Martino Ciano
L’ha combinata davvero grossa questo professore, ormai ex, che si è ridotto a fare il guardiano notturno e ad abitare su una barca attraccata a un molo da cui può meditare sulla sua disastrata esistenza. Poi, all’improvviso, questo docente rimasto indietro con gli esami dell’Università della vita, decide di andare a caccia dei suoi vecchi amori, ossia donne che gli ronzavano intorno quando era un giovanotto. Il romanzo di Roberto Saporito ha per protagonista un disadattato italiota, ma che vuole fare il verso ai libertini della beat generation. Libertinaggio, ossia un vizietto che lo caccerà nei guai e lo farà apparire ancor più fuori luogo. Insomma, il nostro eroe è una contraddizione in carne e ossa. Da una parte vive con spensieratezza la sua sindrome di Peter Pan, dall’altra si lascia trascinare dagli eventi accettando la sua inettitudine. La sua unica decisione: non decidere. Saporito ci racconta tutto con estrema leggerezza. La voce narrante, ossia un tu accusatorio che ci racconta le peripezie di questo fallito in cerca di fortuna, ci mostra ogni cosa con un tono cinico, diretto, senza giri di parole. La caduta perpetua di questo individuo, che si caccia nei guai per un manipolo di donne annoiate, è raccontata con ilarità. D’altronde, perché disperarsi per chi decide liberamente il proprio destino e, soprattutto, perché questo ex professore in cerca di malattie veneree dovrebbe redimersi? Lo stile di Saporito è minimalista. Nei suoi romanzi brevi ciò che è straordinario si sussegue con ordinarietà. Non c’è un colpo di scena, anzi i suoi personaggi vivono tutto con la giusta indifferenza. Lo scrittore piemontese, infatti, dà forma a uomini stoici che indomiti attraversano gli eventi, che si abbandonano completamente alla vita senza resisterle. Nel caso specifico, l’ex docente lo farà a bordo della sua Vespa. Pertanto, cos’è Come una barca sul cemento? È un romanzo che sfrutta il susseguirsi degli eventi per mettere in mostra il dramma personale di un uomo che non vuole rassegnarsi all’incedere del tempo, anche se vorrebbe dimostrare il contrario. Ma è proprio mentendo a se stessi che si commettono gli errori peggiori, ed è in questi momenti di menzognera vitalità che la voce narrante sgrida il protagonista dal molo di un porto sepolto.
Martino Ciano
Il link alla segnalazione su Zona di disagio: https://bit.ly/3is1m5g
Con Roberto Saporito parliamo del suo romanzo e della sua attività.
Lei osserva: “Il passato, complice la bugia della propria memoria, spesso è mitico, grandioso, al limite del mitologico, ma è anche solo consolatorio, specialmente nel caso che fosse veramente bugiardo: spesso ci si ricorda di quel che si vuole, scartando, magari, chirurgicamente tutte quelle parti, non piacevoli, non interessanti, magari perfino sgradevoli. In base a questi canoni il passato non è mai molesto, o amaro, o increscioso, ma al contrario è sempre gradevole, spesso incantevole.” È il potere contorto della mente e come lo usa il protagonista del suo romanzo?
Il protagonista del romanzo parte da qualcosa che dovrebbe per definizione essere finito, cioè il passato, qualcosa di remoto, lontano nel tempo, e con un’operazione, se vogliamo anche ambigua e nostalgica e inquieta della mente, tenta di attualizzarlo, tenta di trasformarlo in un malato tempo presente e attua tutto questo per poter sopravvivere in un oggi che lo opprime, che lo schiaccia in una vita che non sta andando da nessuna parte, cementata a terra, come la barca del titolo.
Lei pare voler indagare l’insieme d’inevitabili eventi che accadono secondo una linea temporale soggetta alla necessità e che portano ad una conseguenza finale prestabilita. Vuol definire il destino?
Il destino è il frutto contorto del fato, della sorte, della decisione di fare una certa cosa invece che un’altra, nel caso del mio libro di non aver avuto il coraggio, il protagonista, di chiedere ad alcune delle donne del suo passato di avere una storia con lui, e, in alcuni casi, di fare le scelte più facili, quelle che comportano meno complicazioni ma che magari danno meno soddisfazioni, meno piacere. Nell’economia del romanzo darsi l’opportunità di tentare di cambiarlo il proprio destino provando a fare quelle cose che non si è avuta la forza di fare quando se ne è avuta la possibilità.
Certo si può non seguire la sua indicazione, tuttavia lei designa una playlist in cui prevalgono gli Smiths da affiancare alla lettura. La colonna sonora d’una produzione letteraria evoca una sceneggiatura. È anche questa una possibilità che ha contemplato?
Spesso chi recensisce i miei romanzi sottolinea che sarebbero degli ottimi film, anzi che sembrano scritti e pensati quasi per questo scopo, e in effetti il mio modo di raccontare è, anche, uno scrivere per immagini, chi legge è portato a farsi il proprio “film”, aiutato in questo dal mio modo di descrivere i fatti, e in verità chi ha curato il mio romanzo ci sta ragionando sulla possibilità di trarne per davvero un film. E poi comunque al di là di questo mi piace abbinare dei brani musicali alla storia, l’ho sempre fatto, dal mio primo romanzo, mi piace quando un lettore mi dice “ho ascoltato la musica che suggerivi tu mentre leggevo il libro ed è stata una bella esperienza”.
Le barche non navigano sul cemento; il titolo del suo romanzo denuncia un disagio esistenziale specifico o esteso all’uomo contemporaneo?
Entrambe le cose, il personaggio principale del romanzo è come bloccato in una vita che non riconosce quasi più come propria, ha perso tutto, e in primis il suo lavoro di docente universitario, cosa che lo rendeva esistenzialmente stabile, che lo teneva in una bolla di realtà che lo faceva sentire adeguato nella sua nicchia di vita, mentre adesso si sente in un arco vitale di inadeguatezza, e allargando il campo visivo ci sta anche l’inadeguatezza esistenziale di una bella fetta di popolazione mondiale, dove la gente, molta gente, vive facendo quello che non vorrebbe fare come per esempio nel lavoro, svolgendo mansioni che odiano e che logorano la loro vita ma che per sussistenza si è costretti a fare, tutti i giorni per buona parte della vita come una sorta di condanna, ma anche negli affetti costruendosi famiglie che poi col tempo non si sopportano più ma che per opportunismo sociale si tengono comunque in piedi, o tenendosi amici solo perché convenienti per il tipo di lavoro che si fa, e così via in un devastante festival di disagi esistenziali, di vite sbagliate.
Il professore che tratteggia è un predatore sessuale, apre la caccia alle passioncelle giovanili adoperando i social. Il sesso compulsivo come balsamo ad una devastante solitudine?
Il sesso è un potentissimo motore esistenziale, in questo caso quando tutto il resto della vita sta andando a rotoli il sesso diventa davvero un lenitivo e salvifico rimedio, e non solo nei confronti della solitudine che il protagonista del romanzo sembra però maneggiare con sapienza, ma nei confronti di una struttura esistenziale che appare senza un vero futuro, dove sopravvivere è il leitmotiv delle giornate e in particolare delle notti da riempire, quasi uno sfuggire alla morte, un continuare a restare in vita nonostante tutto.
Il link dell’intervista a Roberto Saporito su Networknews24: https://bit.ly/2QLOYiO
La cosa che amo di più dei personaggi dei romanzi di Roberto Saporito è la completa disarmonia con la loro epoca, il loro malessere per il presente che sono costretti a vivere quasi come una condanna. Lo scrittore di Alba anche in Come una barca sul cemento (Arkadia, pagine 119, € 13,00) il suo nuovo romanzo uscito alla fine dello scorso anno, ci regala un altro disadattato che si muove a fatica nel disagio della propria esistenza. È un professore di letteratura americana del Novecento che insegna a Roma. Viene allontanato dal suo prestigioso incarico ed è costretto a dimettersi per uno scandalo sessuale. Lui ha il vizio di essere un predatore sessuale e non può fare a meno di portarsi a letto le sue studentesse. Lascia Roma e l’insegnamento e si ritrova a fare il guardiano di barche in una località marina della Toscana.
Da dove vengono le tue storie e come nascono?
In verità non lo so da dove vengono le mie storie, nel senso che non è una cosa che nasce da un percorso lineare, tipo adesso scrivo un libro su questo argomento, e quindi in base a questo mi organizzo una scaletta, un progetto di romanzo, un’organizzazione gerarchica dei personaggi, un inizio, un centro e una fine, cioè in pratica quello che ti insegnano in un corso di scrittura creativa, ecco, per me, non c’è quasi premeditazione, tipo il mio ultimo romanzo “Come una barca sul cemento” che è nato dall’aver visto, passeggiando in campagna in Toscana una barca, un cabinato, abbandonata sotto un albero, una visione assolutamente fuori contesto, quasi un’apparizione fantastica, e partendo da lì, con calma si è poi dipanata l’intera storia, che è cresciuta di giorno in giorno, di pagina in pagina, senza che sapessi esattamente cosa sarebbe successo il giorno dopo quando ricominciavo a scrivere. In pratica non ho quasi idea di dove andrà a parare la storia da un capitolo all’altro, e tutto questo crea una sorta di vertigine che dura per tutta la durata della stesura del romanzo, quasi un’esaltazione, che trasforma, almeno per me, la scrittura in una di quelle cose che mi tengono in vita, qualcosa di esistenziale, una necessità fisiologica, fisica, essenziale, della quale non posso fare a meno.
Tu sei uno scrittore che si cimenta sempre con il romanzo breve e devo dire che riesci sempre con la tua scrittura essenziale e incalzante a tenere il lettore incollato alla storia. Anche in Come una barca sul cemento ci sono tutti gli ingredienti di un certo minimalismo che convince. Che cosa pretendi dalla scrittura quando ti trovi davanti alla pagina bianca?
Dalla scrittura pretendo che sia la cosa migliore che io possa scrivere, e per questa ragione scrivo, e riscrivo, e poi rileggo centinaia di volte quello che ho scritto e poi riscrivo ancora, e taglio, e aggiungo, e piallo, e levigo, e livello, e scortico, e vado al midollo delle parole, la parte più delicata, sensibile, cerco una sorta di intimità con le parole, voglio che siano mie e soltanto mie, voglio che emozionino per prima cosa me, come spero poi di emozionare chi leggerà il libro. E il mio non è neanche più minimalismo ma qualcosa che potrebbe essere una sorta di post-postmodernismo, comunque qualcosa che prima non c’era. In ultima analisi quello che vorrei essere è essere “saporitiano”, un aggettivo, nuovo, sorprendente, sconcertante, inaspettato.
Che rapporto esiste tra la finzione e la realtà nei tuoi libri?
Per me la definizione esatta di romanzo è “finzione” anche se poi la mia finzione nasce, spesso, dalla realtà, ma appunto funzione della narrativa, comunque quella che interessa a me, è inventare delle storie, delle storie che prima non c’erano, la creatività dello scrittore deve essere al servizio di questo, e in questo è importante anche il linguaggio che si usa, la “lingua” è di per se parte determinante della storia, “come” si racconta una certa cosa è il vero talento di uno scrittore, per assurdo, ma tanto per capirci, il “come” si racconta una determinata situazione è quasi più importante della storia stessa. Lo “stile”, parola che mi piace poco ma che rende bene il senso, per uno scrittore è fondamentale, è la vera cifra che lo differenzia da tutti gli altri, la “riconoscibilità” è quello al quale ogni scrittore degno di questo titolo dovrebbe ambire, quasi agognare. Nei miei libri è tutto vero, nei miei libri è tutto falso, è questo il senso ultimo del romanzo, la confusione tra i due piani, la non riconoscibilità. Lo scrittore mente sapendo di mentire, anzi, mente facendosene un vanto.
Ti senti uno scrittore del presente?
Assolutamente sì, quello che mi interessa come scrittore, ma anche come lettore, dato che ogni scrittore che si rispetti è prima di tutto un lettore accanito, è il mio tempo, è quello che sta accadendo oppure è appena accaduto, e il passato che mi interessa e quello a breve, brevissimo termine, non remoto, e per questo spesso non del tutto passato, un passato mal digerito, che ritorna perché non è veramente del tutto trascorso ma è rimasto lì incastrato in una sorta di limbo temporale che trasforma quel passato stesso in un eterno presente, o comunque un passato da risolvere perché occupa ancora troppo spazio nel presente, una sorta di passato-presente, ancora da ricercare.
A cosa stai lavorando?
Ho appena terminato di scrivere il libro che non avrei mai voluto scrivere, si intitola In nessun luogo ed è un romanzo che nasce dalla realtà (la malattia e la morte di mia moglie) e che mischia, unisce e confonde insieme questa realtà triste e tragica con la finzione tipica delle mie storie, dove i due piani si intersecano e dove non si capisce cosa sia vero e cosa sia inventato, e dove, però, in definitiva, non è importante capirlo, non è importante saperlo. È la storia di un sopravvissuto, indeciso se continuare a vivere o anche solo sopravvivere oppure di smettere di vivere o di sopravvivere, se continuare a soffrire o farsene una ragione e fare un passo in avanti verso un possibile futuro o anche solo un esile presente fatto di piccoli passi perfino se verso una direzione ignota, assolutamente incerta, oscura e un po’ paurosa. Forse un romanzo di formazione minima, di crescita di pochi mesi e una bizzarra educazione sentimentale che nasce dalla perdita e da un dolore troppo grosso per essere veramente sopportato, tollerato. Un viaggio, fatto di false partenze e ripensamenti e dubbi, anche fisico, in giro per l’Europa, in quei luoghi ricchi di un passato (e ricordi) purtroppo ormai finito. I non-luoghi come gli aeroporti e gli alberghi come terre di mezzo che danno una sorta di consolazione, che non obbligano il protagonista a delle vere scelte, a procrastinare qualunque decisione, a cercare risposte dove però ci sono solo domande. Un libro importante e una sorta di svolta nella mia scrittura che affronta questa mia parte della vita di petto come non avrei mai pensato di fare.
Nicola Vacca
Come una barca sul cemento (Arkadia Edizioni) è un romanzo breve dalla prosa essenziale.
Cosa ci fa una barca sul cemento? Non è certo il suo posto ideale, e tutto il racconto è il risultato di cose e persone “fuori posto”. Il protagonista è un uomo nello stato di “hambre del alma”: un anima che muore di fame, una fame implacabile per qualunque cosa lo faccia sentire di nuovo vivo. Ma che tuttavia pur di evitare le tempeste, rinuncia a essere davvero vivo, ponendosi come obiettivo solo tappe provvisorie e fughe nel passato.
Come recita la bellissima poesia di Jacques Brel, ““Conosco delle barche”: -…barche che restano nel porto per paura che le correnti le trascinino via con troppa violenza. Conosco delle barche che arrugginiscono in porto per non aver mai rischiato una vela fuori. Conosco delle barche che si dimenticano di partire, hanno paura del mare a furia di invecchiare e le onde non le hanno mai portate altrove,…-
Lui, ex professore costretto a lasciare il suo lavoro a Roma, si ritrova a vivere in un paesino della Toscana come custode di un deposito di barche. E proprio una vecchia barca diventa la sua nuova casa: la barca diviene metafora di una visione laterale del vivere. Affidata all’uomo, al tempo stesso, lo custodisce.
Ma l’uomo, predatore sessuale, non può trattenere a lungo la sua vera natura, Allontanato dall’università, suo luogo di caccia, ricerca sui social network le donne, “occasioni perdute” del suo passato, meticolosamente in ordine cronologico.
Dopo il primo incontro con Flavia, il racconto diventa un raffinato, inaspettato noir. La vita a volte è uno spazio/tempo in cui si consumano drammi: Flavia è vittima di violenze da parte del marito, arriverà a compiere un susseguirsi di gesti estremi.
Il ritmo incalza, suo malgrado, il passato lo travolge e gli presenta il conto attraverso le esistenze difficili con cui viene in contatto, costringendolo a un’eterna fuga da se stesso.
La preda successiva sarà Linda, scrittrice affermata, legata sentimentalmente a una donna; sarà lei a dargli una inattesa possibilità di ritornare al vecchio lavoro di professore.
Parallela corre la storia di un bambino scomparso a Milano. Le indagini della polizia, le mille ipotesi, i continui servizi al telegiornale. Una storia del tutto slegata dal racconto principale se non nel mettere a nudo il disagio di una persona altrettanto disadattata e in fuga dalla propria esistenza.
Come una barca sul cemento è breve, si legge d’un fiato, complice una scrittura coinvolgente e incalzante. I brevi capitoli si susseguono con meraviglioso ritmo.
L’autore, Roberto Saporito, colto conoscitore di musica con studiata attenzione, suggerisce a inizio libro una colonna sonora da ascoltare durante la lettura: The Queen Is Dead (1986)THE SMITHS.
Negli ultimi, sempre più rarefatti capitoli, le storie, quella principale e quella minima, laterale, restano aperte, volutamente senza soluzione.
Per inseguire il tempo perduto, questa umanità amara e stranita, si perde nel tempo, provocando un doloroso cortocircuito, inciampando nel proprio dolore e ripetendo all’infinito un ritratto di sè sempre più scolorito.
Come recita Brel:
– Conosco delle barche talmente incatenate che hanno disimparato come liberarsi.-
Nelle pagina che anticipa il romanzo, di solito riservate alle dediche, un piccolo elenco di citazioni diventa un notevole suggerimento di letture e autori.
Roberto Saporito, nato ad Alba nel1962, ha diretto una galleria d’arte contemporanea. Autore prolifico, ha scritto racconti e romanzi, come: Harley Davidson (Stampa Alternativa, 1996), che ha venduto quasi trentamila copie.
Suoi racconti sono stati pubblicati su antologie e su innumerevoli riviste letterarie.
Ha collaborato con “Satisfiction” e, attualmente, scrive per il blog letterario “Zona di Disagio”.
Anastasia Marano
Se c’è un maestro dei piccoli spazi, in Italia, quello è Roberto Saporito. Padroneggia come pochi la misura del romanzo breve, quella cosa a metà tra racconto e romanzo: lo fa, oltretutto, scandendo la sua narrazione in 49 brevissimi micro-capitoli in uno stile cristallino ed essenziale, per di più in un’insolita ma efficace seconda persona. Saporito al suo personaggio dà del tu, come se gli stesse di fronte; come se gli intimasse ciò che sta per succedere. Quanto alla storia, parte con un uomo non più giovane che vive facendo il custode di un porticciolo: aveva un altro lavoro ma l’ha perso, viveva a Roma ma se n’è dovuto andare. Le sue giornate le occupa girando in vespa e bazzicando sui social. E proprio su Facebook rintraccia due vecchie amicizie femminili. Flavia e Linda; la prima sposata e benestante, la seconda scrittrice e convivente con un’altra donna. Si vede con Flavia, e tra i due si accende un certo interesse, che non resta platonico, ma li porta rapidamente a letto… riassumere la storia oltre questo punto sarebbe sacrilegio, come pure accennare al finale, anche se rimanessi sul vago. Diciamo che alla base di questo romanzo compatto e trascinante c’è la dimensione virtuale offerta dai vari social media, che consente di ritrovare persone incontrate tanti anni fa e delle quali non abbiamo saputo più niente; e questa possibilità può farci recuperare il tempo perduto, cogliere occasioni che c’eravamo fatti sfuggire. Ma ogni incontro porta con sé un bagaglio che può essere gravoso, se non pericoloso. E intrecciata alla vicenda principale c’è, in contrappunto, presentata attraverso le notizie della radio e dei giornali, la storia di un bambino scomparso, forse rapito, forse ucciso. Ma dove sta veramente il male in queste due vicende? Per scoprirlo bisogna arrivare alla fine: non ci metterete molto, garantisco.
Umberto Rossi
Se è vero ciò che afferma Roberto Saporito quando replica alla domanda sulle sottrazioni nei romanzi, «le informazioni che non sono rivelate nel romanzo quelle che l’autore non vuole dare, perché non tutto deve essere raccontato, né deve essere palese», altrettanto vero è che allo scrittore albese, è sempre piaciuto «instillare dubbi nel lettore». Col suo nuovo romanzo, Come una barca sul cemento, pubblicato nella collana Sidekar, di Arkadia Editore, segue una linearità di ricerca sui concetti esistenziali dei protagonisti, che aleggiano in molti lettori, se non in tutto il genere umano.
Ma questo disagio – gli chiedo – è un messaggio voluto?
«E’ venuto scrivendolo, io non voglio dare messaggi, ma questi, inesorabilmente, si creano scrivendo la storia. Non c’è nessuna consapevolezza iniziale, le cose accadono mentre scrivo, prendono strade anche fuori dal mio reale controllo, la storia è una strada buia che si illumina».
Eppure nel tuo libro il ‘buio’ sembra rimanere:
«nei miei libri ci sono delle parti volutamente oscure, voglio che il lettore “lavori” con la propria fantasia, con la propria mente, con la propria testa, metta personali parti di mosaico mancanti, in questo modo ogni lettore si farà il “suo” libro».
Tra omicidi/suicidi, sesso da incontri volutamente cercati e metafore sul pessimo gioco delle fake news, sveli lo squallore della pessima informazione?
«In parte. Metti Ludovica, è un controcanto alla storia principale ma non c’è nessuno messaggio, con i miei libri non dò messaggi, non a livello conscio, mi limito a raccontare una storia. Anche se poi sì quello è il mio modo per mettere in evidenza i danni della cattiva informazione che imperversa, oggi in modo particolare».
Così rispondendo Saporito, afferma l’impossibilità di ripresa e di cambiamento che può coinvolgere l’uomo che di quella speranza ne fa una improbabile azione di modifica, sino ad affermare, in un paradosso reale, “che si cambia così tanto da spingersi oltre dove tutto rimane immutato”?. Probabile, dato anche l’emblematico titolo dove una barca è sul cemento: cosa fa? Non naviga, è ferma, immobile, nonostante sia sempre una barca però, con le sue comodità, le velleità di bella vita. Forse però!
Quanto disaminato è l’interpretazione di una lettura curata nei dettagli, di ‘uno’ che che lo scrittore lo fa di professione in quella perla che è Alba, che vanta personaggi al suo pari. Ma come si racconta l’albese Saporito?
«Dopo la scuola di giornalismo ho cominciato a scrive per un paio di giornali, mi occupavo di arte contemporanea, nel 1988 ho aperto una galleria d’arte. Il giornalismo mi piaceva sempre meno, mi interessava scrivere, prima racconti, per poi passare al romanzo. Da quel momento ne ho pubblicati 10. Sono uno scrittore e sono esattamente quello che volevo essere e faccio esattamente quello che volevo fare».
La storia narra di un ex prof universitario che per quella malattia del sesso, anche se l’autore si oppone: «Più che una malattia un autentico bisogno, mentale in primis ma anche fisiologico, e in alcuni casi uno strambo motore di sopravvivenza», si mette nei guai, sino ad essere espulso dal suo ruolo e finire a far il guardiano di barche in località balneare.
È in quel luogo che il lettore viene strappato e accostato agli ambienti: maestria di scrivere in seconda persona, dove vive anche l’amicizia, quella potentissima:
«Autentica amicizia quella con Agreste. È l’amico che tutti vorremmo avere. Agreste aiuta veramente il protagonista. Lo protegge, anche da se stesso e i suoi demoni».
Quanto ti appartiene il protagonista? «Niente e al contempo tantissimo. Mi piace partire da dati di realtà, per poi mischiarli con cose che non penserei e non farei mai, una parte di me ma mischiata con il suo esatto opposto». In merito alla realtà a pagina 84 scrivi “Lo scrittore è un bugiardo, uno che mente sapendo di mentire”.
Quanto menti?
«C’è un labile filo, sottilissimo, tra realtà, come caratteristiche reali di alcune donne che ho conosciuto, agglomerate con la finzione pura, che è quello che è il romanzo, per me, naturalmente».
Disagi, tutti i personaggi li presentano: magari è normalità ‘percorrere’ così la vita? «La vita è un percorso molto difficile, c’è chi ci pensa in continuazione vivendo malissimo, e chi fa finta di nulla, ma i conti alla fine li dobbiamo fare tutti. Però non c’è una regola da seguire, non ci sono delle linee guida, è tutto, inesorabilmente, lasciato al caso: l’esistenza è un caso fortuito, e magari è meglio così».
Salvatore Massimo Fazio
Conosco e apprezzo Roberto Saporito dal 1999, anno di fondazione del Foglio Letterario, pure se con la mia casa editrice non ho mai pubblicato un suo romanzo ma solo racconti all’interno della rivista e di antologie tematiche. Siamo stati insieme nel gruppo di autori che un grande talent-scout come Luigi Bernardi ha portato nella squadra di Perdisa Pop, un tentativo di fare qualcosa di nuovo nell’asfittico mondo editoriale italiano. Il caso editoriale dell’anno, un romanzo contro il mondo editoriale, lo feci pubblicare da Anordest, realtà nella quale credevo ma che si è rivelata modesta e fallimentare. Adesso ritrovo Saporito alle prese con un racconto noir veloce e graffiante, edito dalla cagliaritana Arkadia nella collana “Sidekar”, strutturato in capitoli brevi e incisivi, impaginato tra dialoghi e concise descrizioni, ambientato tra Roma, Torino, Pisa e la zona dove vivo (San Vincenzo, Baratti e Piombino).
In COME UNA BARCA SUL CEMENTO (110 pagine; 13 euro), la narrativa dello scrittore di Alba non è cambiata dai tempi di Harley Davidson (piccolo successo di Stampa Alternativa, altro mitico editore che abbiamo frequentato insieme): usare il noir per raccontare la società che cambia, la psicologia umana, il rapporto tra un uomo e una donna. Protagonista del racconto – di questo si tratta più che di un romanzo – è un professore cacciato dalla scuola pubblica per oscuri motivi (si capirà alla fine ma non spoileriamo) che si ritrova a fare il guardiano di barche a San Vincenzo e si mette a caccia di vecchie fiamme giovanili che a suo tempo non è riuscito a portarsi a letto. Verranno fuori tutti i lati oscuri del protagonista ma anche delle donne con cui viene a contatto, soprattutto la prima, depressa e maltrattata da un marito che non farà una bella fine. Non aggiungo altro. Il libro ha il ritmo di un giallo e la profondità di un noir, si legge in meno di un’ora, ché lo stile di Saporito – avvolgente e intrigante – cattura il lettore e non gli consente di abbandonare la lettura fino alla parola fine. Consigliato anche per chi cerca in un libro qualcosa di più di una storia ben scritta, perché tra le righe di un racconto strutturato per immagini, come se fosse una sceneggiatura, viene fuori tutto il lato inquietante della natura umana.
Gordiano Lupi
Con lo stile che lo ha caratterizzato nei suoi lavori passati (capitoli brevi, un senso estremo della sintesi, carrellate tributarie di epigrafi, il cambio di narratore in corso s’opera), l’autore albese scrive quella che, a mio parere, è la sua storia meglio riuscita.
Un ex professore universitario inventatosi come guardiano notturno cerca di riannodare legami con il suo passato andando a cercare le donne dell’ieri, quelle con cui ha avuto, più o meno, una storia. Breve e efficace ritratto contemporaneo sullo smarrimento, l’amore, i dubbi e le debolezze dell’essere umano.
Lorenzo Mazzoni
Essere il combustibile degli incendi: l’ultimo romanzo di Roberto Saporito
Come una barca sul cemento
Fai il tuo giro armato di torcia e sfollagente, nel silenzio macchiato di arancione dalle luci che illuminano il deposito, che trasformano le barche in immobili e spettrali e silenziosi esseri mitologici. In fondo ti piace questo lavoro, ti piace che non ci sia nessuno oltre a te, ti piace l’idea che in fondo non devi fare niente, solo “esserci”. (p. 44)
Mentre scrivo mi vengono in mente almeno tre modi per fuggire dalle situazioni: emotivamente, chiudendosi a riccio per evitare di restare coinvolti dagli eventi; spazialmente, allontanandosi fisicamente da ciò che non si vuole affrontare; temporalmente, rifugiandosi – figurativamente, s’intende – in un’epoca diversa rispetto a quella in cui si vive, ossia facendosi cullare da ciò che è stato o proiettandosi nel futuro elaborando nuove prospettive.
Il protagonista del racconto lungo di Saporito, per fuggire da una normale vita a Roma durante la quale svolgeva un prestigioso incarico come professore universitario, perso per motivi che solo nel finale vengono rivelati lasciando un senso d’inquietudine non sopito, opta per un cocktail letale di tutti e tre: evita i contatti umani andando a lavorare come guardiano notturno in una rimessa per barche, rifugiandosi lontano, in un piccolo paesino sperduto in Toscana, e soprattutto prende a contattare tutte le ragazze – ormai donne – con le quali non è riuscito a concludere nulla quand’era giovane: «Tutta una serie di madeleine che hai deciso di andare a cercare, senza un vero motivo scatenante, o comunque non a livello conscio, ma una cosa che vuoi per forza fare, cioè vuoi ritrovare tutte le donne con le quali avresti voluto fare sesso» (p. 11).
Ma se il passato è un luogo caldo, morbido e comodo come un letto pieno di coperte durante un gelido mattino invernale, un luogo che sa cullare e allontanare gli spettri del presente, è pur vero che è anche il luogo delle insidie perché ciò che è stato non è più, è ormai cambiato e perduto, nonché trasfigurato: il ricordo è un Giano bifronte, qualcosa che sa accendere le passioni e cancellare le paure, ma anche edulcorare e ingannare. E soprattutto, se ciò che è stato non è più, qualcosa deve aver riempito quel vuoto di trent’anni che nel frattempo è passato, e chi lo sa quanto orrore, quante schifezze, quanto male può aver colmato una così ampia distanza temporale.
Così, senza desiderarlo troppo ma anche senza negarlo, questo ex professore che ora è un guardiano notturno si ritrova immerso nelle vicende oscure delle due famiglie di due diverse donne: ci entra di prepotenza, senza chiedere permesso, porta scompiglio come solo sa portarlo chi ha una vita irrisolta e nessun affetto da rischiare, chi è solo con i propri spettri e se ne può fregare della desolazione che porta nelle vite degli altri. Le uniche paure sono per se stesso, ma d’altronde si può sempre sparire di nuovo, si può sempre fuggire verso altri lidi, si può sempre distruggere altre esistenze. È quello che accade a chi non sa fermarsi.
Ciò che resta, alla fine di questa triste storia, è un senso di inquietudine, magistralmente costruito in poche pagine che scorrono come fotogrammi di un corto – non c’è tempo di entrare nei dettagli, le cose capitano, le cose entrano ed escono dal campo visivo e vanno raccontate prima che diventino passato stantio, vanno raccontate ora che sono presente; ma resta anche un senso di pericolo che si può avvertire quando ci si fa troppo vicini a qualcuno che si percepisce non come malvagio, ma deleterio. È una sensazione strana, dura un istante appena, abbastanza per dirci che quella persona lì va evitata.
Come una barca sul cemento è la storia di chi dovrebbe andare e restare lontano da tutti perché per propria natura sa portare solo sventure; è la storia di chi non è l’accendino che dà fuoco alle cose bensì piuttosto la benzina sparsa su mobili e tappeti. È un bel racconto lungo, reso imperfetto da qualche vicenda che sembra essere stata inserita per dare un tocco più cupo all’atmosfera (penso alla storia del bambino scomparso) ma che risulta fuori luogo in quanto tocca solo in modo tangenziale gli eventi centrali del libro.
Per il resto, promosso in pieno.
David Valentini
L’ha combinata davvero grossa questo professore, ormai ex, che si è ridotto a fare il guardiano notturno e ad abitare su una barca attraccata a un molo da cui può meditare sulla sua disastrata esistenza. Poi, all’ improvviso, questo docente rimasto indietro con gli esami dell’Università della Vita, decide di andare a caccia dei suoi vecchi amori, ossia, donne che gli ronzavano intorno quando era un giovanotto.
Il nuovo romanzo di Roberto Saporito ha per protagonista un disadattato italiota, ma che vuole fare il verso ai libertini della beat generation.
Libertinaggio, ossia, un vizietto che, oltre a cacciarlo nei guai, lo farà apparire ancor più fuori luogo. Insomma, il nostro eroe è una contraddizione in carne e ossa, da una parte vive con spensieratezza la sua sindrome di Peter Pan, dall’altra, si lascia trascinare dagli eventi accettando la sua inettitudine.
La sua unica decisione: non decidere.
Saporito ci racconta tutto con estrema leggerezza. La voce narrante, ossia, un tu accusatorio che ci racconta le peripezie di questo fallito in cerca di fortuna, ci mostra ogni cosa con un tono cinico, diretto, senza giri di parole. La caduta perpetua di questo individuo, che si caccia nei guai per un manipolo di donne annoiate, è raccontata con ilarità. D’altronde, perché disperarsi per chi decide liberamente il proprio destino e, soprattutto, perché questo ex professore in cerca di malattie veneree dovrebbe redimersi?
Lo stile di Saporito è minimalista. Nei suoi romanzi brevi ciò che è straordinario si sussegue con ordinarietà. Non c’è un colpo di scena, anzi, i suoi personaggi vivono tutto con la giusta indifferenza. Lo scrittore piemontese, infatti, dà forma a uomini stoici che indomiti attraversano gli eventi, che si abbandonano completamente alla vita senza resisterle. Nel caso specifico, l’ex docente lo farà a bordo della sua Vespa.
Pertanto, cos’è Come una barca sul cemento?
È un romanzo che sfrutta il susseguirsi degli eventi per mettere in mostra il dramma personale di un uomo che non vuole rassegnarsi all’incedere del tempo, anche se vorrebbe dimostrare il contrario. Ma è proprio mentendo a se stessi che si commettono gli errori peggiori, ed è in questi momenti di menzognera vitalità che la voce narrante sgrida il protagonista dal molo di un porto sepolto.
Martino Ciano