“TEATRO PEREYRA” DI MARCO VISINONI: UNA RECENSIONE
«Parla di un’azienda farmaceutica.» Con questa breve descrizione, al termine di una cena, mi è stato consegnato Teatro Pereyra, il nuovo romanzo di Marco Visinoni, pubblicato da Arkadia Editore (2022) nella collana Eclypse. Perché il titolo Teatro Pereyra se parla di un’azienda farmaceutica? Teatro Pereyra è il nome di uno storico locale, oggi chiuso, di Ibiza, isola in cui è ambientata il libro. Un libro irriverente, diretto, crudo, che in un susseguirsi di scene molto realistiche e dettagliate, quasi da sembrare il copione di un film, trascina il lettore nella storia del successo e del crollo del suo protagonista. Dunque, cosa unisce Ibiza, celebre per essere l’isola del divertimento e della perdizione, a un’azienda farmaceutica? Proprio il protagonista, un uomo senza nome e senza volto, manager di successo di una multinazionale farmaceutica, con una vita fatta di eccessi, droghe, notti all’insegna del piacere e della trasgressione, da un locale all’altro. Sarà una convention aziendale a Ibiza, al Teatro Pereyra, a segnare il passaggio dal gradino più alto, quello del trionfo e del potere, all’abisso più profondo e al declino.
«È una frase da film in bianco e nero.
Pronunciata dal vivo ha un suono differente, sgraziato, stridente.
Chiudi gli occhi e grida: Non morire».
Un’introduzione di forte impatto, che delinea chiaramente l’avventura in cui ci stiamo addentrando. In queste pagine non si scherza, contano solo la verità, anche se non sempre è quella che si vorrebbe leggere o ascoltare, e la vita, quella vera, quella del protagonista. Un protagonista davvero insopportabile: egocentrico, cinico, maschilista, esagerato in ogni atteggiamento e comportamento. Esattamente l’uomo, e più in generale l’essere umano, da cui fuggire (personalmente direi in fretta, anche). Un concentrato di difetti ed eccessi a cui va riconosciuto, però, un pregio: la sincerità. «La sincerità, non la bellezza, non i soldi, non il successo. La sincerità è la chiave di tutto». Così, con un linguaggio senza censura e a tratti disturbante, attraverso pagine intrise di profondo realismo, il manager ci racconta la sua vita, in una continua oscillazione tra presente e passato, ai quali ritorna – e ci accompagna – con nitidi flashback.
«Parla di un’azienda farmaceutica» è, quindi, una descrizione davvero superficiale per il romanzo di Marco Visinoni. Le tematiche affrontate sono numerose e di una certa portata: la dipendenza, la malattia e il suo rifiuto, la morte, fino ad arrivare allo stupro. Problemi e temi che alimentano un unico sentimento: la paura. Quella del protagonista, che scappa dal suo dovere e dal suo essere, rifugiandosi in una vita fatta di sesso, droga e rock ‘n’ roll. E non solo in senso metaforico: l’autore, infatti, suggerisce all’inizio di ogni capitolo un pezzo musicale di accompagnamento, aggiungendo un nuovo ingrediente all’esperienza della lettura e creando, al tempo stesso, una playlist pronta per l’uso.
Così, in una vita dominata dalle pulsioni e dai vizi, l’unica figura che fa emergere l’umanità di questo protagonista senza nome e senza volto è la figlia, la cui immagine e il cui ricordo, però, vanno pian piano a perdersi e a trasformarsi.
«Credevo sarebbe stato diverso, credevo che il volto di quella persona si sarebbe impresso nella memoria come si pianta un chiodo in un muro. […] mia figlia nella fotografia non era più di profilo, ma voltava la schiena all’animale, fissando il mare. Era diventata come me. Guardavamo nella stessa direzione […]»
Ed eccolo lì, il protagonista, nell’immagine di copertina, spalle al lettore, sguardo volto verso l’orizzonte, a mirare ciò che desidera (o ciò che sta perdendo?). Questa rappresentazione mi ha ricordato il dipinto Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich, in cui l’uomo è collocato in posizione rialzata, su un precipizio, a contemplare il paesaggio circostante, montagne avvolte dalla foschia fino a confondersi con il cielo grigio. Nonostante il messaggio sottostante sia diverso, il protagonista di Friedrich e quello di Visinoni hanno un importante tratto in comune: la mancanza di identità. Marco Visinoni priva il suo protagonista di nome e volto, ma gli dà la parola, senza alcun filtro, concedendogli così anche la possibilità di sbatterci in faccia il suo trionfo e il suo potere. Ci fa allontanare, crea un vuoto tra lui e i lettori. Un vuoto, però, in cui siamo costretti a precipitare, riconoscendoci in un suo desiderio, in un suo vizio, in una sua paura.
«Siamo tutti schiavi di sostanze. Di quali, dipende dal tuo grado di consapevolezza.»
La distanza si annulla, il vuoto si trasforma in consapevolezza: quell’uomo senza identità potrebbe essere chiunque. Potremmo essere noi, potrei essere io.
Ilaria Cattaneo
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