IL MARE DELLE ILLUSIONI. INTERVISTA A SEBASTIANO MARTINI
Sebastiano Martini, Il mare delle illusioni, Arkadia edizioni, 2023, collana Narratori Eclypse.
Il mare delle illusioni è un romanzo che racconta la scelta di Gregorio Boni d’isolarsi, e sospendersi quasi, in quel non-luogo per eccellenza che è l’hotel, un hotel affacciato sul mare di Viareggio. Nonostante l’apparente semplicità dello scritto e la piacevolezza della lettura continuamente sospensiva e dilatata, per l’autore scrivere è un atto coercitivo e poco rasserenante, anche se, non fosse un romanzo, sarebbe un ballo, una milonga forse. Il mare e la libertà: il destino di ognuno si confronta sempre con la disperata voglia di un futuro diverso, magari migliore e l’illusione, o la realtà, di credere che infondo, forse, nulla succede per caso…
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Genesi e desiderio del tuo libro.
L’idea del romanzo nasce da una constatazione semplice, quasi infantile, che spesso mi coglie quando mi trovo in un luogo diverso dalla mia città, Parma. A dire il vero mi capita soprattutto nei posti di mare. Allora guardo le case, i palazzi, i condomini, gli alberghi; mi basta un angolo di giardino, una palma, un terrazzo affacciato su uno spicchio di mare, un tavolo e una sedia collocati nella giusta posizione, e penso: “ecco, qui mi potrei fermare, ci potrei anche vivere”. Questo, in fondo, è quanto è accaduto a Gregorio, un personaggio della mia storia. Sono sempre stato affascinato da quella che qualcuno ha definito la quotidianità nell’altrove.
Quando scrivi, godi?
Purtroppo no. Devo confessarti che per me scrivere è un grande sacrificio, una vera sofferenza.
Non ho mai compreso quelli che affermano che la scrittura sia un atto liberatorio, catartico o, addirittura, terapeutico. Scrivere per me è un atto innaturale, odioso, contrario all’agire, un conflitto statico, niente di rilassante, è costrizione, vincolo, coercizione all’interiorità. Allora perché lo faccio? In effetti me lo sono chiesto spesso, soprattutto dopo essermi reso conto di come funziona l’editoria, ma devo ammettere che, in un certo periodo dell’anno, è un impulso al quale non so resistere.
Un estratto dal libro che è risultato più difficile o particolarmente importante: perché?
Il Padre Eterno si è divertito a invertire di colpo gli orizzonti. Così, in una tarda mattina del quattro di settembre, i bagnini degli stabilimenti ora scrutano l’entroterra con le mani appoggiate sui fianchi e volgono le spalle al loro mare. I vacanzieri, in preda allo sgomento, saltellano qua e là come mosche sulla passeggiata pedonale del lungomare. I camerieri del Grand Hotel Principe di Piemonte dalla vista privilegiata della terrazza all’ultimo piano si convincono, immobili, che quel mostro prima o poi li possa raggiungere.
Una spiegazione non ce l’ho, ma l’incipit del romanzo mi ha tolto alcune notti di sonno. Non mi andava mai bene, ci tornavo sempre per rimaneggiarlo. Forse perché penso che un buon incipit debba suonare come un giro armonico o perché in esso il lettore deve trovare già tutto, l’atmosfera della storia, il suo respiro. Chissà se ci sono riuscito… Sono un appassionato di incipit di grandi scrittori, molti li ricordo a memoria.
Se non fosse scrittura, cosa potrebbe essere il tuo libro?
Potrebbe essere un tango, una milonga forse. Di sicuro qualcosa che ha a che fare con un sala da ballo mezza vuota di una città qualsiasi dell’America Latina.
Che rapporto hai con la censura?
Mi vanto di essere un liberale, quindi avverso ogni forma di censura. Si dice che oggi la censura non esista, ma non sono del tutto d’accordo. Credo che oggi viga nell’arte qualcosa di altrettanto grave che è rappresentato dall’obbligo di dover per forza trattare certe tematiche sociali. Penso sia una pratica ipocrita e comunque contraria a ogni espressione artistica. In ogni caso un vincolo, quindi dannoso.
Per te scrivere è un mestiere o un modo di contestare lo status quo?
Scrivere non può essere un mestiere. Di sicuro non lo è per me, perché non mi da mangiare. Può essere un modo di contestare lo status quo sì, ma ritengo che la buona narrativa non debba inseguire la contemporaneità, semmai rivolgersi al passato o indagare il futuro. Solo in questo modo, credo, si possa lasciare una traccia sul presente.
Gianluca Garrapa
Il link all’intervista su Satisfiction: https://tinyurl.com/3yx43y6m