CORPO A CORPO di Elena Mearini: incontro con l’autrice
“Corpo a corpo” di Elena Mearini (Arkadia): incontro con l’autrice e un brano estratto dal romanzo
Elena Mearini si occupa di narrativa e poesia, conduce laboratori di scrittura in comunità e centri di riabilitazione psichiatrica. Nel 2009 esce il suo primo romanzo Trecentosessanta gradi di rabbia, (Excelsior 1881) con cui vince il premio giovani lettori “Gaia di Manici-Proietti”; nel 2011 pubblica Undicesimo comandamento (Perdisa pop) con cui vince il premio Speciale UNICAM – Università di Camerino e il premio giovani lettori “Gaia di Manici-Proietti”. Nel 2015 pubblica il romanzo A testa in giù (Morellini editore) e firma due raccolte di poesie: Dilemma di una bottiglia (Forme Libere editore) e Per silenzio e voce (Marco Saya editore). Nel 2016 esce Bianca da morire (Cairo Editore).
Il suo nuovo romanzo Corpo a corpo (Arkadia, 2023) è stato presentato al Premio Strega da Ilaria Catastini.
Corpo a corpo racconta un intreccio di vite complesse che si contrastano come in un ring. Amori distorti che diventano autentiche armi distruttive, il valore impagabile dei legami che nascono all’ombra della comune passione sportiva – in questo caso la boxe –, emblema simbolico dell’incontro-scontro della vita.
Abbiamo chiesto all’autrice di parlarci di questo suo nuovo libro…
* * *
«Il volto dell’altro è un continuo svelarsi di mondi», ha detto Elena Mearini a Letteratitudine, «dal più affascinante al più terribile, ci osserviamo nel continuo scambio dell’esistere a più facce.
Innanzi all’alterità diveniamo impotenti perché incapaci di prevedere quale “colpo” ci verrà sferrato, se sarà il gancio della bellezza a farci girare su noi stessi oppure il montante di una bruttura a mandarci al tappeto.
Stare tra gli altri diventa un continuo saltellare sul ring dell’incontro, passare dallo spazio dell’attacco a quello della difesa tentando il pronostico della prossima mossa, cosa farà lui, come risponderò io.
In questo romanzo ho voluto raccontare il “corpo a corpo” di ogni relazione, il rischio del livido che consegue a una prossimità che non rispetta la distanza del respiro, il pericolo di un aggancio che stritola la vita e divora l’aria. Il troppo vicino diventa un luogo di smarrimento più irrimediabile del troppo lontano.
Il legame tra Stefano Santi, professore di liceo con un amore interrotto per la boxe e Marta, giovane donna ossessionata dalla perfezione della sorella tragicamente scomparsa, è l’esempio di quanto le distorsioni delle distanze e l’annullamento delle regole conducano a un incontro crudele.
La loro relazione diventa una boxe corrotta, fatta di guanti che nascondono chiodi nelle imbottiture. Marta vorrebbe dominare Stefano spacciando il controllo per devozione, Stefano vorrebbe rifondare una propria dignità spacciando il riscatto per amore.
Entrambi sporcano il bene con la dissimulazione ottenendo un male deforme e incontrollabile.
Stefano si ritrova assassino per errore, forse. Oppure assassino per giusto completamento di un male che lo ha colto dormiente. Quando i mostri arrivano preferiamo rifugiarci nel sonno per non affrontarli, ma il sonno non è ancora quello eterno e prima o poi accade il risveglio.
Sarà Mario, ex allenatore di boxe e proprietario di una palestra alla periferia di Milano, ad accompagnare Stefano nel travaglio della colpa.
Sarà lui ad offrirgli diciotto ore di rifugio e ascolto.
Lui a costringerlo a guardare il dritto e il rovescio di sé, il dentro e il fuori del mondo senza risparmio alcuno.
Chi ti consegna la vista totale ti mette di fronte alla reale e piena responsabilità dell’essere e dell’esserci».
* * *
Un brano estratto da “Corpo a corpo” di Elena Mearini (Arkadia): incontro con l’autrice e un brano estratto dal romanzo
Incipit
Non è mai il momento giusto, il tempo è tutto un errore. Qualsiasi cosa tu faccia, in qualche modo e per qualche ragione, sbagli.
Devo bere qualcosa, apro il rubinetto della cucina, lascio che l’acqua scenda in gola, vada pure di traverso, non importa.
Mi bagno la fronte, improvviso un battesimo senza nome, vorrei non chiamarmi, non essere, evitare di portarmi appresso questo corpo che va a sbattere da ogni parte: lo stipite della porta, lo spigolo della credenza, l’anta dell’armadio.
A stento mi reggo in piedi, i suoi occhi mi si scagliano addosso, colpiscono forte e duro, un’alternanza di pugni e pietre. Mi ha guardato per una frazione di secondo, con il terrore di chi per la prima volta vede un uomo o il suo esatto contrario.
Non so dire chi tra noi fosse più distante dall’umano. Forse è proprio questo che accade, quando sei a un passo dal morire, oppure a un passo dall’uccidere.
Le chiavi dell’auto, il portafoglio, può essere che qualche luce sia rimasta accesa, in camera magari, e dalla cucina arriva il rumore della goccia che scende, ho chiuso male il rubinetto.
Il tempo è tutto un errore, non c’è mai quando deve, ti si pianta davanti quando dovrebbe levarsi di mezzo e lasciarti passare. Devo muovermi, sbrigare le gambe e il respiro.
La giacca di Marta sull’attaccapanni, infilo la mano nella sua tasca, un attimo soltanto. La fodera è fredda, sfilo la mano. Non resta più niente da dare né prendere.
Il diario, stavo dimenticando l’unica cosa che possa salvarmi o finirmi del tutto. Vado alla scrivania di Marta, apro il cassetto. Eccolo, la copertina blu e il racconto di un abisso che ci ha tolto ogni superficie. Non abbiamo avuto altro che il fondo su cui poggiare i piedi.
Esco di casa, quattro rampe di scale, raggiungo il garage con l’andatura pesta, come se i lividi di un’intera vita fossero affiorati ora tutti insieme. Loro sono un ricordo del dolore mentre io avvio l’auto e provo a tenere in vita l’ultimo residuo d’uomo che mi è rimasto nel sangue.
Esco su via Farini, nella strada parallela hanno già cominciato i lavori per la costruzione del nuovo parco, dicono che ci sarà il lago artificiale con le papere e la possibilità di noleggiare la barca a remi, fanno di tutto per farci dimenticare la città.
Dovrei anch’io inventarmi una pozza di acqua cristallina, metterla bene a punto e piantarla in mezzo al pantano che ho in testa. Forse mi aiuterebbe a scordare le rovine su cui poggio i piedi.
Il suono di una sirena che si avvicina, deglutisco l’asciutto che ho in bocca, mastico un deserto da quando sono uscito di casa, la saliva se n’è andata insieme con la ragione. Accelero, poi rallento di colpo per non attirare l’attenzione, la sirena incalza, si avvita a spirale nell’aria, stringo forte il volante, mi sento risucchiare in un domani di manette e sbarre.
Dallo specchietto retrovisore vedo le luci dell’ambulanza, mi aspettavo l’auto della polizia e l’affianco della fine. Invece no, è una croce rossa che va a piantarsi nel petto di Marta.
Qualcuno avrà visto il corpo a terra, sotto la nostra finestra, caduto in un punto del marciapiede che entrambi abbiamo calpestato un numero infinito di volte.
Incontriamo la fine e ci passiamo sopra senza nemmeno accorgercene.
Mi allontano dal quartiere, svolto alla sinistra del Monumentale, mi fermo al semaforo rosso, proprio a lato dell’ingresso. Lo scorso anno ho portato qui gli studenti, abbiamo fatto il giro delle tombe illustri, Manzoni, Quasimodo, poi Buzzati che adoravo durante gli ultimi due anni di liceo.
Ero emozionato, più dei ragazzi, la morte è un’assenza che ti scuote le spalle e ti costringe a vivere. T’arriva la spinta massima del dolore, della nostalgia, persino dell’entusiasmo o del ribrezzo, come adesso. Non sento altro, in questo momento, solo una violenta nausea per il cattivo odore della colpa che mi porto addosso.
Riparto, devo allontanarmi dalle telecamere, la città è piena d’occhi appesi ai muri, ai lampioni, alle insegne pubblicitarie e a chissà che altro.
Sarò il primo indiziato, sapranno già il mio nome, le mie generalità, l’insieme di lettere e numeri che mi fanno esistere. Prendo la Statale del Sempione, da qui è la via più veloce per raggiungere la periferia e il diradarsi delle luci, degli occhi, dei fastidi di chi sbircia da vicino e da lontano.
Devo nascondermi, buttarmi da qualche parte che nessuno vede, sparire come il mozzicone di sigaretta tra le griglie del tombino.
Ho fatto la sola cosa che avesse un senso, ingiusta ma necessaria, e il necessario sa essere terribile.
* * *
“Corpo a corpo” è stato proposto da Ilaria Catastini al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:
«Corpo a corpo, di Elena Mearini, è un noir psicologico costruito come una sequenza di round, quasi fosse un incontro di boxe, sport che fa da sfondo e da elemento strutturale del romanzo e che lega l’allenatore di pugilato Mario, il protagonista Stefano e le due figure femminili, centrali nella trama ma di sfondo nel chiaroscuro della narrazione. Il ring che rappresenta la vita, con l’attacco e la difesa, lo stare in guardia, lo studio dell’avversario. Catturare il momento giusto per assestare il colpo, non fermarsi mai. Nel ring della vita si sfidano anche l’amore e la volontà di controllare l’altro; si sfidano il fato e la capacità di governare il proprio destino. È in questo ring simbolico della vita che Marta sfida in un corpo a corpo la sorella Ada, la ragazza perfetta e inarrivabile, andata incontro a un tragico destino. E un ring diventa il rifugio di Stefano dopo aver ucciso Marta; su quel ring altrettanto simbolico Stefano lotta con se stesso svelando al lettore, attraverso le pagine di un diario, il colpo di scena inquietante che metterà in luce la mente psicologicamente disturbata di Marta e il gesto sconsiderato e irreversibile di Stefano. Gli incidenti che cambiano il destino delle persone, individui che si crede di conoscere e che si rivelano diversi da come pensavamo: Corpo a corpo è un romanzo che riesce a cogliere una quantità di sfumature che non comprendono solo il noir, attraversando diversi generi letterari e che tiene il lettore sospeso in una condizione psicologica nella quale ognuno di noi potrebbe ritrovarsi.»
* * *
“Corpo a corpo” di Elena Mearini (Arkadia, 2023): la scheda del libro
Corpo a corpo si svolge nell’arco di diciotto ore, all’interno di una palestra della periferia milanese, luogo in apparenza illeso dal tempo, rifugio di vite disfatte e rimesse assieme a colpi di pugni sopra il ring. Qui si rifugia Stefano, professore di liceo ed ex pugile promettente, dopo avere ucciso Marta, la compagna poco più che ventenne. Torna nel luogo che un tempo gli fece da casa e famiglia per raccontare la propria storia tragica a Mario, proprietario della palestra e suo ex allenatore. Durante la confessione, Stefano legge alcuni estratti del diario di Marta, perché “serve conoscere la voce di lei per arrivare alla disfatta di lui”. Marta che ha cercato di salvare la sorella Ada dalla condanna della perfezione. Ada che quasi clandestinamente si allena tirando di boxe perché sente che il suo corpo ha bisogno di esplodere, di non essere ingabbiato nei canoni della perfezione ma di essere autentico, Ada che poi si è uccisa e nessuno ha mai capito il perché. Marta che era troppo normale per essere vista, troppo brillante per non vedere l’insopportabile, troppo esigente per non impazzire. Ada e Marta, il bene e il male che non possono essere divisi, pena la nascita del terribile. Mario, attraverso le regole della boxe e il richiamo ad alcuni campioni del passato come Joe Louis, Willy Pep e James Walter Braddock – un vero e proprio omaggio alla storia del pugilato – e la concretezza dei fatti, aiuterà Stefano a comprendere “la cosa giusta da fare”, se cosa giusta esiste, a trovare un senso e una nuova strada alla sua esistenza irrimediabilmente segnata. Elena Mearini racconta il bene e il male presenti in ciascuno di noi con grande precisione e crudezza; la metafora pugilistica si rivela perfetta per consentire al lettore di entrare pienamente nelle dinamiche emotive dei protagonisti. E sarà proprio la forza della parola e del racconto a svelare la verità su questa vicenda familiare particolarmente intensa e coinvolgente.
Massimo Maugeri
Il link alla recensione: https://bit.ly/40tBZ6W