Il ring in una palestra di boxe alla periferia di Milano in Corpo a corpo, il nuovo romanzo di Elena Mearini, diventa la metafora dell’esistenza concepita come un teatro della crudeltà dove il male che si annida negli uomini genera distruzione e annientamento Mearini racconta l’amore malato di Stefano e Marta e le tragiche conseguenze che si tingono di nero. Stefano è in fuga dopo aver ucciso Marta, donna che nella sua vita ha coltivato la crudeltà e non è mai stata in pace con se stessa, invidiosa della perfezione di sua sorella Ada, morta tragicamente. Stefano con il diario di Marta, che diventa la sua bibbia, si rifugia nella palestra del suo amico e maestro Mario e dopo molti anni sale di nuovo sul ring per capire quale senso dare alla sua fuga e alla sua esistenza devastata dall’arma distruttiva dell’amore distorto di Marta. Nella palestra ha inizio il corpo a corpo di Stefano con i suoi demoni e Mario, attraverso le regole della boxe, aiuterà il suo amico Stefano a fare chiarezza nel suo buio. Il bene e il male, la crudeltà dei gesti, la cattiveria di Marta, la disfatta di Stefano ma soprattutto l’esistenza con le sue ombre malvagie. Tutto questo è al centro del romanzo estremo di Elena Mearini che prima di tutto racconta due vite dilaniate (in cui non è facile capire chi sia la vittima e il carnefice) e la deflagrazione di un malessere di cui la vita è la sua stessa patologia. In Corpo a corpo Elena Mearini entra nella carne viva dei personaggi, scava nel buio che si portano addosso, mette in scena tutto il teatro della crudeltà delle loro nefandezze. Da una parte c’è Stefano che non sa uscire dal suo buio, perché non si avvale dell’oscurità per cercare la luce, Poi c’è Marta, donna ossessionata dalla perfezione di sua sorella Ada e nel suo diario annota tutte le sue distorsioni che la porteranno a confessare la sua crudeltà, che è l’amara verità di un triste e tragico epilogo. Quando Stefano, uomo in fuga con la coscienza dilaniata, sale sul ring con l’amico Mario la lotta con la sua coscienza si fa dura e la partita con il male che si porta dentro sembra persa e compromessa. Ernest Hemingway era convinto che uno scrittore deve sedersi alla macchina da scrivere è sanguinare. Elena Mearini nel suo nuovo romanzo inventa una storia che fa molto male e si conferma un’autrice da leggere sempre con attenzione e interesse. Quello che manca all’intreccio è proprio quel sanguinare al quale fa riferimento il grande scrittore americano. L’autrice avrebbe dovuto osare di più. Manca l’affondo nel taglio delle ferite dei personaggi. Perché di fronte al teatro della crudeltà uno scrittore non può essere lirico ma deve fare i conti con una lingua che dilania, senza alcuna pietà.
Nicola Vacca
Il link alla recensione su Zona di disagio: https://bit.ly/41SLRcd