Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Il buio delle tre” di Vladimir Di Prima, Arkadia, 2023
Quanto è legittimo inseguire i propri sogni o le proprie aspirazioni? Ce lo chiederemo, tra una risata amara e l’altra, diverse volte durante la lettura del romanzo di Vladimir Di Prima. Lo scrittore siciliano tocca un tema caro a molti tra coloro che vanno alla ricerca di “un colpo di fortuna” che riveli al mondo il talento di cui sono dotati.
Partiamo da Pinuccio Badalà
Così si chiama il protagonista del romanzo ed è un aspirante scrittore. Lui sa fin dal principio che sarà difficile, infatti non ha competenze in materia e non è stato un grande lettore. Nonostante tutto, è convinto che basti immergersi tra i libri, studiare la tecnica, la storia della letteratura e condire le cose con quel talento naturale che qualcuno già gli riconosce. Ha anche dei solidi traumi sui quali edificare il proprio pensiero. Il padre ad esempio è rimasto coinvolto nella strage di Bologna del 1980, esperienza dalla quale si è salvato rimanendo però invalido e ostaggio della depressione; il tumore che devastò la zia, a causa di varie mutilazioni; un ambiente, quello della provincia catanese, che rende gli uomini molli e superficiali, legati alla “dote e al prestigio sociale”. Insomma, Pino Badalà crede di avere tutte le carte in regola per diventare un rinomato scrittore.
La realtà però è un’altra
È finito il tempo delle vorticose argomentazioni, dei grandi teoremi, delle scalate verso le vette del pensiero. Sono finite le sperimentazioni. Il libro è un oggetto, anzi una merce; lo scrittore è un personaggio pubblico, deve essere banale, al massimo un po’ piccato su argomenti che catturano momentaneamente l’attenzione della massa. Solo in quegli attimi, creati ad hoc dal potere, può mostrare un po’ del suo bagaglio dialettico; logicamente, fino a un certo punto. Il neo-letterato deve partecipare agli show che contano, deve essere ospitato nei salotti buoni, deve crearsi il suo zoccolo duro. Logicamente, anche la sua scrittura deve adeguarsi alle tematiche del periodo, così come il suo genio. Ma Pinuccio tutto questo non lo sa; lui è troppo distante dal centro e dalla stanza dei bottoni. Come fare, quindi?
Essere o non essere? Metafisica di un paraculo
Di Prima ha creato un personaggio simbolo della nostra epoca, diviso tra accettazione delle regole e voglia di allontanarsene. La sua lotta per rimanere se stesso, pur sapendo che questo atteggiamento lo porterà all’isolamento e alla morte civile, è forte come quella di tentare ogni strada per farsi notare. Ma questa voglia, comunque, è dettata da una volontà di riscatto che rende Pinuccio un disturbatore, un sovvertitore di ogni decalogo comportamentale. Lo stile scelto dallo scrittore siciliano è ironico, fin troppo in alcuni punti, ma tra le pagine si avverte il dramma del protagonista, il suo dolore che rimbalza contro i muri di gomma della moderna “industria culturale”. Tutto in Pino Badalà è eroico e, come sappiamo, un eroe non può essere definito tale se non vive una tragedia.
Un finale a sorpresa
Ed è quello che ci regala Di Prima. Poi, il resto si fa tra le nostre mani un atto di denuncia, perché certi episodi sono tristemente noti e, per quanto indignino, non manca giorno in cui il “paraculo” di turno non si lasci imbellettare e imbalsamare dagli onori della cronaca, diventando uomo di massa e opinione. Forse bisognerebbe ritornare alla lezione dei greci in merito alla “gloria e all’opinione”?
Martino Ciano
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Ingresso libero, posti a sedere.
Interviene e modera l’incontro, Sandro Di Paola
Mondadori Bookstore Acireale – via Oreste Scionti 19
VIA ORESTE SCIONTI , 19 ACIREALE SICILIA 95024 IT
In un paesino della Sicilia che subisce passivamente i grandi eventi della Storia, Pinuccio Badalà, figlio di un sindacalista coinvolto nella strage di Bologna e poi morto qualche anno dopo in seguito a un bizzarro incidente, sogna di diventare un grande scrittore. Nei modi di un’appassionata cronaca il romanzo narra tutte le peripezie del protagonista per ricevere udienza dai grandi marchi dell’editoria italiana. Vent’anni e più di illusioni e delusioni, viaggi della speranza, personaggi grotteschi e indimenticabili. Una grande e amara parodia della decadenza culturale dei nostri tempi nelle ambizioni di un provinciale con il solito dilemma: genio incompreso o espressione infinitesimale della mediocrità? In libreria da dicembre ’23, “il buio delle tre” (Arkadia Ed.) è un romanzo-denuncia contro il declino culturale e intellettuale del Paese negli ultimi quarant’anni.
“Pinuccio, insomma, non si sentiva più un talentuoso dilettante con il sogno di vincere il Nobel, ma uno scrittore vero, superbo, invincibile e naturalmente già nobile, uno che aveva appena finito l’ennesimo capolavoro di una carriera lunghissima”.
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“Il buio delle tre” di Vladimir Di Prima (Arkadia, 2023)
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La ri-nascita di uno scrittore
Che cosa è Moby Dick, non a caso citato nel romanzo? Una metafora nascosta dietro la ricerca spasmodica di questo cetaceo da cacciare e uccidere. L’autore, nel protagonista di Pinuccio, probabilmente ricavato anche da esperienze autobiografiche, trova l’opportunità per raccontare non tanto il male del bravo scrittore rimasto nell’ombra, ma la ricerca in sé della riuscita. La scelta del termine non è a caso, perché RI-USCIRE è utilizzato allo scopo di sottolineare il verbo “uscire”: quando si nasce, si esce dalla propria madre, quando poi si raggiunge lo scopo per il quale si crede di essere nati, si nasce una seconda volta, uscendo dal buio, dal buio dell’utero, dal buio delle tre. L’uomo, infatti, nel momento stesso in cui vede la luce nell’atto del nascere, oltre a essere condannato alla morte ineluttabile, è destinato anche a camminare per una strada predeterminata. Pinuccio con perseveranza insiste a percorrere la propria strada, senza farsi sopraffare dai ripetuti scoraggiamenti della vita, ma anzi, quasi con irrazionale testardaggine, da questi facendosi motivare senza darsi requie. È l’obiettivo di chi respira privo di automatismi, la manifestazione di un carattere tanto forte e determinato da chiamarsi coraggio, l’opposto di viltà, laddove la paura della sconfitta non è sufficiente a bloccare il gesto, l’atto del perseguire il fine.
Da solo questo pregio potrebbe fare di Pinuccio un eroe dei nostri tempi, colui che non rischia la vita, ma certo (e tanto) la disgregazione dell’immagine di sé che con amore si sarebbe costruito, disgregazione che, in contrasto con l’amore, diventerebbe morte dell’anima.
(…) Pinuccio affrontò un lunghissimo viaggio in autobus. Un’altra notte da soldato della speranza in compagnia di operai che risalivano a nord e africani in cerca di terre promesse. Ognuno proiettava il proprio piccolo sogno sul finestrino, ed era chiaro, nitido, netto, finché non gli si abbassavano le palpebre e s’addormentava a bocca aperta; mezz’ora di sonno, forse qualcosa meno, e lì, a ricominciare a sognare a occhi aperti mentre l’Italia passava sopra ponti e gallerie.
Parallelo alla meta ossessiva del protagonista è il blocco emotivo, il complesso, la fobia, paura incontrollabile dell’imperfezione che lo porta a impedirsi di vivere a pieno e serenamente esperienze affettive e amorose. Questo va a braccetto, in qualche modo, con l’intento di successo prefissato, perché il rifiuto del “difetto” nel mondo esterno non è altro che lo specchio del rifiuto per i propri difetti interiori intesi come eventuali mancanze di talenti, quelli che lui deve a tutti i costi dimostrare di avere, mentre viceversa deve dimostrare di NON avere difetti, negandosi di scendere a compromessi anche nei momenti di speranza per un futuro radioso.
Se a una storia valida e interessante nella sua apparente semplicità, si aggiunge lo stile unico e personale dello scrittore meritevole, a tratti poetico, a tratti pieno di guizzi geniali, e ancora lontano dalle solite logiche editoriali, se si aggiunge l’originalità sull’uso delle frasi, grazie al “mestiere di montare e smontare parole“, il romanzo manifesta tutti i pregi per essere inserito nella rosa dei migliori.
Come un filo che entra dalla cruna di un ago per uscire dopo diverse curvature da quella di un altro, così si direbbe del viale che tagliava Taormina dall’arco di porta Catania al corrispondente Messina (…)
Vladimir Di Prima è lo stesso, per esempio, della pubblicazione all’avanguardia “Gli asiatici” (Prova D’Autore), dell’originale romanzo “La Banda Brancati” (A e B Editrice), del geniale poema in narrativa “Le incompiute smorfie” (Meligrana Editore), è scrittore che si fa sentire, non demorde, batte il ferro finché è caldo e si apre senza riserve, in particolare in questo romanzo, dove la sincerità fa dello scrittore un poeta. Infatti solo quando il cuore si manifesta senza veli, aperto come durante un’operazione chirurgica, l’arte si esprime con forza, l’arte che è forse l’unica qualità che erge l’essere umano al di sopra degli animali.
[ IL BUIO DELLE TRE, romanzo di Vladimir Di Prima, Arkadia Editore, collana Senza Rotta, 228 pp, copertina flessibile, si può trovare in tutte le più importanti librerie d’Italia e nei siti internet di vendita libri. ]
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La scheda del libro: “Il buio delle tre” di Vladimir Di Prima (Arkadia, 2023)
In un paesino della Sicilia che subisce passivamente i grandi eventi della Storia, Pinuccio Badalà, figlio di un sindacalista coinvolto nella strage di Bologna e poi morto qualche anno dopo in seguito a un bizzarro incidente, sogna di diventare un grande scrittore. Nei modi di un’appassionata cronaca il romanzo narra tutte le peripezie del protagonista per ricevere udienza dai grandi marchi dell’editoria italiana. Vent’anni e più di illusioni e delusioni, viaggi della speranza, personaggi grotteschi e indimenticabili. Un’amara parodia della decadenza culturale dei nostri tempi nelle ambizioni di un provinciale con il solito dilemma: genio incompreso o espressione infinitesimale della mediocrità?
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Vladimir Di Prima è nato a Catania nel 1977. Dopo la maturità classica si laurea in Legge e successivamente consegue un Master di secondo livello in Criminologia. Da oltre vent’anni fa parte del comitato organizzativo del Premio Brancati. Film-maker indipendente (ha collaborato, fra gli altri, con Lucio Dalla) ha all’attivo diversi riconoscimenti in ambito nazionale e internazionale. È autore de Le incompiute smorfie (2014), Avaria (2020) e de La banda Brancati (2021). Nel 2023 ha realizzato un docufilm con protagonisti Giuseppe Lo Piccolo, Marino Bartoletti e altri importanti attori del palcoscenico nazionale.
Marcella Argento
Il link alla recensione su Letteratitudine: https://bitly.ws/39k76
Arkadia, 2023 – Pinuccio Badalà, figlio di una Sicilia diversa da quella immortalata negli stereotipi turistici e di una famiglia dai complicati destini, coltiva un’ambizione letteraria che si scontra con il mondo difficile, a volte grottesco, dell’editoria italiana.
Già dall’incipit Il buio delle tre (Arkadia, 2023), il nuovo romanzo dell’eclettico artista etneo Vladimir Di Prima, rivela una voce originale, personalissima, dal sapore agrodolce tipico della contraddittoria realtà siciliana (come in modo splendido ha detto, in modo definitivo, Tomasi di Lampedusa in un celebre passo de Il Gattopardo sui contrasti che caratterizzano l’isola).
Così, tra il fiabesco e l’irriverente, suona l’incipit de Il buio delle tre:
“Erano già passati trentasei giorni, e due lune, e cinque
domeniche. Erano nati gatti, palazzoni e pazzi, e qualcuno
era morto, e altri aspettavano ancora il Cristo risorto”.
Nella scena iniziale vediamo i due cugini Salvatore e Michele Badalà accingersi a prendere un treno per Roma. dove devono incontrare (nientemeno) “un pezzo grosso della CGIL prima che partisse per le vacanze”. Lascio ai lettori la scoperta del momento (significativo per l’intero Paese) in cui i due provincialissimi e siculissimi cugini stanno per partire da un’afosa città padana alla volta della capitale.
I destini dei due cugini divergono a causa di una telefonata che li separa non, com’era nei programmi, per pochi minuti, ma per sempre.
Il protagonista del romanzo è Pinuccio Badalà, figlio dello sfortunatissimo Michele e della tenera Santina. Pinuccio cresce alle pendici dell’Etna e coltiva una precoce e ferrea ambizione letteraria che così riassume, nel tentativo di arginare le sagge considerazioni che la madre mette avanti per convincerlo che scrivere non è un mestiere:
“Leggo e scrivo, ti piace? È la stessa cosa dei panettieri: impastano e infornano”.
Ecco, Pinuccio nella sua versione giovanile è tutto in queste poche parole per niente alate, parole terra terra, idonee a essere comprensibili, se non condivisibili, per una donna semplice e selvatica come la madre. La visione che Pinuccio ha del mondo è provinciale, ingenua, ha il colore dei suoi sogni di gloria destinati a scontrarsi con una realtà indecifrabile e confusa – l’editoria in Italia – che ha la consistenza frustrante del muro di gomma e che, proprio come un muro di gomma, resiste ai suoi tentativi, anche i più ingegnosi, di attraversamento.
La vera protagonista del romanzo, vien da pensare man mano che si procede da un capitolo all’altro, è forse proprio la scrittura, una sorta di personaggio privo di fisionomia e di voce propria ma in grado di parlare per bocca di questo o quel personaggio e talora attraverso le parole del narratore onnisciente; questi fornisce una riflessione sulla scrittura e sugli scrittori che risulta illuminante per comprendere le vicende di Pinuccio Badalà:
“Scrittori non ci si improvvisa. È un mestiere che parte
da lontano, da quelle recondite pulsioni di emarginazione,
di scarto, di rivalsa verso un prossimo ingrato e irriconoscente
e, naturalmente, da una spiccata tendenza narcisistica.
Quando Pinuccio decise di volerlo diventare non
sapeva ancora di possedere un eccezionale talento. Non
sapeva neppure cosa fosse uno scrittore. Gli sembrava che
mettere una frase dopo l’altra fosse già abbastanza e che in
fondo serviva solo una bella storia”.
Pinuccio ha due passioni – le donne e la scrittura – e in entrambe la fortuna non gli è amica.
Convinto di possedere un eccezionale talento, si ingegna nei primi velleitari tentativi di pubblicare un libro. Armato di una forte volontà di raggiungere il risultato, finisce per sviluppare una vera ossessione, ostinandosi a provare nuove strade (più o meno tortuose, a volte davvero fantasiose) e amareggiandosi sempre di più per gli insuccessi. Incontra sul suo cammino millantatori e personaggi stravaganti, a ciascuno dei quali è assegnato il ruolo di mentore e guida verso il mondo fatato e irraggiungibile dell’editoria, sempre meno fatato e sempre più irraggiungibile man mano che cresce la disillusione e aumenta il disgusto per meccanismi che si ripetono sempre uguali. Pinuccio tuttavia non demorde. Non cede alle mode del momento, scrive come sa scrivere, costruisce le storie come ama costruirle e non come vorrebbe il mercato. Mentre il Paese e il pianeta attraversano momenti cruciali, che puntualmente l’autore richiama, la carriera di scrittore del protagonista si muove su un binario parallelo a quella di seduttore: il nostro antieroe sembra, in entrambi i campi, destinato a sostare in una terra di nessuno percorrendo sentieri che non arrivano mai alla meta. I tentativi di pubblicare lo vedono peregrinare da un editore all’altro, da un’illusione di pubblicazione all’altra, da un’attesa di valutazione del suo più recente manoscritto all’altra. Le sue avventure erotiche hanno vita breve. Pinuccio si invaghisce di una ragazza, poi di un’altra e di un’altra ancora; uno sguardo, un colorito latteo, una chioma lucente fanno divampare la passione che però d’improvviso si spegne in uno dei suoi facili disgusti. Resta sempre in cerca di un editore e di un amore: a volte architetta elaborati piani di conquista, a volte rimane travolto da un’illusoria opportunità che il caso benigno sembra apparecchiargli. Pinuccio è un personagio delizioso, un ingenuo stralunato, talvolta di un candore disarmante, che si ritiene furbissimo; i suoi sogni amorosi e artistici traggono nutrimento da visioni illusorie della realtà, a partire da se stesso. Non riesce a diventare antipatico, suscita anzi una divertita compassione e richiama alla mente persone reali che abbiamo conosciuto e guardato con la medesima divertita compassione. Ci dispiace vederlo subire l’ennesima delusione, vorremmo che si svegliasse dai suoi vaneggiamenti e crescesse, rinunciando ai sogni. Vorremmo, insomma, che si rassegnasse (parafrasando Luisa Spaziani) alla sua sfumatura di fatale grigio: ed è questa, in fondo, la maturità.
Ma non è il fatale grigio la tinta che Pinuccio cerca per sé e per le sue opere. Non perde per strada l’irruenza giovanile che lo porta a volte a scontri epici con chi gli riesce antipatico. Non si arrende agli insuccessi, sicché arriva dopo un bel po’ di anni (undici) al terzo romanzo senza che la fede nel proprio talento sia stata scalfita dal dubbio:
“Pinuccio, insomma, non si sentiva più un talentuoso dilettante
con il sogno di vincere il Nobel, ma uno scrittore
vero, superbo, invincibile e naturalmente già nobile, uno
che aveva appena finito l’ennesimo capolavoro di una carriera
lunghissima”.
Delusione dopo delusione, Pinuccio si ritrova quarantenne. Santina è morta e a governare la casa dell’inetto sognatore bada Irina, un’infelice, materna rumena. Il piccolo mondo di provincia in cui la storia è ambientata è molto mutato. Tutti sono invecchiati, l’America è servita nei centri commerciali che spuntano nella zona pedemontana di Catania. Pinuccio, nella vita come nella scrittura, non si ritrova nella contemporaneità, la rifiuta, la contesta. Si ostina a vivere e a scrivere a modo suo e ha per le mani l’ultimo capolavoro che non riesce a pubblicare. Trascorre molto tempo in compagnia di Orazio Magazù, stravagante e ipocondriaco ma sinceramente affezionato all’aspirante scrittore, al quale offre il paziente ascolto delle sue recriminazioni e qualche parola di compassionevole incoraggiamento. Ed è con lui che Pinuccio si trova durante il doppio gran finale a sorpresa che non è il caso di anticipare e che chiude senza chiudere le dolenti, a volte divertenti e sempre intricate vicende di un ragazzo di provincia, dei suoi sogni di gloria e della sua battaglia (vana? Ai lettori e ai posteri l’ardua sentenza) per conquistarsi uno spazio degno nel panorama letterario italiano.
Rosalia Messina
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Si avvicina la pausa natalizia, ma prima di lasciarsi andare a brindisi e festeggiamenti, diamo uno sguardo alle news letterarie di questa settimana! E apriamo con la novità firmata Eris Edizioni: Il focolare è una bestia affamata di Angelo Maria Perongini, una favola horror ambientata proprio a Natale. Proseguiamo con un saggio in libreria per Il Saggiatore dedicato a tutti gli amanti dei testi: Piccolo manuale illustrato per cercatori di font, con le illustrazioni di Giacomo Agnello Modica, per capire come e perché scriviamo certe parole. Per Arkadia Editore invece troviamo un romanzo su aspirazioni letterarie e delusioni, tra periferia e città italiana: Il buio delle tre di Vladimir Di Prima. Passiamo invece alla poesia con la silloge (anzi due) di Valerio Carbone, Ordàlia / La disciplina del tempo, edita da Edizioni Efesto. Si parla di madri e femminilità invece con la nuova uscita per Castelvecchi Editore: in libreria Donne che allattano cuccioli di lupo, di Adriana Cavarero. Recuperate anche Il fiore di Farahnaz di Yaprak Oz, in libreria per Edizioni le Assassine, un giallo sullo sfondo di una Turchia instabile. E infine, tra pirati e marinai, tra fuorilegge e idealisti troviamo Sotto il vessillo di re morte. Un mondo alla rovescia di Marcus Rediker, in libreria per Eleuthera.
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In libreria “Il buio delle tre” del regista siciliano Vladimir Di Prima. Non è un’opera a tinte rosa, e neppure gialle o nere come oramai impone il mercato. Quello di Di Prima è un romanzo-denuncia contro il declino culturale e intellettuale del Paese negli ultimi quarant’anni. Ed è per tale motivo che “Il buio delle tre” (Arkadia editore) sarà uno dei titoli più controversi e scoppiettanti del 2024. L’idea nasce dalla voglia di denunciare lo stato di degrado dell’industria editoriale che non guarda più alla qualità letteraria. Il romanzo è stato scritto da Vladimir durante la pandemia. La vicenda narrata inizia con rimandi all’incidente di Ustica, passando per la strage di Bologna del 2 agosto 1980, attraversando poi alcuni dei momenti chiave della Storia in riferimento non solo al nostro Paese ma anche all’intero globo (l’elezione di Gorbaciov, la strage di Capaci, il crollo delle torri gemelle, la cattura di Bernando Provenzano, l’attentato al Charlie Hebdo, per citare qualche esempio). Questo pretesto narrativo permette di collocare in successione la vita del protagonista, Pinuccio Badalà, figlio di un sindacalista coinvolto nella strage di Bologna e poi morto qualche anno dopo in seguito a un bizzarro incidente, il quale, a un certo punto sogna di diventare uno scrittore affermato. La legittima ambizione lo porterà, però, a scontrarsi ripetutamente contro tutti quegli ostacoli posti in essere da un sistema refrattario alla meritocrazia e al talento, un sistema descritto minuziosamente nei suoi vizi e nelle sue miserie quotidiane. Ne viene fuori un amaro e grottesco affresco dell’editoria italiana, dei costumi, dei silenzi, financo della rassegnazione che serpeggia come un male oscuro fra i gangli della provincia più remota. Lo stile e la scrittura, elementi che caratterizzano il testo insieme alla costante ironia di fondo, restituiscono grande scorrevolezza alla lettura suscitando contrapposti sentimenti di rabbia ed empatia. Un romanzo insolito e molto coraggioso, in aperta rottura con le mode del momento e che sfida, senza timore di ripercussioni, la decadenza dei tempi.
Vladimir Di Prima
È nato a Catania nel 1977. Dopo la maturità classica si laurea in Legge e successivamente consegue un Master di secondo livello in Criminologia. Da oltre vent’anni fa parte del comitato organizzativo del Premio Brancati. Film-maker indipendente (ha collaborato, fra gli altri, con Lucio Dalla) ha all’attivo diversi riconoscimenti in ambito nazionale e internazionale. È autore de Le incompiute smorfie (2014), Avaria (2020) e La banda Brancati (2021). Nel 2023 ha realizzato un docufilm con protagonisti Giuseppe Lo Piccolo, Marino Bartoletti e altri importanti attori del palcoscenico nazionale.
Il link alla recensione su Palermomania: https://bitly.ws/35s2J
L’idea nasce dalla voglia di denunciare lo stato di degrado dell’industria editoriale che non guarda più alla qualità letteraria.
È uscito lo scorso 8 dicembre 2023 in libreria il libro dal titolo “Il buio delle tre” del regista siciliano Vladimir Di Prima. Quello di Di Prima è un romanzo-denuncia contro il declino culturale e intellettuale del Paese negli ultimi quarant’anni. L’idea nasce dalla voglia di denunciare lo stato di degrado dell’industria editoriale che non guarda più alla qualità letteraria. Il romanzo è stato scritto da Vladimir durante la pandemia. La vicenda narrata inizia con rimandi all’incidente di Ustica, passando per la strage di Bologna del 2 agosto 1980, attraversando poi alcuni dei momenti chiave della Storia in riferimento non solo al nostro Paese ma anche all’intero globo (l’elezione di Gorbaciov, la strage di Capaci, il crollo delle torri gemelle, la cattura di Bernando Provenzano, l’attentato al Charlie Hebdo, per citare qualche esempio). Questo pretesto narrativo permette di collocare in successione la vita del protagonista, Pinuccio Badalà, figlio di un sindacalista coinvolto nella strage di Bologna e poi morto qualche anno dopo in seguito a un bizzarro incidente, il quale, a un certo punto sogna di diventare uno scrittore affermato. La legittima ambizione lo porterà, però, a scontrarsi ripetutamente contro tutti quegli ostacoli posti in essere da un sistema refrattario alla meritocrazia e al talento, un sistema descritto minuziosamente nei suoi vizi e nelle sue miserie quotidiane. Ne viene fuori un amaro e grottesco affresco dell’editoria italiana, dei costumi, dei silenzi, financo della rassegnazione che serpeggia come un male oscuro fra i gangli della provincia più remota. Vladimir Di Prima è nato a Catania nel 1977. Dopo la maturità classica si laurea in Legge e successivamente consegue un Master di secondo livello in Criminologia. Da oltre vent’anni fa parte del comitato organizzativo del Premio Brancati.
Film-maker indipendente (ha collaborato, fra gli altri, con Lucio Dalla) ha all’attivo diversi riconoscimenti in ambito nazionale e internazionale. È autore de Le incompiute smorfie (2014), Avaria (2020) e La banda Brancati (2021). Nel 2023 ha realizzato un docufilm con protagonisti Giuseppe Lo Piccolo, Marino Bartoletti e altri importanti attori del palcoscenico nazionale.
Flavio Sirna
Il link alla recensione su Catania Today: https://bitly.ws/35rYw
È uscito l’8 dicembre “Il buio delle tre” del regista siciliano Vladimir Di Prima. Non è un’opera a tinte rosa, e neppure gialle o nere come oramai impone il mercato. Quello di Di Prima è un romanzo-denuncia contro il declino culturale e intellettuale del Paese negli ultimi quarant’anni. Ed è per tale motivo che “Il buio delle tre” (Arkadia editore) sarà uno dei titoli più controversi e scoppiettanti del 2024. L’idea nasce dalla voglia di denunciare lo stato di degrado dell’industria editoriale che non guarda più alla qualità letteraria. Il romanzo è stato scritto da Vladimir durante la pandemia. La vicenda narrata inizia con rimandi all’incidente di Ustica, passando per la strage di Bologna del 2 agosto 1980, attraversando poi alcuni dei momenti chiave della Storia in riferimento non solo al nostro Paese ma anche all’intero globo (l’elezione di Gorbaciov, la strage di Capaci, il crollo delle torri gemelle, la cattura di Bernando Provenzano, l’attentato al Charlie Hebdo, per citare qualche esempio). Questo pretesto narrativo permette di collocare in successione la vita del protagonista, Pinuccio Badalà, figlio di un sindacalista coinvolto nella strage di Bologna e poi morto qualche anno dopo in seguito a un bizzarro incidente, il quale, a un certo punto sogna di diventare uno scrittore affermato. La legittima ambizione lo porterà, però, a scontrarsi ripetutamente contro tutti quegli ostacoli posti in essere da un sistema refrattario alla meritocrazia e al talento, un sistema descritto minuziosamente nei suoi vizi e nelle sue miserie quotidiane. Ne viene fuori un amaro e grottesco affresco dell’editoria italiana, dei costumi, dei silenzi, financo della rassegnazione che serpeggia come un male oscuro fra i gangli della provincia più remota. Lo stile e la scrittura, elementi che caratterizzano il testo insieme alla costante ironia di fondo, restituiscono grande scorrevolezza alla lettura suscitando contrapposti sentimenti di rabbia ed empatia. Un romanzo insolito e molto coraggioso, in aperta rottura con le mode del momento e che sfida, senza timore di ripercussioni, la decadenza dei tempi.
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