L’avventura equinoziale di Lope de Aguirre di Ramón J. Sender
Arkadia Editore, 2023 – La lunga, romanzesca parabola discendente che ha ispirato il regista Herzog nel 1972: il destino del conquistador ambizioso e ribelle che nel Perù del XVI secolo si ribellò contro re Filippo di Spagna.
C’è un film iconico, della grande cinematografia mondiale, che non si dimentica facilmente se si è avuta la fortuna di seguirlo, arduo ma magnetico.
È Aguirre, furore di Dio (1972), del regista tedesco Werner Herzog. Una storia forte, dura, un’esplorazione fallita, una pellicola allucinata, un interprete strepitoso della follia monomaniacale di Aguirre: l’altrettanto folle Klaus Kinski.
Cinema come arte, non certo popolare, anzi impopolare, la programmazione girò poco nelle sale e in Italia arrivò soltanto nel 1975: qualche passaggio nelle televisioni, presenze nei locali d’essai.
L’irresistibile Herzog trasse ispirazione da una storia vera di conquistadores nel Perù del XVI secolo e da un romanzo dello spagnolo Ramòn J. Sender, apparso nel 1962 (altre fonti spostano la prima edizione al 1974) e proposto sessant’anni anni dopo dalle Edizioni cagliaritane Arkadia, nella traduzione di Lorenzo Mari, con il titolo testuale L’avventura equinoziale di Lope de Aguirre (Cagliari, luglio 2023, collana Xaimaca, 402 pagine). Il sempre severo Mereghetti ha classificato con il massimo punteggio il film del regista bavarese (ottantunenne quest’anno) e Time lo comprese nel 2010 tra i cento migliori di tutti i tempi (“Aguirre: the wrath of God” è anche il primo in ordine alfabetico), con la motivazione:
Rispondendo esclusivamente alla logica della bellezza naturale amazzonica, il film sembra un’analisi della follia dall’interno. Sontuoso, affascinante e subito, eternamente spaventoso.
I critici hanno sottolineato che rende Aguirre un conquistatore spagnolo ubriaco di potere. Hanno paragonato la sua esaltazione paranoide nella foresta alla spirale folle di Kurtz (Marlon Brando). Lo stesso director di “Apocalipse Now”, Francis Ford Coppola, riconosce un’influenza molto forte del Lope di Herzog-Kinski, con il suo immaginario incredibile. Un altro pazzo era l’attore protagonista: Klaus abbandonò il film, costringendo il pur amico Werner a minacciarlo con una pistola per riprendere il lavoro. Un regista allora trentenne, ma già al quinto set cinematografico, esigentissimo con la troupe: pretese che tutti vivessero le difficoltà degli esploratori nella foresta, aggrediti da una natura ostile e terrificante. Lo scrittore invece era molto maturo quando ha firmato il romanzo. Basco di Chalamera-Huesca (1901-1982), giornalista, Ramòn Josè Sender Garcès aderì prima all’anarchismo poi al comunismo, che più tardi rinnegò. Dopo la guerra civile spagnola, fu esule dal 1939 in Messico e si trasferì negli Stati Uniti, dov’è morto, a San Diego. Scrittore a cominciare dal 1930, realizzò i romanzi più celebri con taglio realista, attento agli aspetti sociali. Altre volte scelse il profilo filosofico, allegorico, anche umoristico e autobiografico. La aventura equinoccial de Lope de Aguirre rientra nella linea della sua narrativa di contenuto storico. Fu anche autore di racconti, poesie, saggi e testi teatrali. È piaciuto a tanti considerare Kinski la reincarnazione dell’avventuriero spagnolo, ma la critica internazionale ha giocato anche sulla somiglianza tra l’autore e il suo personaggio, segnati dalla comune lontananza dalla terra d’origine. Uno espatriato nel XX secolo, per la sconfitta dei repubblicani in Spagna, l’altro volontariamente, in cerca di avventura, gloria, ricchezze. Entrambi nel Nuovo Mondo, a vivere una nuova vita. Lope de Aguirre nacque probabilmente nel 1518 in una famiglia basca nobile. Era un giovane ambizioso, deciso a diventare un conquistador sull’esempio di Fernando Pizarro, tornato dal Perù con i tesori inca. Partì volontario nemmeno ventenne, raggiunse Cuzco, si fece conoscere per la violenza, crudeltà e indisciplina. Nel 1560 si unì alla spedizione di Pedro de Ursúa verso il Rio delle Amazzoni, l’anno dopo collaborò alla rivolta e uccisione dello stesso condottiero e di Fernando de Guzmán, che ne aveva preso il posto. S’impose come capo e guidò saccheggi e massacri nel Sudamerica settentrionale, anche in spregio ai rappresentanti della corona di Spagna. Sbarcato in Venezuela, mosse alla conquista di Panama, ma venne circondato, catturato e giustiziato. La condanna per lesa maestà sopraggiunse solo in un processo post mortem. Vanno considerati autentici capolavori tanto il film che il romanzo, la cui traccia non è seguita tassativamente dall’uomo di cinema. Il regista di Monaco ha fatto molto di testa sua: il finale è quanto mai imperscrutabile ma efficace. In un crescendo di pazzia, Aguirre che di sé dice:
Sono il furore di Dio, la terra che io calpesto mi vede e trema
Si avventura con i suoi uomini su una zattera sul fiume. Il cibo finisce, le febbri infieriscono, le frecce di indios invisibili nel verde fanno strage. Alla fine il natante viene invaso dalle scimmie. Aguirre, rimasto solo, le guida verso una folle conquista. Nel romanzo di Sender, basato su documenti dell’epoca della conquista del Nuovo Mondo conservati negli archivi iberici, seguiamo la ribellione di una bandera di avventurieri spagnoli, aggregati in cerca di ricchezze ad una spedizione ufficiale verso la terra dell’oro, il mitico El Dorado. Si scatena una ribellione, fomentata da un Lope de Aguirre quarantacinquenne (che si considera già vecchio). Ossessionato dall’ambizione di potere, onore e preziosi, cerca tra l’altro l’indipendenza dal re Filippo II. Vuole conquistare e intestarsi le terre del Perù, usando i suoi uomini. Lo spinge l’amara considerazione che alla sua età non ha ancora conseguito niente di rilievo, mentre altri, anche meno capaci, hanno costruito fortune in quelle terre generose. Avvia una lunga, romanzesca parabola discendente.
Felice Laudadio
Il link alla recensione su SoloLibri: https://tinyurl.com/5n73394h