Cuore agro


Cuore Agro, nella palude possono essere coltivati i più bei fiori

Le atmosfere paludose, desolate ci riportano all’immagine di un’Italia primitiva, quella della grande guerra, quando la ripresa dopo i due conflitti mondiali ancora non aveva innescato la sua spinta verso l’industria e il benessere. Quando ancora non era cominciata una vera alfabetizzazione di questo paese. Ce ne parla Nina Quarenghi nel suo bel romanzo Cuore Agro, pubblicato da Arkadia Editore. Ci racconta una storia semplice e vera, quella di una maestra, Lidia Vitali che, in una migrazione al contrario rispetto a ciò che avviene oggi nel mondo della scuola, lascia la sua valle nel bergamasco per raggiungere Torrescura, un piccolo centro sprofondato nelle zone malariche dell’Agro romano. Come una missionaria apre la Casa dei bambini una scuola montessoriana per i figli dei contadini, lavoratori stagionali provenienti dall’Appennino e che vivevano in condizioni disumane. La scuola diventa così porto sicuro, focolaio, riparo dal freddo e dall’ignoranza. La giovane mostra la sua tenacia sfidando le convenzioni sociali di un gruppo privo di diritti, si imbatte nel maltempo, nelle malattie che, facilmente curabili altrove, qui nella palude diventano causa di dolore e morte. La Quarenghi non ci racconta una storia nuova, la caparbietà di eroici maestri e professori che grazie al proprio impegno riescono a risollevare esistenze è stato affrontato tante volte, al cinema come tra le pagine. Ernesto Ferrero ci ricorda che i bambini vengono generalmente molto bene in letteratura; gli insegnanti anche, aggiungiamo noi. Ciò che ci regala questo romanzo che si legge tutto d’un fiato è la voce. Quella che dà corpo ai pensieri delle tante maestre Lidia che hanno disseminato l’Italia di speranza, grazie all’insegnamento del tempo futuro nel quale poter coniugare i verbi usati dai tanti bambini e bambine, relegati a esistenze di fame permanente. Vite senza prospettive. La parlata dei personaggi che popolano l’Agro e che diventano protagonisti di questa storia quanto la sua narratrice è quella che ricordiamo grazie a Vittorio De Sica e Cesare Zavattini quando nel 1960 avevano diretto La Ciociara, tratto dallo splendido romanzo di Alberto Moravia. Il degrado nel quale vivono giovani e giovanissimi fa venire in mente Sporchi, brutti e cattivi di Ettore Scola. Siamo su quella longitudine di espressioni, tra quelle tonalità scure di bieca ignoranza, capace però talvolta di essere illuminata dalla ragione dell’istruzione, che tutto può, anche quando le condizioni avverse non lascerebbero scampo. Personaggi come Cosetta, la cuoca dell’asilo reduce da una tragedia familiare eppure forte e positiva che diventerà la spalla di Lidia e la piccola Anita, di dieci anni e dallo straordinario talento artistico ma vittima di una violenza subita, le mamme contadine che decideranno di mandare i propri figli a scuola invece di tenerli sciolti a razzolare nei campi, porteranno avanti questo racconto con la delicatezza e la tenacia di un universo femminile in grado di riscattarsi. Carlo, il medico condotto che viene da Bologna è il raggio di luce inafferrabile (chi lo sa se fino in fondo) che regala alla protagonista l’energia per condurre le sue battaglie. Ci si ritrova davanti ad un film, un gioco di specchi impietoso che ci restituisce la miseria in molte zone dell’Italia che fu. E lo fa a mezzo di una penna consapevole: quella di una scrittrice- insegnante. La mente e il cuore necessari per mettere nero su bianco una storia come questa.

 Angela Vecchione

 



Cuore agro

È il 1915 e Lidia Vitali è una giovane maestra volenterosa che, seguendo la sua passione per l’insegnamento e l’amore per il sapere, trova il coraggio di partire dalla sua terra nel bergamasco per recarsi a Torrescura, nel pieno centro malarico e arretrato dell’Agro romano. Ha, infatti, ricevuto l’incarico di aprire la Casa dei bambini, una scuola di stampo montessoriano volta a garantire una possibilità di apprendimento ai figli dei contadini provenienti dagli Appennini per svolgere lavori stagionali. La realtà che Lidia trova è devastante. Povertà, insalubrità e carenza di cultura dominano incontrastate e permeano la pelle e la mentalità degli abitanti. Ma, nonostante il difficile contesto, la maestra riesce a gettare il seme della speranza e, dopo le prime difficoltà, ad avviare un percorso di crescita culturale che partendo dai bambini finirà per estendersi sempre più. Sfidano maltempo, condizioni ambientali impervie, pregiudizi e atteggiamenti rozzi e non affabili che le si parano dinanzi, Lidia prosegue nella missione educativa che si è imposta. Così stringe amicizia con la piccola Anita, bambina misteriosa di dieci anni con un grandissimo talento artistico ma che cela nella sua vita un terribile segreto che finirà per saltare fuori e sconvolgere il destino di entrambe in un finale commovente e consolatorio. È dalla conoscenza di Anita che Lidia trae la forza per fare i conti col suo stesso passato, quel passato dal quale è voluta fuggire per anni e che, comprende, va invece affrontato e risolto. L’amicizia con un’altra stravagante donna, Cosetta, la cuoca della scuola, sarà fondamentale per la maestra perché le darà la forza di affrontare le enormi difficoltà nell’insegnamento a bambini che non sono abituati a stare fermi dietro un banco, a parlare in italiano, a rispettarsi a vicenda e vivere civilmente. La conoscenza con Carlo, il medico condotto del paese, farà invece riscoprire alla donna una possibilità di vita diversa, meno disillusa e più votata alla speranza e alla felicità…
Cuore agro di Nina Quarenghi ‒ ispirato a una storia vera ‒ è perfettamente costruito, credibile nelle sue dinamiche storiche e individuali, attendibile nelle ricostruzioni delle atmosfere, dei dettagli e soprattutto del dialetto locale. La sensazione che si ha leggendo le pagine di questo romanzo è quella di fare un meraviglioso tuffo nel passato, in un periodo distante dal presente circa cento anni e che pure finisce per apparire così familiare e affascinante da incantare. L’autrice riesce nella complessa e difficoltosa impresa di raccontare la nascita del sistema scolastico nell’agro romano, le difficoltà dell’alfabetizzazione in un contesto nel quale i figli sono visti esclusivamente come braccia da lavoro o ventri da concepimento e dove nessun interesse familiare si manifesta nei confronti dei libri e della cultura. Un contesto storico-sociale nel quale un bambino che riesce a frequentare con assiduità la scuola è una vittoria inestimabile e per nulla scontata. Lo stile narrativo dell’autrice è lineare e scorrevole ma preciso e sapiente. La scrittura è essenziale e nella sua semplicità riesce a raccontare una storia complessa. Massima è l’attenzione nella ricostruzione dei dialoghi, dei dialetti, del suono e delle cadenze della voce dei personaggi così che il lettore ha la sensazione di ascoltare davvero quei dialoghi e di vivere in prima persona le vicende narrate. Un romanzo davvero notevole che fa luce su uno spaccato della nostra storia ancora poco indagato.

Claudio Volpe



Ambientando il romanzo nei primi del Novecento, Nina Quarenghi racconta la storia di Lidia Vitali, regalando un affresco della profonda provincia italiana.Nell’autunno del 1915 la giovane maestra parte dalla sua valle nel bergamasco per raggiungere un piccolo centro sprofondato nelle zone malariche dell’Agro romano. Ha avuto l’incarico di aprire una scuola montessoriana per i figli dei contadini, un’impresa affascinante ma dura. La miseria e l’ignoranza della popolazione, gli imprevisti e le malattie, mettono a dura prova il suo ottimismo.



«Cuore agro» di Nina Quarenghi

Chi ha passione per l’insegnamento, inteso come trasmissione non solo del sapere, ma del condividere con i più piccoli se stessi e il proprio modo di essere e di pensare, di stare al mondo, non potrà che essere affascinato dal libro che Nina Quarenghi, storica, saggista, insegnante, ha intitolato “Cuore agro”. Il suo primo romanzo: agro come l’agro pontino dove si svolge la storia, cuore come la profonda qualità umana che pervade tutte le pagine del libro. La parola chiave che compare già dal titolo ci fa pensare subito al troppo criticato e mai dimenticato romanzo deamicisiano, la storia in forma di diario di un anno scolastico nella Torino borghese di fine Ottocento; qui invece siamo nella campagna malarica a nord di Roma, presso il villaggio di Torrescura e il racconto in prima persona della giovane maestra appena ventunenne, Lidia Vitali, che sceglie una sede disagiata per il suo primo anno di insegnamento coglie un arco di tempo che va dal novembre 1915 al giugno dell’anno successivo.

Lasciata una condizione agiata nella cittadina di San Pellegrino nei pressi di Bergamo, Lidia inizia il suo viaggio quasi infernale, luoghi abbandonati alla miseria, all’incuria, alla sopraffazione, alla denutrizione, alla malattia endemica. Nelle terre della famiglia Rospigliosi una banda di caporali prevaricatori e violenti, al di fuori della legge, tengono in una sorta di schiavitù intere famiglie di contadini venuti per i lavori stagionali da Anticoli Corrado, costretti a vivere come animali in baracche fatiscenti, prive dei più elementari servizi igienici, in dolorosa promiscuità, impiegati in lavori massacranti. Le vittime principali di tale situazione di estremo degrado sono i bambini: il progetto a cui la maestra Lidia aderisce è quello della scuola pubblica, che accoglie i piccoli e li sottrae finalmente alla fame, alla denutrizione, all’inedia. Vincere la resistenza delle famiglie, ignoranti e diffidenti, superare l’arroganza di uomini malvagi che ostacolano il progetto educativo, andare contro atavici pregiudizi, sconfiggere la paura di trovarsi in mezzo ad una violenta e manifesta ostilità da parte di tutti, è la sfida a cui la giovane e coraggiosa Lidia non si sottrae.
Conterà sull’aiuto di Cosetta, una giunonica contadina che malgrado abbia perso quasi l’intera famiglia nel terremoto di Avezzano, sarà la sua spalla, cucinando pasti caldi e succulente ciambelle per gli affamati piccoli scolari; su quello di Anita, una ragazzina di dieci anni senza famiglia, dal grande inespresso talento di artista, e infine sul dottore che ha scelto anche lui di lavorare per i diseredati contadini, Carlo Guerra, che raggiunge quei luoghi sperduti, infangati, inospitali sulla sua rombante motocicletta, e che diventerà l’oggetto d’amore di Lidia, che invece si sposta a cavallo di Minerva, l’unico lusso che le è concesso dall’amministrazione.

Mentre l’anno scolastico procede in mezzo a mille ostacoli che mettono a repentaglio la determinazione della maestra, una visita inaspettata cambierà verso alla storia: giunge al villaggio il celebre pittore Duilio Cambellotti, che immediatamente comprende di trovarsi di fronte ad un evento eccezionale: il lavoro di Lidia può divenire un modello per tutte le scuole e una visita delle autorità romane che promette per la fine dell’anno sarà un esempio da seguire e da imitare. Ecco allora che i bambini che parlano un dialetto primitivo, che non si lavano né si pettinano, che vivono in uno stato arcaico, con il passare dei mesi diventeranno, nelle mani della maestra, dei veri scolari capaci di mettere su uno spettacolo alla fine dell’anno, partendo dal Libro della giungla di Kipling. I piccoli trasformati in lupetti, nella terribile tigre Shere Khan, nel cucciolo d’uomo Mowgli, che accetterà di interpretare il più monello della classe, daranno alle dame con il naso all’insù giunte con il poeta Giovanni Cena a visitare la “colonia”, la sensazione di trovarsi di fronte ad una sorta di miracolo. La scuola teatro creata dal coraggio di Lidia aveva costruito in pochi mesi una comunità solidale, partendo dai bambini, sconfiggendo i soprusi e le ingiustizie di troppi adulti conniventi.

Gli applausi finali ci frastornavano. L’esaltazione generale era ubriacante. Io mi sentivo tutto d’un colpo liberata da un doloroso peso……I bambini erano confusi, ma contenti che fosse passato tutto. Dilagarono dal palco verso i genitori, che li presero in braccio, mentre tutti si alzavano in piedi. Strinsi decine di mani, sollevai Anita in un abbraccio che aveva già il sapore della nostra vita insieme nella mia famiglia…

Anita a cui è dedicato il libro, simbolo di tutto il male che una società malata poteva procurare ad una bambina, piccola eroina con un fazzoletto rosso scolorito, vittima di violenza, obbligata a crescere prima del tempo, è anche l’emblema del riscatto che viene dalla cultura e dall’amore.
Grazie a Nina Quarenghi di essere stata capace, con questo libro dalla scrittura alta, pervaso da una cultura vasta e mai esibita, di raccontare una storia nella quale immergersi e con cui confrontarsi, di stringente attualità; quanti bambini in pieno terzo millennio vivono in condizioni analoghe a quelle descritte in queste pagine, privi di cibo e di scuola?

Libro consigliato con calore a tutti gli insegnanti dell’attuale scuola italiana, si impara molto da questa storia che tocca davvero le corde più profonde del nostro cuore agro, distratto, spesso demotivato e indifferente.

Elisabetta Bolondi



Nina Quarenghi è nata a Castiglione delle Stiviere (MN) nel 1973. Vive a Roma dal 2002, dove insegna lettere nella scuola media e collabora con l’Istituto di storia della Resistenza (Irsifar); è sposata e ha due figli. Dopo la laurea ha compiuto studi di storia sociale nel territorio mantovano, pubblicando il suo primo volume, Solferino e San Martino tra realtà e memoria (Cierre edizioni, 1999). Il suo secondo libro, Un salotto popolare a Roma. Monteverde 1909-1945 (Franco Angeli 2014) è un saggio di storia urbana che fa parte di una collana di studi sull’identità di Roma nel Novecento. Ha pubblicato diversi racconti su riviste letterarie, alcuni dei quali hanno ricevuto riconoscimenti: Al seggio elettorale, menzione speciale al Concorso “70 righe nasce la Repubblica” (2016); Filarella, vincitore del premio “Racconti nella rete” (2017), pubblicato nell’omonima antologia per Nottetempo; Giorgio Caproni e la capra, primo premio al Concorso “Incontro con il racconto e la poesia” (2018). Cuore Agro è il suo primo romanzo.



Arkadia Editore

Arkadia Editore è una realtà nuova che si basa però su professionalità consolidate. Un modo come un altro di conservare attraverso il cambiamento i tratti distintivi di un amore e di una passione che ci contraddistingue da sempre.

P.iva: 03226920928




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