Intervista a Emanuele Pettener, in libreria con “Giovani ci siamo amati senza saperlo”
Il nostro collaboratore Vincenzo Mazzaccaro ha intervistato lo scrittore Emanuele Pettener, in libreria con “Giovani ci siamo amati senza saperlo” (Arkadia, 2022).
Emanuele Pettener è nato a Venezia ed è vissuto anche a Mestre. Dal 2000 vive negli Stati Uniti, precisamente a Boca Raton. Insegna lingua e letteratura italiana alla Florida Atlantic University, dove nel 2004 ha ricevuto il suo Ph.D. in Comparative Studies. Ha scritto cinque romanzi È sabato mi hai lasciato e sono bellissimo (Corbo editore, 2009), Proust per bagnanti (Meligrana editore, 2013), Arancio (Meligrana e Priamo editori, 2014), Floridiana (Arkadia editore, 2021), un saggio sullo scrittore John Fante, dal titolo Nel nome del padre, del figlio e dell’umorismo: i romanzi di John Fante (Cesati editore, 2010).
L’intervista è sul suo ultimo romanzo Giovani ci siamo amati senza saperlo (Arkadia editore, 2022).
Giovani ci siamo amati senza saperlo, per Arkadia editore, non è il suo primo romanzo. Ne ha già scritti diversi, più altri libri con la caratteristica del saggio. In Italia lei è amato da molti lettori fedeli, per gli altri lei è una sorpresa, come se questa sua ultima opera fosse il suo libro di esordio. Come ci si sente ad essere “finti esordienti”? Ci ride su oppure ci si arrabbia?
Non penso mai a queste cose. La composizione di un testo, per me, nasce da un oscuro bisogno d’ordine, simmetria, trasformazione, fuga – e pure dal fatto che l’università per cui lavoro lo esige. Si compie, dopo febbrili scambi di bozze, col classico “si stampi” accordato all’editore. A quel punto scatta un distacco emotivo. Seguo il libro nel suo percorso, mi metto a sua disposizione, con allegria e professionalità, ma senza frenesia. Con serenità papale accolgo recensioni positive e stroncature. A proposito, non sono “amato da molti lettori fedeli”. Lei è un burlone. Sono un ignoto professore tropicale che ogni tanto scrive romanzi, per distrarsi, divertirsi, gratificare la propria vanità. Alcune persone sentono questi libri affini alla propria personalità, altre li disprezzano con virulenza (vivaci testimonianze in rete), altre ancora, come la mia sposa, li considerano passabili ma sporcaccioni. Tutti insieme questi lettori giustificano l’investimento dei miei editori, suppongo, ma non arrivano ad essere “molti” e tantomeno “fedeli”, se no gli editori mi vorrebbero molto più bene.
La cosa che colpisce in questo bellissimo libro è la scrittura, così efficace e brillante. Come fa a scrivere di come ci si sente a vent’anni, quando se ne hanno molti di più?
Comporre qualsiasi genere di romanzo necessita buona conoscenza della psicologia umana. Nello specifico, aiutano la memoria nitida della mia giovinezza e la frequentazione quotidiana di ventenni, causa lavoro. Ma lasci che la ringrazi per la sua gentilezza. Lei è un burlone gentile, e io amo i burloni gentili.
Lei vive da molti anni negli Stati Uniti, precisamente a Boca Raton, in Florida. Gli scrittori americani cosa hanno di diverso? Degli anticipi più sostanziosi? Una maggiore considerazione?
Scrivere in inglese dà accesso a un mercato infinitamente maggiore che farlo in italiano. Da qui, penso, le naturali conseguenze.
Semplificando al massimo, Emanuele potrebbe essere lei, anche se la letteratura è anche finzione (anzi solo finzione a volte)… e poi c’è Rodrigo e Feli che lei tratteggia con molta vividezza. Come sono venuti fuori questi due personaggi ai quali si aggiunge Barbara, la ragazza di Emanuele, in un trio molto unito?
I personaggi devono essere vividi. La gente sciapa lasciamola alla realtà. Che comunque, spesso, offre modelli stimolanti: se somigliano a quelli che cerchi per la tua storia, si possono utilizzare, sottraendo o aggiungendo a seconda delle necessità. Insomma, si fa un casting e si cercano gli attori giusti. Dei quattro protagonisti di Giovani ci siamo amati senza saperlo, per la costruzione di due ho ricevuto qualche sollecitazione dal mio vissuto, gli altri due devono tutto alla mia immaginazione.
In questa intervista dovremmo parlare soprattutto di questo romanzo, ma ho anche letto in modo veloce Floridiana e Proust per bagnanti. Quello che colpisce è che pur avendo un suo stile riconoscibile lei scrive di cose diverse, ma ci convince tutte le volte. Come fa? Non che io voglia il segreto.
Nessun segreto, si figuri. Scrivere una storia è una forma di esplorazione (si esplorano temi, colori, possibilità stilistiche e narrative) e non è divertente esplorare quello che si è già esplorato.
Lei insegna lingua e letteratura italiana in una nota Università della Florida. Come sono i suoi studenti? Sono per lo più americani wasp o anche ispanici?
I miei studenti sono tutti bellissimi e posseggono alberi genealogici fra i più variegati e fantasiosi.
Una cosa che ci ha colpito molto è stata la gestione del Covid-19 negli Stati Uniti. Abbiamo avuto queste immagini soprattutto all’inizio della pandemia di una New York vuota, senza turisti e molto cupa. Com’è andata in effetti? Lei è rimasto a casa in quel frangente e faceva lezione via computer?
Facevo lezione via computer, sì. Ma per noi il lockdown è durato due settimane, e comunque i grandi spazi ci hanno sempre permesso di mantenere le distanze sociali “naturalmente”, fra parchi e spiaggia e ampi marciapiedi liberi di folle. Non siamo mai rimasti chiusi in casa. New York ovviamente era una situazione diversa.
Abbiamo un’immagine idilliaca degli scrittori americani, penso soprattutto a Stephen King o altri che possono vivere agiatamente scrivendo e basta, senza fare ulteriori mestieri per mantenersi. Ma vale per pochi, suppongo, o gli americani leggono più di quello che noi vogliamo pensare?
È idilliaca, confermo. Non perché tutti si mantengano coi proventi del libri, ma perché quasi tutti insegnano creative writing nei dipartimenti d’inglese – e qualcuno in quelli d’italiano – di pasciuti college americani. Il che fornisce tranquillità economica, otium petrarchesco, indecenti distese di tempo a disposizione.
Sempre dall’America quest’idea dei corsi di scrittura creativa che hanno sfornato buoni scrittori tradotti anche in Italia. Ma è così capillare la diffusione di questi tipo di corsi?
Sì, fanno parte dei programmi scolastici. Ci si può prendere un Dottorato in Creative Writing.
Com’è nata la passione per lo scrittore John Fante, tanto da dedicargli un saggio?
È nata prima che la Fantemania esplodesse. O almeno, io non ne sapevo nulla. Ero un giovanotto che vagabondava per le librerie, aprendo libri a caso, leggendo incipit. Mi colpì questo: “Era un momento importante della mia vita; dovevo prendere una decisione nei confronti dell’albergo. O pagavo o me ne andavo: così diceva il biglietto che la padrona mi aveva infilato sotto la porta. Era un bel problema, degno della massima attenzione. Lo risolsi spegnendo la luce e andandomene a letto”. Vi avvertii un umorismo che sentivo vicino. (La traduzione di Ask the Dust è di Maria Giulia Castagnone: sempre ricordare i traduttori quando si cita un passo).
I nostri lettori sono molto curiosi di sapere quali sono i libri che leggono gli scrittori. Ci sono dei libri che rilegge spesso?
Rileggo quasi ogni estate Il grande Gatsby, un’opera d’arte meravigliosa: ogni frase riesce a produrre un riverbero di luce in me e nella sua architettura perfetta tocca corde sconosciute, procurandomi commozione e felicità. A tutt’oggi non riesco a recitare le prime frasi di questo romanzo senza piangere.
Gli autori che rileggo costantemente sono: Agatha Christie, Oscar Wilde, Raymond Chandler, William Somerset Maugham, Vladimir Nabokov, Truman Capote, John Fante, certi sudamericani.
Ho un debole per gli inglesi, purché snob come solo loro sanno essere (Julian Fellowes, autore del capolavoro televisivo Downton Abbey, Stephen Fry, Eric Ambler, David Lodge, Alan Bennett) ma, pigro e curioso, mi piace viaggiare, sprofondato nella quiete soporifera del mio patio tropicale, per terre sconosciute. Recentemente me ne vo spesso in Argentina, Colombia, Cile, ma anche Giappone. Altri luoghi sembrano suscitare un’attrazione inferiore o nulla in me: Africa, Oceania, le borgate e i salotti romani.
Ci sono, invece, novità librarie che le sono piaciute, non solo nel 2022, ma anche durante il lockdown?
Ho letto alcuni ottimi romanzi italiani, per sapienza narrativa, tessitura verbale, forza d’immaginazione, precisione scientifica del dettaglio. (Diversi degli autori son diventati nel tempo amici, lo dico per correttezza. Io so bene quanto questo non influisca di una virgola nelle mie letture, e la purezza delle mie impressioni critiche, ma è legittimo che chi sta seguendo la nostra conversazione coltivi i suoi dubbi). Ecco una breve lista: Sylvia Plath. Le api sono tutte donne di Antonella Grandicelli (Morellini, 2022); La banda Brancatidi Vladimir Di Prima (A&B, 2021); Troppa verità di Paolo Calabrò (Bertoni, 2021); Il Caravaggio scomparso di Riccardo Ferrazzi (Golem, 2021); La ragazza andalusa di Alessandro Gianetti (Arkadia, 2020), Il mare a sinistra (e una moto Laverda in testa) di Arianna Franzan (Meligrana, 2020), Affetti collaterali di Eleonora Molisani (Giraldi, 2019), Dragan l’imperdonabile di Roberto Masiero (Infinito, 2019).
Mi vanto d’aver fatto conoscere e tradurre in America alcune poesie di Viviana Viviani e d’aver contribuito alla traduzione e pubblicazione per Bordighera Press (New York) di A Window to Zeewijk di Marino Magliani (originariamente pubblicato dall’editore mestrino Amos, nel 2014, col titolo Soggiorno a Zeewijk).
Marino in questi anni è diventato un caro amico, con cui condivido sogni e progetti, nonché la passione per la storia del calcio. Quando ci davamo ancora del lei, seduto su uno scoglio di fronte al Golfo del Messico, lessi Prima che te lo dicano altri (Chiarelettere, 2019), bellissima storia, luminosa, piena di sfumature e colori e profumi liguro/argentini: chiudo consigliandolo vivamente, mentre non consiglio a nessuno di leggere su uno scoglio, Golfo del Messico o meno.
Vincenzo Mazzaccaro
Il link all’intervista su SoloLibri: https://bit.ly/3UmyYlE