“Floridiana” di Emanuele Pettener
“Sono un uomo vecchio e, improvvisamente, celibe. Single. Ho lasciato mia moglie a settantun anni, dopo quarantotto di matrimonio, senza contare quelli di fidanzamento. Poh! Il gesto più coraggioso della mia esistenza.”
Thomas Giannini è giunto in quella fase della vita in cui ci si volta indietro. E ci sembra che tutto quello che abbiamo fatto – o perlomeno molto – lo abbiamo sbagliato. Una serie di piccoli, ordinari eventi che, giorno dopo giorno, sembrano averci allontanato da ciò che realmente volevamo essere, dai nostri obiettivi, dalle nostre ambizioni e, soprattutto, dai nostri sogni. Lavoro, matrimonio, figli, vita sociale, tutto ha concorso ad irretirci in una trappola, in una gabbia dorata, da cui il sottile e debole disagio quotidiano non è riuscito a spingerci ad uscirne. Così si sente Thomas.
Ha settantun anni, un’ottima disponibilità economica che gli proviene dall’aver esercitato con profitto la professione di dentista, ha una moglie ancora piacente e desiderabile e vive in Florida, uno dei luoghi che più somiglia al paradiso, con una giusta dose di natura selvaggia e comforts. Eppure, una mattina, succede qualcosa che rompe l’equilibrio. Un’epifania che destabilizza il suo sguardo sulla vita.
“Comunque, ieri mattina: il sole che brillava pimpante come un adolescente in vacanza sulle assi di legno della veranda e del pontile, sulle acque limpide della piscina e su quelle scure del canale, l’azzurro puro di marzo in South Florida, il tavolo di vetro accanto alla piscina imbandito di pane e marmellata di mango, frutta fresca e caffè, tutto sembrava perfetto, o lo era. Le stavo leggendo il mio ultimo racconto e, a metà della scena cruciale, lei mi domanda ex abrupto: «Ti sei ricordato i fagiolini?»”
È una mattina come tante, seduti al tavolo della colazione, Thomas intento a leggere la sua ultima fatica creativa alla moglie April. E lei gli pone una domanda che per lui ha la stessa portata di un martello che infrange un cristallo. Una domanda banale, che appartiene ad una quotidianità che nulla ha a che spartire con lo sforzo creativo dell’artista. Una domanda che denuncia una verità incontrovertibile: sua moglie non lo sta ascoltando. Di più, è completamente disinteressata alle sue parole, al suo mondo interiore. Insomma, una manciata di fagiolini con la portata deflagrante di una granata.
Ricordate Vitangelo Moscarda, quell’“uno, nessuno e centomila” di pirandelliana memoria, al quale una mattina, allo specchio, la moglie fa notare come il suo naso penda da una parte? Thomas all’improvviso avverte un senso di spaesamento, sente di non essere mai stato capito veramente, e, ora che è vecchio, ancor meno, trattato con condiscendenza, come un bambino che insegue un aquilone che mai raggiungerà.
“E quando sei vecchio tutti, ma soprattutto i tuoi famigliari, cominciano a trattarti come un bambino: ovvero diventano protettivi. In un modo ostentato, stomachevole. E hanno stampato in faccia questo sorriso imbecille, che vorrebbe esser di tenerezza, per quelle che sono le tue passioni che ti ostini a coltivare, le tue idee, le tue convinzioni, il tuo essere quello che sei nelle sue manifestazioni quotidiane […]”
Thomas ha sempre voluto fare lo scrittore. Anzi, no, Thomas si è sempre sentito uno scrittore. Chiuso, intrappolato nei panni di un dentista, ma assolutamente, senza alcun dubbio uno scrittore. Durante gli anni trascorsi lavorando e occupandosi della sua famiglia, nonostante gli impegni e le fatiche di una quotidianità invadente – i pazienti nello studio, il cambio dei pannolini ai figli, i barbecue in giardino o le domeniche in spiaggia , ha sempre cercato di non abbandonare il suo sogno. Scuole di scrittura, tentativi goffi di buttare giù qualche racconto che fosse decente, qualche piccola pubblicazione, ma mai nulla di veramente convincente. Mai nulla che avesse per firma il segno indelebile del talento. Ma Thomas non ha mai smesso di crederci, di nutrire quella cellula dentro di sé che rivendicava la sua vera identità, convinto che anche la sua famiglia, i suoi amici lo vedessero come tale.
“Non è terribile che – chi ti ama e tu ami per giunta – consideri hobby l’unico modo in cui tenti di esprimere quell’infinitesima cellula originale che, avvolta da mille sfoglie sociali e famigliari, possiamo chiamare definitivamente io?”
“[…] ecco, scrivere è il tentativo in extremis di non dar più così importanza al mondo, a quello che il mondo pretende da noi, e squarciare una a una le maschere fasulle che ci siamo appiccicati per accontentarlo, blandirlo, servirlo – e cercare invece quel nocciolo profondissimo di verità che sta dietro tutto e dentro noi, quel diamante purissimo, quel balbettio.”
Thomas non si sente al capolinea; ha ancora sogni che premono per essere realizzati, ha ancora pulsioni di desiderio, che fanno del sesso una voce all’attivo nel computo delle sue sensazioni quotidiane; ha ancora voglia di viaggiare e soprattutto ha voglia di scrivere. Avvilito – di più, ferito – e deciso ad operare una piccola vendetta nei confronti della moglie e di tutti quanti abbiano mancato in quel rispetto che la sua dignità di scrittore ha sempre sentito di dover meritare, Thomas compie un gesto che in fondo sa infantile, ma che fa proprio come farebbe un bambino per attirare l’attenzione su di sé: lascia April e se ne va via di casa. Ed è esattamente in questo momento che il romanzo ha inizio.
Tra imbarazzanti serate nei club indossando improbabili camicie hawaiane, solitarie notti trascorse nell’anonimato di un motel, sospetti di tradimenti e attacchi di gelosia per una moglie che, affatto addolorata dalla sua partenza, sembra aver trovato rapido conforto tra le braccia del suo seducente e più giovane ginecologo e l’inattesa occasione di un viaggio a Venezia, ultima possibilità per sentirsi lambito dalla voglia di vivere, Thomas si ritrova a ripercorrere i ricordi di un passato che vorrebbe mostrare come sacrificante ma che spesso ne esce dipinto con i colori della nostalgia, come un susseguirsi di piccoli gesti, tasselli che hanno costruito l’uomo che è. Una tenera battaglia tra le aspirazioni ignare della gioventù e le conclusioni, a volte agrodolci, ma in fondo più solide, della vecchiaia.
“Boca Raton era già sulla strada per diventare quella che poi sarebbe diventata: cittadina lussuosa e lussureggiante piena di parchi pubblici e piscine, boutique e ristoranti sgargianti, Jaguar decapottabili e Bentley color canna di zucchero che si dileggiano su vie tirate a lucido, decorate da lampioni stile rétro e cespugli perfettamente cesellati da giardinieri eburnei. Buen retiro di golfisti e tennisti, di ex imprenditori ex criminali con la gotta, prosciugati da decenni di droga e ore piccole, da stress e tabacco: insomma, vecchi e ricchi – le parole magiche per ogni dentista.”
“[…] Venezia dormiva sotto un cielo bianco. Era un incanto. Rochi richiami di gabbiani da lontano, bottiglie di birra vuote abbandonate ai piedi dei ponti, il fruscio sommesso delle scope degli spazzini a ripulire la città dai bagordi della notte. Borbottavano dai canali alcune barche pigre, il rumore secco di una serranda che si alzava rompeva la quiete, per un attimo, poi di nuovo la pace umida del primo mattino, le rose stillanti dai giardini.”
Accompagnando il suo protagonista tra i lussureggianti paesaggi della Florida e l’antica umidità veneziana, “Floridiana” – scritto da Emanuele Pettener per Arkadia Edizioni – è uno di quei romanzi che si leggono tutti d’un fiato, senza riuscire a staccarsi dalle pagine. È divertente, ironico, a tratti anche dissacrante nei confronti delle fragilità e delle debolezze che la vecchiaia fa spuntare sulla nostra pelle come funghi in un sottobosco di insicurezze latenti, con cui prima o poi ci troviamo a fare i conti . A volte non si può fare a meno di ridere delle trovate e dei ragionamenti di Thomas Giannini, ma molto spesso si ride con lui, riconoscendosi in quel suo doloroso fluttuare tra il desiderio di libertà, la voglia di godersi finalmente una vita di cui sentirsi padrone e la romantica, delicata malinconia per l’amore di quell’unica donna a cui sente di essere indissolubilmente legato e con cui sente di aver costruito, passo dopo passo, il senso della sua esistenza. Thomas è un essere umano che, come tutti, impara ogni giorno della sua vita. Ci mostra come, fino all’ultimo nostro respiro, giorno dopo giorno, ci sono sensazioni ed emozioni pronte a sorprenderci, anche se con colori e gradi di intensità differenti.
Ottima la prova narrativa di Emanuele Pettener, che, muovendosi con disinvoltura stilistica tra ironia e un malinconico disincanto, ritrae la continua tensione sotterranea che nella vita ci sbatacchia tra la scossa vivifica delle passioni e la confortevole accettazione di una felicità più domestica. E lo fa senza consegnarci una scontata risposta, ma lasciando disseminati tra le righe di questa sua storia, a volte più in profondità, a volte più affioranti, riflessioni e indizi.
Il link alla recensione su The Meltin Pop: https://bit.ly/3sAHyRW