#IncontriLive: intervista ad Anna Vallerugo
Anna Vallerugo è giornalista e traduttrice. Infaticabile, generosa, libera. Laureata in Lingue e Letterature Straniere, per vent’anni corrispondente de “Il Gazzettino”, si occupa di editing in lingua inglese, collabora con molte testate giornalistiche di critica letteraria, è redattrice di “Satisfiction” e “Gli Amanti del Libri” e presentatrice in eventi culturali, tra cui Pordenonelegge dal 2012. Ha curato volumi di narrativa e poesia italiana e ha ideato, da pochi giorni in libreria, “Satisfiction book, una bellezza vertiginosa” (Arkadia editore), una magnifica raccolta di recensioni e saggi brevi scritti per la rivista “Satisfiction” tra il 2014 e il 2021: con la grazia e la competenza che la contraddistinguono, Anna Vallerugo rende omaggio alla grande Letteratura, celebra la scrittura e le storie, viaggiando tra emozioni, parole, personaggi, ricordi, regalando a noi lettori “pezzi di critica letteraria che si leggono come degli appassionanti racconti” (Patrizio Zurru).
Ecco la sua intervista, liberamente ispirata al “Questionario di Proust”:
Il tratto principale del tuo carattere? La tenacia, credo.
Cosa vorresti che dicessero di te i tuoi amici? Che sono una persona affidabile, leale e intellettualmente onesta.
Cosa apprezzi di più di una persona? L’intelligenza emotiva, l’apertura mentale, la discrezione, il senso della misura. E l’assenza di spocchia.
“Satisfiction book, una bellezza vertiginosa”: come lo descriveresti a chi ancora non lo ha letto? Ti rispondo con le ragioni che mi hanno spinta a raccogliere alcune tra le recensioni scritte tra il 2015 e il 2021. Credo Satisfiction essere un caposaldo della critica libera: è anche questo uno dei motivi che mi spinsero a chiedere al suo ideatore e direttore (con Paolo Melissi), Gian Paolo Serino, di potervi contribuire. Questo, e l’operazione straordinaria della rivista di riuscire a scovare e pubblicare inediti straordinari, da Camus a Dickens, da Virginia Woolf a Carlo Emilio Gadda, tra gli altri, e che la distinguevano nettamente da altri spazi letterari. Per Satisfiction ho scritto decine di recensioni e saggi brevi su autori contemporanei italiani e stranieri, DeLillo, Roth, Cortazar, Salinger, Fenoglio, Bianciardi, Covacich, Haruf, Permunian e molti altri, che dopo la pubblicazione in evidenza venivano poi conservati nell’archivio. Purtroppo un imprevedibile stallo tecnico ne cancellò inesorabilmente buona parte: in pratica, di tutti i pezzi che avevo scritto non ne erano rimasti che una decina. Invece di ripubblicare quelli scomparsi con il rischio di un’eventuale nuova sparizione, sollecitata da alcuni amici che hanno insistito per dare loro una veste cartacea, ne ho fatto una selezione ragionata, un’operazione di recupero che ha trovato casa in Arkadia editore con il titolo Satisfiction book. Una bellezza vertiginosa.
È un libro magnifico che celebra la grande letteratura, le storie, la scrittura, le emozioni: che esperienza è stata per te? Grazie, grazie davvero. Nel mio piccolissimo, e in maniera del tutto parziale e di parte, l’intento era proprio quello. Il sottotitolo difatti deriva da una definizione che diedi di Rayuela, Il gioco del mondo di Cortazar, una lettura che per trama, stile e architettura trovai di “bellezza vertiginosa”, appunto. Ma in realtà tutte le recensioni e i piccoli saggi raccolti nel libro invitano a cercare pagine di grande bellezza sempre, anche altrove, senza pregiudizio. Devo dire che sono molto grata ad Arkadia editore che ha colto immediatamente le intenzioni sottese e ha dato al volume ogni supporto, fino a una veste grafica che trovo molto rappresentativa del contenuto.
Parafrasando la tua bellissima recensione a “La pastorale americana” di Philip Roth, è la solitudine comune che non permette di comprendere l’altro fino in fondo il fallimento della società e il male del nostro tempo? Certamente è uno dei mali che si alimenta da quello che definiamo in maniera impropria stile di vita, che stile non è, anzi è più vicino a una condanna, direi. La solitudine, la mancanza di confronto e di dialogo portano danno e false certezze, anche sterilità emotiva e non da ultimo creativa, oltre a pochezza di visione.
Citando il titolo originale de “Il giovane Holden”, cosa ci salva prima di cadere in un burrone? La speranza. Anche quella immotivata.
Nella tua vita, cosa è di una bellezza vertiginosa? I miei figli. In senso lato anche alcune letture, come accennavo prima, e la fortuna di poter ammirare opere d’arte in ogni forma. Ma nella mia vita privata, la mia bellezza vertiginosa sono solo i miei figli.
Una recensione di cui sei particolarmente orgogliosa? Quella de La vita agra di Bianciardi, che venne letta da oltre quarantamila persone (poi si impallò il contatore, in effetti non siamo mai riusciti a sapere quante visualizzazioni raccolse veramente) e quella di Pastorale americana.
Quanto è utile Facebook per promuovere la lettura? Moltissimo, specialmente per chi, come me, vive in una condizione di marginalità geografica (abito sulle Dolomiti, lontana dai centri della grossa editoria e perfino da dove i libri si possano acquistare: la prima cartolibreria è a dieci minuti di distanza. Per trovare una libreria tout court devo fare 35 chilometri. Certo che compero libri anche online, ma manca ovviamente tutto il lato umano dell’acquisto). Negli anni sui social si affina la ricerca, “ci si parla” tra persone con gusti simili o opposti (e in quel caso se ne discutono le ragioni), si trovano consigli, dibattiti. Non per niente nei ringraziamenti ho citato i tanti uffici stampa che mi hanno contattata su Facebook per poi inviarmi i libri poi recensiti e i contatti, gli amici, che si percepisce investono ogni momento libero nella lettura e scrittura e alimentano una contagiosa passione per i libri.
Cosa trovi poetico intorno a te? Forse un po’ troppe cose, temo: mi rendo conto mi colpiscano dettagli e espressioni che a altre persone non smuovono reazione. Non so se vada bene.
Il tuo peggior difetto? Sono schiva. In realtà io mi vedo soltanto riservata e rispettosa degli spazi altrui, ma so che passo per essere parecchio schiva.
Il tuo passatempo preferito? Ho pochissimo tempo libero: lavoro full-time, peraltro a una certa distanza da casa, e ciò mi occupa quasi tutta la giornata. Poi ho famiglia e casa, non ho aiuti domestici. E altro tempo se ne va per il caregiving quotidiano di persone anziane della mia famiglia di origine. Il pochissimo che mi rimane lo impegno in leggere, il più delle volte per scriverne.
Tre aggettivi che ti descrivono? Leale, empatica, severa con me stessa.
Tradurre libri è un lavoro difficile e bellissimo, è un po’ come costruire ponti tra paesi che altrimenti resterebbero isole. Salman Rushdie diceva che non si perde nulla nella traduzione, semmai si guadagna qualcosa: sei d’accordo? Assolutamente sì, il traduttore deve saper piegare la lingua e cogliere prima, rendere poi, ogni minima sfumatura di significato. Lo trovo uno dei lavori più belli al mondo e molto, troppo sottovalutato. Mi assicuro sempre di non scordare il nome del traduttore nelle recensioni, sempre.
Quando ti capitano quelle frasi quasi intraducibili in cui si annida lo spirito e la cultura di un popolo diverso dal nostro, come fai? Mi macero per giorni! E parto con una ricerca minuziosa di sinonimi che dura mezze giornate. Credo di essermi arresa all’uso della nota esplicativa due volte.
Quale autore contemporaneo meriterebbe più attenzione? Gran bella domanda. Con l’arroganza di una qualche supremazia del mondo occidentale su altre culture e la mancanza cronica di tempo per la ricerca, temo ci precludiamo la lettura di libri provenienti da altre parti del mondo: chissà cosa ci stiamo perdendo, quali autori di straordinaria bravura. Me lo chiedo spesso.
Un libro imprescindibile? Spero sempre il prossimo che leggerò.
Recensisci solo ciò che ami o cerchi sempre un compromesso tra gusto personale e necessità lavorative? Assolutamente ciò che amo, in piena libertà.
Se potessi recensire l’inedito di un autore/autrice del passato, chi sceglieresti? I primi nomi che mi vengono in mente sono Joyce, Proust, Racine, T.S. Eliot ma anche G. Eliot, Yeats, Kafka. E Flaubert. Non per esterofilia, per formazione, ho studiato principalmente letterature straniere.
Cosa detesti? L’atteggiamento egoriferito. Non mi riferisco alla presenza sui social in cui tutti, nessuno escluso, tra selfie e produzione regolare e abbondante di post abbracciamo un’estetica e un’etica di sovraesposizione che è figlia di questi tempi. Intendo l’atteggiamento che esclude il dialogo, quell’intima certezza di alcune persone di sentirsi per i più vari motivi superiori al mondo. Per rimanere in ambito letterario, l’incapacità di riconoscere, per esempio, valore e bellezza in libri altrui.
Un dono che vorresti avere? Non saprei, forse saper suonare uno strumento.
Per cosa vuoi essere stimata? Per la serietà professionale, per una forma di rigore.
Tre cose che salveresti dalla fine del mondo? Rischierei di cadere nella retorica: le cose che si augurano tutti, credo.
Lascia scritto il tuo motto della vita: oddio, sicuramente non ho una vita così esemplare o interessante da poter trarne un motto. Ma c’è una parola che tanto racchiude e per me si fa direzione fondante, ed è rispetto.
Roberta Di Pascasio
Il link all’intervista su AbruzzoLive: https://bit.ly/3LfjDBW