Intervista/Giacomo Revelli. ‘Il mio grido di allarme per il Ponente ligure: sta diventando un’isola, si allontana sempre più dal resto d’Italia e Francia’
Problemi e responsabilità dell’emarginazione dell’estremo Ponente. “Per raggiungerlo ci vuole sempre più tempo: le autostrade sono impervie per i cantieri, le ferrovie lente; a livello amministrativo è diviso in feudi come ai tempi della Repubblica di Genova, forse torneremo alla divisione etnica tra ingauni ed intemeli”.
Giacomo Revelli, classe 1975, laureato in Letteratura italiana, sezione Linguistica, impiegato come redattore di www.lamialiguria.it portale regionale del turismo della Regione Liguria. Appassionato della lingua ligure, madrelingua dialetto taggiasco, promuove ed esplora la conoscenza del nostro territorio.
Egregio Dottor Revelli, ci parli un poco della sua famiglia, per piacere.
I miei genitori hanno sempre lavorato: mia madre in campagna, a coltivare ruscus (pungitopo) e piante ornamentali e mio padre come idraulico. Assieme a mio fratello per pura passione abbiamo riservato alcune fasce per un centinaio di olivi.
Il beato Benedetto Revelli apparteneva alla sua famiglia? in ogni caso conviene che la sua figura e la sua opera siano alquanto dimenticate?
Non lo so, ne sarei onorato, ma non posso esserne sicuro: nel ‘900 d.C. i cognomi erano incerti. “Revelli” può derivare dal fatto che difese Taggia, che ne fu il “revellino”, cioè il bastione. Benedetto fu monaco, eremita nell’isola di Gallinaria, vescovo di Albenga. Concordo tuttavia che sia troppo dimenticato, a parte la cappella a lui dedicata nella chiesa di S. Maria in fontibus. Come pure è meno noto del merito l’altro mio probabile grande antenato, Salvatore Revelli (1816-1859), autore, fra l’altro, del busto del beato Benedetto nella parrocchiale di Taggia e della statua della Madonna, protagonista nel 1855 di un movimento degli occhi, miracolo riconosciuto dal vescovo di Albenga Mgr. Biale (era suo compaesano, non è vero?).
Qual è stato il suo corso di studi? Qualche docente le avrà impresso un’impronta, una lezione di vita …
Ho studiato ingegneria, ma poi l’ho abbandonata per Lettere moderne. Sulla mia strada ho avuto la fortuna d’incontrare il prof. Lorenzo Coveri, docente di Dialettologia e Linguistica italiana all’Università di Genova, con cui sono tuttora in ottimi rapporti e collaborazioni.
Lei è impiegato nella Regione Liguria: qual è la sua mansione?
Scrivano. Attualmente scrivo di turismo, ma ho scritto di salute, di scuola e di lavoro e sovente collaboro quale copy alla creazione di campagne e slogan.
Com’è sbocciata la sua passione per la vita quotidiana della nostra regione?
Passione? Basta guardare la Liguria per capire che nasconde qualcosa: tradizioni, usi e costumi antichi che sopravvivono. Uno si appassiona ogni giorno…
Rispetto ad altre culture, la Liguria non ha avuto raccoglitori e cultori che abbiano salvato dall’oblio le nostre tradizioni popolari?
Beh, qualcuno c’è, almeno per il Ponente ligure, a partire da stranieri come James Bruyn Andrews, Oreste Marcoaldi, Thomas Hanbury, Clarence Bicknell e da ultimo Aidano Schmuckher, (ma ne sto dimenticando qualcuno) ad italiani come molti studiosi e storici locali fino ad Italo Calvino…
Che cosa si è proposto col suggestivo volumetto “Nel tempo dei lupi”?
Garbato? È un libro da lupi! Parla di una terra selvaggia e abbandonata, dove vigono le regole del bosco e della natura, perché l’uomo (anche per sua fortuna) l’ha abbandonata. Mi è servito per raccontare Realdo e la terra brigasca, una sacca di passato, caratterizzata dalla civiltà pastorizia, in una Liguria che fatica a trovare una modernità… (Il libro è stato riedito dall’editore Amico di Genova e disponibile).
Ha in animo di scrivere dell’altro?
Dopo il libro successivo, “La lingua della Terra”, Arcadia Editore, che parla di olivicoltura e di migrazioni, sto seguendo alcuni progetti: spero che qualcosa arrivi in porto…
Nonostante i vorticosi cambiamenti di vario genere (altri direbbe peggioramenti) il Ponente mantiene un fascino peculiare. Ne conviene?
Il Ponente si sta allontanando sempre di più dal resto d’Italia (e della Francia). Sta diventando effettivamente un’isola: per raggiungerlo ci vuole sempre più tempo (le autostrade sono impervie per i cantieri e le ferrovie lente); a livello amministrativo è diviso in feudi come ai tempi della Repubblica di Genova, forse torneremo alla divisione etnica tra ingauni ed intemeli. Ma nonostante questo è fascinosissimo e misterioso, pieno di nicchie, di “ubaghi” come diceva Calvino, da scoprire…
Che cosa proporrebbe per migliorare e valorizzare la conoscenza e, di conseguenza, la simpatia per il Ponente e per la Liguria in genere?
Preferisco non rispondere. Entrerei in conflitto di interessi con i miei datori di lavoro.
La sua Taggia …
Taggia ha le sue tradizioni che la salvano, spero che dopo la pandemia tutto torni come un tempo, anzi, ancora più bello, come quando ero bambino e mi portavano a sparare i furgari a febbraio o, a luglio, a cantare “Lena per bella Lena, la Maddalena trionferà!”
La sua Genova …
Genova non sarà mai “mia” né io sarò mai genovese, purtroppo. Non sono più taggiasco ma nemmeno sarò mai genovese. Però è un amore/odio che dura da troppo…
La bicicletta: quale passione!
Non è solo una passione, è una ragione di vita, è una protesi del mio corpo. Ho cominciato ad andare in bicicletta a scuola al liceo e non ho mai smesso.
Come spiega l’affievolirsi per lo sport ciclistico?
Se il ciclismo deve essere come il calcio, allora preferisco che rimanga in una nicchia in cui possiamo ancora andare ad incitare i nostri campioni per strada alla Milano-Sanremo o al Giro d’Italia. Basterebbe che la gente rispettasse di più i ciclisti, possiamo esserlo tutti, anche il peggiore dei camionisti si sposta in bicicletta quando può, in città meglio la bici che parcheggiare una tonnellata di metallo e perdere tempo. A volte, sulla massa, le invenzioni intelligenti non funzionano…
Un progetto che le sta a cuore.
Il “Cicloriparo”. È stata la prima ciclofficina a Genova. Un luogo in cui chi ama la bici in tutti i sensi (sportivi, culturali, meccanici o come semplice mezzo di trasporto) trova rifugio dal traffico della città. Si può riparare la propria bicicletta o imparare a farlo, partecipare ad aste per averne una a poco prezzo o a presentazioni di libri. Il tutto gestito da volontari e autoalimentato dalle offerte.
Un incontro memorabile.
Mia moglie Michela. C’è un prima e un dopo, una vita prima e una poi, una con e una senza.
Che cos’è la felicità?
È quella cosa che se ci penso so che cos’è, ma se mi chiedono di spiegarla non riesco. A volte sta nel ripetere circuiti che funzionano. A volte nel rischiarne di nuovi.
Grazie, caro Dottor Giacomo, per aver accolto le mie domande. Lo sai? Auguro a Lei ed ai Suoi ore sempre serene. Viva noi!
Gian Luigi Bruzzone
Il link all’intervista su Trucioli: https://bit.ly/3IuC98i