Premio alla carriera alla giornalista e scrittrice Valeria Ancione sul palco dello Switzerland Literary Prize 2024 che si è tenuto sabato 28 settembre a Lugano. Siciliana di nascita e romana di adozione, giornalista da più di trenta anni del Corriere dello Sport e autrice di quattro romanzi, tra cui uno per ragazzi Volevo essere Maradona (Mondadori) e l’ultimo E adesso dormi (Arkadia editore) uscito un anno fa, è stata scelta dalla Giuria con la seguente motivazione: “Per una carriera spesa all’insegna del giornalismo a tutti i livelli e in particolar modo nelle redazioni sportive regalando reportage, articoli e opere letterarie di elevato valore contenutistico”. “Alla soglia dei sessanta anni, questo premio arriva inatteso, riempiendomi di gioia e orgoglio – ha dichiarato Valeria Ancione. Per me è un riconoscimento a una vita spesa, cercando un giusto equilibrio, nella cura dei figli, della scrittura, figlia anch’essa, e nella dedizione a un mestiere bellissimo come il giornalismo, che per me è racconto, anche un titolo è racconto. A una donna, si sa, niente è dovuto, molti muri e molte salite, ogni fatica è moltiplicata per mille doveri. Il successo non è solo avere un nome riconoscibile, ma riuscire a fare quello che si è desiderato. E questo premio mi certifica un successo personale, non solo professionale e artistico, ma emotivo. Ringrazio tutti coloro che lo hanno reso possibile “. Un prestigioso premio della Svizzera nato per accomunare le popolazioni di tutto il mondo, condividere emozioni e valorizzare le culture linguistiche, una tappa significativa nella carriera di Valeria Ancione.
Siciliana, Valeria Ancione è nata nel 1966 a Palermo, ma è cresciuta a Messina e dal 1989 vive a Roma. Giornalista professionista, lavora al “Corriere dello Sport” dal 1991. Ama raccontare le donne. Si è occupata di calcio femminile, sostenendo sulle pagine del suo giornale la battaglia contro pregiudizi, stereotipi e discriminazione di genere. Del calcio in generale l’attrae la potenza di aggregazione e condivisione, meno le partite. Non è tifosa, ma simpatizza. È convinta che lo sport possa salvare la vita. Giocava a basket, nonostante l’altezza, è sempre a dieta, non ha mai tinto i capelli, legge sempre e ascolta audiolibri, ama il mare in modo viscerale e la Sicilia in modo possessivo, si commuove sullo Stretto, è orgogliosa di essere cittadina di Roma, ha tre figli nel secondo tempo dell’adolescenza che, se non si allunga un altro po’, forse sta finendo.
Nel 2015 ha esordito in narrativa con “La dittatura dell’inverno” per Mondadori. Nel 2019 con Mondadori Ragazzi ha pubblicato “Volevo essere Maradona” (biografia romanzata dell’ex calciatrice Patrizia Panico), aggiudicatasi il terzo posto al Premio Bancarellino e di cui la Lux Vide ha acquistato i diritti per produrre una serie tv. Nel 2022 è uscito per Arkadia “Il resto di Sara”, del quale esiste anche la versione audiolibro de Il Narratore, a cui ha fatto seguito per la stessa casa “E adesso Dormi” nel 2023.
Il 30 aprile 2024 è tornata in libreria nuovamente con “La dittatura dell’inverno” in una nuova edizione, grazie a il Narratore che lo ha rilanciato in audiolibro, ma anche nelle versioni cartacea e digitale.
Ivan Rota
Il link alle segnalazioni su Il Giornale d’Italia: https://lc.cx/ghcdCW
“Fieramente palermitana, ma altrettanto fieramente cresciuta a Messina”. Valeria Ancione vive da anni a Roma, dove è anche giornalista del Corriere dello Sport, ma non ha mai perso il suo forte legame con la Sicilia, come dimostrato anche dall’ambientazione messinese del romanzo “Il resto di Sara”, uscito nel 2022 per Arkadia editore. La sua ultima opera, “E adesso dormi”, è invece ambientata a Roma, sua città di adozione. Venerdì 24 maggio il libro è stato presentato presso il Salone degli Specchi del Palazzo dei Leoni di Messina. All’evento ha partecipato anche un gruppo di studenti del liceo scientifico Seguenza di Messina, che ha avuto l’opportunità di ascoltare e dialogare con l’autrice, ponendo particolare attenzione ad uno dei temi del romanzo, quello della violenza sulle donne.
“E adesso dormi” di Valeria Ancione: la storia di Gina
Il libro, edito da Arkadia nel 2023, inizia a prendere forma, nella mente e attraverso la penna della sua autrice, già nel 2015, subito dopo l’esordio con “La dittatura dell’inverno”. “Convinta che non fosse il suo momento”, Valeria Ancione lo aveva messo da parte, concedendosi il tempo per approfondire e riflettere. A dare il via alla storia è la scomparsa di Raffaele, marito violento della protagonista che verrà presto ritrovato morto. Al centro c’è lei, l’americana Geena Castillo, che a Roma è diventata Gina e che del giorno della scomparsa non ricorda molto. Il suo percorso verso la scoperta della verità si compone quindi di alti e bassi, dubbi e mistero. Con un’infanzia complicata e un matrimonio infelice e violento, in un momento così delicato Gina trae la sua forza dall’amore per il piccolo Jonathan, “la cui grave disabilità è la cosa più normale nella vita di Geena” e dall’amicizia di Lola e Mara, la cui vicinanza si dimostrerà fondamentale.
L’intervista di Valeria Ancione a BE SicilyMag
A BE Sicily Mag, Valeria Ancione ha parlato di “E adesso dormi” partendo da quello che è stato il punto d’avvio della sua storia, la volontà di raccontare un rapporto speciale e potente come quello tra Gina e il figlio Jonathan. “È anche un libro sulla maternità, a prescindere dalla disabilità di Jonathan”. Una maternità che viene descritta nella sua quotidianità: “Quello che volevo raccontare – ha spiegato infatti la scrittrice – è la normalità della vita di una famiglia in cui c’è un disabile. A volte la diversità la creiamo noi che non la viviamo. Se ci riguardasse tutti, forse la disabilità non esisterebbe”. Da questa scintilla, poi, la storia ha preso altre forme, declinandosi in mistero, introspezione e racconto della potenza dell’amicizia. “Il mistero era un’idea utile alla storia per raccontare la fine di un periodo della vita di Gina, che è stato di violenza. Non è il tema del romanzo ma è ciò che lascia in sospeso. Rappresenta la difficoltà di riconoscere certe scelte importanti della propria vita, quelle di Gina, ma anche di Lola e di Mara, che sono le amiche e che rappresentano una parte fondamentale nella risoluzione del problema, nel vivere questa attesa, prima di sapere come è morto il marito”. Quello della scelta è un tema ricorrente per la scrittrice siciliana. “Trovarsi di fronte a una scelta significa avviarsi verso un cambiamento e a volte il cambiamento fa paura. È un argomento che mi sta molto a cuore perché avere il coraggio di affrontare le verità è il sale della vita”. A proposito dei temi più delicati del romanzo, invece, la scrittrice ci tiene a precisare: “Il mio è un romanzo e non vuole essere un trattato sulla disabilità o sulla violenza, ma soltanto un racconto di vita”.
Non solo “E adesso dormi”, le storie di Valeria Ancione che rinascono come audiolibri
“E adesso dormi” sarà presto anche audiolibro. Com’era già successo per “Il resto di Sara” e “La dittatura dell’inverno”, il romanzo prenderà questa nuova forma grazie a Il narratore audiolibri e all’interpretazione dell’attrice e regista palermitana Virginia Alba. “Adoro gli audiolibri, li ascolto sempre mentre cammino”, ha raccontato Ancione. “Li trovo un altro tipo di comunicazione di emozioni, diverso dalla lettura”. La scelta della narratrice non è stata causale. “A proposito di Messina, Virginia Alba ha letto anche “Il resto di Sara” e mi aveva molto impressionato ascoltare i paesaggi che ho descritto. “La dittatura dell’inverno” mi ha impressionato ancora di più perché è un libro in prima persona, quindi a un certo punto Virginia diventa Nina, la protagonista. Sono molto legata a questo libro perché è il mio romanzo di esordio. Nina ed Eva camminano nelle altre mie storie proprio perché non le voglio far morire”. Quello con “La dittatura dell’inverno” è un legame reso ancora più evidente in virtù dell’annuncio della pubblicazione del libro anche in e-book e cartaceo con una nuova copertina, sempre con Il narratore: “Per me è un grande ritorno”, ha concluso.
Giorgia Nunnari
Il link alla recensione e all’intervista su BE SiciyMag: https://tinyurl.com/mr272puj
E adesso dormi, pubblicato dalla casa editrice Arkadia, è il nuovo romanzo di Valeria Ancione, che torna in libreria dopo il successo de Il resto di Sara. Siciliana, è nata nel 1966 a Palermo, ma è cresciuta a Messina e dal 1989 vive a Roma. Giornalista professionista, lavora al “Corriere dello Sport” dal 1991. Ama raccontare le donne. Si è occupata di calcio femminile, sostenendo sulle pagine del suo giornale la battaglia contro pregiudizi, stereotipi e discriminazione di genere. Del calcio in generale l’attrae la potenza di aggregazione e condivisione, meno le partite. Non è tifosa, ma simpatizza. È convinta che lo sport possa salvare la vita. Giocava a basket, nonostante l’altezza, è sempre a dieta, non ha mai tinto i capelli, legge sempre e ascolta audiolibri, ama il mare in modo viscerale e la Sicilia in modo possessivo, si commuove sullo Stretto, è orgogliosa di essere cittadina di Roma, ha tre figli nel secondo tempo dell’adolescenza che, se non si allunga un altro po’, forse sta finendo. Nel 2015 ha esordito in narrativa con La dittatura dell’inverno per Mondadori. Nel 2019 con Mondadori Ragazzi ha pubblicato Volevo essere Maradona (biografia romanzata dell’ex calciatrice Patrizia Panico), aggiudicatasi il terzo posto al Premio Bancarellino e di cui la Lux Vide ha acquistato i diritti per produrre una serie tv. Nel 2022 è uscito per Arkadia Il resto di Sara, del quale esiste anche la versione audiolibro de Il Narratore.
E adesso dormi: Sinossi
E adesso dormi esce nel 2023 per la collana Eclypse.
Ci sono giorni in cui Gina è stanca, così stanca che le viene da piangere, e si fa molta più pena di quando Raffaele la picchiava. Ed è in questi giorni che Jonathan urla e si dimena di più: «Adesso dormi», lo implora ma lui non capisce. La mano è appesa al campanello e Gina non si decide a premerlo. La fronte appiattita sullo spioncino si fa carico di tutto il peso del corpo affaticato dai tre piani di scale, dalla giornata, dai cattivi presagi. D’improvviso la porta si spalanca e la sorprende, sta per rovinare a terra ma Lola, d’istinto e forza, la afferra salvandola da caduta certa.
«Gina, che combini!», esclama.
«Io che combino? Tu piuttosto, perché apri la porta se non ho suonato?»
«Benedetta da Gesù Bambino! Dai entra, sbrigati, dobbiamo parlare.»
«Di cosa?»
«Della polizia! L’ho vista aggirarsi qua attorno.»
Un romanzo al femminile, intenso e agganciato alla cruda realtà odierna, in cui la protagonista si trova a dover combattere una personale lotta per la sopravvivenza. Geena Castillo è fuggita dagli Stati Uniti per allontanarsi da un padre violento e una madre succube. Arriva a Roma inseguendo il suo sogno d’amore che si trasformerà in incubo e un’autentica prigione: il marito Raffaele infatti si rivelerà peggiore del padre. Nemmeno la presenza del figlio disabile risolve una situazione in cui la brutalità resta il pane quotidiano. L’unica cosa da fare è separarsi. Anzi di più: ucciderlo. Raffaele scompare e la vita di Geena, che in Italia è diventata Gina Drago, sembra prendere una piega diversa. Invece, tutto precipita quando un giorno la polizia bussa alla porta di casa della donna, per condurla con sé: c’è da identificare un cadavere appena ritrovato, che si sospetta essere quello del marito. Saranno la vicinanza di altre due donne, la presenza del piccolo Jonathan, la cui grave disabilità è la cosa più normale nella vita di Geena e un incontro casuale con un uomo affascinante a cambiare la prospettiva e riaccendere la speranza di ritagliarsi un pezzo di felicità nel mondo. “Un romanzo che mi ha aperto il cuore fin dalle prime righe…” ha dichiarato l’editore é “il romanzo nel cassetto” dell’autrice, come ella stessa ha spiegato. “Scritto dopo l’esordio del 2015 (La dittatura dell’inverno, ovvero Nina), di tanto in tanto ci tornavo aggiustando qualcosa, cercando la sua giusta evoluzione. Nello sfondo dominano l’amicizia e il coraggio delle donne, che sono capaci di scelte estreme quando arrivano al basta, al limite. Temi importanti più che pesanti, che fanno parte della nostra realtà, che non sono però sinonimi di tristezza, è come si raccontano che fa la differenza. E tutto questo tempo trascorso mi è servito per capire se avevo raccontato nel modo giusto e se la storia fosse pronta per tutti e non fosse più solo la ‘mia’ storia”. Valeria Ancione, del resto, ama raccontare le donne e questo lo avevamo capito già dalle sue opere precedenti, Attraverso le pagine di questo nuovo libro lo fa dando vita a un romanzo sull’amicizia, condito da un piccolo mistero.
Melania Menditto
Il link alla recensione su ’900 Letterario: https://tinyurl.com/54646uk8
Dopo Il resto di Sara (Arkadia 2022), Valeria Ancione torna, sempre per i tipi di Arkadia Editore, con un nuovo romanzo: E adesso dormi. Siamo a Roma e la protagonista – Geena Castillo – è scappata dagli Stati Uniti e da quel suo padre violento per sposare un italiano: Raffaele Drago. Geena sogna una nuova vita finalmente libera e felice ma, come spesso accade in questi patterns emotivi, è passata dalla padella alla brace e si ritrova con un figlio disabile (Jonathan, sua unica ragione di vita) e un marito che la umilia, la maltratta, la violenta in ogni forma possibile. Geena ha imparato a schivare i colpi, quelli della vita. È abituata a tacere, a nascondersi, a obbedire, ad annullarsi. Inizia a pensare che quello è e sarà per sempre il suo destino, che non merita di avere di meglio, che bisogna semplicemente imparare a subire senza cercare altro, senza pretendere nulla, senza difendere i propri sogni e le proprie speranze. Arriva però, finalmente, quel giorno zero, quell’attimo nel quale ci si rende conto che la vita può e deve essere diversa perché «… da certi uomini ci si salva da sole, quando si decide fermamente di volersi salvare». Al fianco di Geena due amiche preziose con le quali condividerà segreti, esperienze, gioie e dolori. «Tutti abbiamo fragilità che ci fanno tirare fuori una forza disperata e reazioni apparentemente sconsiderate e definitive» e questo vale anche per le tre amiche unite da drammi, reazioni e vite vissute. Il tema dell’amicizia vera, incondizionata e rara, che pare essere sullo sfondo, è raccontato in maniera pratica ed efficace. Ancora un romanzo tutto al femminile dunque, dove le donne portano sulle spalle il peso della propria vita con dignità e decoro, nonostante i tacchi. Un romanzo delicatissimo che tratta la violenza e la disabilità, temi portanti dell’opera, in modo tanto lieve quanto incisivo. Una storia di forza e di rinascita della quale il lettore non è soltanto spettatore passivo perché, in un modo o nell’altro, ognuna di noi si può riconoscere tra le righe. Le pagine scorrono che è una meraviglia e la Ancione si conferma una grande narratrice sostenuta da una casa editrice che è ormai garanzia di qualità letteraria.
Da leggere!
Flora Fusarelli
Il link alla recensione su Rinascitaoggi: https://tinyurl.com/mrefv528
Tra le regole della narrativa c’è quella che bisogna torturare per benino i propri personaggi perché una storia funzioni. L’eroe, si sa, deve affrontare mille prove prima di raggiungere il lieto fine. Ma verrebbe da dire che Valeria Ancione, nel suo E adesso dormi, esageri. Il libro infatti inizia così:
“Ci sono giorni in cui Gina è stanca, così stanca che le viene da piangere, e si fa molto più pena di quando Raffaele la picchiava. Ed è in quei giorni che Jonathan urla e si dimena di più: «Adesso dormi», lo implora ma lui non capisce”.
La protagonista sfinita
Gina è una donna martoriata dalla vita. Ha lasciato gli Stati Uniti inseguendo il sogno d’amore, ma il marito si è rivelato tutto tranne che l’angelo che credeva: per anni l’ha gonfiata di botte con il minimo pretesto. Il figlio di cinque anni è fortemente disabile. Non parla, non cammina, emette lamenti, si colpisce la testa e il volto, morde, urla, piange, con gli occhi sempre persi nel vuoto. Lei fa le pulizie di sera in uno studio di avvocati e quando torna a casa prende Jonathan dalla vicina, mangia un tozzo di pane secco e si addormenta insieme a lui. La mattina esce di casa alle sei per andare a pulire le scale di un palazzo di otto piani. È talmente magra che teme che il vento se la porti via.
“Un’americana in Italia a fare le pulizie è innaturale”.
Questo le dice Lola, l’amica che le tiene Jonathan quando va al lavoro e che abita sul suo stesso pianerottolo. Insieme a Lola – che passa con suo figlio più tempo di lei – e a sua figlia, formano una strana famiglia con due madri e senza padre. Lola è il pilastro della sua vita. Senza di lei, Gina non ce la farebbe.
Il marito scomparso
Capiamo ben presto che Gina non si è liberata del marito, né lo ha lasciato. Semplicemente lui è scomparso e quindi lei teme costantemente il suo ritorno. Poi la storia si tinge di giallo. Che cosa è successo al marito? È stato ucciso? È stata lei a spingerlo in un burrone il giorno che hanno fatto un picnic? Sembra ci sia una macchina con due uomini sotto casa che spiano i suoi movimenti, oppure è tutta una sua “paranoia”? Forse è la polizia? La protagonista ha una scarsissima considerazione di sé, ma esce sempre truccata anche quando va a lavorare di notte in un ufficio vuoto. Mette rimmel e rossetto; sembra quasi un rituale scaramantico perché Gina si considera bruttina. Non sappiamo però se lo sia davvero o se sia l’ennesima manifestazione della sua disistima. Questa parte da lontano. In famiglia Gina subiva le continue aggressioni del padre. Per evitare che picchiasse la madre, lo provocava e si offriva come capro espiatorio prendendo le botte al posto suo.
“È così che purtroppo sono cresciuta, con la convinzione che esistano diverse forme d’amore e che quelle di mio padre e di Raffaele fossero tutto sommato forme possibili o sopportabili”.
È perciò passata dalla padella alla brace. Per liberarsi del padre violento è finita con un marito che è anche peggio e stavolta in ballo c’è suo figlio Jonathan. Il marito non ha mai accettato il figlio ritardato, maledice il giorno in cui è nato e ovviamente dà tutta la colpa a lei. Gina subisce qualsiasi cosa purché lui non tocchi il bambino.
“Una dedizione totale e forse anche un nascondiglio. Alla fin fine una ragione di vita spesso è un rifugio dalla realtà e Jonathan era la sua ragione di vita”.
Il neonato perenne
Questa dedizione totale al figlio che rimarrà un neonato per sempre, mi ha fatto inevitabilmente pensare a Il bambino, il romanzo di Massimo Cecchini candidato allo Strega lo scorso anno (leggi qui). Anche in quel caso, il bambino fortemente menomato, diventa il motivo di vita per un nucleo famigliare allargato. E come in quel caso, Jonathan è molto difficile da gestire e ha bisogno di una costante sorveglianza e assistenza. Ai numerosi handicap fisici si aggiunge il fatto che il piccolo non riesce a comunicare in nessun modo e quindi è molto difficile da capire.
Inoltre in entrambi i romanzi c’è un fondo autobiografico. Tutto si svolge nel quartiere di San Lorenzo che è visto come una specie di paesello con file di panni stesi, ballatoi, voci di donne e bambini, dove tutti si conoscono e sono solidali. Tutti sanno tutto degli altri, anche se questa descrizione sembra raccontare più un mondo del passato che quello di oggi.
Il peso dei segreti
Alla famiglia composta da Gina, Lola, Jonathan e la figlia di Lola, a un certo punto si aggiunge anche Mara. Gina la conosce mentre fa le pulizie di sera perché Mara resta sempre al lavoro fino a tardi, come se non avesse una vita privata. È a Mara che chiederà aiuto quando avrà bisogno di un avvocato a causa del marito scomparso e poi ritrovato morto. Anche Mara ha un segreto nel suo passato che le sta rovinando la vita e il confronto fra le due donne sarà come un detonatore che farà saltare le parti incrostate e dolenti delle rispettive esistenze. In questa nuova famiglia in cui si sente accolta e al sicuro, Gina realizza che nella sua famiglia d’origine quello che mancava era proprio l’amore, mancava un autentico sentimento che è mancato anche nel suo matrimonio. È un mondo tutto al femminile quello in cui trovano riparo queste tre donne ferite dalla vita che però insieme riescono a prendersi cura di se stesse e delle altre. Quella che più mi è piaciuta è la grande forza che nasce da una estrema debolezza, grazie al loro sodalizio. In E adesso dormi, Valeria Ancione ci ricorda, forse con un pizzico di idealismo, che l’amicizia è qualcosa di bello, prezioso e molto potente.
Tiziana Zita
Il link alla recensione su Cronache Letterarie: https://tinyurl.com/23pb3ndu
Ho appena rimboccato le coperte a mia figlia che fa fatica a tenere gli occhi aperti mentre guarda la tv dal suo letto. I capelli biondi come il sole, le guance morbide, le labbra rosse come le ciliegie. Le do un bacio sulla fronte e le sussurro “Adesso dormi amore mio”. Spengo la sua tv e la luce, chiudo la porta e sorrido perché so che è serena, che è felice, che si sente amata, so di amarla di un amore che non ha eguali. Essere mamme è qualcosa di meraviglioso e complesso ma non è sempre semplice, spesso è difficile, sovente si perde la pazienza presi dalla stanchezza, dalla quotidianità, dallo stress del lavoro, le responsabilità, i problemi familiari, e nel momento in cui i nostri piccoli chiudono gli occhi per dormire è come se il tempo si fermasse, dandoci la possibilità di recuperare, di respirare, di riprenderci qualche momento per noi stesse. Quando ho iniziato questa lettura, mi sono trovata molto nella stanchezza della protagonista Gina, esausta al limite della sua pazienza, a volte infastidita da tutto e da tutti e anche da se stessa. Gina non è perfetta e non ha la presunzione di sentirsi tale è una donna fragile e forte allo stesso tempo. Debole, insicura e vulnerabile ma sopra ogni cosa è esausta. La differenza tra me e Gina è che la sua vita non è così semplice come la mia, vive una relazione con un uomo violento e con un bambino cerebroleso e ha su di sé tutto il peso delle responsabilità del mondo, di se stessa, di suo figlio e della sua famiglia. Gina è una donna che affronta ogni giorno un inferno fatto di gioie frammentate; tra i pianti di un figlio con cui non può comunicare, e la sofferenza di un marito che attende ogni occasione per farle del male. Gina non ha mai conosciuto amore, tenerezza e affetto nemmeno da parte di suo padre il quale la abusava verbalmente. Gina ha una vita soffocante e oscura, quando conobbe suo marito pensò di aver trovato l’amore, le attenzioni che tanto desiderava avere e sognare e dall’America decise di trasferirsi con lui a Roma nel quartiere popolare di San Lorenzo: un quartiere dove per qualche anno ho vissuto e per cui conosco molto bene quella realtà romana particolare; un quartiere che è un grande paese dove tutti si conoscono, dove tutti si sostengono in contrasto con la vita dispersiva di una capitale Romana presa dalla sua frenetica quotidianità. San Lorenzo è un quartiere a parte, un quartiere che ha un cuore un po’ antico. Quando suo marito scompare si sente quasi libera, seppur con la costante paura che possa tornare a turbare la sua esistenza e quella del suo bambino, la sua vicina di casa e fedele amica è la sua colonna, la sua forza e il suo sostegno, colei che l’aiuta la sostiene e le vuole bene. Molte donne che desiderano un figlio tendono a immaginare la maternità come qualcosa di magico, di naturale, di bello, una dedizione continua, un connubio di amore e tenerezza infinita; ma la maternità è anche disagio, stanchezza, senso di inadeguatezza, frustrazione, è sacrificio e rinuncia. Non lo dico da mamma inesperta ho 4 figli, tutti voluti li amo con tutta me stessa ma non è sempre stato un carnevale di Rio occuparmi di loro, bilanciare lavoro dai turni lunghissimi, la scuola le attività post scolastiche, i compiti, i malanni, le liti tra fratelli e sorelle, le passeggiate, le incombenze economiche, i capricci, una mamma anziana con demenza…Sapete quante volte ho desiderato di non averli? Eh sì sembroblasfema lo so, affermare un pensiero così forte dimostra che non li amo? Eh no dimostra che a volte ho pensato di non essere brava abbastanza, adeguata a sufficienza, perfetta come la società si sarebbe aspettata da me, la mamma con il grembiulino che prepara la torta per i suoi figli, che dedica tutta se stessa alla loro educazione e al loro sviluppo. Io sono una mamma che ha dato sempre molta importanza alla sua professione per due motivi: perché è ciò che amo fare e perché è ciò che mi permette di garantire una vita decorosa e dignitosa alla mia famiglia insieme a mio marito. Mio marito è nato per fare il padre, io son nata per fare la figlia. Sono una donna imperfetta e amo ogni mia piccola imperfezione e mi auguro che i miei figli siano imperfetti e che si innamorino del loro essere senza aver timore di deludere le aspettative di qualcun altro. Gina ci mostra la forza dell’amicizia, la resistenza ai traumi e al dolore, all’accettare che di alcune situazioni che abbiamo vissuto non abbiamo colpa e che non dobbiamo ereditare l’aridità dei sentimenti e delle emozioni dai nostri genitori. Dobbiamo analizzare il nostro cuore, le nostre sensazioni, inseguire i nostri sogni e affrontare anche i nostri stessi incubi da soli ma senza aver paura di affidarci all’aiuto e al conforto di un’amica, che sia disposta ad ascoltarci e ad apprezzarci con tutti i nostri difetti. La donna tende a cercare in un uomo la figura paterna io ho cercato la figura che più si distaccasse dall’immagine di mio padre. Volevo un amore puro, sincero, onesto vero volevo per i miei figli il padre che avrei meritato di avere. Il dolore di Gina sembra una safe zone in quel malessere, in quel pericolo costante; sa come muoversi, sa come gestirsi, sa come affrontare la sua esausta realtà mentre la liberta è qualcosa di grande di immenso; un salto nel vuoto, un’esplosione di aria fresca dopo essere stati rinchiusi a lungo avvolti da un tanfo irrespirabile: in quel momento in cui si respira finalmente l’aria pulita ci causa perfino dolore. Gina è impaziente a volte con suo figlio, lo guarda con amore, a volte rassegnata, altre volte è perfino felice. Un libro che ci mostra il vero volto di una famiglia dove la violenza e il disagio sono radicati nel profondo, dove la disabilità di un figlio viene sobbarcata esclusivamente dalla mamma, che ha speranze, desideri e sogni per un figlio che non sa nemmeno parlare, eppure i bambini speciali ci insegnano un’altra visione della vita. Un figlio è una ragione di vita, un’ancora di salvezza, può essere il mezzo con cui fuggire da una triste e dolorosa realtà. L’autrice affronta la maternità, la disabilità, l’abuso domestico, la violenza psicologica, le battaglie delle donne per le donne, il potere e la forza dell’amicizia: perché ci sono alcune amiche che sono uniche. E quel bambino così piccolo, un angelo fragile nato senza il dono delle ali ma che è ugualmente capace di volare quando a tenerlo per mano è un amore imperfetto e incondizionato. Un romanzo che affronta temi importanti e attuali con rispetto con consapevolezza e responsabilità Una scrittura graffiante che lascia cicatrici sull’anima e sul cuore del lettore ma che ci mostra un volo bellissimo verso la libertà.
Cosa significa Jonathan? Dono di Dio il suo istinto di sopravvivenza come sempre si era messo in moto: “Gabbiano, vuol dire gabbiano”.
Volano gli uccelli volano
Nello spazio tra le nuvole
Con le regole assegnate
A questa parte di universo
Al nostro sistema solare
Aprono le ali
Scendono in picchiata, atterrano
Meglio di aeroplani
Cambiano le prospettive al mondo
Voli imprevedibili ed ascese velocissime
Traiettorie impercettibili
Codici di geometria esistenziale
Migrano gli uccelli emigrano
Con il cambio di stagione
Giochi di aperture alari
Che nascondono segreti
Di questo sistema solare
Aprono le ali
Scendono in picchiata, atterrano
Meglio di aeroplani
Cambiano le prospettive al mondo
Voli imprevedibili ed ascese velocissime
Traiettorie impercettibili
Codici di geometria esistenziale
Volano gli uccelli volano
Nello spazio tra le nuvole
Con le regole assegnate
A questa parte di universo
Al nostro sistema solare
(Franco Battiato, Gli uccelli)
Barbara Anderson
Il link alla recensione: https://bitly.ws/3dGCV
Un padre verbalmente abusante, una madre succube, un marito violento e un figlio di cinque anni disabile: la vita di Geena Castillo non è quel che si dice “rose e fiori”. Affiancata nella sua estenuante esistenza dall’amica e vicina di casa Lola, la quarantaduenne sogna spesso di liberarsi del coniuge, che dopo averla convinta ad abbandonare gli Stati Uniti e a seguirlo in Italia ha smesso gli abiti dell’amante affettuoso e ha indossato quelli del carnefice. Quando un giorno la polizia suona alla porta e le comunica che il corpo dell’uomo è stato trovato senza vita, Geena non è né sorpresa né triste: è la sua occasione di essere finalmente libera, insieme a quel bambino che pur non parlando domina le sue giornate.
E adesso dormi è il quarto libro di Valeria Ancione, scrittrice e giornalista, che ai lettori consegna una nuova normalissima eroina del quotidiano. Con Famiglia Cristiana l’autrice ha parlato del suo desiderio di raccontare le donne, di dipingere il loro universo, e di far luce, con questo romanzo, sulla non diversità della disabilità.
Il titolo richiama la frase con cui la protagonista cerca sempre di far addormentare il suo bambino. È solo una questione di rimandi intertestuali?
«In realtà, è il primo titolo a cui ho pensato quando ho cominciato a scrivere il romanzo, che rispetto ad ora aveva un finale molto diverso. Diciamo che l’esclamazione racchiude un doppio significato… se in senso positivo o negativo si scoprirà solo alla fine del libro».
La trama ruota attorno alla vita di Geena (naturalizzata italiana con il nome Gina), alle prese con due lavori, un marito scomparso, Raffaele, e un figlio disabile, Jonathan. Dove ha preso l’ispirazione?
«Da Francesco, il bambino a cui è dedicato il romanzo, che ha una disabilità ed è il figlio di una mia carissima amica. La mia esperienza mi dice che quando la disabilità la indossi non è più diversità, bensì normalità: per questo nel libro la menomazione di Jonathan risulta la cosa più bella della vita di Gina, quella che le dà la forza e la determinazione per risolvere i suoi guai. Non è una sfortuna, ma un modo diverso di vivere la vita».
La maternità, nel romanzo, non viene dipinta come una missione a cui tutte le donne devono ambire: Gina stessa ha difficoltà a gestire suo figlio, a volte lo tratta male, non lo capisce, piange.
«La maternità non è una favola, sia che tu abbia un figlio in salute, sia che tu non lo abbia. Nel caso di Gina, lei si trova ad avere a che fare per sempre con un bambino che, cerebralmente, è come un neonato e che, come tutti i neonati, comporta una rinuncia totale di sé. Non esiste la perfezione nella maternità, dobbiamo ricordarcelo: perseguire questo assurdo ideale ci porta ad annullarci e a stare con il fiato sul collo dei nostri bambini».
Nel libro sembra ricorrere l’idea del trio: tre sono le amiche protagoniste, tre i membri della famiglia originaria di Gina e di quella che si crea, tre i vicini di casa che si prendono cura di lei. È una coincidenza o c’è di più?
«È una coincidenza, ma trovo meraviglioso che chi legge il libro noti delle cose a cui io non avevo minimamente pensato! [ride, ndr]».
Gina è la quarta donna protagonista dei suoi romanzi: prima di lei ci sono state Nina ed Eva in La dittatura dell’inverno, Patrizia in Volevo essere Maradona, Sara e Nenzi in Il resto di Sara. C’è un filo rosso che le lega?
«Nina ed Eva appaiono, un po’ alla Hitchcock, anche in questo romanzo. Quando scrissi La dittatura dell’inverno, la mia editor di Mondadori mi disse una frase bellissima: “Come racconti tu le donne, nessuno”. Io mi occupavo di calcio femminile al Corriere dello Sport, avevo parecchio a che fare con le donne, in un ambiente tra l’altro fortemente maschile. Ed è questo che lega le mie protagoniste: sono diverse, ma sono tutte donne».
È un modo per dare voce al femminile?
«Esattamente. Io sono un’appassionata di Marcela Serrano, ho sempre voluto essere come lei, per questo parlo di donne: mi piace portare sulla pagina la loro capacità di innamorarsi delle persone, delle cose, di quello che fanno, ma anche narrare le loro imperfezioni e le loro emozioni. Ho dato voce a tante tipologie di donne e a tante fragilità. E sono tutte storie che mi arrivano dalla realtà, da racconti diretti o indiretti che sento».
Tornando al suo romanzo: in un’intervista a Repubblica lei ha affermato che il suo editore ha faticato un po’ ad accettare che una delle protagoniste, Mara Gorlier, fosse un’avvocata, e non un avvocato. La spinta all’emancipazione passa dunque dal linguaggio?
«Assolutamente sì: il linguaggio ha un suo peso. Mi disturba, lo ammetto, l’uso dell’asterisco, perché non ha senso nella grammatica italiana, ma tutti i nomi maschili che sono trasformabili nel genere non vedo perché non possano essere usati al femminile. Più diciamo “avvocata”, ad esempio, più ci abituiamo a sentirlo e a usarlo, così come siamo ormai abituati a sentire “la ministra” o “la sindaca”. Eppure, a tantissime donne piace svolgere un lavoro considerato tipicamente da maschio e farsi chiamare con il nome della professione al maschile».
E adesso dormi è il racconto di un’amicizia femminile, ma anche di schemi disfunzionali che si trasmettono di genitori in figli: Gina, infatti, è cresciuta con un padre padrone e una madre succube, e con Raffaele ha involontariamente ricreato la stessa dinamica. Come si spezza il circolo?
«Non è facile. Queste dinamiche fanno parte soprattutto della mia generazione: avevo compagne di classe che subivano violenza, anche fisica, da parte del padre, oppure vivevano con madri che non avevano il coraggio di opporsi a certe angherie perché altrimenti poi le “prendevano”. Erano cose normali per la mia epoca. Che continui a esserlo tutt’ora, mi fa impressione: vedo molte donne giovani che hanno un atteggiamento, se non succube, per lo meno servile. Forse il circolo si può spezzare solo per partito preso, decidendo insieme al proprio partner che le cose si fanno in due, che si impara insieme, che si è una squadra. La tendenza a ricercare nel compagno la figura paterna, purtroppo, continua a essere una possibilità fortissima. È come se non fossimo capaci di liberarci di ciò che abbiamo subìto, pertanto lo andiamo a cercare: è la nostra zona di conforto, perché in quella cosa là sappiamo come muoverci».
Viene un po’ spontaneo, per chi lo ha visto, pensare al film di Paola Cortellesi, C’è ancora domani, che pur avendo una trama diversa affronta in fondo lo stesso tema. Che ne pensa, lei?
«L’ho visto insieme a mia figlia, sollecitata dal grande successo che aveva ottenuto. A prescindere dal giudizio estetico, ciò che importa è quello che questo film ha seminato e le emozioni che ha suscitato: se continua ad attirare gente nei cinema, significa che è un film potente».
Micol Vallotto
Il link all’intervista su Famiglia Cristiana: https://bitly.ws/3awqI