Il Nuovo Umanesimo come bussola del vivere
Ci fu un tempo, in Italia e in Europa tra Quattrocento e Cinquecento, in cui la riscoperta dell’antico sapere greco e latino assunse un ruolo primario nella formazione dell’uomo e nell’esaltazione della sua dignitas. Non più ombra fragile e transeunte bensì ritrovato protagonista della storia e fulcro dell’universo, l’essere umano in quel periodo si riconosce arbitro delle proprie sorti, padrone dei suoi stessi talenti, assetato di conoscenza e nuovi orizzonti.
Si parla di Umanesimo, appunto, e dunque di Leon Battista Alberti e Pico della Mirandola, di Machiavelli e Guicciardini, di Campanella e Giordano Bruno, di papa Giulio II e Lorenzo il Magnifico.
Dal XV secolo a oggi
«Esiste un filo rosso che collega il Rinascimento ai nostri giorni, popolati da metropoli complesse e confuse in cui coesistono enormi insediamenti spesso privi dell’essenziale per vivere?», si domandano Pasquale Mistretta e Luisa Gulli, autori del saggio “Cercando l’Umanesimo tra gli intellettuali e i popoli del mondo” (Arkadia, 308 pagine, euro 20), una lucida e raffinata ricognizione per quadri tematici «delle tracce di Umanesimo più significative attraverso la storia e quelle propriamente riconducibili al ruolo dei grandi personaggi, secondo una scansione temporale».
Mistretta, classe 1932, urbanista, Rettore dell’Università di Cagliari dal 1991 al 2009, e Gulli, trentasette anni, ingegnere edile e architetto, puntualizzano: «L’itinerario proposto nel volume si sviluppa su due binari, quello dell’Umanesimo classico appartenente all’intellettualità, e l’Umanesimo dei popoli caratterizzato dalla concretezza del vivere che ogni persona contribuisce a rendere universale».
La lezione di Bernini
Parlando di città, Mistretta e Gulli ravvisano l’eredità di Leonardo, Bernini, dei costruttori delle cattedrali medievali nei lavori di Frank Lloyd Wright, Renzo Piano e Pedro Ramìrez Vàzquez, senza mancare di cogliere i segni di un «Nuovo Umanesimo nelle trasformazioni tecnologiche delle città smart che consentono di comunicare a distanza in rete».
Attenzione però al rischio rappresentato da centri abitativi «alienati per mancanza delle sollecitazioni emotive che solo il contatto umano e la diversità dei contesti ambientali e culturali possono provocare».
A proposito di cultura, gli autori citano, tra gli altri, Pasolini, Gramsci, Orwell, Sartre («intellettuali del Novecento impegnati a trattare temi di portata politica e sociale»), denunciando nel contempo il dilagare di quella cultura «di massa» che «utilizza gli strumenti di diffusione delle notizie di spettacolo senza possibilità di interagire col senso critico, quando le finalità – a volte occulte – non hanno attinenza col concetto di Umanesimo».
Culto della bellezza
Poi la musica – «anche quella leggera e il pop sono veicoli di messaggi riconducibili al Nuovo Umanesimo: amicizia, amore, pace, rispetto della natura» -, il cinema («occhio a quei titoli che, per fare incassi, inducono gli spettatori più giovani a “fare il tifo” per mafiosi, killer, psicopatici e simili»), il culto della bellezza, chiamata in causa da papa Francesco: «Le tre categorie fondamentali dell’essere che i filosofi chiamano trascendentali sono la verità, la bellezza e la bontà. Nel cittadino deve svilupparsi la dinamica improntata a questo trinomio».
In conclusione, i due studiosi osservano: «Con la letteratura, l’arte, la filosofia si creano i presupposti che danno contenuti di qualità alla struttura dell’humanitas e si attivano i processi di un diverso Umanesimo forgiato per garantire le condizioni in cui l’uomo, nella pienezza della sua esistenza, divenga partecipe dei beni comuni, equilibrando la difesa di fattori identitari con gli influssi della globalizzazione».
Fabio Marcello