Gli ingranaggi dei ricordi (Arkadia Editore, 2020) è il nuovo romanzo di Marisa Salabelle. Ambientato tra la Sardegna e Roma e sospeso tra la seconda guerra mondiale e il presente (per la precisione, il 2015-’16), racconta il dramma degli anni del conflitto bellico dal punto di vista di due famiglie, i Dubois, una cui anziana erede racconta di un lungo viaggio a piedi attraverso l’isola nel 1943 con la sorella e il fratello, e gli Zedda-Serra, che vivono il dramma del bombardamenti che colpiscono Cagliari e – nella persona di Silvio, personaggio realmente vissuto – uno dei più tragici e determinanti eventi della Resistenza, l’attentato di Via Rasella. Il racconto porta, così, a fondere vicende private e grandi scenari storici in un percorso molto vicino all’autrice, come lei stessa ci spiega in questa intervista.
– Il tuo libro viaggia sospeso tra la memoria storica e l’intimità familiare. Pensi che la vera cifra degli eventi storici sia nella dimensione privata, che inevitabilmente essi coinvolgono e spesso travolgono?
Sono laureata in Storia e ho continuato negli anni a coltivare una grande passione per questa disciplina. Ai tempi dell’Università ho scoperto il metodo portato avanti dalla scuola delle Annales: non sono i grandi protagonisti e nemmeno gli avvenimenti grandiosi a fare la storia, ma le persone comuni, con le loro vite anonime, con le loro esperienze ordinarie, col loro vivere e morire, lavorare, soffrire e gioire, sono i veri protagonisti. Questa impostazione mi ha condizionato fortemente ed è per questo che, nel raccontare eventi di grande portata come la Seconda guerra mondiale e la Resistenza ho lasciato la parola a personaggi “piccoli”, banali, forse, che dalla grande Storia sono stati travolti senza nemmeno comprenderla appieno.
– Fai riferimento a un personaggio (Silvio Serra) e a fatti (l’attentato di Via Rasella) reali della storia della Resistenza. È da qui che sono partiti la tua ricerca e il filo della tua ispirazione?
Silvio Serra era il fratello minore della mia nonna materna. In famiglia si parlava spesso di lui, si conoscevano alcuni episodi della sua vita e della sua attività nella Resistenza, ma c’erano molti vuoti relativi al ruolo da lui svolto nell’attentato di Via Rasella, alla sua sorte nei mesi successivi al fatto, alle circostanze della sua morte. Quando ero appena laureata uno dei fratelli di mia madre mi propose di svolgere una ricerca sul prozio Silvio: a quell’epoca, tardi anni ’70, erano ancora in vita molti protagonisti della Resistenza romana e molte persone che lo avevano conosciuto personalmente. Per pigrizia o per timidezza non accettai quell’incarico ma in seguito, quando uno dopo l’altro tutti i testimoni che avrei potuto intervistare se n’erano andati, sono stata tormentata dal senso di colpa e dal bisogno di colmare, sia pure tardivamente, quella lacuna. Quindi, sì, almeno in parte il libro nasce dal desiderio di rendere omaggio a questo “eroe dimenticato”.
– Quanto della tua infanzia in Sardegna vive nelle parti ambientate nell’isola, e quale il suo ruolo nel quadro degli eventi storici che fanno da cornice (e da sostanza) al tuo libro?
In realtà la Sardegna della mia infanzia è assente dal libro. È invece raccontata la Sardegna degli anni di guerra, che per l’isola sono stati quelli dal 1940 al 1943, poiché dopo l’otto settembre i tedeschi che erano presenti sull’isola se ne andarono immediatamente, proprio all’opposto di quello che avvenne nel Continente. Per poterne parlare mi sono rifatta ai ricordi dei miei genitori e dei miei nonni, ho letto libri, ho visto foto e filmati: c’è questa cosa bella, nell’era di internet, la facilità di reperire non solo informazioni ma anche immagini e video, e questo mi è stato di grande aiuto. Nel libro poi è presente anche la Cagliari d’oggi, una città che visito spesso e che amo molto, e dove spero di poter tornare non appena sarà possibile.
– I rapporti d’amore e i legami familiari sono al centro di gran parte della tradizione letteraria italiana, neorealistica e non solo, spesso in rapporto alle vicende politiche. Ti senti in linea di continuità rispetto a questo retaggio? E quali autori senti come tuoi “maestri”?
I rapporti di coppia e quelli familiari, con le loro luci e ombre, mi hanno sempre interessato molto e sono al centro dei vari romanzi che ho scritto, sia quelli pubblicati che altri che forse lo saranno o forse resteranno nel cassetto. Indubbiamente devo molto alla letteratura italiana, che ho letto e studiato e insegnato per molti anni, e che di conseguenza mi ha influenzato profondamente. Penso a Manzoni, che è il primo a prendere dei semplici popolani e farne i protagonisti di un grande romanzo e che su microstoria e macrostoria ne sa parecchio; uno dei miei autori più amati e sicuramente un maestro per me (si parva licet…) è Giovanni Verga. Col neorealismo non ho un grandissimo rapporto, ho letto, quando ero al liceo, molte opere di Pratolini, Vittorini & C, ma non mi ci sono appassionata più di tanto. Un’opera alla quale devo molto è La Storia, di Elsa Morante, dove veramente vicende storiche e vicende personali si intrecciano indissolubilmente, un capolavoro travolgente che ho amato moltissimo.
– Progetti di scrivere nuovi romanzi con un’ambientazione sarda o stai lavorando a qualcosa di completamente diverso?
In questo periodo sto seguendo soprattutto due filoni: quello, più leggero, del giallo appenninico, che vorrei continuare a portare avanti con l’editore Tarka, e una nuova ricerca su alcuni aspetti ancora oscuri del passato della mia famiglia, tra Napoli e Cagliari. Questo nuovo lavoro sta prendendo forma in questi giorni, quindi è appena appena embrionale: vedremo dove mi porterà!