L’editore Arkadia, nella collana Senza Rotta, sfata un tabù che da troppo tempo grava sull’editoria italiana (“i racconti non vendono!”) e dà spazio a una raccolta di racconti. Lodevole iniziativa che merita di essere seguita anche da altri editori. In effetti non si capisce perché i lettori italiani debbano leggere soltanto racconti di autori stranieri (peraltro bellissimi, come quelli di Alice Munro, Jorge Luis Borges e altri) mentre gli autori italiani scrivono racconti solo per concorsi, blog e riviste. Paolo Codazzi, fiorentino “natione et moribus”, imprenditore, letterato e animatore di iniziative letterarie, è un distinto signore dall’eloquio garbato e pieno di spirito: la persona ideale con cui bere un caffè in piazza Santa Croce o fare quattro passi sui Lungarni. Confesso: quando ci siamo scambiati i nostri parti letterari non potevo immaginare che il suo fosse un testo così diverso dal mainstream corrente. I quattordici racconti che compongono la raccolta hanno caratteristiche comuni e svolgimenti differenziati, sono preceduti da dotti esergo che spaziano da Musil a Calvino, da Severino a Shakespeare, e riconducono ad aneddoti di vita quotidiana, per lo più fiorentina ma anche di piccoli centri alle falde degli Appennini. Gli oggetti narrativi che ci conducono ad esplorare sono svariati: il mondo dei collezionisti (di libri e di cartoline), le pubbliche disavventure di un pronto soccorso di paese o quelle private di Garibaldi Giuseppe, litigi canini e biglietti tranviari non obliterati, i condizionamenti derivanti da una spiccata sensibilità olfattiva, la figuraccia di un violinista mancato, un macabro passaggio nei macelli comunali, un altro evento terminale, un ritrovamento artistico, l’influenza degli insetti nella guerra franco-prussiana, un folle pomeriggio. Ebbene: come rendere materia letteraria fatterelli che nel frenetico scorrere della vita contemporanea ci siamo abituati a considerare insignificanti? Esaltandone la comicità intrinseca. Già, ma ci sono mille modi di narrare, e oggigiorno è altamente raccomandata, quasi obbligatoria, l’esposizione concisa, la sintassi paratattica, l’abolizione dei fronzoli: una tecnica che sembra fatta apposta per ostacolare tutti i trucchi con cui si “prepara” una battuta di spirito. E Codazzi adotta la tecnica esattamente contraria. Ciascuno dei fatti che danno spunto ai racconti è narrato nello stile che, ai tempi di Cicerone, si denominava “retorica asiana”: lo stile dei panegirici che celebravano la grandezza degli imperatori era in gran voga anche nei processi per dare importanza alle tesi del proprio assistito. Un’arringa in stile asiano si guarda bene dal procedere in linea retta verso l’obbiettivo; al contrario, spesso e volentieri si sofferma a esplorare nei minimi dettagli tutti i particolari, gli antecedenti, i collaterali e gli esiti possibili ma non verificatisi. E lo fa nel tono generale del discorso: se il racconto è comico, satirico, irridente, anche le divagazioni ridondanti sono cosparse di sorrisi e strizzate d’occhio. In questo modo la narrazione diventa una sottile, continua promessa di esiti mirabolanti, ulteriormente incentivata “en passant” da commenti sarcastici ed espedienti narrativi d’ogni genere. Esemplare, nel racconto “L’ambulanza”, l’accorgimento di conferire nomi omerici ai personaggi: Priamo Cecconi, Ulisse Coppoli, Elena Bardelli, ecc. ecc. col burlesco risultato di elevare ad altezze epiche le disavventure occorse a un paesino del Mugello. Codazzi gioca con la perspicacia del lettore, sicuro di sorprenderlo, dopo averlo attirato nella sua girandola di incisi e subordinate, nel labirinto della sua sterminata capacità affabulatoria, perché solo lui sa dove andrà a parare la storia. Avvolto nella inestricabile rete narrativa, il lettore attende lo scioglimento del mistero con una suspence da libro giallo. Finirà per scoprire, con un sorriso, una importante differenza: invece di un assassino spedito alla sedia elettrica, il finale gli riserverà un sorriso (o una sghignazzata!).
Paolo Codazzi racconta il suo nuovo libro: “Analizzo la realtà” | Di cosa parla Lo storiografo dei disguidi
Paolo Codazzi torna in libreria con Lo storiografo dei disguidi (Arkadia Editore), una raccolta di racconti che unisce la realtà a una differente visione dell’immagine. L’autore invita infatti il lettore ad una nuova interpretazione di sé e di quello che lo circonda, ambientando le intere vicende nella magica città di Firenze. Con uno stile letterario originale e complesso, le storie dei personaggi si intersecano tra di loro e diventano un’unica storia fatta di emozioni e sensazioni, ricordi ed eventi, gioie e dolori.
Com’è nato il tuo primo approccio alla scrittura? Quando hai compreso che sarebbe stata la tua strada?
Analizzando i miei compiti scritti in classe (circa a 16 anni), un professore di lettere apprezzò le mie composizioni e mi spinse alla lettura di tutta una serie di autori non compresi nei programmi scolastici, dalla cui lettura (vera scuola di scrittura) iniziai a percepire un quadro più ampio della letteratura e uno stimolo a iniziare una serie di esercitazioni soprattutto in poesia e racconti brevi. Poi ebbi una lunga pausa, non di letture, per problematiche di vita connaturate all’età e formai una band rock (io batterista) che mi impegnò molto fino ai 20 anni nei quali, per un gravissimo incidente d’auto, fui allettato per parecchi mesi. Smisi di suonare e nella lunga degenza ripresi a leggere con molta più frequenza e a scrivere versi e racconti. Il mio primo libro di poesia pubblicato, “Il primo viaggio” fu inopinatamente finalista, Opera prima, al Premio Viareggio e vinse molti altri premi minori. Pubblicai altri due libri di poesia del quali “L’inventore del semaforo” vinse o fu finalista in molti importanti premi nazionali. Poi feci una scelta coraggiosa e rischiosa (per come erano stati apprezzati i miei testi poetici), ritenendo che la poesia non fosse più adeguata a rappresentare le mie intuizioni formali e lessicali e mi dedicai esclusivamente alla narrativa pubblicando il mio primo romanzo (rigorosamente a pagamento, Lalli editore) “Come allevare i ragni”, che ottenne molti consensi di critica ma data la scarsa consistenza dell’editore passò quasi inosservato al grosso pubblico. Successivamente ho pubblicato altri romanzi e raccolte di racconti, ottenendo lusinghieri consensi critici, e in particolare per gli ultimi due: ”La farfalla asimmetrica”e ”Il pittore di ex voto” editi da Pironti editore.
Parliamo del tuo ultimo libro ‘Lo storiografo dei disguidi’: come nasce l’idea per questo tuo lavoro e qual è il messaggio principale che vorresti trasmettere?
Come ho accennato sopra scrivo romanzi e racconti e, naturalmente, ho molti abbozzi di romanzi o racconti nel cassetto. Riguardando i racconti già finiti, due anni fa, rilevai che alcuni avevano un filo conduttore che li associava e decisi di consolidare una raccolta scrivendone altri coerenti cercando di ottenere un senso comune che li uniformasse quasi come un romanzo. Il filo conduttore di questi 15 racconti contenuti nello “Storiografo dei disguidi” è principalmente uno strabismo che mi è congenito nell’analizzare la realtà e il tentativo di individuare elementi della stessa che possono sfuggire da un’analisi superficiale, nel tentativo di stimolare il potenziale lettore a non accontentarsi della “evidenze” storiografiche o di cronaca imposte dalle comunicazioni di massa che per loro natura tendono alla velocità della comunicazione che molto spesso, per non dire sempre, sono destinate a rappresentare valori e elementi esterni ai fatti che vengono così plagiati per interessi e vocazioni diverse. Il secondo elemento, che se non fosse un luogo comune definirei retrogusto, è il tentativo di analizzare tutta una sequenza deformante della realtà come se è essa fosse il segnale di un progressivo imbarbarimento della civile convivenza e della decadenza del sistema democratico in cui viviamo. In realtà se si ha voglia e tempo (e desiderio) di leggere le cronache dell’Atene del VI, V sec. a.c. (Tucidide etc.) ci renderemo conto che in quella che unanimemente viene definita la culla e la più alta espressione della democrazia, in realtà accadevano (nelle forme del tempi) gli stessi fenomeni che oggi potrebbero portarci a considerare la nostra realtà come deformante imbarbarimento di una civile convivenza. L’alternativa a tutto questo è il silenzio politico e sociale del quale proprio in questi tragici mesi ci rendiamo conto a cosa possa condurre.
Le varie vicende sono ambientate nella splendida città di Firenze. Che rapporto hai con Firenze e cosa rappresenta per te?
Firenze è la mia città, dove sono nato e vissuto e vivo, e per quanto abbia avuto anche lunghi soggiorni in altre città non credo si possa affermare di conoscere una città se non la si è vissuta a lungo e si è penetrati nella sua anima. Per questo i racconti sono fiorentini ma in realtà le vicende potrebbero essere ambientate in qualsiasi altra città.
Tra le tue pagine, è possibile toccare con mano diversi racconti e diverse storie. Qual è l’elemento principale che collega ciascuna storia ad un’altra?
Come ho scritto sopra, il tentativo di offrire al lettore modi diversi di analizzare la realtà e di leggere la storia.
Il tuo stile letterario è sicuramente molto originale: cosa c’è dietro la costruzione di questo genere? Chi sono stati i tuoi maestri letterari?
Tengo molto all’aspetto formale (lessicale e sintattico) che in qualsiasi impegno artistico non può essere escluso dalla potenza dei contenuti: che devono esserci ma mai prevalere sulla forma. La lingua italiana, come tutte le lingue di derivazione latina, è molto ricca lessicalmente e offre innumerevoli libertà sintattiche che io cerco di sfruttare (anche contro una certa semplificazione dei nostri tempi) impregnando le pagine di segni che dovrebbero (e molti lo riconoscono) accordare musicalmente la scrittura (qualcuno l’ha definita scrittura sinfonica), realizzando un complesso di pagine (che pur non trascurando i contenuti) possano offrire al lettore, generalmente narcotizzato da scritture (magari anche ricche di contenuti) ma che somigliano più ad una informe accozzaglia di telegrammi e non a letteratura. Maestri letterari non ne ho, nel senso di tentativo di emulazione, tuttavia la maggior parte delle mie letture trova soddisfazione nella letteratura Mitteleuropea (Musil, Canetti, Bernhard e altri), e alcuni italiani tra cui citerei sicuramente Giuseppe Berto e Italo Calvino.
Quali sono i tuoi futuri progetti? Puoi anticiparci qualcosa?
Come un celebre campione di scacchi, conduco una gara (perché di questo si tratta) su più tavoli e appena scatta la consapevolezza di un potenziale scacco matto mi riferisco a quel solo giocatore (romanzo o racconto che sia) nel tentativo di chiuderlo e riuscire poi a pubblicarlo. Posso dire che il mio prossimo romanzo, o quello successivo al prossimo, riguarderà il colpo di Stato dei Colonnelli in Grecia del 1969, e molto altro.
Stefania Meneghella
Il link all’intervista su Kosmo Magazine: https://bit.ly/3lFPmi7