L’antico Egitto. La storia, i personaggi, la società di Daniele Salvoldi
Arkadia, 2020 – Un breve volume, una piccola guida aggiornata che mette in luce le novità nell’egittologia, smaschera i luoghi comuni, evidenzia le nuove certezze e accenna al dibattito su alcuni temi caldi di una materia sempre affascinante.
Una storia di 500mila anni. A tanto risalgono le prime tracce di presenza umana nella Valle del Nilo. Rinvenuti nei deserti che la fiancheggiano, oggetti in pietra scheggiata sono stati datati come manufatti risalenti a 5mila secoli indietro. Non era certamente la mitica civiltà egizia, ma indica la presenza di individui coscienti in quel territorio. Certo, per vedere all’opera il giovane faraone Tutankhamon si dovrà attendere il 14° secolo prima di Cristo, ma 500 millenni è l’enorme arco temporale della vita in riva al fiume benefico. Ed è il punto di partenza di un breve saggio dell’egittologo Daniele Salvoldi, L’Antico Egitto: la storia, i personaggi, la società, pubblicato dalle edizioni sarde Arkadia nel 2020 (Biblioteca paperbacks, 144 pagine). L’autore, quarantenne, è un affermato specialista internazionale. Ha studiato storia e archeologia del mondo antico nell’Università di Milano e lingue e culture del Medio Oriente a Pisa, dove ha conseguito il dottorato in egittologia. Nel 2011 ha completato il catalogo della raccolta Bankes di Dorchester, in Inghilterra: disegni ritrovati in Egitto e Nubia. Per due anni ha lavorato nel Dipartimento di storia antica della Freie Universitat di Berlino, tenendo un corso sull’istruzione e la politica nell’Egitto romano. Insegna storia dell’architettura antica e classica nell’Arab Academy, tra il Cairo e Alessandria e per Arkadia ha firmato nel 2016 L’Egitto romano. Da Augusto a Diocleziano. Ai più remoti manufatti non è associato nessun insediamento, si sa pochissimo di questa fase. Le prime tracce di strutture o resti umani risalgono al Paleolitico superiore (70mila-25mila anni a.C.) e più nitidamente al Paleolitico inferiore (24mila-10mila anni precristiani), al quale riportano le prime sepolture. Parlano di comunità molto piccole, singole famiglie di cacciatori e raccoglitori nomadi, alla ricerca di selvaggina e frutta. Il territorio, inizialmente lussureggiante e ricco di fauna, venne inaridito da una progressiva desertificazione nello stesso paleolitico e a partire da 10mila anni fa i gruppi nomadi si spostarono sempre più vicino al corso del fiume, lasciando tracce nell’arte rupestre. La stabilizzazione in comunità basate su agricoltura e allevamento segna il passaggio al Neolitico: intorno al settimo millennio a.C. appaiono le prime tracce di addomesticazione del bestiame, mentre circa duemila anni più tardi si nota l’introduzione dal vicino Oriente della coltivazione del farro e dell’orzo. Bisognerà attendere 5 millenni e mezzo per arrivare al reperto più iconico dell’intero Antico Egitto: la maschera d’oro di Tutankhamon, dal potere comunicativo planetario, capace tuttora di una “fascinazione profonda, a volte disinformata, di tutto ciò che e faraonico”. Uno studio recente ha dimostrato che la maschera funeraria non è stata realizzata originariamente per il faraone della XVIII dinastia, morto diciottenne intorno al 1324 a. C. Venne riciclata nel corredo funerario del giovane re, ma era destinata a una regina che lo precedette o affiancò sul trono per pochissimo. L’esempio consente all’esperto egittologo di sottolineare polemicamente la pesante disinformazione in materia, le tante impressioni traballanti spacciate per verità assolute. Negli ultimi vent’anni, scrive, la conoscenza scientifica dell’Egitto antico è progredita molto, ma non è riuscita a scalzare cliché duri a morire, perfino nei circoli accademici. È grave, a suo avviso, che all’annuncio di una scoperta, ripreso in maniera sensazionalistica e superficiale dagli organi di stampa, non segua un ulteriore approfondimento, capace di scalzare presunte certezze date per acquisite anche da secoli, ma indebolite, quando non smentite, dai nuovi studi. I tagli dei fondi governativi alle università e alla cultura non aiutano a cambiare la situazione. Anzi, hanno reso necessarie campagne di marketing culturale, per assicurarsi i mezzi adatti a continuare il lavoro. Lo stesso interesse della stampa si rivela ingombrante, si è detto, ma resta uno strumento per attrarre l’attenzione dell’opinione pubblica sul lavoro degli specialisti, che prosegue e consegue risultati importanti. “Molte cose sono recentemente cambiate nell’egittologia”, il gran numero di missioni archeologiche attive anche in zone periferiche (venti solo i gruppi di lavoro italiani in Egitto), sta accrescendo enormemente le conoscenze. Non passa giorno senza una nuova scoperta. La messe di dati archeologici ha declinato nuove sequenze cronologiche: l’analisi dettagliata del cambiamento di forme, temi e colori dei sarcofagi aiuta a datare i contesti in cui sono stati trovati. Scavi intensivi nei siti vetero urbani di Elefantina, Amarna, Menfi, Tell al Dab’a e Qanta hanno favorito una visione diversa di città e abitanti. La semiotica applicata alla storia dell’arte ha evidenziato l’amore degli antichi egizi per i giochi di parole visivi e suggeriscono di non interpretare alla lettera le raffigurazioni sulle pareti di templi e tombe. Un breve punto degli enormi sviluppi tecnologici della disciplina aiuta a fissare le nuove, poche, certezze. Salvoldi accenna inoltre al dibattito contemporaneo su alcuni temi caldi. L’obiettivo del volume è raggiunto: fornire una piccola guida aggiornata all’antico Egitto, evidenziare le novità, smascherare i luoghi comuni. Attingendo alla bibliografia inglese, francese, tedesca, vuole anche offrire al lettore italiano l’accesso a studi non ancora tradotti in Italia e che forse non lo saranno mai.
Felice Laudadio
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