George Perkins Marsh (1801-1882), primo ambasciatore Usa in Italia e primo “verde” della storia, senza sapere di essere un protomilitante “ecologista”, ma agendo compiutamente come tale, quando il termine ecologista non esisteva ancora. Non abbiamo difficoltà ad ammettere che non conoscevamo affatto il diplomatico, tanto meno l’ambientalista, ma non è una vergogna, perché “l’uomo dei boschi” era ignoto fino a poco tempo fa perfino a Paolo Ciampi, il giornalista fiorentino che sull’avventura pro-natura di Marsh ha scritto un gran bel libro, “L’ambasciatore delle foreste”, pubblicato nel 2018 per l’Editore Arkadia di Cagliari, terzo nella collana di narrativa Senza rotta (prima edizione dicembre 2018, ristampa subito a gennaio 2019, 160 pagine, 14 euro).
Ciampi ha lavorato per diversi quotidiani e dirige l’Agenzia di stampa della Giunta regionale toscana (“Toscana Notizie”). Ama i viaggi e la storia, è un blogger molto attivo. Ha firmato decine di testi, una trentina, nel più recente dei quali si è dedicato a un altro personaggio da scoprire: il geniale matematico pisano del XII secolo Leonardo Fibonacci.
Al bando qualsiasi sospetto che questa recensione del libro su Marsh possa sembrare un atto di piaggeria nei confronti di un collega (entrambi abbiamo come datore di lavoro un’Amministrazione regionale). È stato l’editore sardo a suggerire la lettura e a sostegno dell’oggettiva qualità di questo saggio c’è la presenza tra i cinquantasette titoli proposti a febbraio per la candidatura al 73esimo Premio Strega. Non è poi entrato tra i dodici selezionati per la gara, ma resta un bel biglietto da visita la segnalazione degli Amici della Domenica, la giuria storica del popolare concorso.
Sulle prime, l’incontro di Ciampi con Marsh è stato freddino. Aveva a stento sfogliato il libro, regalatogli da un collega, sul primo ambasciatore degli Stati Uniti nominato da Abramo Lincoln nell’Italia da poco unita. L’illuminazione ha tardato dieci anni, ma è finalmente arrivata: anche quel Marsh è stato un pioniere americano nell’Ottocento, pur non essendo un esploratore, ma un difensore dell’ambiente. In anticipo su tutti, ha capito che il pianeta stava cominciando a cambiare, che l’impatto delle attività umane aggrediva il mondo sempre più pesantemente. Per primo ha parlato di cambiamenti climatici, per primo ha visto nelle foreste non un patrimonio immutabile nel tempo e destinato a crescere pazientemente come sempre, ma una risorsa che l’umanità stava mettendo in pericolo con comportamenti irresponsabili.
George Marsh era originario del resto nel Vermont, conosciuto America come The great mountain State (Il grande stato di montagna) e questo dice tutto sull’orografia del territorio. Il suo villaggio natale era Woodstock, che non è però quella del mega festival rock-hippie del 1969, celebrato invece a Bethel, nello Stato di New York.
Tra le foreste è nato, per le foreste si è battuto, da “padre dei grandi parchi americani” ha operato per creare quello di Yellowstone, l’enorme area naturale protetta che conosciamo soprattutto come “casa” di Yoghi e Bubu, gli irresistibili orsi dei cartoni di Hanna e Barbera. Circondato da una foresta è morto, nell’abbazia toscana di Vallombrosa, col rammarico che nei boschi intorno mancassero “essenze” americane, tanto che aveva chiesto a un amico di fargli arrivare semi degli alberi del New England, da piantare nell’Appennino.
Conquistato dal personaggio e dalle sue motivazioni verdi, Ciampi ha approfondito la figura e l’azione del Marsh primo ecologo, del viaggiatore, del geografo dilettante ma di talento, del conoscitore di realtà diverse. Uno che certo non stava mai fermo.
Anche Paolo una ne fa, cento ne pensa e mille ne progetta. Scrive in prima persona, chiosa frequentemente con sue considerazioni, apre parentesi. È un procedere in soggettiva, in costante presa diretta.
Nei miei ragionamenti, non procedo mai bello dritto, nemmeno mi piace. I pensieri sono farfalle che sfuggono al retino della logica, se logica c’è. Dico e divago, divago e dico. C’è di peggio, comunque.
E comunque la si pensi sul clima e sul riscaldamento globale, non si può non essere d’accordo con lui quando canta lodi al cielo azzurro di Firenze.
Non c’è niente di più bello, in giornate così… sui lungarni, a volte, tutto sembra costruito con la stessa materia dei sogni.
Delle tante bellezze della città dei Medici avrà goduto certamente, George P. Marsh. Amava l’Italia, raggiunta nel 1961 come ambasciatore dopo undici anni trascorsi in Turchia e mai più lasciata. È stato a Torino, Firenze, Roma, le tre capitali del neonato Regno dei Savoia. L’ha girata, guidato dall’innata curiosità di geografo per amore della natura, ha stretto contatti coi principali “italiani” dell’epoca e ammirava Giuseppe Garibaldi. Entrambi erano convinti antischiavisti e quindi schierati per la causa nordista: il diplomatico americano si spese per fare affidare al generale italiano reparti dell’esercito dell’Unione nella guerra civile americana. Non se ne fece niente, ma rimase la stima.
Felice Laudadio