Lo scrittore e gastronomo Giovanni Fancello e la giornalista Sara Chessa hanno pubblicato per Arcadia “Grazia Deledda e il Cibo. Da Omero ai giorni nostri”. La collaborazione è nata quasi per caso. Sara Chessa infatti era rimasta affascinata da libro “Durches” scritto da Fancello: “Ci siamo conosciuti e siaom diventati amici”, racconta il celebre gastronomo ai microfoni di Radiolina. L’opera, scritta a quattro mani, è frutto di un lavoro dettagliato sulla bibliografia di Grazia Deledda: “Abbiamo estrapolato tutte le citazioni di cibo e poi abbiamo cercato di assemblarla e di capire dove è stata la rivoluzione Deleddiana”.
Grazia Deledda e la cucina sarda
La Sardegna appare per la prima volta nella storia della gastronomia nazionale nel 1909, in un testo di un medico milanese, Vittorio Agnetti, che scrive una serie di ricette regionali italiane, tra cui sei ricette sarde. In realtà Grazia Deledda già nel 1891 descrive la cucina sarda: “Racconta di cibo e come trasformarlo”, spiega Fancello. La scrittrice sarda già prima del 1909 scrisse 17 ricette: “La cucina sarda era sconosciuta per chi non conosceva Grazia Deledda”, racconta Giovanni Fancello ai microfoni di Radiolina.
Grazia Deledda e il cibo
Perché da Omero? E’ Grazia Deledda che lo cita spesso. Osservando la Nuoro di fine 800, il Premio Nobel riconosce gesti omerici, come spiega il gastronomo ai microfoni di Radiolina. Nella prefazione Giovanni Fancello spiega come Grazia Deledda cita ricette del 1700-1600 a.c. babilonesi, come il sanguinaccio di pecora, che veniva realizzato dai babilonesi come avviene in Sardegna. La prima presentazione del libro “Grazia Deledda e il Cibo. Da Omero ai giorni nostri” si è svolta il giorno di San Giovanni ad Alghero, città dove Fancello vive. Prossimamente verranno programmate nuove date.
Giovanni Fancello: appuntamenti a Siddi
Il celebre gastromo sarà tra gli ospiti di Appetitosamente, il Festival Regionale del Buon Cibo in programma a Siddi il 27 e 28 luglio 2024: “Terrò una relazione sugli avanzi e su come possono essere riutilizzati per non buttare niente e poi un’altra sul gatò”, racconta Fancello, che ha spiegato come il celebre dolce sardo si scriva in diversi modi, anche a causa delle influenze piemontesi. Per quanto riguarda il cibo da riutilizzare, Fancello ha spiegato come nella cucina tradizionale sarda l’avanzo non esista: “E’ una cucina studiata per non far avanzare niente”.
Francesco Abate
Il link al podcast su Radiolina: https://tinyurl.com/4tjapxkz
Venerdì 14 giugno è uscito il libro Grazia Deledda e il cibo. Da Omero ai giorni nostri (Arkadia editore), scritto dal giornalista e scrittore Giovanni Fancello insieme a Sara Chessa. Grande appassionato di storia della gastronomia e dei romanzi e delle novelle di Grazia Deledda, in una ricca intervista a FtNews Fancello ha spiegato perché ha deciso di intraprendere questo originale viaggio tra letteratura e cibo. Ha affermato che il libro passa in rassegna le vicende “culinarie” presenti nella vasta produzione letteraria di Grazia Deledda: una lunga carrellata di piatti, ricette e aneddoti che ripercorrono le tappe della storia gastronomica della Sardegna dagli albori fino ai giorni nostri. Lo scrittore ha invitato a rileggere bene le opere di Grazia Deledda per comprendere meglio, custodire e tramandare le basi della cucina sarda e le sue contaminazioni.
Sig. Fancello, lei ha coltivato una grande passione per la storia della gastronomia, aspetto fondamentale della nostra cultura e della nostra identità. Il 14 giugno, nella collana Historica dell’Editore Arkadia, diretta da Claudia Zani, è uscito il libro Grazia Deledda e il cibo. Da Omero ai giorni nostri, scritto insieme a Sara Chessa. In che modo le opere di Grazia Deledda aiutano a ricostruire la storia gastronomica della Sardegna? Quali sono le costanti delle narrazioni culinarie deleddiane?
Per prima cosa vorrei ringraziare lei per il suo spiccato interesse e per il fatto che spesso, nei suoi scritti, racconta e documenta storie di cibo di Sardegna. La storia della gastronomia è effettivamente una passione che tanto mi coinvolge. Più di ogni altra cosa, mi affascina indagare la storia della gastronomia sarda. Studiando la cucina di Sardegna, scoprii che, almeno sino al 1909, il cibo dei sardi era poco considerato, e la sua cucina era definita “arcigna e sconosciuta”. Volevo capire bene il perché. Tra le varie ipotesi che decisi di analizzare, mi fu naturale osservare le opere di Grazia Deledda. Mi accorsi che nei suoi romanzi e nelle sue novelle, sin dai suoi esordi (1888-1891), la scrittrice dà conto di diverse ricette, ricche di dettagli e consigli sulla preparazione. Tutta la sua opera letteraria è infarcita di molteplici riferimenti, usi, consuetudini, inerenti al concetto di gastronomia nel senso più completo del termine. Grazia Deledda parla della coltivazione del grano, della sua trasformazione in farina, di come diventa pane e pasta e di come si trasforma in un piatto che identifica un popolo. Lo fa con consapevolezza anche prima del 1909, anticipando i testi sacri della storia della gastronomia italiana, che annoverano la cucina dei sardi nella cucina italiana.
Cosa l’ha spinta a mettersi alla ricerca e a raccogliere le citazioni gastronomiche contenute nella letteratura deleddiana, dalle opere giovanili fino alle opere postume? Cosa ci dicono del cibo dei sardi e delle loro abitudini alimentari?
Avevo e ho ancora oggi una grande passione per i romanzi e le novelle del premio Nobel. Studiando la storia della gastronomia, avevo capito che lei non era mai stata presa in considerazione come fonte. Eppure Omero, Platone, Orazio, Virgilio, Plinio il Vecchio, Ateneo, Dante, Manzoni e molti altri autori moderni e contemporanei erano alla base dello studio e delle ricerche della storia della gastronomia. Mi ricordavo le sue citazioni, le sue suggestioni e a quel punto, con il contributo di Sara Chessa, abbiamo riletto, raccolto e selezionato le citazioni di cibo contenute nei suoi testi, partendo dalle opere giovanili. Abbiamo scoperto tanti riferimenti culinari, per lo più freschi, stimolanti, interessanti e pregni di una sorprendente contemporaneità. Abbiamo continuato nelle nostre analisi sino alle opere postume. Abbiamo scoperto una Deledda non proprio vera cuoca, ma attenta conoscitrice di cose di cucina. Talmente attenta che detta ricette precise di aranzada, di cagliate, di pane d’orzo e di tantissime altre preparazioni, spesso ignorate dalla ufficialità della gastronomia scritta e riconosciuta.
Perché la cucina di Sardegna, almeno sino al 1909, era definita “arcigna e sconosciuta”?
Questa è una definizione dello studioso Nicola Perullo, che nella sua dispensa Storia e cultura della gastronomia, quando cita il testo di Vittorio Agnetti del 1909, La nuova cucina delle specialità regionali, riporta che conteneva, per la prima volta nella storia, anche sei ricette dell’ “arcigna e sconosciuta” cucina di Sardegna.
Cosa ci dicono i capolavori della Deledda della “contaminazione” dei cibi e del mondo della produzione agricola e dell’allevamento?
Il cibo nel lavoro della Deledda è un personaggio vero e proprio. È un elemento fondamentale del racconto, diventa simbolo identitario di un popolo, specchio antropologico di un modo di vivere; si attesta perfettamente nel contesto da lei indagato e descritto; diventa chiave essenziale del suo narrare. Grazia Deledda conosce bene il cibo. Nella realtà in cui è immersa, il cibo è una componente precisa e fondamentale; conosce altresì il mondo agricolo, il mondo della pastorizia, dell’allevamento in generale, perché sono la spina dorsale del mondo economico e sociale che la circonda. Sono gli elementi basilari di una millenaria cultura agro-pastorale che contraddistingue il vivere in un’isola del Mar Mediterraneo. Come ogni cosa, o forse più di tutte le cose, il cibo viaggia, arriva, si insedia, si adotta e si contamina. In Cenere, un romanzo del 1904, cita il sugo di “pomidoro secchi” per condire i maccheroni. Una citazione dal sapere prezioso per quell’epoca. Infatti la prima notizia del pomodoro che condisce la pasta è di un autore napoletano dei primi anni dell’800, che presto si diffonde e contamina usi e consuetudini di molti, che Deledda conosce e descrive. In Vita di Silvana, del 1890, mette tranquillamente a tavola una costoletta che viene consumata con tanta soddisfazione dal suo personaggio, il quale esclama che è molto più buona di quella di Milano. Due di tante citazioni e contaminazioni che la nostra instancabile autrice sottolinea con leggerezza perché sono parte del vissuto suo e di chi la circonda.
Perché la cucina sarda non può essere considerata una “cucina regionale”?
Un discorso molto lungo. La Sardegna è politicamente una regione italiana dal 1861, con l’unificazione dell’Italia. Nella storia si inizia a parlare di “cucina regionale” in Francia nell’800 e in Italia sul finire del secolo e inizio ‘900. I sardi dall’inizio del ‘700, con l’abbandono dell’isola da parte della Spagna, diventano austriaci, ma molto presto vengono scambiati con la Sicilia. I sardi diventano savoiardi e i siciliani austriaci. E con l’Unità d’Italia si diventa tutti ufficialmente italiani. Nella cucina ufficiale italiana si mangia e si beve francese, mentre nelle neonate regioni si parla e si mangia in dialetto, e così anche in Sardegna. Durante tutto il Risorgimento si pasteggia con menu e vini francesi, usanza praticata in buona parte d’Europa. In tutta questa storia la cucina dei sardi non c’è. È nel 1909 che Agnetti con altri autori, sostenuti dal re Vittorio Emanuele III, fecero il tentativo, dopo oltre due secoli di sudditanza francese, di costruire una cucina nazionale. Si repertarono e si raccolsero elementi dalle cucine cosiddette regionali, lasciti e memoria delle variegate fratture storiche e culturali di un’Italia divisa in Stati e staterelli. Si diedero i natali a una nuova cucina italiana fino ad allora inesistente. Anche la cucina, come le arti e le scienze, contribuì alla costruzione dell’identità di una Nazione. La nuova cucina delle specialità regionali di Vittorio Agnetti fu senza alcun dubbio la prima raccolta strutturata di ricette di quasi tutte le regioni d’Italia, dal Piemonte alla Sicilia, Sardegna compresa. Oggi la cucina di Sardegna è quella di una regione italiana. Anche se a me piace dire, parafrasando un luogo comune, che la Sardegna è un continente e la sua cucina è espressione di una diversità che l’attraversa in lungo e in largo, in tutta la sua estensione di isola-regione.
I libri della Deledda quali pietanze hanno reso celebri? Si tratta di piatti tipici soprattutto della tradizione barbaricina o diffusi a livello regionale?
Grazia Deledda cita tantissimi piatti che sono ancora oggi tipici della Barbagia, ma anche del Logudoro, del Goceano e del Marghine; cita con dovizia di conoscenza anche piatti italiani, soprattutto dell’Emilia Romagna. La cosa sorprendente è che cita, forse inconsapevolmente, preparazioni simili alle ricette babilonesi del 1700-1600 a.C.; nei suoi scritti si possono rintracciare preparazioni di cibo riportate nell’Iliade e nell’Odissea, di ogni periodo storico e anche precise tracce di preparazioni artusiane.
Quali cibi, ancora oggi tipici delle feste e delle ricorrenze, sono menzionati nelle opere della scrittrice sarda?
Numerosissimi: arrosti di agnello e maialetto, sanguinacci, interiora, minestre di erbe selvatiche, formaggi, cagliate, casizolos, filindeu, polente moderne e preistoriche come su ‘arre; i dolci:sos coricheddos, sa aranzada, sos pabassinos, sebadas, casadinas, catas, culurjones, pompia; sono diversi i tipi di pane: il carasau, il pane d’orzo, il pane fratau, il pane gutiau e tanti altri pani, simboli primari di identità e di storia tramandata.
Cosa sappiamo della cucina sarda dell’Ottocento? Le opere di Grazia Deledda e le testimonianze di quei viaggiatori che nei resoconti di viaggio hanno scrupolosamente descritto i pasti consumati durante la loro permanenza nell’isola, aiutano a risalire alle abitudini culinarie della gente di Sardegna nel XIX secolo?
Dell’Ottocento sardo sappiamo molto leggendo la Deledda. La scrittrice descrive con semplicità le pietanze della quotidianità, quelle delle occasioni solenni e quelle preparazioni rituali che caratterizzano il sapere di un popolo. Sopperisce a quelle mancanze che i curiosi osservatori, o interessati viaggiatori, non hanno descritto, notato o preso in considerazione. Nel nostro libro raccogliamo tutti gli elementi della cucina sarda e non solo quella dell’Ottocento, ma arriviamo sino al 1938, quando vengono pubblicati gli ultimi e postumi lavori della scrittrice.
Negli scritti della prima e unica donna italiana insignita del Premio Nobel per la Letteratura si trova qualche testimonianza in merito all’uso in cucina delle erbe officinali? Si dice qualcosa dei rituali che si osservavano in occasione della raccolta e della preparazione delle erbe?
Le erbe officinali e spontanee sono assai diffuse in Sardegna e vengono utilizzate con sapienza per insaporire arrosti o confezionare zuppe. La Deledda nel raccontarle rinverdisce atavici rituali, precisa i nomi, descrive con dovizia di particolari che i frutti spontanei di una terra ricca in ogni cosa possono essere utilizzati per arricchire una cucina arcigna e sconosciuta.
Che ruolo ha il pane, alimento principe in Sardegna, nelle opere di Grazia Deledda?
Il pane è una componente fondamentale dell’alimentazione sarda, ma oserei dire di tutto il Mediterraneo. La scrittrice ne sottolinea la ritualità e ne elenca i dettagliati momenti di preparazione. Riporta con precisione i metodi di confezionamento del pane d’orzo, una varietà assai citata nelle sue opere. Nel testo “Tradizioni popolari di Nuoro”, del 1893-94, fa un elenco di pani conosciuti non solo in Barbagia; dà dettagli e precisa quali siano le occasioni per prepararli, sia per l’uso quotidiano sia per le occasioni solenni, come le feste dei matrimoni, dei battesimi, le feste patronali e paesane, per i giorni dei Morti; non dimentica i pani dolci, impreziositi con il miele o con la sapa.
Cosa raccontano dell’isola le tante citazioni del caffè presenti nella scrittrice sarda?
La Sardegna, come tutta l’Italia, ha accolto il caffè, quella strana bevanda che ha vagato per diverso tempo lungo il bacino del Mediterraneo, prima di approdare e radicarsi in tutto il mondo. In Sardegna sorseggiare una fumante tazzina di caffè è condivisione, simbolo di accoglienza e ospitalità. Aspetto un ospite, disse la donna, affacciandosi con una caffettiera in mano… Ancora: … erano allegre e si divertivano delle loro stesse malizie: fu portato il caffè, e si riprese a parlar male delle altre cugine, le sorelle di Antonino. Sono solo piccole citazioni dai romanzi della Deledda che attestano come l’uso di gustare un buon caffè sia un rituale condiviso e ben radicato nei tanti paesi della Sardegna.
Quale messaggio si augura possa arrivare ai lettori di Grazia Deledda e il cibo?
Oggi si parla banalmente del cibo della “tradizione”, ma non si conosce l’alto significato della parola. Tradizione deriva dal latino traditio – consegna, trasmissione – ossia ciò che viene trasmesso direttamente dagli avi. Se rileggessimo con un occhio gastronomicamente attento i lavori di Grazia Deledda, capiremmo meglio le basi della nostra cucina e le sue contaminazioni e riusciremmo con più precisa consapevolezza a tracciarne il futuro. Con le citazioni del premio Nobel è possibile narrare la storia di una cucina sarda, direi ampollosamente identitaria, e non favole che lasciano l’amaro in bocca. Lei è alla base della nostra storia economica e culturale e ci racconta cose radicate nel nostro passato più profondo. Se conosciamo bene il nostro passato, il futuro sarà più chiaro, e Grazia Deledda in questo ci illumina.
Francesca Bianchi
Il link all’intervista su FtNews: https://tinyurl.com/2nkwn5nd
Laureata in Scienze e Tecniche Psicologiche dei Processi Cognitivi, sta proseguendo il suo percorso con lo studio delle neuroscienze, concentrandosi sulla comprensione della mente umana con una particolare attenzione al legame con gli animali d’affezione. Appassionata lettrice è stata catturata dall’opera di Grazia Deledda per la prospettiva unica con cui la scrittrice rappresenta la Sardegna. Per Arkadia Editore ha pubblicato Grazia Deledda e il cibo (2024).