosa rappresentano queste due donne non solo nell’economia del racconto di “Lunga è la notte” ma anche all’interno della comunità italiana in Tunisia di cui preservi la memoria con i tuoi scritti?

RISPOSTA: Le donne sono elementi fondamentali non solo in questo romanzo. Nel precedente, “L’erba di vento”, protagonista è una donna emarginata ma tenace al punto da raggiungere finalmente l’obiettivo che si era posta. Direi che ho vissuto in un ambiente in cui le donne sono la forza portante dell’organizzazione famigliare e del piccolo mondo in cui vivono. D’altronde non avrebbero potuto seguire i loro uomini in luoghi così lontani, spesso desertici. Sono donne forti, delle vere pioniere che non temono nulla. Forse sottostanno alla cultura patriarcale dominante, ma da mediterranee, sanno perfettamente di avere un ruolo di primo piano in certi particolari contesti. D’altronde Tanina stessa lo dice a un certo punto: agli uomini spetta il compito di andare dai gendarmi e dal prete, a noi il resto. Ruoli diversi, ma non per questo quello delle donne è subalterno.

“Lunga è la notte” scorre su due binari paralleli, convergenti in una cassetta di fotografie, dove sono racchiusi odori, sapori, ricordi ed eventi che Mimmo spera di poter riannodare dopo averli a lungo allontanati da sé. Senza svelare nulla dell’intrigo e della soluzione che svela il movente e l’assassino, cosa spinge Mimmo a tornare a quella lunga notte del 1936 riattivando la memoria attraverso le fotografie? Perché non si accontenta della verità ma vuole rivivere il passato? Cosa ha lasciato indietro?

RISPOSTA: Un incontro all’ospedale, non si sa quanto reale o soltanto immaginato, è ciò che spinge Mimmo a riprendere in mano la propria vita, partendo proprio da quell’evento terribile avvenuto quando lui era bambino. E può farlo solo attraverso le foto, unico legame con quel passato rimosso. Mimmo non ha una verità, non guarda mai indietro. La sua verità sta nel vivere quotidiano: modesto, quasi claustrofobico, ma rassicurante. Non vuole rivivere il passato. In qualche modo vi si sente costretto dall’incontro di quel giorno. O forse semplicemente è giunta l’ora dei nodi da sciogliere, dei bilanci finalmente da fare. E quella specie di bilancio, per quanto claudicante, gli fa intuire (temo non abbia il tempo di capire veramente) di aver attraversato la vita in una sorta di apnea. Congelata ogni emozione, ogni speranza di cambiamento o di evoluzione, la sua vita è trascorsa in una gabbia protettiva, e di quanto questa fosse stretta nemmeno si è accorto. E quell’incontro all’ospedale, elemento scatenante di questa ricerca, è avvenuto effettivamente? Oppure è tutto frutto di una mente sempre più smarrita? A questa domanda credo sia meglio rispondano i lettori.

Siamo arrivate all’ultima domanda.

Tunisia-Italia; l’infanzia e l’età adulta. Sono queste le coordinate spaziali e temporali del tuo romanzo. Possono essere anche intrecciate tra loro in una sorta di significato metaforico: la Tunisia è l’infanzia perduta e l’Italia il mondo dell’età adulta per i tuoi personaggi? Di quale terra si sentono figli o la loro condizione è altra?

RISPOSTA: Potrebbe la Tunisia rappresentare metaforicamente l’infanzia e l’Italia il mondo adulto. Potrebbe, e sono convinta che molte lettrici e molti lettori che non hanno vissuto l’esperienza dello sradicamento e del ri-radicamento daranno questa chiave di lettura. Ma non credo che sia così. Perlomeno la questione è molto più complessa. Lo sradicamento dalla propria terra è molto più di un prima e un dopo. Non vi è, nei miei personaggi, in me, continuità tra quello che fu (l’infanzia) e quello che è ora (l’età adulta). Vi è invece una frattura in cui il prima è totalmente altro da quello che si vivrà dopo. L’impegno costante è ricucire queste due vite per farne una sola, colmando in qualche modo il vuoto fra le due. Io ci sono riuscita grazie alla scrittura. Scrivere – e, in particolare scrivere di questa esperienza – mi ha permesso di ritornare nei territori dell’infanzia per riappropriarmene e, di conseguenza, di completare armoniosamente il mosaico che appariva in frantumi. Attraverso la scrittura creo un “terzo luogo” che non è Tunisia e non è nemmeno Italia, ma forse è entrambe. Ma Mimmo, il protagonista, non è nemmeno lontanamente sfiorato da queste preoccupazioni preso com’è dal bisogno di recuperare il ricordo della madre. Quando mi si chiede di quale terra mi sento figlia, di solito rispondo che se l’Italia è la mia patria, la Tunisia è la mia matria. In quest’ottica si potrebbe davvero cogliere una dimensione metaforica nel percorso di Mimmo che ha perso la madre e la matria e non riesce più a ritrovarle, nemmeno nel ricordo.

 

Il link all’intervista su Giuditta legge: https://bit.ly/3hbEkws



UN EQUILIBRIO NUOVO E UNA SERENITA’ SUPERMERITATA

Ed eccoci, finalmente, con lo Zaino. Una conferma e una certezza, ormai. Dopo la pausa estiva, e alla Ripresa di questo anno particolare e complicato. Dal 22 febbraio scorso una pandemia mondiale ci ha sorpreso e spiazzati e costretti a ragionare anche su un nuovo modo di fare e intendere le librerie e in un mondo dell’editoria, diciamo pure, allo sbando. Resistendo, siamo sopravvissuti e abbiamo continuato a costruire, con assoluto impegno, e a ridefinire una nuova realtà. Abbiamo scelto di rinunciare, per ora, alle presentazioni di libri e agli incontri tradizionali, con non poco dispiacere, ma sempre mossi da un profondo senso di responsabilità. Abbiamo deciso che continueremo a ospitare gli autori in libreria in una nuova modalità: vale a dire tutti quelli che al sabato saranno disponibili a incontrare un ristretto numero di lettori per volta, aiutandoci a fare i Librai. Per i lettori e certo per gli autori stessi sarà un’occasione preziosa per parlare in modo informale di letteratura, e non necessariamente solo dell’ultimo libro pubblicato. Proprio con questa modalità siamo ripartiti già da Sabato 5 settembre e abbiamo ospitato come Libraia per un giorno la scrittrice Marinette Pendola.

Marinette Pendola è nata a Tunisi da genitori di origine siciliana e vive a Bologna, dove è stata docente di lingua e letteratura francese e fa parte del gruppo di lavoro “Progetto della memoria”, istituito dall’ambasciata italiana a Tunisi negli anni Novanta, cui sono legate numerose pubblicazioni, tra cui L’alimentazione degli italiani di Tunisia (Tunisi, Finzi, 2005), Gli Italiani di Tunisia. Storia di una comunità (Editoriale Umbra, 2007). I suoi studi hanno ispirato anche La riva lontana (Sellerio, 2000), romanzo autobiografico che ripercorre un’infanzia tunisina nel periodo coloniale. Per Arkadia Editore ha pubblicato La traversata del deserto (2014), che rievoca il ritorno degli emigrati dalla Tunisia all’Italia, e L’erba di vento (2016), storia potente di una donna che non si sottomette alle convenzioni del suo tempo. È attualmente in libreria con il suo nuovo romanzo, Lunga è la notte, sempre nella Collana Eclypse di Arkadia Editore. Un romanzo ambientato nella Tunisia degli anni Trenta e incentrato sui ricordi, sulle labili certezze che possono offrire, su spazi e luoghi del paese del Nord Africa già indagati dall’autrice.

Oramai vecchio, un uomo indaga sul proprio passato, su quel misterioso femminicidio che lo sconvolse quando era bambino, determinando tutto il corso della sua vita. La sua memoria, impegnata in un serrato confronto con il tempo trascorso, non è però in grado di ricostruire tutti i passaggi, di chiarire le zone d’ombra, rischiarando gli eventi e permettendogli, finalmente, di lasciarli per sempre alle spalle. C’è qualcosa che sfugge, momenti che non si delineano nei contorni sperati. Il protagonista del romanzo, dovrà così cercare l’aiuto di Tanina e ‘Nzula, due donne che potrebbero avere avuto a che fare con quella storia. A loro si uniranno il brigadiere Latrousse e il suo sottoposto Mathieu, insieme al bolognese Callisto e altri personaggi. Saranno in grado di dare una mano e dipanare l’intricata matassa? Il nuovo romanzo di Marinette Pendola, ambientato nella Tunisia preguerra, è incentrato sui ricordi, sulle labili certezze che questi possono dare, su spazi e luoghi del paese del Nord Africa già indagati dall’autrice. Un romanzo sulla sopravvivenza, sulla capacità dell’uomo di commettere azioni orribili e, nel contempo, cercare il bene infinito.

L’accuratezza della nostra proposta culturale si è tradotta, in questi anni, anche in una costante opera di divulgazione e riflessione su i diversi temi offerti dalla letteratura contemporanea. Così, anche durante le settimane di chiusura estiva non abbiamo mai smesso di dialogare con i nostri lettori in Rete attraverso suggerimenti e proposte (o riproposte in taluni casi) di letture da fare. Ogni giorno abbiamo continuato a soffermarci su un titolo, attraverso impressioni e recensioni, per poter far scegliere, tra i nostri libri in catalogo, quello più adatto a ogni singolo lettore.

Antonello Saiz

 

Il link alla recensione su Giuditta legge: https://bit.ly/2F9uPRv



Lunga è la notte

Marinette Pendola

La pastina. La pastina sparpagliata sul pavimento. Per qualche tempo ci fu solo quello. Poi, come uno spesso strato di cenere, un grigiore uniforme coprì ogni cosa. Per anni, per una vita intera. Fino a oggi. E ora, mentre infilo la chiave nella toppa e sto per aprire la porta di casa, appare un’immagine all’improvviso. Mi abbaglia quasi. Mi fa tentennare mentre varco la soglia e mi avvio verso la camera. Ora ricordo. Ricordo perfettamente quello che avvenne quella sera.

Pubblicato da Arkadia Editore, 2020

Catturata dalla storia e dalla piacevolissima scrittura dell’autrice fin dalle prime righe, ho letto questo romanzo tutto d’un fiato. Il romanzo, ispirato ad una vicenda reale che ebbe luogo in un piccolo paese della Tunisia nella seconda metà degli anni ’30, da un lato ha il sapore di un noir, dall’altro esplora i misteri e le sfaccettature della memoria umana. Il protagonista, ormai anziano, indaga sul proprio passato, sul misterioso omicidio della madre avvenuto in Tunisia quando era piccolo, sforzandosi di recuperare ricordi in parte forse volutamente rimossi, immagini remote e sfuocate dell’infanzia. Le sue riflessioni in prima persona, un misto di commozione e ironia, si alternano alle pagine che raccontano la cronaca dei fatti avvenuti settant’anni prima e che ci restituiscono pienamente l’ambiente, l’atmosfera e le consuetudini della comunità siciliana che abitava quei luoghi. Pagine popolate da personaggi ben caratterizzati come zia Tanina, la vicina di casa ’Nzula, il brigadiere Latrousse e altre figure. Un romanzo emozionante in cui Marinette Pendola, con la sua grande capacità narrativa, ci consegna ancora una viva testimonianza di una comunità, del suo sradicamento e della sua memoria. Marinette Pendola è nata a Tunisi da genitori di origine siciliana. Ha insegnato Lingua e Letteratura francese nelle scuole superiori, vive a Bologna e fa parte del gruppo di lavoro “Progetto della memoria” istituito dall’ambasciata italiana a Tunisi negli anni Novanta, cui sono legate numerose pubblicazioni, tra cui L’alimentazione degli italiani di Tunisia (Finzi, 2005), Gli italiani di Tunisia. Storia di una comunità (XIX-XX secolo) (Editoriale Umbra, 2007). È autrice dei romanzi autobiografici La riva lontana (Sellerio, 2000), che ripercorre un’infanzia tunisina nel periodo coloniale e La traversata del deserto (Arkadia Editore, 2014), che rievoca il ritorno degli emigrati dalla Tunisia all’Italia. Per Arkadia Editore ha pubblicato anche L’erba di vento (2016), storia potente di una donna che non si sottomette alle convenzioni del suo tempo (vedi recensione alla sezione Libri del presente sito). Marinette Pendola è inoltre vicedirettore di Jourdelò, rivista storico-culturale di 8cento APS, per la quale ha scritto numerosi articoli.

Daniela Bottoni

 

Il link alla recensione su Jourdeló: https://bit.ly/2GnUbvh



Etnabook 2020: svelati i nomi dei semifinalisti del premio “Cultura sotto il vulcano” e i finalisti del concorso “BookTrailer”

 

Meno di un mese al via del Festival del Libro e della Cultura di Catania. Tanti eventi e premiazioni letterarie in programma. La tematica di quest’anno che ruoterà attorno all’edizione del Festival saràLe metamorfosi – Evoluzione e Rivoluzione, fasi ultime di una metamorfosi individuale e collettiva che darà voce a autori, librai, lettori e artisti i quali racconteranno il mutamento presente nelle proprie storie. Quasi una profezia in tempi di Covid, dato che il tema fu annunciato lo scorso dicembre.

 

Etnabook 2020

 

Svelati i nomi dei semifinalisti della quattro sezioni del Premio Letterario “Cultura sotto il Vulcano” e i nomi dei finalisti del Concorso BookTrailer

 

 

Le news

 

Manca ormai poco alla seconda edizione del Festival internazionale del Libro e della Cultura di Catania che si svolgerà dal 25 al 27 settembre presso il Palazzo della Cultura. E mentre sono in corso i preparativi per la tre giorni ricca di incontri, presentazioni, mostre, proiezioni e anteprime, sono diversi gli eventi collaterali denominati “Aspettado Etnabook 2020” che si snoderanno all’interno della città di Catania e dell’hinterland e porteranno tante anticipazioni in vista della grande ondata di cultura del Festival cui il direttore (in foto) è il dott. Cirino CristaldiSi è iniziato il 28 agosto con la presentazione di La mala eredità (Armando Curcio Editore) di Maribella Piana presso Attimi Lounge Bar di Sant’Agata Li Battiati, con la moderazione di Giovanna GaggegiIl 4 e 11 settembre verrà presentata la Raccolta Antologica (Algra Editore) a cura di Mascalucia DOC, rispettivamente presso la Biblioteca comunale di Mascalucia e Attimi Lounge Bar a Sant’Agata Li BattiatiIl 18 settembre, invece, in Piazza della Libertà del comune di Gravina di Catania Totò Cuffaro (in foro) presenterà il suo libro La figlia delle monache – Rosa Gemma (Spazio Cultura Edizioni) con moderazione di Marco Benanti e intervento di Marco Pitrella.

 

Ecco i semifinalisti della quattro sezioni e i finalisti del concorso Booktrailer presieduto da Debora Scalzo

Mancano ancora i nomi del “Premio della Critica”, del “Premio inedito”, “Del Premio Opera prima”, del “Premio Sicilia” e del “Premio Presidente della Giuria”.

 

SEMIFINALISTI SEZIONE A – POESIA (in ordine alfabetico):

Lucia Compagnino con A pelo d’acqua, Francesco Cusa con L’isolamento; La morte; Notturni, Bartolomeo Errera con Se le nuvole non avessero il cielo, Grazia Dottore con Luce soffusa della sera, Samuele Fazio con Paura; Zero, Gabriella Grasso con Il mio paesaggio cambia; Ti aspetto qui, Elisabetta Liberatore con La famiglia e il melograno; Sarà la pioggia, Ti racconto un giorno d’estate, Valeria Mazzeo con Il barcone di Caronte, Giuseppe Melardi con Nuvola, Giuseppe Schembari con A conti fatti; Scivolo in un nonsense; Un male che assale, Gianmarco Sirna con Vizio del consenso, Giuseppe Venticinque con L’altro me stesso.

 

SEMIFINALISTI SEZIONE B – NARRATIVA/SAGGIO intitolato alla memoria di Enrico Morello (in foto mentre riceve il premio il 19 settembre 2019) – vincitore della sezione della prima edizione, scomparso prematuramente a Gennaio scorso (in ordine alfabetico):

Marta Aiello, Stranieri a casa loro (Robin Edizioni),

Paolo Anile, Eden. Un’altra storia (Algra Editore),

Dejanira Bada, Storia di un uomo vescica (Villaggio Maori Edizioni),

Maria Giovanna Bucolo, Confini instabili (Prova d’autore),

Giampaolo Cassitta, Domani è un altro giorno (Arkadia Editore),

Danilo Mauro Castiglione, Considerazioni (Algra),

Luciano Varnadi Ceriello con Il segreto di Marlene (Armando Curcio Editore),

Claudio Colombrita, Nostro amico Gesù (inedito),

Massimo Cracco, Senza (Autori Riuniti),

Valentina Conti, Tu, promettilo al vento (Carthago),

Maurizio Mattiuzza, La malaluna (Solferino),

Giuseppina Mellace, I dimenticati di Mussolini (Newton Compton Editori),

Federico Muzzu, Invece che uno (Arkadia Editore),

Slavka Nanova, Il diario di una leonessa (CTL Ed.)

Marco Pappalardo, Diaro [quasi segreto] di un prof. (Edizioni San Paolo),

Marinette Pendola, Lunga è la notte (Arkadia Editore),

Sara Maria Serafini, Quando una donna (Morellini),

Gianfranco Sorge, Perturbanti Congiungimenti (goWARE),

Gianni Verdoliva, Ritorno a villa blu (Robin Edizioni),

Ettore Zanca, Santa Muerte (Ianieri Edizioni).

 

SEMIFINALISTI SEZIONE C – UN LIBRO IN UNA PAGINA (in ordine alfabetico):

Paola Sabrina Baia (Buttafuoco), Morgana Chittari (Cinquecento), Lucia Compagnino (La stretta), Danilo De Luca (A proposito del prof. Baldini), Camillo Lanzafame (Hitchcock), Carla Mannino (La diversità è fuori, non è dentro), Marco Pappalardo (Boati d’altri tempi), Anna Pasquini (Corsa ad ostacoli), Massimo Rapisarda (Non c’è verso), Gianfranco Sorge (Codice blu). I finalisti delle sezioni sopra riportate verranno annunciati al pubblico il 14 settembre 2020. A completare il quadro sarà anche il concorso dedicato ai booktrailer, una sezione interamente consacrata alla trasposizione cinematografica di opere letterarie organizzata in collaborazione con l’Associazione Dirty Dozen. La giuria tecnica della sezione booktrailer, presieduta da Debora Scalzo, autrice e produttrice, è composta da Carlotta Bonadonna (giornalista), Riccardo Camilli (regista), Roberto Carrubba (attore) e Max Nardari (regista).

 

Per questa categoria già annunciati i finalisti:

Giordano Bruno – Scintille d’infinito (Di Renzo Editore) di Guido Del Giudice e regia di Giuseppe Barbato;

Il Gatto Geremia (Algra Editore) di Alessio Grillo;

Il segreto di Don Ciccio (Bonfirraro Editore) di Angela Sorace, Videoproduzioni The CreKer;

Ritmo binario – Il cratere Dostoevskij (Lekton Edizioni) di Raffaele Montesano, regia di Giovanni Botticella e Raffaele Montesano;

Tutto in un giorno (Carthago Edizioni) di Annarita Schiavone e regia di Salvatore Bonaffini;

Un viaggio chiamato psicoterapia (CTL Editore) di Alessandra Parentela e Michela Longo, regia Fiorella Di Mauro.

 

CONCORSO BOOKTRAILER

A completare il quadro sarà anche il concorso dedicato ai booktrailer, una sezione interamente consacrata alla trasposizione cinematografica di opere letterarie organizzata in collaborazione con l’Associazione Dirty Dozen. La giuria tecnica della sezione booktrailer, presieduta da Debora Scalzo (in foto), autrice e produttrice, è composta da Carlotta Bonadonna (giornalista), Riccardo Camilli (regista), Roberto Carrubba (attore) e Max Nardari (regista).

 

Per questa categoria già annunciati i finalisti:

Giordano Bruno –Scintille d’infinito (Di Renzo Editore) di Guido Del Giudice e regia diGiuseppe Barbato;

Il Gatto Geremia (Algra Editore) di Alessio Grillo; Il segreto di Don Ciccio (Bonfirraro Editore) di Angela Sorace, Videoproduzioni The CreKer;

Ritmo binario – Il cratere Dostoevskij (Lekton Edizioni) di Raffaele Montesano, regia di Giovanni Botticella e Raffaele Montesano;

Tutto in un giorno (Carthago Edizioni) di Annarita Schiavone e regia di Salvatore Bonaffini;

Un viaggio chiamato psicoterapia (CTL Editore) di Alessandra Parentela e Michela Longo, regia Fiorella Di Mauro

 



Lunga è la notte di Marinette Pendola

È una storia vera – ma non autobiografica come nei due precedenti romanzi “La riva lontana” e “La traversata del deserto” –, quella che la scrittrice Marinette Pendola racconta nel suo romanzo “Lunga è la notte” (Arkadia editore, 2020, 100 pagine): un femmincidio che ha turbato gli animi di tutti. Giugno 1936, siamo a Bir Halima, un piccolo paese a circa sessanta chilometri da Tunisi, dove si è insediata una piccola comunità di siciliani. Di notte, all’improvviso, mentre gli uomini sono ancora nei campi, nell’aria riecheggia uno sparo: hanno ucciso Santina, nella sua casa, davanti agli occhi dei due figli: Carmelina, che la vittima teneva in braccio, e Mimmo. Mentre Carmelina è troppo piccola per ricordare questo tragico momento, Mimmo subisce il trauma di questa perdita. La lunga notte, quella del titolo del romanzo, non è solo la notte in cui la madre del protagonista viene uccisa, ma è anche la notte in cui Mimmo, a 78 anni, ripensa a lei cercando di ricordare cosa sia successo, nonché metafora della sua vita, che è stata solo una lunga notte dalla morte della madre in poi, in una sorta di apnea. Una vita vissuta poi in Italia, a Bologna, un altro stacco col passato. Della madre Mimmo non ricorda nulla: nessuno, nel corso degli anni, gli ha parlato di lei, tenendo vivo il ricordo, ma neppure lui ha mai fatto domande: voleva solo guardare avanti e lasciarsi tutto alle spalle. Sarà un incontro inaspettato in ospedale, dove è lì per visitare il suo amico Callisto, a far scattare in lui il desiderio di ripercorrere tutta la vicenda che portò alla sua scomparsa. “Ora, proprio ora, devo rivedere tutte le mie certezze, aprirmi a un’altra visuale, a costo di scombinare tutto. Quello che ho sentito oggi non mi lascia scampo. È come se una botta improvvisa e violenta mi avesse scosso fino alle radici e nello stesso tempo, avesse diradato la nebbia che avvolgeva ogni cosa e di cui finora non sapevo. È come se avessi attraversato la vita brancolando in un mare di grigiume e a un tratto mi fossi svegliato in un altro mondo. Un mondo che conosco”. “Mimmo, il protagonista, è piuttosto ingessato – racconta l’autrice al Corriere di Tunisi –. Difficilmente perde il controllo e quando lo fa, avviene con la lingua, ma anziché scivolare verso il siciliano della sua infanzia, pian piano va verso il bolognese, prova della totale rimozione del suo passato”. Il libro più che un giallo – anche se il lettore rimane incollato alle pagine per venire a capo di questo mistero – è il “percorso difficile di un uomo vittima di una tragedia immane”. Ma non solo: Pendola dipinge sapientemente la vita dei siciliani di Tunisia – né colonizzati, né colonizzatori, bensì migranti economici –, tratteggiando allo stesso tempo la realtà coloniale, compresi i pregiudizi verso questa comunità, espressi dal brigadiere – che rappresenta l’autorità – e dal prete. “Ho cercato di ricostruire il più possibile l’ambiente coloniale e la realtà dell’epoca, un po’ come l’avevano vissuta i miei genitori”. Primitivi e rozzi: così vengono descritti i siciliani. “Sapeva che non avrebbe trascurato nulla, che avrebbe scavato nei meandri più intimi di quella famiglia. Si sa, i siciliani hanno costumi primitivi. Risolvono i loro problemi con una coltellata o una fucilata. E all’interno delle famiglie, dicono, le regole sono rigide. Basta poco, uno sguardo, un gesto, per scatenare l’inferno” pensa il brigadiere Latrousse mentre i familiari di Santina sporgono denuncia. “Quelle povere anime non capivano né il francese, né tantomeno il latino. Qualche sforzo doveva pur essere fatto per perforare la scorza dura del loro spirito. (…) Forse era ingiusto e ingeneroso questo suo giudizio, finì col dirsi mentre saliva il primo gradino della chiesa. Era ingiusto, perché aveva attorno a sé anime devote, sebbene un po’ selvagge e di difficile accesso” riflette tra sé il prete prima di officiare il funerale di Santina. I personaggi sono frutto della fantasia di Pendola, a parte il prete, realmente esistito, padre Van den Haak, detto Turidduzzu. “I fatti sono avvenuti così come li racconto, dall’evento scatenante fino all’epilogo finale che ha mantenuto nel tempo il suo alone di mistero. La persona che me l’ha raccontata è il figlio della vittima, che ho intervistato mentre stavo facendo una ricerca sulla comunità di Bir Halima, realtà sociale che lui conosceva molto bene. L’ultima volta che ci siamo incontrati, mentre aspettavo l’ascensore, mi ha detto ciò che era successo alla madre, come se fosse un regalo. Lui non ha avuto la stessa vita di Mimmo: a differenza di quest’ultimo, è riuscito in qualche modo a superare questo trauma ed ha avuto una vita piena”. Per diverso tempo questa storia rimane sospesa, la scrittrice non ne fa nulla, fino al momento in cui sua madre viene a mancare: “Ho sofferto per questa perdita, ma ho pensato di esser stata fortunata, ad averla avuto accanto per molti anni, pensando a come si possa vivere senza la figura materna. Ho voluto così creare qualcuno che avesse problemi con la memoria. Mi sono chiesta: una persona che ha vissuto un’esperienza del genere, come affronta la vita dopo? Non ho svolto ulteriori ricerche: volevo fosse un lavoro creativo, non di cronaca”. La memoria è un tema molto caro all’autrice, che nei suoi romanzi cerca proprio di tenere viva la memoria storica che collega Italia e Tunisia: “Il mio obiettivo è dare voce a chi non l’ha mai avuta, far parlare le persone umili che per la Storia non esistono. Mi piace dar loro vita e visibilità, raccontare la Storia degli italiani in Tunisia attraverso le loro storie”. Una curiosità: la moglie del guaritore da cui Mimmo, in Tunisia, viene portato per curare l’eczema, è la protagonista di “L’erba di vento”.

Giada Frana



Lunga è la notte

Con questo Lunga è la notte, Marinette Pendola, ci porta nuovamente in Tunisia. Sua terra di nascita, il paese nord africano è, da tempo, al centro dei suoi studi e della sua scrittura e qui, tra queste pagine, ci conduce tra le pieghe di qualcosa che lei, nata a Tunisi, da genitori siciliani, conosce bene, quella sorta di emigrazione al contrario, quella fatica di “mescolarsi” in una terra straniera che, per quanto possa accogliere, resta sempre straniera.
Lunga è la notte, in cento pagine di scrittura tesa e pulita, ci conduce nella Tunisia del 1936, per la precisione a Bir Halima, più che un villaggio un agglomerato di case, costruite una attaccata all’altra, proprio da una piccola comunità di siciliani, emigrati in questo angolo di Mediterraneo, caldo e polveroso, come la terra natia. Ed è tra queste stradine, tra queste case bruciate dal sole, tra sapori di tè alla menta e riverberi tremolanti per il caldo, che in una notte d’estate del ’36 avviene un femminicidio. Perché di questo si tratta e non di un “semplice” omicidio. Una giovane donna verrà uccisa davanti agli occhi di suo figlio, allora bambino, mentre teneva in braccio la figlia più piccola, miracolosamente (o forse no) scampata alla morte.
Da questo episodio prendono il via una serie di eventi che vedono figure femminili in primo piano. Figure femminili che non si lasciano spaventare, cercando di tenere insieme i tanti pezzi in cui, quel femminicidio, ha frammentato la vita loro, della loro comunità e delle loro famiglie.
A distanza di anni, ormai anziano, quello che allora era bambino, che a stento ricorda la madre uccisa, vuole tentare di fare chiarezza. Vuole, nella confusione dell’età e ormai prossimo alla fine dei suoi giorni, trovare quei particolari sepolti nella memoria. Quel male assoluto che, la vita e il bisogno di difendersi, avevano rimosso e reso nebulosi.
Ma quella che si presenta quasi come un noir è in realtà una storia di mescolanze culturali, spigolose e fluide al contempo, in cui quegli italiani emigrati sono e saranno sempre “i siciliani”, un po’ selvaggi, un po’ devoti, un po’ pagani. Con questi cliché in testa, il brigadiere Latrousse (anche lui un emigrato, seppur francese di Provenza) e il suo sottoposto Mathieu, svolgeranno un’indagine che sarà più che un atto poliziesco, un viaggio appunto dentro differenze culturali difficilmente superabili. Dura uscire dallo schema di un omicidio familiare quando il contesto in cui viene commesso è quello di una comunità stigmatizzata e portatrice di stereotipi, volente o nolente. Dura condurre un’indagine, seppure non priva di punti poco chiari, quando si avverte che ciò di cui ci sembra di essere convinti, scricchiola da qualche parte.
E intanto Tanina e ‘Nzula, le vere protagoniste del libro, sono la voce vera e più autentica di quella comunità, la voce di chi, in quanto donna, non si volta dall’altra parte, mentre gli uomini sono lontani, a mietere i campi o a perpetrare il solito linguaggio del “pareggiare i conti”. Linguaggio a cui sembra non riuscire a sottrarsi neanche il protagonista, quel bambino di allora e anziano di oggi che verrà salvato dai suoi propositi da un finale, forse un po’ scontato ma, non per questo meno evocativo.
Da una parte il male, fine a sé stesso anche se, per chi lo commette, ha sempre un motivo e dall’altra la capacità del bene, di prendersi cura dei dubbi e dei gesti. E, in mezzo, l’inganno che i ricordi possono mettere lungo il cammino, con la loro capacità di tenere insieme le cose ma, anche, quella di confonderle e renderle pericolosamente immutabili.

Geraldine Meyer



Gli infiniti volti della sicilianità 

“Lunga è la notte”. Il diario degli anni tunisini e quelli del ritorno in Italia dopo la decolonizzazione: Marinette Pendola si racconta: «Il tema della memoria è cruciale» 

La Sicilia ha infiniti volti e storie.  tante di queste si annidano nei ricordi di chi serba memoria di momenti, fatti e vite che fanno parte della storia del popolo siciliano dentro e fuori l’Isola. Alcune storie, invece, corrono incontro a chi riesce a raccontarle e far sì che non cadano mai nell’oblio. È questo il caso di Marinette Pendola, la cui vita è la testimonianza della folta comunità siciliana trasferitasi in Tunisia nel primo Novecento. Nata a Tunisi da una famiglia siciliana, attraverso i suoi emozionanti romanzi Marinette Pendola racconta le vicende di un luogo che fu comunque, nelle loro case e nelle abitudini, Sicilia. Dopo “L’erba di vento”, sempre per la casa editrice Arkadia, Marinette Pendola torna in libreria sulla scia del vento nordafricano con “Lunga è la notte”. 

Com’era la vita dei siciliani in Tunisia?
«Eravamo la minoranza più rappresentata. Sono nata a Tunisi come terza generazione, ad arrivare per primi da parti diverse dell’Isola furono i miei nonni. La nostra comunità ha vissuto una convivenza serena e arricchente con le altre culture, soprattutto con musulmani ed ebrei. Spesso ci si scambiava ricette o si partecipava alle reciproche feste, anche di tipo religioso. Ricordo la processione della Madonna ad agosto alla quale partecipavano tutti. A differenza degli italiani in Libia, noi eravamo una presenza ben accetta, i colonizzatori erano i francesi». 

Cosa accadde poi alla sua famiglia?
«Poi, la decolonizzazione. Proprio perché non eravamo colonizzatori accusammo un profondo dispiacere nell’essere costretti a lasciare quella che per noi era la nostra casa. Fu uno strappo molto doloroso». 

La sua produzione si inserisce nella letteratura della migrazione, della quale ha molte caratteristiche. Anche in “Lunga è la notte” è centrale il tema della memoria?
«Sì, il tema della memoria è cruciale, ma non solo. In “Lunga è la notte” è presente il tema dello sradicamento e – molto frequente in chi ha un trascorso da profugo – la necessità di mimesi e ricominciare da capo. Nel romanzo Mimmo ne è un esempio: la sua parlata che scivola nel bolognese è un modo per appiattire le differenze e mimetizzarsi nella nuova realtà» 

Come nasce “Lunga è la notte”? 

«Nasce da una storia donata. In Tunisia ho fatto molta ricerca e parlato con molte persone. Un giorno un uomo, dopo avermi fornito informazioni utili, mi raccontò della morte della propria madre: un femminicidio avvenuto molto tempo prima. Mise quella storia custodita a lungo nelle mie mani, me la donò. Tuttavia, il romanzo non è un giallo, ma è sempre la memoria di una comunità vivace e serena a essere protagonista».

La sua è una vita immersa in una realtà multiculturale al centro del Mediterraneo. Quale appartenenza prevale?

«Ho lavorato tutta la vita sulla mia identità culturale multipla. Sono madrelingua francese, sono cresciuta fino a tredici anni in Tunisia e mi hanno portato a Bologna, dove ho dovuto imparare l’italiano (e non nascondo di averlo vissuto come una costrizione!). Tutta la cultura mediterranea mi appartiene. La consapevolezza di questo mosaico l’ho costruita col tempo, ma la mia sfera più intima rimane, credo, siciliana». 

Come vive la sua sicilianità? 

«Fino all’età di sei anni io parlavo solo siciliano, così aveva voluto mia madre. Per imparare il francese ci sarebbe stato tempo a scuola, proprio come aveva fatto lei. Sento molto il mio rapporto con la Sicilia, è il mio passato nel senso più profondo del termine, perché l’ho sempre vissuta tramite la mia famiglia. Tuttavia, il bagaglio culturale che i miei nonni avevano portato, nel tempo si è trasformato accogliendo anche la cultura del posto. Così è avvenuto per la cucina o la lingua. I miei nonni, come gli altri, parlavano il dialetto siciliano di fine Ottocento, quasi verghiano direi, sul quale si sono inseriti arabismi, francesismi dando forma a una lingua molto interessante, che è una variante del siciliano. Questo prova, appunto, che la sicilianità ha infiniti volti». 

Giusy Sciacca



Arkadia Editore

Arkadia Editore è una realtà nuova che si basa però su professionalità consolidate. Un modo come un altro di conservare attraverso il cambiamento i tratti distintivi di un amore e di una passione che ci contraddistingue da sempre.

P.iva: 03226920928




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