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Storia e storie In “La Spagna visigota” (Arkadia). Fabrizio Sanna ricostruisce la vicenda

Quando i popoli nordici salvarono la cultura classica

A partire dal primo secolo dopo Cristo, l’ingresso dei Germani occidentali all’interno dell’impero romano si faceva sempre più frequente. Questi venivano reclutati nell’esercito e collocati lungo il limes, a difesa degli immensi confini che separavano il mondo romano civilizzato da quello barbaro. Ma proprio quando sembrava che la stabilità, la tranquilla convivenza tra mondo romano e mondo germanico fosse stata raggiunta, un terribile evento scosse quell’equilibrio che faticosamente si era creato: l’arrivo degli Unni dalle misteriose e ignote steppe asiatiche.
Scrisse lo storico Ammiano Marcellino nel 395: “Uomini piccoli e tozzi, imberbi come eunuchi, con orribili volti in cui i tratti umani sono appena riconoscibili, sono apparsi sulle rive del Danubio. Piuttosto che uomini, si direbbe bestie a due zampe. Portano una casacca di tela con guarnizione di gatto selvatico e pelli di capra intorno alle gambe. E sembrano incollati ai loro cavalli. Vi mangiano, vi bevono, vi dormono reclinati sulle criniere, vi trattano i loro affari, vi prendono le loro deliberazioni. Vi fanno perfino cucina, perché invece di cuocere la carne di cui si nutrono, si limitano a intiepidirla tenendola fra la coscia e la groppa del quadrupede. Non coltivano i campi e non conoscono la casa. Scendono da cavallo solo per andare a trovare le loro donne e i bambini, che seguono sui carri la loro errabonda vita di razziatori”.
Gli Unni erano formati da popoli mongoli e turchi, guerrafondai e minacciosi, e la loro prepotente pressione spinse verso l’Europa prima gli Alani, poi gli Ostrogoti e infine i Visigoti, i quali invasero l’impero per sottrarsi ai terribili uomini guidati dal re Rua. I Visigoti si insediarono in Tracia, nel nordest dell’attuale Grecia, dove furono accolti dall’ostilità della popolazione locale. I nuovi venuti, affamati e assetati, razziarono le città e rapinarono i loro abitanti, facendo nascere una guerra che terminerà il 3 agosto 378, con la più grande sconfitta della storia militare romana. Ad Adrianopoli, nell’attuale confine tra Grecia e Turchia, la cavalleria gotica annientò l’esercito imperiale, decapitò l’èlite di comando e catturò l’imperatore Valente, che venne arso vivo all’interno di una capanna nella quale aveva cercato rifugio. Fu l’inizio della fine dell’impero e laddove avevano governato gloriosamente i romani sorgevano i regni romano-barbarici; e i Visigoti, pressati a Oriente dai sempre inquieti Unni, si spinsero verso Roma. Guidati da Alarico, entrarono nella città eterna dalla porta Salaria il 24 agosto del 410, la saccheggiarono per tre giorni e gettarono nel più profondo sconforto i cittadini europei, i quali videro, nel Sacco di Roma, l’oscuro presagio della fine del mondo.
I Visigoti risalirono l’Italia,  giunsero nel territorio della Gallia meridionale e vennero cacciati dai Franchi in terra spagnola, dove si stabilirono per tre secoli, dal V all’VIII secolo.
Nel libro “La Spagna visigota” (Arkadia Editore, pp 11, euro 11) Nel libro “La Spagna visigota” (Arkadia editore, pp. 112, € 11,00) Fabrizio Sanna ripercorre le affascinanti vicende storiche del popolo visigoto, dalla leggendaria migrazione scandinava sino alla creazione del Regno nella penisola iberica, Hispania, che ebbe come capitale Toledo. In seguito al loro definitivo insediamento, che durò fino alla conquista da parte dell’esercito arabo-berbero, il quale fece tremare i cristiani portando l’Islam in Europa, i Visigoti impegnarono le loro forze anche in ambito culturale, in particolare attraverso la figura di dotti vescovi cattolici imbevuti di cultura classica. Scrive l’autore: “La civiltà visigota si è contraddistinta per il grande sviluppo culturale, connotandosi come l’area geografica dell’Europa che, nel clima di generale decadenza degli Stati romano-barbarici, conservò e perpetuò il sapere della cultura classica”.
In Hispania si diffusero numerose scuole vescovili, le quali impartivano un’educazione di discreto livello, sia ai giovani destinati alla vita ecclesiastica sia a quelli destinati alla vita pubblica. L’educazione e l’alfabetizzazione ebbero un peso importante nella politica visigota. Le biblioteche, oltre agli autori cristiani, custodivano le opere di scrittori pagani come Persio, Plinio, Lucano, Sallustio, Seneca e Claudiano, mostrando l’evoluzione di un popolo che preservava quella cultura che veniva, in buona parte, da quella Roma che un secolo prima avevano saccheggiato.

Stefano Poma

 



Il Cristianesimo e l’Impero romano

Mentre i romani festeggiavano il settecentocinquantatreesimo Natale della propria città, nel piccolo paese di Betlemme, vicino a Nazareth, un anonimo evento si preparava a scuotere l’identità che i vari popoli avevano adottato: la nascita di Gesù Cristo. L’Impero romano si estendeva per l’intera Europa, fino all’Africa settentrionale e al Medio Oriente. Erano anni nei quali la cultura fioriva prepotentemente e la scrittura si diffondeva tra le classi meno abbienti, dopo essere stata per secoli patrimonio esclusivo della classe aristocratica alfabetizzata, formata dai membri dei collegi sacerdotali e dai funzionari dell’apparato politico e amministrativo imperiale.
La cultura divenne un elemento essenziale dello stile di vita dei nuovi ricchi, per i quali il vanto maggiore era quello di possedere, nelle loro ville signorili, una biblioteca privata con testi greci e latini. Contemporaneamente, la religione ufficiale di tipo politeistico risultava sempre più inadeguata nel soddisfare i cambiamenti che il nuovo mondo ellenistico-romano stava producendo. Le nuove correnti filosofiche, come lo Stoicismo e il Neoplatonismo, offrivano ai propri adepti pratiche di espiazione, la redenzione e la salvezza individuale. Mentre i vecchi dèi venivano dimenticati, i nuovi filosofi monoteisti raccontavano che il Dio dell’Antico Testamento aveva promesso al popolo d’Israele un messia, un liberatore che avrebbe restaurato le sorti della sua gente.
Un gruppo di giudei, chiamati apostoli, lo indicavano in Gesù di Nazareth, chiamato il Cristo Salvatore. Aveva sparso la sua parola nella provincia romana della Giudea e dopo la sua morte, i suoi discepoli, non limitarono la propagazione del messaggio di colui che si definiva il figlio di Dio al solo popolo d’Israele, ma si rivolsero a tutti i popoli. Gesù era diverso dagli altri messia, dai condottieri forti e risoluti che intendevano liberare gli uomini dall’oppressione di un popolo straniero. Era figlio di un falegname e in vita si era circondato della gente più umile; predicava il distacco dai beni terreni, la mitezza, la pazienza e la pace. Proponeva un ideale di vita difficile e prometteva come ricompensa la beatitudine per l’eternità in un’altra vita.
Questa nuova religione, il cristianesimo, non si impose come culto accanto ad altri, ma sostituì tutte le vecchie credenze millenarie. Nel libro “Storia della diffusione del cristianesimo nell’Impero romano” (Arkadia editore, pp. 140, euro 12,00), lo storico Gianluca R.P. Arca riflette sulle dinamiche di contrasto e contaminazione che hanno caratterizzato i rapporti tra la cultura romana, ricca di filosofia e letteratura greca, e il cristianesimo. Un viaggio all’interno di quel mondo che ha costituito la base del mondo Occidentale che noi abbiamo ereditato. Come scrive l’autore, “la religione, come forza capace di polarizzare idee e di costituire l’identità di singoli e di popoli, ha plasmato e continua a mantenere in fermento interi mondi. Se questo è vero per il nostro tempo, a maggior ragione lo è stato nelle civiltà del passato da cui deriviamo la nostra identità”.

Stefano Poma



Arkadia Editore

Arkadia Editore è una realtà nuova che si basa però su professionalità consolidate. Un modo come un altro di conservare attraverso il cambiamento i tratti distintivi di un amore e di una passione che ci contraddistingue da sempre.

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