A proposito di “Letti da un soldo”
Perdenti d’Argentina
La casa editrice Arkadia “scopre” Enrique Gonzáles Tuňón, narratore del primo Novecento. Nei suoi racconti, l’Argentina della miseria e del dolore: una testimonianza (a rovescio) dell’emigrazione italiana
Letti da un soldo (euro 14) di Enrique Gonzáles Tuňón, mai pubblicato prima in Italia, è l’ultima e meritoria iniziativa editoriale di ArKadia. Si tratta di una silloge di racconti, dialoghi e riflessioni in cui lo scrittore argentino, morto prematuramente nel 1943 a soli 42 anni, non solo dimostra il suo talento di narratore, la sua capacità di giocare con le idee e le parole ma ci offre anche uno spaccato della situazione sociale ed economica dell’Argentina negli anni tra i due conflitti mondiali, quando Buenos Aires cresce a dismisura per l’afflusso di migranti provenienti soprattutto dall’Italia. Vengono inglobati sobborghi che in precedenza erano ai margini se non fuori della cerchia urbana e il tessuto sociale si gonfia e si sfilaccia, mostrando crepe e smagliature.
A livello più specificamente culturale in quel periodo nascono due movimenti, Florida e Boedo che devono il loro nome rispettivamente a un caffè frequentato da alcuni intellettuali, tra cui J. L. Borges, e a una strada dei sobborghi. Gli aderenti a quest’ultimo movimento volevano cambiare il mondo mentre gli intellettuali di Florida volevano svecchiare la letteratura. Questi ultimi guardavano alla vecchia Europa e al surrealismo in particolare mentre i primi si ispiravano a Dostoevskij e a Maiakovskij. Tuňón si muove tra i due movimenti e se da un lato si fa portavoce delle istanze politiche e sociali delle fasce più deboli, dall’altro riesce a rinnovare le arcaiche strutture letterarie e giornalistiche.
Protagonisti di questi racconti, che pur essendo di lunghezza diversa finiscono col costituire quasi i capitoli di un breve romanzo, sono perdenti, disoccupati e ubriaconi, che non hanno una fissa dimora e che quando possono – quando cioè dispongono di un peso – dormono in 5 in una squallida camera di una locanda di infimo ordine, La Pignatta misteriosa dove regnano incontrastate muffa, cimici e puzza di vomito. È la miseria, declinata in tutte le sue forme, la vera protagonista di questi racconti ed infatti l’esergo tratto da una lettera di Oscar Wilde ad André Gide recita testualmente così: “… la povertà, la miseria sono una cosa terribile, infangano l’anima dell’uomo.” E nella miseria più sordida galleggiano i suoi personaggi come topi nella fogna, contrassegnati da una desolata solitudine e da una sofferenza immedicabile ed è allora che il confine tra bene e male, tra odio e amore si fa sempre più labile ed incerto. I contorni delle cose e dei personaggi sfumano e sul dolore degli uomini talvolta prevale o sembra prevalere il sentimento antico della pietà che consola e accomuna ma certo non riscatta, altre volte, invece, in Tuňón si fa strada una comicità che si accende di rabbia per l’assurdità della vita. Ed è allora che la borghesia, che sembra colpevolizzare i poveri perché non sono riusciti ad arricchirsi e perché non hanno il buon gusto e la decenza di nascondere la loro povertà, diventa oggetto di critiche feroci per la sua ipocrisia, per la sua cosiddetta normalità decorosa a cui si contrappone la vitalità febbrile e creativa di quella umanità dolente e passionale.
È l’estetica della marginalità quella di cui lo scrittore argentino si fa portavoce in questi racconti non è un caso che come musica di sottofondo, come ritmo di questa bohème letteraria, abbia scelto il tango a lui particolarmente caro avendo, tra l’altro, composto dei testi musicati da Carlos Gardel.
Negli ultimi racconti della raccolta, desunti da altre due sillogi, prevalgono invece la leggerezza, il tono stralunato e surreale e quel pizzico di malinconia che è proprio dei clown circensi in cui lacrime e sorrisi si fondono perfettamente e confermano la ricchezza interiore, la complessità e la modernità dello stile di Enrique Gonzáles Tuňón.
Francesco Improta