Giampaolo Cassitta


DOLCI, SANTE E MARESCIALLI

La moglie del vicesindaco di Roccabuiedda, Matilde Serrau coniugata Truddesu, si presenta una mattina davanti alla caserma dei carabinieri e comincia a bussare, facendo un gran baccano con il batacchio. Dentro, stanno ancora dormendo e l’appuntato Marceddu si presenta alla bell’e meglio (camicia d’ordinanza fuori dai pantaloni, spettinato e con gli occhi ancora mezzi chiusi) alla porta e si sveglia all’improvviso quando sente la signora parlare di una rapina. L’appuntato deve assolutamente chiamare il maresciallo Annino Fabotti, nonostante la signora lo inviti a non farlo, anche perché, di fronte a un crimine così grande per quella loro piccola comunità dove non si ruba nemmeno una gallina, per il suo eventuale silenzio verrebbe “scorticato vivo”. Prova a fare delle domande nel frattempo, per avere un quadro più chiaro della situazione, ma le risposte della signora sono sempre più sconcertanti: “I rapinatori sono fuggiti?”, chiede. “Non è fuggito nessuno!” è la risposta, per cui l’appuntato chiede ancora: “Sono barricati da qualche parte?”. “Certo!”, risponde la moglie del vicesindaco. “In chiesa?”, fa ancora Marceddu e quando la risposta è negativa, insiste: “In sagrestia?”. Ma anche questa volta la risposta è negativa e quando chiede dove si trovano allora i rapinatori, Donna Matilde risponde tranquillamente: “A Roma!”, lasciando ancora più interdetto l’appuntato che ormai è più che convinto di quanto sia necessario l’intervento del maresciallo…

Diceva la nonna: “Chi pel foco, chi pe’ la legna, per mangia’ tutti si ingegnan”. Con le dovute differenze, anche in questa storia sono in molti a ingegnarsi pur di svincolarsi dal voto fatto a Santa Rita. E nascono situazioni esilaranti, strategie e architetture che dovrebbero portare tutte alla stessa finalità: la possibilità di uscire da una situazione non facile, quello scioglimento di un voto che per due mesi si sopporta, ma per cinque diventa veramente un peso. E non si salva nessuno, anzi. In un modo o nell’altro il voto alla Santa degli impossibili per i suoi miracoli e soprattutto per i prodigi fatti in loco, riguarda proprio tutto il paese di Roccabuiedda, ma, appunto, in un modo o nell’altro… Vengono toccati interessi economici (astenersi dal mangiare dolci fa sì che la pasticceria sia scarsamente frequentata e gli affari vadano male), di prestigio (aiutare i compaesani a ripristinare le sorti del voto significa un ritorno d’immagine e di… voti alle prossime amministrative), religiosi (anche il parroco, tutto sommato, non è d’accordo con le decisioni prese dall’alto e conosce bene tutti i suoi fedeli e le loro… astinenze) e anche… sessuali (povero maresciallo dei Carabinieri!). Divertente è il modo in cui tutti sono coscienti della situazione e cercano di inventarsi qualcosa per uscirne fuori, comunque, liberi e puliti, usando gli altri per raggiungere lo scopo, pensando di essere i soli furbi a mettere in atto tale strategia e decidendo che alla fine è meglio far finta di non saperne nulla, in nome della felicità di tutti. Una scrittura veloce, precisa e coinvolgente quella di Giampaolo Cassitta per il più classico dei “casi all’italiana”.

Cristina Carnevali



“Dolci, sante e marescialli”

Avendo amato Piero Chiara come pochi altri scrittori del 900, ho sempre provato un moto di fastidio ogni volta che nelle fascette o nelle recensioni mi sono trovato a leggere “un autore che è riuscito a raccontare la provincia italiana”. Perché nella mia memoria di lettore, solo Piero Chiara è riuscito nella miracolosa opera di rappresentare la quotidiana divertentissima miseria di certa umanità di paese, a rappresentare i moltissimi microscopici vizi e le rarissime domestiche virtù che riempiono le case e le vie di certi paesi, mettendo in ridicolo i potenti, livellando l’umanità nella narrazione delle pulsioni e tentazioni, dei peccati che uniscono il potente e il miserabile.
Poi arriva la scoperta di un autore come Giampaolo Cassitta, che riesce a realizzare tutto questo, unendo insieme in una scoppiettante alchimia le storie (e le pulsioni) di Donna Matilde e del maresciallo Fabotti, l’ignavia un po’ manzoniana di Don Martino (che poi alla fine tanto ignavo non è) e li circonda di mariti scansafatiche e ladruncoli di paese, di un brigadiere fin troppo saggio, e tanti altri personaggi, alcuni sfiorati, altri accennati, tutti però necessari per colorare l’affresco di sfondo che rende reale il paese (immagino di fantasia) di Roccabuiedda, piccolo, piccolissimo centro equidistante tra Sassari e Cagliari, dove la vita scorre – anzi no, è immobile – tra chiesa e bar, tra piazza e fermata dell’unica corriera che attraversa la Sardegna.
Cassitta ci riporta indietro in un mondo lontano, eppure tanto attuale da risultare più che vicino, un piccolo universo di credulità e furbizie di paese, dove la tentazione più grande degli uomini è riuscire a fare una visita al casino di città e quella delle donne è poter vivere le storie raccontate su “Grand Hotel” o rendere reali le strofe delle canzoni di Sanremo, un piccolo universo in cui il sesso coniugale è ancora l’arma di ricatto principe delle mogli (il casino è lontano, è costoso, ahimé, ed è anche peccato mortale), un piccolo mondo nel quale la festa della Santa è ancora il giorno più importante dell’anno, per tutto quel che rappresenta, che porta, tra processioni e riti da celebrare, ma soprattutto perché è il giorno in cui – finalmente – i penitenti possono sciogliere i loro piccoli voti, le rinunce minime che – nella minima dimensione di quell’umanità – diventano enormi.
Quindi quando arriva l’imposizione del potere enorme e lontano di spostare la data di festeggiamento della Santa, la comunità si trova, anche se ognuno seguendo le proprie motivazioni e pulsioni – coesa nell’avversare questa decisione.
E qui Cassitta mostra tutto lo scoppiettare della sua narrazione, nascondendolo nel solco del seno (florido e burroso) di Donna Matilde, nel nervosismo inquieto del Maresciallo Fabotti che consuma sigarette una dopo l’altra, e nelle reazioni più o meno composte di tutti gli altri.
Il caso monta, cresce, tra sparizioni e riapparizioni di statue che dovrebbero rappresentare la volontà Sacra, tra vassoi di pasticcini che colano miele e giornalisti che si prestano al gioco, tra tutti che sanno tutti e tutti che fingono di non sapere nulla. Il caso monta, fino alla soluzione finale, quando il giallo – che giallo non è, perché è commedia, è farsa, è pochade – si risolve e tutto continua a scorrere.
Leggetelo, ma mentre scorrete le pagine fate attenzione ai crampi alla faccia, vi accorgerete che è impossibile non sorridere, dalla prima all’ultima riga. Forse questo, più di ogni altra cosa, vi dimostrerà che questo autore più di ogni altro, merita il titolo di “erede di Piero Chiara”.

Marco Proietti Mancini



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