Kaiser


Kaiser 

Carlos Henrique Raposo è riuscito a spacciarsi per due decenni per calciatore professionista, facendosi ingaggiare dai maggiori club brasiliani praticamente senza giocare mai un intero match. Privo di talento ma ampiamente dotato di sfacciataggine e scaltrezza da strada, si è reso protagonista di una delle più incredibili vicende dell’ambiente sportivo di tutti i tempi: è alla sua vita che si è ispirato Marco Patrone – scrittore e blogger culturale ideatore del sito Recensire il mondo – per il suo secondo romanzo, Kaiser (Arkadia editore).  Il suo Carlos Kaiser Henrique è un campione del così è se vi pare, del lasciar credere: nato abbastanza povero, asseconda chi lo immagina proveniente da una favela – per pigrizia mentale o facile adozione di un luogo comune – e si introduce per vie traverse -amicizie, sorrisi, scambi di favori (era così: un sorriso, tu facevi una cosa, e un altro ne faceva una per te) – nell’ambiente calcistico, dove viene ribattezzato Kaiser per una vaga somiglianza di postura con Beckenbauer. Giocare, in effetti, non sa, ma Kaiser ricorre a espedienti che lo salvano sempre: l’asso nella manica è un infortunio, un’espulsione autoprovocata, un evento possibilmente plateale che induca il medico della società o l’allenatore a metterlo in panchina per settimane o mesi. Procede così per lustri, Kaiser, di ingaggio in ingaggio, perché nessuno si pone il dubbio che dietro all’assenza dal campo di gioco ci siano incapacità e inettitudine. Nessuno dubita della bravura del giocatore che, come vuole l’adagio, ha il calcio nel sangue come tutti i brasiliani. Nel romanzo di Patrone a raccontare la sua vicenda mirabolante è un giornalista di provincia, ribattezzato (anche lui) Dosto da Dostoevskij, uno che ambiva a diventare scrittore ma a cui la vita aveva poi riservato un percorso più modesto, fatto di cronache di Giana-Pro Patria: nelle parole di Dosto, da writer a sportswriter a nothingwriter, in una parabola dell’ambizione discendente verso la sua apoptosi. L’occasione di riscatto tramite la scrittura di qualcosa di finalmente importante arriva con il caso che dovrebbe gettar luce sulla vicenda di Kaiser, appunto, riassurto agli onori delle cronache per un oscuro episodio che riporterà al centro dell’attenzione il sommo ingannatore. Ci sono tutti gli elementi del buon romanzo, in Kaiser: bene ha fatto Patrone a scegliere di tracciare una trama avvincente basata sul reale, mantenendo alto – con facilità di scrittura – l’interesse per il mistero che aleggia di capitolo in capitolo, infittendosi man mano. Traccia con maestria e cura i personaggi, Patrone, quando gli bastano un solo dettaglio e una manciata di aggettivi per rendere in toto splendori e miserie di un intero ambiente (le pagine sulla superficialità del mondo del calcio e lo squallore del suo sottobosco, in particolare, sono realmente efficaci). In questo romanzo c’è poi dell’altro: Patrone suggerisce una critica velata alla sciatteria del linguaggio, elencando appropriati esempi di un linguaggio sportivo impoverito, appiattito su formule vuote mal recitate dai giocatori che riportano ciò che ha detto il Mister senza metterci del proprio. I calciatori sono esseri completamente letterali, dal loro linguaggio ogni metafora è bandita, fa dire al suo giornalista-narratore che a ben guardare a margine della cronaca indugia spesso su riflessioni su scrittura e racconto (Una volta facevamo le cose, ora c’è bisogno di trasformarle in narrazione). A un secondo livello di lettura, Kaiser diventa metaromanzo e – pur nell’ironia che lo pervade – metafora di una società dove il gioco delle parti e delle apparenze riesce a spacciarsi per unica, irrefutabile realtà.

Anna Vallerugo



Cristiano Ronaldo, Duncan Edwards, Kaiser Raposo: campioni veri o…presunti

 Tre libri su tre campioni: l’asso arrivato in bianconero, il ragazzo del Manchester United scomparso troppo presto, il re dei bugiardi calcistici

L’ultima volta che l’autore ha incrociato Ronaldo è stata un mese fa, nello spogliatoio di Verona, subito dopo il debutto con il Chievo. Alla richiesta di Balague, di rispondere a qualche domanda, CR7 ha così reagito: «A te no». Ecco, quando si tratta di biografie, il rischio di sconfinare nell’adulazione, nell’eccesso di complimenti, è sempre dietro l’angolo. Dato il rapporto tra i due – bruscamente incattivitosi quando Balague osò riportare, nel suo libro su Messi, l’epiteto che Ronaldo negli spogliatoi del Real utilizzava quando parlava della Pulce (“motherfucker”, figlio di puttana) – capirete subito che un pericolo simile non c’è, nella riedizione (aggiornatissima, fino all’approdo a Torino) di questa potente biografia, stampata per la prima volta nel 2015 (e vinse il Cross Sports Book Award, come migliore libro di sport dell’anno). Guillem Balague, spagnolo trapiantato in Inghilterra, considerato tra i più autorevoli giornalisti sportivi, ci regala un ritratto senza sconti di Ronaldo, in tutte le sue sfaccettature: il calciatore dai numeri clamorosi, autore di prodezze che già fanno parte della storia del calcio, l’uomo esigente e narcisista, maniaco dell’allenamento e della cura del corpo, ma anche il ragazzino che è diventato fuoriclasse malgrado una infanzia molto particolare, di quarto figlio (non voluto) di una famiglia povera di Madeira, con un padre assente e alcolizzato. Lisbona, Manchester, Madrid, Torino, le tappe di un viaggio straordinario, la scalata di un giovane calciatore che volle diventare il più grande.
CR7 LA BIOGRAFIA, di Guillem Balague, Piemme Edizioni, 355 pagine, 19,50.

Per restare in tema di grandi campioni, due libri agli antipodi ma che trattano comunque di fuoriclasse, veri o presunti. Partiamo dalla bella biografia di Duncan Edwards, giovane prodotto del calcio britannico degli anni Cinquanta, che trovò la morte nella tragedia del 6 febbraio 1958, nell’incidente alla partenza dall’aeroporto di Monaco di Baviera che fece 23 vittime, tra cui 8 calciatori del Manchester United. Un anti personaggio, definiremmo ora Edwards, un fuoriclasse timido e schivo, lontanissimo dagli eccessi dei moderni divi del pallone. Uno che, proveniente dalle Midlands operaie e nere di carbone, debuttò dodicenne nella formazione Under 14 del Manchester United fino ad affacciarsi in prima squadra – e lì restare – a nemmeno 17 anni. Alto e robusto, giocava mediano (esterno sinistro di centrocampo, diremmo ora) ma se serviva era pronto anche a fare il centravanti. Ben presto divenne uno dei Busby Babes, i promettenti ragazzi del vivaio del Manchester che il tecnico Matt Busby stava valorizzando, e che stavano contribuendo a portare in alto il Manchester United. Tra i sopravvissuti all’incidente di Monaco un certo Bobby Charlton, che portò il Manchester a vincere la Coppa dei Campioni e la Nazionale a trionfare nel Mondiale del 1966. Di Duncan parlava così: «Ripenso a lui e mi chiedo perché qualcuno debba avere avuto così tanto talento. Era semplicemente il più grande di tutti.»

Un grande campione, ma della truffa, è stato anche Carlos Henrique Raposo, detto Kaiser per una certa somiglianza addirittura con Franz Beckenbauer. Uno dei tanti bambini del Brasile cresciuto con il pallone tra i piedi, anche se una piccola differenza con gli altri c’era: lui, il pallone non sapeva proprio come trattarlo, era davvero scarso. Per un brasiliano, poi… Ebbene, Raposo, che ora ha 55 anni, è riuscito prima a diventare amico di calciatori importanti (Renato Portaluppi e Romario, tanto per citare due nomi) e poi a spacciarsi per calciatore professionista, e quindi a cambiare in venti e più anni di carriera una decina di squadre – dal Flamengo ai francesi dell’Ajaccio – riuscendo a non giocare praticamente mai, per non… tradirsi. Un genio della bugia, dalla vita picaresca e dagli aneddoti incredibili (quando nel Bangu dovette scendere in campo e provocò subito una rissa clamorosa con tanto di sospensione della partita; oppure quando ad Ajaccio, nel giorno della presentazione, per paura di far vedere come calciava male il pallone, cominciò a scagliarli tutti verso la tribuna dei tifosi, fino a che furono scomparsi tutti), da cui Marco Patrone ha preso spunto per un divertente romanzo, nel quale un cronista di provincia si imbatte nella figura di questo simpatico cialtrone, un libro che è anche una riflessione su una società basata sull’apparire più che sull’essere, sulle bugie più che sui fatti.

DUNCAN EDWARDS, IL PIU’ GRANDE, di James Leighton, 66THA2ND, prefazione e traduzione di Wu Ming 4, 299 pagine, 20 euro. KAISER, di Marco Patrone; Arkadia Edizioni, 140 pagine, 14 euro.

Massimo Grilli



Letture d’agosto. Appunti da ombrellone

Kaiser di Marco Patrone (Arkadia Editore). Carlos Henrique Raposo, la più grande truffa del mondo del calcio, rivive in questo godibile, divertente e pragmatico romanzo con il nome di Carlos Kaiser Henrique. Un giornalista di provincia si mette sulle sue tracce per capire cosa c’è di vero e non vero nella biografia di quel brasiliano dal sorriso rassicurante, professionista dell’inganno per oltre 20 anni, capace di farsi ingaggiare dalle squadre più famose di Rio de Janeiro, in Messico, negli Stati Uniti e in Francia. Il risultato di questa ricerca è una potente, originale ben scritta metafora della società contemporanea.

Lorenzo Mazzoni



Kaiser: il più grande truffatore nella storia del calcio

In questo limbo calcistico caldo, orfano di un mondiale appassionante anche guardato da esterni e in attesa di un campionato nazionale che prefigura grandi cose, non c’è lettura migliore da fare se non Kaiser di Marco Patrone, edito Arkadia editore.
Kaiser è Carlos Kaiser Henrique Raposo: calciatore brasiliano passato alla storia di certo non per le sue doti. Nessun mondiale vinto per Raposo; nessuna nomina da enfant prodige né gol particolarmente spettacolari a porre luce su carriere sotto tono. Raposo, detto Kaiser per la sua somiglianza fisica con Franz Beckenbauer, è passato alla storia per essere “il più grande truffatore nella storia del calcio”. Una ventina d’anni di carriera, da club in club, da una nazione all’altra senza giocare praticamente mai. Dalla sua una furbizia spudorata, finti infortuni, risse e una rete di amicizie – da giocatori a medici – pronti a partecipare a questo processo di insabbiamento.
Fate una rapida ricerca attraversi i nostri – forse abusati – mezzi di comunicazione e vedrete che è tutto vero. Strumenti di informazione la cui assenza ai tempi d’oro di Raposo si fece complice fidata delle sue menzogne. Ma da questo breve volume di Patrone non aspettatevi un’accurata biografia né un’apologia del personaggio, anzi. L’autore affonda le mani in questa simpatica storia e con ironia ci restituisce un romanzo a più voci, sull’inganno, l’ambizione e il bisogno quasi fisiologico di conquistarsi delle rivincite personali.
La voce che ci introduce nelle vicende di Kaiser è Dosto, cronista sportivo e nothingwriter – come si definisce lui stesso. A lui viene suggerita la storia di Kaiser, di nuovo in auge per un suo recente tour, e da lui parte la necessità di costruirne una grande storia, svelando anche presunti lati più oscuri della sua figura. Primo interlocutore di Dosto e seconda voce del romanzo è l’amico francesce, a sua volta giornalista, che anni addietro aveva difatti incontrato e intervistato Kaiser. Anche Kaiser stesso prende parola in questo romanzo ed è la sua testimonianza diretta che arricchisce la pluralità di questo romanzo.
Kaiser non si risparmia nel raccontarsi. Dagli appunti di François traspare un personaggio furbo, irriverente, che non cela la sua truffa al mondo del calcio né ha intenzione di farlo. Vi è una certa fierezza, nell’essersi costruito da sé, svincolandosi da una mediocrità da calciatore che non vi era proprio motivo di digerire. Stessa mediocrità da cui certa di sfuggire il nostro Dosto che vede nella storia di Kaiser la possibilità di svelare uno scandalo capace di dargli una fama anelata e mai raggiunta.
Il romanzo di Patrone non è quindi solo un romanzo sul calcio, ma anche un testo sull’ambizione, sulla manipolazione della storia e quindi le possibili narrazioni della stessaUna volta facevamo le cose, ora c’è il bisogno di trasformarle in narrazione. Un bisogno apparente, dare loro un altro nome, per essere rassicurati di costruire qualcosa d’importante.Lo stile è ironico, svelto, semplice senza mai essere banale. Quella che ne viene fuori è una riflessione importante sulla costruzione delle notizie, in tempi in cui era difficile trovare delle fonti, ma anche adesso in cui è difficile trovarne di credibili e districarsi nel nebbioso confine tra verità e falsità. E nonostante il libro sembri prendere una direzione parallela a quella strettamente legata al pallone, il calcio resta comunque uno dei protagonisti: raccontato più come fenomeno antropologico che sportivo, in cui è impossibile non riconoscersi per gli appassionati e capace di incuriosire anche quelli che hanno ancora difficoltà a comprendere il fuorigioco.

In definitiva, Kaiser è un romanzo breve, leggero senza mai risultare sciocco. Con la sua punta di carisma che ti fa proprio andare avanti con scioltezza di capitolo in capitolo e lo rende perfetto per questa stagione.

Martina Neglia



Questa storia (vera) sarebbe piaciuta a Emmanuel Carrère. Parola di Carlos Henrique Raposo – detto Kaiser, per la somiglianza con Beckenbauer – giocatore brasiliano di scarso talento ma pieno di inventiva, capace di tracciare una parabola, in vent’anni di carriera, che lo porterà ad essere definito dalla stampa «il più grande truffatore della storia del calcio». Personaggio bigger than life, è sempre pronto a cambiare casacca e continente: l’esordio nel Botafogo, il passaggio agli acerrimi rivali del Flamengo, le esperienze all’estero prima in Messico (Puebla) e poi negli Stati Uniti (El Paso), per finirla in modo rocambolesco all’Ajaccio, in Corsica, dove il giorno della presentazione, per non doversi mostrare in palleggio, si limita a calciare il pallone verso gli spalti gremiti. Applausi. Visibilio. Sorrisi. E trentaquattro partite giocate in vent’anni. Già, perché Kaiser, con la compiacenza dei dottori, è quasi sempre infortunato, e può contare sulla copertura dei compagni più blasonati – come Romario e Bebeto – che in cambio dei favori sa come far divertire nelle discoteche alla moda («è tutta una questione di relazioni, pranzo e cena, pranzo e cena, gli altri si allenavano, io andavo a pranzo e a cena. Questo mi è bastato»). Ma se Carrére staziona ormai da tempo nell’empireo dei più celebri scrittori europei, ben diverso è lo status di un anonimo giornalista sportivo come il coprotagonista del libro, che prova a ricostruire la storia di Kaiser per realizzare il reportage che l’avrebbe fatto “svoltare”, liberandolo da quell’aura di mediocrità che non si discosta poi di molto, a ben vedere, dall’abito che indossano i comuni mortali di ogni latitudine. Al racconto in prima persona del giornalista si alterna, nel romanzo di Marco Patrone, il punto di vista laterale di Kaiser, che parla con ironia e disincanto del suo approccio verso il mondo del calcio («Loro vedevano una palla da calcio, e dietro c’era un sogno. Io vedevo una palla da calcio, e dietro c’era una macchina, una donna, un divano di pelle, un portafogli pieno. Giornalista, insegnami una parola nuova. Utilitarista. Ecco, ecco, questa è difficile davvero»). Patrone aggancia il lettore con una scrittura sincopata, colloquiale, diretta; è abile nel mostrare – in un tempo gravido di fake news – come una realtà non urlata possa soccombere di fronte all’irruenza della finzione. In quel mondo rovesciato, avrebbe detto Guy Debord, in cui «il vero è un momento del falso».

Luca Mirarchi



Il campo di carta

Marco Patrone, Kaiser

Che truffatore! Si tratta di Carlos Henrique Raposo il più formidabile Cagliostro che la storia del calcio ricordi. Calciatore brasiliano, l’unico attaccante, senza talento, che è riuscito a mettere nel sacco club, a firmare contratti per giocare senza mai giocare. Bugiardo, impostore. Patrone ne ha composto un romanzo. Un gioco di specchi che sarebbe piaciuto al Nobel argentino Jorge Luís Borges

Mauro Querci



Intervista a Marco Patrone: lo scrittore più social che c’è

Marco Patrone è un personaggio davvero poliedrico e pieno di risorse, non a caso la sua bacheca di Facebook – che aggiorna costantemente! – è un vero e proprio melting pot difficile da imbrigliare perché composto da letteratura allo stato puro, critica letteraria, foto di libri, selfie, liste, link agli articoli del suo blog, date delle presentazioni del suo ultimo libro, post comici e spesso al limite del surreale ma soprattutto da hashtag social coniati sul momento e adatti per ogni occasione. Insomma, come avrete ben capito, Marco Patrone è lo scrittore più social che c’è e ovviamente non smette di ribadirlo proprio dalla sua bacheca di Facebook.

Allo stesso tempo però Marco Patrone – che ancor prima di essere scrittore, blogger e lettore compulsivo, è un irreprensibile bancario – dietro la sua ilarità e il suo atteggiamento sornione, nasconde una profonda cultura letteraria e un’immensa passione nei confronti dei libri e della scrittura e leggere i suoi post è sempre un piacere.

Kaiser (Arkadia Editore, 2018 pp. 140) è l’ultima ultima fatica letteraria di Marco Patrone e sapere che è già nuovamente alle prese con ben altri due libri fa ben sperare e sottolinea ancora una volta il suo stacanovismo nei confronti delle pagine lette e scritte. Buona lettura!

Da bambino cosa sognavi di diventare “da grande”?

Amavo templi e rovine, vestigia greche e romane in genere, per cui per analogia sognavo di diventare archeologo, senza sapere quanta manualità e preparazione scientifica richiedesse tale professione. 

Qual è stato in assoluto il primo libro che hai letto e che ricordi?

Ne dico tre: se parliamo di libri per bambini il primo che ricordo è il seminale, bellissimo Baciccia nel Far West, completamente surreale, con le illustrazioni di Ermanno Libenzi. Poi ricordo un libro Euroclub che avevo trovato nella libreria dei miei, una domenica in cui ero sveglio prima di tutti. Si chiama Gli eroi di Masada, un classico “bestsellerone”, fiction storica a tinte forti, dell´americano Ernest K. Gann, mia madre poi si era alzata e le avevo detto “bellissimo questo libro” (potevo essere attorno a pagina 80), e lei “ma se è il primo che leggi!”. Capii la necessità di selezionare e approfondire. Il primo letto e veramente vissuto è stato il bellissimo (questo davvero) “Il giro del mondo in Ottanta giorni” di Julius Verne. 

Come sei stato scoperto dai tuoi editori?

La prima volta è stata davvero una sorta di sliding door. Avevo appena terminato la prima stesura de Come in una ballata di Tom Petty, il mio esordio, ero a Pordenone Legge e ho incontrato Giulio Milani, editore di Transeuropa e mio grande amico e compagno di classe ai tempi nel liceo. Lui mi dice “Mi sa che te hai un romanzo nel cassetto” e mi invita a inviarglielo. Pochi mesi dopo lo ha pubblicato. Con Arkadia, l´editore del mio secondo romanzo “Kaiser” è stato anche abbastanza casuale ma forse meno suggestivo, stavo cercando tra agenti ed editori, pubblicare non è mai scontato neanche per chi è già edito, e ho preso contatto (via Facebook!) con un grande professionista come Patrizio Zurru, agente per Stradescritte e collaboratore dell’editore Arkadia. Pochi mesi dopo con mia grande gioia mi hanno confermato di volerlo pubblicare e fin dal primo momento, non è retorica, ho pensato e capito che ci credessero davvero.

Hai qualche mania come scrittore? 

Ho dei temi ricorrenti come l´inganno, la fedeltà, le dipendenze, l´adolescenza perenne e so di abusare di parentesi e digressioni. Visto che queste ultime le considero comunque un elemento virtuoso di molta della letteratura che amo (un libro “digressivo” come il Tristram Shandy è stato molto importante per la mia formazione) diciamo che potrebbero essere definite una delle mie manie. 

Un film, un libro e una canzone che ami o che più ti rappresentano?

Sono molto poco aggiornato sul cinema, ma forse sceglierei comunque Quarto potere di Orson Welles, film monumentale e innovativo, che meriterebbe di restare nella storia anche per il tema “nostalgico” di Rosebud. Per il libro dico L´Informazione di Martin Amis, esistono sicuramente libri più grandi, ma pochi che mi abbiano colpito tanto e che ancora mi affascinino e mi “insegnino” per struttura, visione, qualità della scrittura. Come canzone dico “Sparky´s Dream” dei Teenage Fanclub. I Teenage da noi non sono molto conosciuti, in compenso fanno parte delle liste di Nick Horby, e rappresentano bene appunto quello spleen romantico adolescenziale che a volte mi contraddistingue anche come persona.

Un motivo per il quale consiglieresti a tutti di leggere Kaiser?

Mah, non lo consiglierei a tutti, intanto, anche per il tema calcistico, che rischia di far “rimanere fuori” qualcuno (anche se è stato finora apprezzato anche da persone che non seguono il calcio). Credo sia comunque un romanzo divertente, ma non solo, penso che possa appagare quei lettori che si aspettano da un libro anche qualcosa di saggistico, di riflessivo (quello che qualcuno – secondo me sbagliando – chiama “gli spiegoni”) che apra qualche fronte di “ragionamento”, che vada insomma fuori dalla pura vicenda narrata, che in questo caso rischiava di risolversi in una serie di aneddoti neanche troppo sapidi.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Sto rivedendo un altro romanzo che potrebbe essere una variazione (molto variata) sul tema di Lolita ma dove ritengo ancora un paio di cose fuori fuoco, il mio progetto principale ha come titolo di lavorazione Tutta la verità su Lucy ed è fondamentalmente una storia sull’adolescenza perenne, sulla depressione, sulla musica ma soprattutto sulla superiorità e sul potere salvifico della donna. Inoltre sto cercando di editare e di dare coerenza tematica ai miei racconti per proporli a un editore.

 

Chiara Ruggero



Ho letto un libro che parla di calcio e sono ancora viva!
Forse perchè, a dirla tutta, Kaiser di Marco Patrone non è solo un libro sul calcio.
È soprattutto un bel romanzo breve, tra giallo e ricostruzione giornalistica, che tiene il lettore incollato alle pagine per scoprire l’assurda storia del calciatore fenomeno Carlos Henrique Raposo, detto Kaiser.

Calciatore o truffatore?
Kaiser, come tanti brasiliani, avrebbe anche potuto giocare a calcio, ma lo avrebbe fatto non tanto bene da meritare una carriera di successo.
Fu questa la consapevolezza che lo spinse a diventare un bugiardo e un truffatore. Kaiser voleva i soldi, le donne, la vita scintillante delle star del campo, mentre del calcio, della lealtà sportiva, della gloria vera, non aveva alcun bisogno.
Allora perchè non far credere a tutti, allenatori, presidenti, tifosi e giornalisti, d’essere un grande attaccante, perseguitato però da infortuni che lo tenevano lontano dall’azione?

Sulle tracce di questa storia che cavalca gli Anni 80, si mette un giovane giornalista freelance di provincia, stuzzicato dalle rivelazioni di un collega francese più anziano, che con Kaiser avrebbe a lungo chiacchierato.
Dosto (diminutivo di Dostoevskij, soprannome del giornalista) inizia a indagare, scavando negli appunti passati dal collega.
Da quel momento le sue giornate saranno dedicate alla ricerca della verità, navigando a vista tra le bugie e gli eccessi del calciatore.
Com’è riuscito Kaiser a non farsi scoprire? A continuare impunito la sua bella vita a discapito di chi lo pagava per entrare in campo, fare gol e vincere?
Quella in cui si mosse insolente e godereccio, era un’epoca diversa: era prima dell’avvento di Internet, prima che il circolare delle informazioni fosse alla portata di tutti.

La storia, godibile e avvincente, ci riporta negli Anni 80 e mette a nudo le debolezze del mondo del calcio, di ieri e di oggi.
Analizza l’ambiente calcistico con lucido sarcasmo, muovendosi abilmente tra diversi punti di vista e spargendo tra le pagine chicche d’innegabile sagacia.

Pensiamo a Francesco Totti. Un bravissimo ragazzo. Uno semplice, solido, lo dicono tutti. È diventato una macchietta o forse una leggenda per come parla, la cadenza romana, le parole mangiucchiate che si liberano a fatica dalle loro catene… e in campo faceva cose che… che io avrei attribuito a un architetto, un ingegnere, a Michelangelo, a Balzac (sto già diventando un artista?). Il calciatore: qualcosa di diverso da un semplice uomo, qualcosa di più. Ma anche: qualcosa di meno.

Kaiser, alla fine dei giochi, ha fatto veramente del male a qualcuno? Se tanti lo hanno protetto e aiutato, non c’è forse in lui una sorta di innocenza?

Alla fine la mia vita è stata questa: una domenica sera, conosco un po’ di gente, diventano miei amici, possono essere calciatori, giornalisti, possono essere chiunque, l’importante sono i favori e i sorrisi. Era così: un sorriso, tu facevi una cosa, e un altro ne faceva una per te.

Alla fine, un’unica domanda rimane a stuzzicare la coscienza del giornalista, ma anche del lettore.

Perché non provarci, veramente? […] è il mondo che spinge a far finta? Far finta è evitare la fatica[…] o è ancora più faticoso, estenuante?

La storia di Carlos Henrique Raposo è oggi un caso da manuale di cattiva informazione. Nessuno, mentre era ancora sul campo, aveva scavato così a fondo da scoprire la verità su quelle continue assenze e quegli sfortunati infortuni.
E oggi? Oggi che abbiamo accesso a milioni di notizie, non sappiamo più distinguere tra verità e bugie.

Allora sì, Kaiser è certamente un libro sul calcio, un giallo, una ricostruzione avvincente, ma è anche e soprattutto un pozzo da cui pescare ottimi spunti di riflessione.
Chapeau a Marco Patrone.



L’assurda storia del finto fenomeno

di Tiziano Carmellini

Una storia di calcio, anzi un romanzo sul calcio che vede protagonista questo strano personaggio giustamente considerato «il più grande truffatore della storia del calcio». Lui è Carlos Henrique Raposo (Rio Pardo, 2 aprile 1963), ex attaccante brasiliano che non sapeva giocare a calcio, ma che in tanti modi è riuscito farsi ingaggiare da diverse squadre: pur senza aver mai giocato una partita. È tutto vero e Patrone lo racconta in maniera molto divertente in questo Kaiser che traccia proprio l’incredibile iperbole del brasiliano più «pippa» del mondo. Il cliché della sua vita calcistica è più o meno sempre lo stesso: si fa ingaggiare, diventa amico dello spogliatoio, fa buon viso a tutti, procura qualche ragazza qua e Là! Scende in campo per l’esordio, si infortuna e va avanti a suon di certificati falsificati. Un fenomeno vero, ma della truffa. La domanda viene spontanea: possibile che sia riuscito sempre a farla franca. Sì, eccome, è la risposta. Perché in un’epoca dove internet non esisteva la valutazione dei giocatori era affidata a talent scout che usavano molto il passaparola e lui in un modo o nell’altro riusciva sempre a strappare delle ottime recensioni per le sue «non» giocate. E non a caso il Kaiser ha giocato in squadre molto quotate, dal Botafogo, al Flamengo. Questa incredibile avventura, romanzata da Patrone, parte da un giovane giornalista che «inciampa» sulla storia di Raposo (amico tra l’altro di gente del calibro di Romario e Bebeto), e che per vent’anni ha vissuto in questo assurdo paradosso. 



Arkadia Editore

Arkadia Editore è una realtà nuova che si basa però su professionalità consolidate. Un modo come un altro di conservare attraverso il cambiamento i tratti distintivi di un amore e di una passione che ci contraddistingue da sempre.

P.iva: 03226920928




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