“[…]che fine aveva fatto Ettore Federico Bacca? Era stato ucciso? Si era suicidato? E perché non era stato trovato il corpo? O era fuggito? E, se fuggito, dove? All’estero? Magari proprio a Lisbona dove abitava il nipote? E con quali documenti? Documenti falsi, ovvio. Come se li era procurati? E ancora: per quale motivo si era reso irreperibile? Domande scontate e senza risposta.”
Massimo Cassani torna in libreria, dopo la fortunata serie del commissario Micuzzi, con un romanzo atipico rispetto alla letteratura di genere che lo ha contraddistinto nei suoi precedenti lavori: “Nonostante le apparenze”, edito da Arkadia editore, si avvale di un’aura di mistero attorno alla figura dell’ormai dimenticato scrittore Ettore Federico Bacca, e del protagonista Pietro Delleri documentarista cui viene commissionato, da Rai Storia, una serie dedicata alle “Vite illustri di scrittori dimenticati”. Dieci anni prima lo scrittore scompare improvvisamente senza lasciare alcuna traccia, il romanzo si apre con due personaggi intenti in una conversazione e un’auto che svanisce nel nulla. Era il 2012.
“Ciò che lenisce in parte il dolore della mancanza è la fisicità di un luogo in cui pensiamo di ritrovare chi ci ha lasciati. A noi tutto questo è stato negato…”
Cosa si nasconde dietro a una vita apparentemente normale? Pietro Delleri dovrà faticosamente fare i conti con sé stesso e le persone che gli gravitano attorno: un matrimonio ormai consumato “delle abitudini domestiche ” come il bacino in punta di piedi al “dai che è quasi pronto” antidoto “agli inevitabili silenzi dettati dall’abitudine, assassini delle convivenze.
Giulia, nipote quarantenne di Bacca, accetta di parlare dello zio e della sua scomparsa avvenuta proprio il giorno del suo compleanno; donna emotivamente provata dalla vita e psicologicamente debole. Giaco amico e socio che all’improvviso diserta il lavoro e scappa all’estero; il padre di Pietro, il giornalista integerrimo, “il vecchio Delleri, il mio grande papà, non temeva nessuno, neppure i magistrati”…
infine la comparsa della vecchia amica Emma che riporterà un po’ di equilibrio nello spinoso intreccio orchestrato dalla sapiente penna di Cassani.
Un romanzo dal forte impatto psicologico, con accadimenti che s’incastrano apparentemente in modo accidentale e che rendono la trama corposa e ricca, con un finale spiazzante.
Massimo Cassani ha creato personaggi che si lasciano leggere con passione, ferocemente veri e reali: “Nonostante le apparenze” mette in scena le emozioni, le debolezze, fragilità celate dietro una maschera di autorevolezza e compostezza o semplicemente dietro un’apparente felicità, umanamente consapevoli del proprio destino.
Loredana Cilento
Il link alla recensione su Mille Splendidi Libri e non solo: http://bitly.ws/K4Gq
Parla l’autore di un romanzo che racconta un viaggio alla ricerca di uno scrittore russo, Venedikt Erofeev, tra vecchio corso sovietico e nuovo ordine dopo la caduta dell’Urss.
È in libreria da qualche tempo un romanzo scritto da Giorgio Bona, che racconta la Russia subito dopo la caduta dell’Unione Sovietica e l’inizio del nuovo regime che si instaura a Mosca in quegli anni, s’intitola La lacrima della giovane comunista (Arkadia 2022) e mi sembra tornato di grande attualità proprio in questi giorni, mentre le notizie della guerra tra Russia e Ucraina si sono andate complicando con il colpo di mano di Evgenij Prigozhin, che ha prima marciato verso la capitale poi si è ritirato. Il tutto condito da un senso di doppiezza e mistero, intrighi e furbizie, la perdurante sensazione che nulla sia come sembra e tutto possa essere infido e pericoloso. La storia in breve: un professore universitario italiano, che di mestiere fa lo slavista, segue le tracce di uno scrittore russo dissidente, Venedikt Erofeev, e di un suo romanzo che resta oscurato anche dopo la fine della dittatura. Penso che valga proprio la pena fare quattro chiacchiere con il suo autore.
Chi è Venedikt Erofeev, autore del libro che il tuo protagonista va cercando dall’Italia in Russia, attraversando l’Europa dell’est?
Venedikt Erofeev è diventato un autore cult della letteratura russa dopo la morte. Il suo successo si realizzò attraverso canali clandestini che lo portarono a essere tradotto in 27 paesi prima di essere pubblicato in Unione Sovietica. Il padre fu arrestato per aver raccontato una barzelletta su Stalin e fu deportato per cinque anni in un campo di lavoro. La madre, non potendo accudire i figli, trasferì Venedikt e il fratello in orfanotrofio. Venedikt dimostrò subito una grande sensibilità per la letteratura ed entrò all’università di Mosca facendosi apprezzare come studente modello fino all’espulsione per aver scritto una satira sulla presidente del Komsomol. Da quel momento visse nei bassifondi della società russa dormendo sui treni in transito della stazione Kursk per otto anni in preda all’etilismo. Scrisse moltissimo ma dei suoi scritti si salvò poco. Il suo libro più famoso fu Mosca-Petuski. Morì in seguito a un tumore alla laringe a 52 anni. Negli ultimi anni della sua vita parlava con un microfono alla gola dove usciva una voce metallica e stridula.
Quanto c’è di vero in questa storia?
Questa storia parte da una vicenda vera. Negli anni ’70 lessi la traduzione italiana di Mosca-Petuški, un libro che mi contagiò profondamente. Nel 1981 ero a Mosca a frequentare un corso di russo. Erano gli ultimi anni del socialismo reale e al governo c’era Leonid Breznev. Chiesi al mio amico Ivan, giornalista in pensione della Literaturnaja Gazeta se aveva notizie che riguardavano Venedikt Erofeev perché volevo comprarmi i suoi libri in lingua originale. Disse di non conoscere nulla e di non averlo mai sentito nominare. Il problema si presentò dieci anni più tardi ed eravamo nell’epoca in cui c’era Eltzin al governo ed era in atto la politica di rinnovamento. La risposta fu tale e quale a dieci anni prima. Questo è stato il viatico per iniziare una storia che avevo in testa da tempo. La ricerca di Erofeev scomparso nei meandri della società socialista e che non rientrava in quegli autori per così dire “riabilitati” dalla politica del nuovo corso. Un’indagine in una società che stava cambiando e chi meglio di una figura come il protagonista del mio libro, uno slavista profondo conoscitore e appassionato di letteratura russa, poteva fare?
Proprio all’inizio del tuo testo un personaggio dice: “La letteratura caro professore non è sufficiente. Perché la letteratura è una forma di conoscenza in più che va oltre la nostra esistenza. È per questo che scrivi?
Forse scrivere è un’arte e l’arte è una missione. Io sono fermamente convinto che la letteratura serva a riscattare fatti e personaggi che la storia con il tempo potrebbe cancellare. Certo, la letteratura ha il dovere di conservare una grande identità, e allora può dare la risposta a tantissime cose.
Che cos’è per te la Russia?
La Russia potrei facilmente dire che è un luogo dell’anima e chiuderla qui. Un paese si ama per la sua lingua e per la sua letteratura. E io ho addirittura incominciato gli studi della lingua per affrontare la lettura di poeti straordinari come Osip Mandel’stam, Marina Cvetaeva, Sergej Esenin, Velimir Chebnikov e Anna Achmatova. Poeti che dovevo assolutamente conoscere nella loro lingua. Perché? Come diceva Dostoevskij, per citare un grande della letteratura di quel paese, c’è sempre qualcosa di intrasportabile da una lingua a un’altra, qualcosa che nella lingua tradotta si perde rispetto all’originale. Lo diceva a proposito di un’opera di Gogol’ tradotta in francese, perché in francese si perdeva sempre quella sottile ilarità che è presente e indispensabile nella letteratura russa e che non rende in un’altra lingua. Ecco allora che la lingua diventa un fiume sotterraneo, che viaggia sottopelle, come i versi di quei poeti amati. Proprio Venedikt Erofeev diceva che un paese che non ha radici letterarie è un paese alla deriva, come un ubriaco abbandonato sul ciglio di un marciapiede.
È una nazione che si alimenta anche di grande letteratura, e nel tuo romanzo si vive anche questo. Come fa l’arte a convivere con il terrore dell’apparato poliziesco dell’Unione Sovietica o con la repressione strisciante del nuovo corso che racconti?
Il potere è una forma di arroganza che agisce con forza e ha paura di una sola cosa: la parola. La parola può far male, è un’arma di distruzione di massa se usata in maniera impropria. Ma può essere rivoluzionaria se diventa una forma di lotta, può scatenare la rabbia e può davvero essere una proposta vera per chi ha la capacità e la voglia di ascoltare. Marina Cvetaeva scrisse una lettera a Berja, il capo della polizia sovietica, in favore del marito arrestato per attività antisovietica e per la figlia Alja, anche lei arrestata per questo motivo. Berja sembra che, da quella lettera scritta con una dignità di una spudoratezza tale, ne rimase turbato e ordinò la fucilazione dell’uomo, che venne passato alle armi. Il potere tende a narcotizzare la letteratura, ma la parola scava e lascia il segno. Rimane.
La storia che hai scritto può servire soltanto a illuminare i fatti passati oppure anche la situazione attuale, la guerra che si sta svolgendo in questi giorni?
C’è un preludio che si apre verso la Russia che vediamo adesso. Il mio romanzo è ambientato all’inizio del cambiamento, siamo nel 1990. In quegli anni la riforma Gorbacioviana doveva portare un cambiamento nel paese e doveva avvenire gradatamente altrimenti l’impatto sarebbe stato terribile. La Russia attuale, quella putiniana per intenderci, è figlia del più sfrenato neoliberismo. Si pensava a un processo più calvinista, meno indolore, dove il popolo avesse un suo riconoscimento. Non è stato così. Anche questa forma di potere ha narcotizzato la letteratura dove tutti, intellettuali e scrittori, si sono adoperati a parlare del grande mutamento in atto, anche quegli autori che prima esaltavano il socialismo reale.
Esiste davvero il cocktail che dà il titolo al romanzo “La lacrima della giovane comunista”? E tu l’hai mai assaggiato?
Intanto il titolo introduce il lettore dentro un romanzo a tasso alcolico elevato e non solo per il nostro incredibile autore, ma anche perché il protagonista spesso e volentieri tende ad alzare il gomito. Ma in un’atmosfera come questa poteva essere da meno?
La lacrima della giovane comunista è un cocktail, possiamo definirla una preparazione alcolica surreale formata in gran parte da vodka, acqua di colonia, lozione antiforfora, unghiolina, deodorante per i piedi e se possibile qualche foglia di verbena. Erofeev parlava di questo cocktail per i brindisi delle grandi occasioni.
Io non l’ho mai provata ma confesso che potrei assaggiarla soltanto se fosse aromatizzata con la verbena, altrimenti rinuncio e passo il calice.
Mi sembra che una delle questioni che emerge sia quella dell’impossibilità di sapere la verità su un avvenimento, anche sulla vita di una persona. Un personaggio a un certo punto parla di Venedikt Erofeev: “Chi ti dice che le notizie su di lui siano false? Magari la sua è soltanto una miseria apparente, lui adesso conduce una vita agiata e vive nel lusso”. Quindi in certe situazioni è possibile tutto e il contrario di tutto?
C’è un depistaggio per allontanare la verità e la verità non sempre viene a galla. Ma occorre essere preparati alle sconfitte, non rassegnarsi mai. Il protagonista del libro è un intellettuale che all’occorrenza si trasforma nel suo piccolo anche in un uomo d’azione e non si tira indietro davanti al pericolo. C’è una ragione in tutto questo? Sì perché il mio protagonista, come Erofeev, è l’opposto del personaggio che mira a costruire una carriera, attento a conservare con scrupolo ogni passo della propria azione. Con dignità e coraggio.
A un certo punto scrivi: “Forse non vaneggiava Bulgakov quando vide il diavolo a Mosca. Credo che qui sia rimasto, non si sia mai allontanato”.
Nel romanzo di Bulgakov Il maestro e margherita il diavolo apparve per la prima a volta a Mosca presso gli Stagni del patriarca, dove i suoi giardini diventarono negli anni a venire un luogo cult della capitale. Era uno di quegli angoli che mi avevano affascinato di più e ci passai tre ore di un pomeriggio consumando gelati venduti da un ambulante con un piccolo carretto dopo aver fatto lunghissime code. Rimasi lì perché mi sembrava di respirare quell’aria rarefatta e solenne che aveva animato il grande scrittore russo. Al mio protagonista feci fare il medesimo percorso, ricostruendo la coda che io avevo fatto per acquistare il gelato. Anche lui consuma un gelato mentre incontra il suo interlocutore che depistava la sua ricerca. Ecco allora il diavolo pronto a identificarsi con la menzogna, la rovina del mondo. Forse il diavolo non lo troviamo soltanto a Mosca, ma qui se ne avvertiva la presenza grazie a chi gli aveva dato vita, ovvero Michail Bulgakov.
Per ultimo, usiamo un paradosso: se un professore russo facesse un viaggio al contrario di quello descritto nel tuo libro, alla ricerca di uno scrittore occidentale dimenticato o scomodo, secondo te che romanzo ne verrebbe fuori?
Il mio protagonista arriva a Mosca in seguito a un rocambolesco viaggio in treno. Il treno ha un significato particolare nella letteratura russa perché non rappresenta soltanto un mezzo di spostamento, ma un luogo dove avvengono moltissime cose: si incontrano le persone più stravaganti, si dialoga, si raccontano i sogni, si condivide il cibo e, perché no, anche una bevuta e una bella sbronza. I viaggiatori tra loro non si conoscono e questo agevola le confidenze. Nessun mezzo di trasporto è così pieno di significati come il treno e scrittori come Tolstoj e Dostoevskij lo vedono come una metafora della società. Anche In Mosca-Petuški di Venedikt Erofeev c’è un viaggio in treno che annulla spazio e tempo, sospeso nella disgressione delle stazioni attraversate tra sbronze esilaranti, stati di angoscia e di abbandono, colpi improvvisi di genio e di felicità. Io non riuscirei a vedere un protagonista che fa un viaggio a ritroso per venire in Occidente confrontandosi con le realtà che racconto perché forse non le incontrerebbe. Mi piacerebbe però che qualcuno provasse a farlo e sarei curioso di sapere cosa ne può venire fuori. Stiamo pronti. In alto i calici e intanto brindiamo con La lacrima della giovane comunista.
Paolo Restuccia
Il link all’intervista su Storygenius.it: http://bitly.ws/K4Eq
BLOG L’estate è entrata con tutto il suo calore e la Sicilia domina la scena con cinque nuovi titoli di Castelli, Cacciatore-Catalano, Rausi, Cassar Scalia, Tomasello. La Controcopertina va a “Umor Vitreo”, Arkadia, quarto volume della saga sui vizi capitali di Paola Musa. La Copertina alle nuove dissertazioni di Francesco Permunian per Edizioni Scientifiche
Due settimane, quelle dal 27 giugno al 10 luglio, che segnano ritorni di bestselleristi e di debutti per il nostro blog di consigli alla lettura… e con un’altissima percentuale di siciliani. Libri sotto l’ombrellone proprio come il mare dell’isola di Trinacria: vastissima scelta!
Si inizia martedì 27 giuno dove risalta Roberta Castelli: l’autrice etnea, trapiantata in Toscana esce per il colosso del giallo e del thriller Fratelli Frilli Editori, con un titolo che richiama Catania: “Il delitto di via Etnea“. Sempre oggi tornano in libreria Cristina Cassar Scalia con “La banda dei carusi” (Einaudi), Simone Rausi con “Il colore delle cose non dette” (Rizzoli) e il debutto di Dario Tomasello con “Cronicario” (Marsilio); tra i non siciliani Rosemary Tonks esce con “Il Baccalà” (Il Saggiatore).
Venerdì 30 giugno l’attesa è finita per quello che è il libro controcopertina: “Umor Vitreo“, edito da Arkadia, quarto capitolo della saga dei vizi capitali di Paola Musa. Il 30 giugno è anche il giorno di Niccolò Cusano con “La pace della Fede”, Lorenzo de’ Medici Press, che vanta introduzione, traduzione e note di Marco Vannini, di Alberto Radicati di Passerano e il suo “Dissertazione filosofica sulla morte“, Il Saggiatore, e di Beppe Mecconi con “I proverbi della Signorina Celide” per Topffer. Esce anche il nuovo di Jury Romanini, “Otto anni“, per ExOrma.
A luglio ritroviamo la coppia Raffaella Catalano e Giacomo Cacciatore che tornano con un libro a sfondo sociale dal titolo “A Salina il vento cambia“ per i tipi di Leima, il nuovo libro di Igor Patruno e Giacomo Galanti, “Il delitto di Chiavari. La strana morte di Nada Cella” per Armando editore e Maharaj Nisargadatta con “Essere è amore“, anche questo edito da il Saggiatore. E il libro copertina? Eccolo nell’ultimo giorno delle due settimane: lunedì 10 luglio torna il “colosso veneto” Francesco Permunian che in “Tutti chiedono compassione e altre microstorie“, Editoriale Scientifica, racconta come ci si può fermare sui social a raccontare inutilità.
Le uscite di martedì 27 giugno
Roberta Castelli, Il delitto di via Etnea, Frilli
Manfredi era un brillante poliziotto ma ha lasciato il lavoro quando il destino, con un tiro mancino, gli ha tolto ciò che di più prezioso aveva. Mariolina invece, rimasta per sempre promessa sposa, ha solo sfiorato una felicità che non ha fatto in tempo ad afferrare, perdendo l’unica cosa che le rimaneva: il senno. Diventati amici per caso, mentre erano alla ricerca di risposte difficili da scovare, hanno trovato conforto in un’amicizia che li sostiene ancora oggi. Oltre alla passione per i casi da risolvere, in comune hanno la capacità di vedere e sentire cose che altri non riescono a percepire. In questa strana e ufficiosa indagine, i due si muovono tra le vie del malfamato quartiere Bottegaccia, cercando di capire chi possa avere ucciso Momar, il senegalese che vendeva cd in via Etnea. Ad aiutarli, l’ex collega e amico di Manfredi, l’ispettore Nicola Romano. Catania è la principale protagonista di questo romanzo, con le sue tante ferite ancora aperte e una storia che sembra volerla condannare all’eterna infelicità.
Cristina Cassar Scalia, La banda dei Carusi, Einaudi
Da quando si è trasferita sotto l’Etna, al vicequestore Vanina Guarrasi non era mai successo di lasciarsi coinvolgere tanto da un caso. Ma ora il brutale omicidio su cui deve indagare è quasi un fatto personale. Per lei, per la sua squadra e per un gruppo di «carusi» che già in passato le è stato d’aiuto. In una mattina di aprile, alla Playa, l’unica spiaggia sabbiosa di Catania, viene scoperto il cadavere di Thomas Ruscica, qualcuno lo ha ucciso con un colpo di rastrello alla testa. Thomas era uno dei «carusi» di don Rosario Limoli, parroco di frontiera che opera nel difficile quartiere di San Cristoforo. Vanina lo conosceva: un ragazzo con una famiglia e un passato pesanti alle spalle, però determinato a rifarsi una vita e ad aiutare altri come lui. Criminalità organizzata o delitto passionale? Questo è il dilemma che da subito si trova davanti la polizia. Finché gli indizi non cominciano a convergere tutti sulla stessa persona. Eppure né Vanina, né il suo vice Spanò, né l’inossidabile commissario in pensione Biagio Patanè, di cui alla Mobile nessuno può più fare a meno, credono alla sua colpevolezza. Per scagionarla saranno pronti, ognuno a modo proprio, a trascurare o a mettere in gioco anche la loro vita privata.
Simone Rausi, Il colore delle cose non dette, Rizzoli
Da piccola Nina sognava di inventare un nuovo colore. Ora ha vent’anni e, dalla morte di suo fratello Samuele, la sua vita non ne ha più nean-che uno. Lavora come grafica da casa, senza mai parlare con nessuno, fino alla sera in cui riceve un messaggio anonimo: una persona che dice di vivere nel suo palazzo e sembra sapere tutto di Samuele. Prima di rivelarsi, le propone un esperimento: 36 domande a cui rispondere a turno, senza riserve. Nina scopre la vita segreta di suo fratello e un’inaspettata somiglianza con il misterioso sconosciuto che non ha nome, non ha sesso e ha l’insolita abitudine di leggere il dizionario prima di dormire. Passa in rassegna i vicini ed entra nelle loro vite dalla porta di casa, ma tutte le volte che sembra avvicinarsi alla soluzione la verità le sfugge di nuovo. C’è Prosperina, la portinaia che sa tutto degli inquilini; l’ingegner Barra, sempre chiuso nel suo studio; i Balsamo, una giovane coppia in crisi; la signora Kovacs con la bellissima figlia adolescente Sarah; la caotica famiglia Angeli; l’affascinante pasticciere Pietro, con le sue torte che chiudono le giornate. Chi è che le scrive? Nina sa davvero così poco delle persone che le abitano accanto? E di suo fratello? La storia di un dialogo nel buio tra due perfetti sconosciuti che si tendono la mano per salvarsi dal dolore.
Dario Tomasello, Cronicario, Marsilio
Emanuele Trevi: “Grottesco, lunatico, visionario, il poema di Dario Tomasello è un viaggio in direzione della verità, un’opera raffinata e sorprendente”
Cronicario rimanda all’idea di un sanatorio disperante, di un’insanità inguaribile e irredimibile. In questa atmosfera estenuata, S. è protagonista e voce narrante di una catabasi, di un viaggio picaresco che si svolge a Giadida, città solare e inquietante, affacciata su un angusto braccio di mare. Giadida in arabo significa “nuova”, perché il passato non sembra avere diritto di cittadinanza a queste latitudini. Un coro di personaggi grotteschi scandisce le fasi dello spostamento nello spazio e nel tempo di questo flâneur postmoderno: personaggi che forse attentano alla sua vita, o più probabilmente alla loro, e agli ultimi residui di una qualche plausibile umanità. Nel frattempo, qualcuno – che ha visto troppo – scompare misteriosamente nello specchietto retrovisore di un’automobile; una torma di individui disperati, a frotte, invade gli spazi metropolitani, sbucando dal nulla. Uniche vie di fuga dall’orrore: un amico di infanzia mutaforma (spesso appare nelle vesti di un gatto persiano); l’ape regina, spettro materno e severo, e una ragazzina che riporta il passato nel presente. Sospeso tra riferimenti a numi quali Stefano D’Arrigo e Jolanda Insana e una struttura ritmica che spesso allude all’hip hop, Cronicario ripropone la forma poema, giacché quell’abisso che è lo Stretto pretende un registro vertiginoso e molteplice. Dario Tomasello vive e insegna a Messina. Ha pubblicato nel 2006 la plaquette Prima dell’inizio. È autore, tra i molti altri volumi, di Stretto di carta. Guida letteraria di una regione di confine (il Palindromo, 2021). Ha scritto e realizzato numerosi testi drammaturgici.
Rosemary Tonks, Il Baccalà, Il Saggiatore
Min ha vent’anni, abita a Londra ed è terribilmente anno- iata dalla vita. L’unica cosa che sembra dare sollievo al suo tedio sono gli uomini che orbitano attorno al suo centro gravitazionale. C’è Fritz, ventiduenne dall’accento tedesco che fuma la pipa e non ha rispetto per le donne; c’è Billy che non alza quasi mai la voce, è preciso e controllato. Si prende cura di sé, forse fin troppo: saune, sbiancamento dei denti, lucidatura delle scarpe, champagne nei tre momenti della giornata in cui è accettabile; c’è Claudi, con il tic del «mia cara» infilato insistentemente in tutte le sue frasi e poi c’è George, suo marito. Quest’ultimo è così invisibile ai suoi occhi che un giorno Min ha, accidentalmente, spento la luce della stanza quando lui era ancora dentro. Ma sopratutto è il Baccalà. Un baritono che la irrita più di qualsiasi al- tro uomo abbia mai conosciuto. A volte le fa qualche regalo, facendola infuriare ancor di più. Ne è disgustata e attratta allo stesso tempo, e per questo non riesce a mettere a tacere una volta per tutte le sue avances. Come se non bastasse, si è anche presa la gotta. Ma in che direzione va la vita di Min? Per molti anni, questo romanzo è scomparso dalle librerie, per volontà stessa dell’autrice che ha distrutto quasi tutte le copie. Un classico contemporaneo divertente e schietto, scritto nel 1968, Il Baccalà anticipa la fioritura del femminismo negli anni settanta, evidenziando l’artificialità del genere e invertendo i processi dell’ oggettificazione sessuale.
Le uscite di venerdì 30 giugno
Libro controcopertina, Umor Vitreo di Paola Musa, Arkadia
Dopo molti anni dalla scomparsa di Marla Naiges, moglie e compagna politica del dittatore Arteno Gora, la sua amica d’infanzia Ania Ledon, oramai ultraottantenne, accetta per la prima volta di rilasciare una testimonianza del loro lungo e controverso rapporto a un noto giornalista. Ambientato in un Paese immaginario, la Livania, ma con una descrizione verosimile sulle dinamiche che conducono all’instaurazione di una dittatura, il racconto di Ania è l’estremo tentativo di difendersi dall’accusa di complicità con il regime di allora, di respingere la riduttiva definizione di amica della diavolessa, diventando poco a poco l’autoanalisi spietata di un rapporto d’amicizia avvelenato dall’invidia, dalla prevaricazione e dall’impossibilità di superare psicologicamente le differenze sociali.
Jury Romanini, Otto anni, ExOrma
Una donna in fin di vita chiede al marito di non legarsi a nessun’altra per otto anni, dopo la sua morte; questo è il tempo che occorre al corpo umano per rigenerare totalmente le sue cellule. «Fra otto non sarai più tu! I tuoi occhi non mi avranno mai vista, le tue mani non mi avranno mai accarezzata». Una vita normale, un amore, il lavoro, l’umanità dei bar di campagna e poi… Dopo il lutto, l’uomo si perde in un bosco e arriva a una casa “sospesa” tra mondi (quello tangibile e quello immaginifico, quello del pensiero e dei saperi), custodita da un guardiano e dalle sue sapienti galline. Quando trascorsi otto anni l’uomo lascerà la casa, sarà un uomo tutto nuovo e dovrà cercare la rotta per un futuro possibile.
Niccolò Cusano, La pace della Fede. Introduzione, traduzione e note di Marco Vannini, Lorenzo de’ Medici Press
Nel 1453, subito dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi, mentre i più progettavano una nuova crociata, Niccolò Cusano scrisse il De pace fidei. In esso si immagina un Concilio tenuto in cielo tra i filosofi di tutte le religioni, alla presenza del Verbo, cioè Cristo, degli apostoli Pietro e Paolo e del Signore stesso, per ricercare la pace tra le diverse fedi. Essa viene effettivamente trovata grazie al generale riconoscimento che, al di là delle diversità teologiche e di culto, è sempre un unico Dio quello che in realtà tutti i popoli hanno adorato, nella comune ricerca della beatitudine eterna. Religio una in rituum varietate: una sola religione nella diversità dei riti, è la formulazione sintetica che Cusano offre per una vera e duratura pace religiosa. Opera straordinaria per i tempi in cui fu pensata e scritta “La pace della fede” è un testo che ha ispirato nei secoli molti filosofi sul tema dei conflitti religiosi, ma che non manca di rivelare tutta la sua attualità nel nostro tempo.
Alberto Radicati di Passerano, Dissertazione filosofica sulla morte, Il Saggiatore
«Un uomo stanco o sazio di vivere può morire quando lo desidera senza recare offesa alla natura, poiché morendo egli utilizza il rimedio che la natura gli ha generosamente messo nelle mani per curarsi dei mali di questa vita». Difendere il diritto inalienabile al suicidio e all’eutanasia sostenuti da un’esplicita filosofia naturalistica e libertaria nell’Europa settecentesca non poteva non essere fonte di scandalo e repressione. Il suo autore, il conte Radicati di Passerano, già esiliato a Londra per le sue idee ribelli e con- trarie allo spirito del tempo, dopo la pubblicazione venne infatti arrestato. La Dissertazione filosofica sulla morte, ap- parsa per la prima volta nel 1732, con il titolo Philosophical Dissertation upon Death, Composed for the Consolation of the Unhappy sotto lo pseudonimo “A Friend of Truth”, rima- ne ancora oggi un testo di grande interesse, dove il filosofo sostiene che la paura della morte è indotta nelle persone da credenze e superstizioni. Bisogna accettare serenamente quello che è un evento naturale e se necessario, saperlo scegliere consapevolmente.
Beppe Mecconi, I proverbi della Signorina Celide, Topffer
Trovare le origini di un proverbio è come trovare le origini di un mito. Bisogna essere buoni raccontatori di storie, e saper scavare nel passato più favoloso e lontano. In questo libro Beppe Mecconi parte da un dato realistico: una Celide cinquantaseienne, che vive a San Terenzo – Liguria di Levante – che legge Pinocchio e Buzzati, e che incontra festosamente la gente del luogo nell’euforia della libertà ritrovata, siamo nel 1946. Celide conosce la ambiguità contraddittoria dei proverbi, simile a quella delle nostre vite. E ne indaga le fonti quasi smascherandoli, mostrandone la aleatorietà, spesso appesa al filo di una vocale o di una consonante difforme. La fantasia di Mecconi, che i lettori ben conoscono, si sfrena nei racconti e nelle illustrazioni, evocative e a tratti esilaranti. Il lettore partecipa felice a questi giochi di parole che sono anche giochi, salti, balli dell’immaginazione. E alla fine ringrazia Beppe Mecconi per tanta aerea felice grazia inventiva. (Giuseppe Conte)
Dall’introduzione di Francesco De Nicola: “C’era una volta […] nell’immediato secondo dopoguerra l’abitudine a riunirsi in dieci, venti persone nella casa di un vicino e di ascoltarlo mentre raccontava qualcosa: una storia vera o inventata. E intanto, mentre il racconto andava avanti c’era chi si commuoveva o si metteva a ridere, chi parteggiava per un personaggio e chi lo detestava e intanto qualcuno sbocconcellava o bevucchiava qualcosa; e così, intorno alla metà del secolo scorso, si passavano piacevolmente le serate insieme, ascoltato un bravo affabulatore e con il piacere di incontrarsi. […] Ora, a quel tempo che sembra lontano secoli segnato dal piacere di comunicare e di passare insieme le serate ci riconduce Beppe Mecconi, che ci porta nella cucina di una casa colorata del suggestivo borgo di San Terenzo, affacciato nel Golfo dei Poeti tra Lerici e La Spezia, e qui, stupiti e affascinati, ascoltiamo la signorina (di mezz’età) Celide. Senza dubbio questa donna ha grandi doti di affabulatrice, tanto che chi ascolta viene del tutto coinvolto dalle sue parole e non sa trattenere le sue reazioni mentre segue il racconto fantasioso e bizzarro della nascita dei più noti proverbi. La storia dei proverbi è però solo un abile pretesto per inventare racconti incredibili che mescolano le realtà più certe con le fantasie più favolose per dar vita a imprevedibili racconti [… ] E così, col pretesto di raccontare le vere e misconosciute origini di noti proverbi, Beppe Mecconi, per bocca della vivace signorina Celide, intrattiene il lettore con le più fantasiose trovate narrative, esposte con arguzia e linguaggio diretto e coinvolgente, che fanno di questo libriccino una lettura amena e inconsueta che ha anche il merito di riportarci ad un tempo in cui la socialità era davvero il piacere indispensabile di trascorrere insieme ad altre dieci, venti persone – uomini e donne, adulti e ragazzi – una bella serata lasciando correre la fantasia…”.
Le uscite di sabato 1 luglio
Igor Patruno e Giacomo Galanti, Il delitto di Chiavari. La strana morte di Nada Cella, Armando editore
Nada Cella ha solo 25 anni il 6 maggio 1996, quando viene trovata agonizzante nello studio del commercialista Marco Soracco dove lavora come segretaria. L’ufficio si trova in una via centrale di Chiavari, piccola città della costa ligure. A scoprirla in quelle condizioni è proprio il suo datore di lavoro. Sono le 9 del mattino e la ragazza morirà in ospedale poche ore dopo. Fino a quel momento l’esistenza di Nada Cella è molto simile a quella di tante ragazze della sua età. Eppure negli ultimi tempi, come ricorderà spesso la madre Silvana con cui condivideva l’appartamento, la 25enne era preoccupata. Qualcosa la tormentava e voleva cambiare lavoro. Il primo a essere indagato per il brutale omicidio sarà proprio Marco Soracco. Secondo gli inquirenti sarebbe lui il killer. La sua vita, insieme a quella della madre Marisa Bacchioni, viene scandagliata a lungo. Poi la sua posizione verrà archiviata. Il caso di Nada Cella ricorda per certi versi quello di Simonetta Cesaroni. Come per il delitto di via Poma, gli investigatori negli anni percorreranno varie piste, ma ogni volta che la soluzione sembrerà a portata di mano qualcosa andrà storto. Fino al colpo di scena arrivato verso la fine del 2021. La Procura di Genova riapre il caso iscrivendo nel registro degli indagati una persona. Si tratta di una donna che all’epoca era stata sfiorata dall’inchiesta solo per pochi giorni. Ma anche in questo caso, l’entusiasmo iniziale si è affievolito dopo il risultato delle lunghe analisi sui reperti rimasti. Il mistero della morte di Nada Cella potrebbe rimanere per sempre custodito tra i caruggi di Chiavari.
Le uscite di venerdì 7 luglio
Raffaella Catalano e Giacomo Cacciatore, A Salina il vento cambia, Leima
ASalina si prepara la festa di Ferragosto, la più importante dell’anno. A finanziarla, richiamando sul posto le scollacciate Italiette, ballerine di fama televisiva nazionale, è l’imprenditore milanese Giampaolo Fratantoni, da anni trapiantato alle Eolie: è certo che l’evento lo aiuterà a raccogliere consensi per diventare il futuro sindaco di Santa Marina, un paesino dell’isola, e dare il via a speculazioni edilizie e altri illeciti. Intanto, nella stazione dei carabinieri si è insediato da poco un nuovo comandante, Franz Pomar, tedesco di madre e salinese di padre. Che ritroverà un suo vecchio amore e un carissimo amico, ma dovrà fare i conti con tutto quello che è mutato durante la sua lunga assenza. Tra ironia e amarezza, tra turisti beoti e nativi divisi tra il nuovo che avanza e la difesa delle tradizioni locali, la notte della vigilia ferragostana imprimerà una svolta inattesa alle vite dei tanti protagonisti. Perché non è facile fronteggiare ciò che accade quando, d’improvviso, il vento cambia.
Maharaj Nisargadatta, Essere è amore, il Saggiatore
Essere è amore è un viaggio nella natura della mente alla scoperta di cosa significa realmente essere per sciogliere, in maniera pratica, i conflitti e la sofferenza che apparentemente regnano nella nostra vita. Ci trasciniamo tra abitudini e aspettative, dolori ripetuti e gioie momentanee, senza comprendere l’insegnamento fondamentale, l’unico che dà senso a tutto: sentire realmente cosa significa essere vivi. Quando siamo svegli, stiamo tra la memoria del ricordo e l’aspettativa sul futuro per cui perdiamo la percezione del qui e ora. Quando proviamo dolore o piacere noi non siamo quel dolore o quel piacere, ma ne stiamo facendo esperienza. In questa raccolta di dialoghi, che costituiscono la forma più intensa di insegnamento non dualista di Nisargadatta Maharaj, l’interlocutore è provocato, incalzato senza sosta a scavare nella propria coscienza per smascherare tutte le proprie identificazioni e attaccamenti. Portare alla luce i propri contenuti inconsci, andare al di là della mente che separa e che crea un’individualità separata mentre non esistono limitazioni ci porta a scoprire che la verità essenziale è che semplicemente siamo, il resto è illusione.
Le uscite di lunedì 10 luglio
Libro copertina, Tutti chiedono compassione e altre microstorie di Francesco Permunian, Editoriale Scientifica
«L’odierna assurda e folle monomania di stare sempre sui social. Sembra quasi che tutti abbiano qualcosa d’importante da dire, qualcosa di necessario da comunicare al mondo intero. Anche se poi tutti, o quasi tutti, vogliono soltanto raccontare i fatti e i misfatti della loro vita privata. E più tale esistenza è per loro noiosa e tapina, oltreché disgustosa e miseranda oltre ogni limite, più ne parlano e straparlano chiedendo insistentemente attenzione come dei mendicanti che chiedono la carità per strada. Lungo le gelide e infinite strade del web. In realtà, tutti chiedono comprensione. O forse, alla fin fine, tutti chiedono compassione»
Il libro, uno zibaldone contemporaneo, è composto da due parti: “Tutti chiedono compassione” e altre microstorie e “L’angelo di Dondero”. Un dittico perfettamente in bilico tra realtà e finzione, tra posa e confessione, tra autobiografia e mascheramento, che raduna una polifonia di voci – voci di vivi e di morti – in cui emerge, riconoscibile, inconfondibile, tutto il mondo dello scrittore polesano, con la sua comica disperazione che sfocia in improvvise e struggenti pause liriche, ma qui come prosciugato in un distillato di essenzialità.
Francesco Permunian sarà ospite a settembre al Festival della Letteratura di Mantova. Il testo contiene una cristianissima e laicissima parola – compassione, appunto – che l’autore tenterà di far “risuonare” sulle assi del teatro Bibiena, “in modo che l’eco di siffatta umile e preziosa parola non si disperda nell’infinita babele di lingue e parole che si accumuleranno in quei giorni nelle piazze e nei teatri di Mantova”.
Nella prima parte prevale lo stralunato e caustico compilatore di appunti, che raccoglie dalla sua memoria materiale di scarto – «residui o calcinacci» – per annotare un sulfureo zibaldone dove troviamo una sarabanda di personaggi assurdi e grotteschi – uno scrittore di successo fallito, accumulatori seriali, indomiti baroni universitari, ex ballerine slovene gemelle soprannominate le «Kessler del Garda», un prete abusatore, vacanzieri «sciatori da neve artificiale» – o riflessioni sparse sulla letteratura e la scrittura in generale (in dialogo serrato con gli amati Manganelli, Kafka, Cioran, Calvino), o micidiali strali contro il circo culturali-mediatico e «l’odierna romanzeria nazionale», da sempre bersaglio di Permunian. Sono, queste microstorie, come «un cumulo di frammenti sempre sul punto di sbriciolarsi e franar per terra», una parodistica trenodia che ritrae il nostro mondo sempre sull’orlo di una catastrofe annunciata, dove «tutti chiedono compassione».
Nella seconda parte, invece, troviamo l’autore in veste di reporter, che si muove, accorato, nei luoghi della Resistenza del suo Polesine insieme al grande fotografo Mario Dondero, in un confronto di sobria commozione (e indignazione) con i fantasmi dei luoghi e della Storia. Permunian ricostruisce le storie dei partigiani caduti, stila l’elenco dei loro nomi, ne ripercorre le vicende drammatiche, ma non rinuncia mai al suo graffio surreale e visionario. Ad accompagnare lo scrittore e il fotografo, infatti, è un angelo perturbante che sembra uscito dal teatro della morte di Tadeusz Kantor. Sono, queste, pagine di trattenuta e sobria commozione, che aggiungono un nuovo tassello a quel mosaico composito, sempre uguale e sempre diverso, che è l’opera di Francesco Permunian.
Tutti i maggiori critici si sono frequentemente occupati delle opere di Permunian. Franco Cordelli lo ha inserito nel 2014 fra gli autori rappresentativi della letteratura italiana contemporanea. Di lui hanno scritto: «In Permunian sembra di riconoscere ancora intatto il potere della scrittura letteraria come era intesa dai grandi maestri moderni, da Kafka a Céline a Beckett» (Emanuele Trevi); «Lui è il più bravo. Ha battuto i colleghi cattivi della vicina regione, i Piovene e i Parise. Loro si muovono tentennanti fra tradizione e protesta, lui d’un balzo salta al centro della scena europea» (Angelo Guglielmi); «Permunian va a caccia di incubi, come altri, con il retino in mano, vanno ad acchiappare farfalle. Gremisce le pagine dei suoi libri e le rende brulicanti come le tavole nelle quali l’arte di Bosch ha rovesciato catastrofi ironiche» (Salvatore Silvano Nigro); «Non c’è narratore italiano che come Francesco Permunian riesca a farci percepire quanto i luoghi che abitiamo siano non già lo scenario di una narrazione o di un immaginario ma lo spazio in cui il nostro stesso carattere – e, di nuovo, un’intera antropologia – si forma» (Andrea Caterini).
Il libro di Permunian esce nella collana di non-fiction S-Confini, diretta da Fabrizio Coscia, per la Editoriale Scientifica, un nuovo progetto che punta a dare spazio a una scrittura che non si riconosce più nelle forme del romanzo o della narrativa tradizionale, ma diviene prosa nomade, tra il diario di viaggio e il personal essay, le note critiche e il reportage, il taccuino di appunti e il memoir divagante, superando ogni confine di genere.
Oltre al libro di Permunian, la collana, caratterizzata da una raffinata cura editoriale (copertine in cartoncino, con riquadro illustrato incollato a mano) ha pubblicato i volumi: “Panico” di Luca Doninelli, “Tutte queste voci che mi premono dentro” di Andrea Di Consoli, “Isula” di Francesco Borrasso, “Nella notte il cane” di Fabrizio Coscia, “Il picchio rosso” di Renzo Paris e “La vita incauta” di Rossella Pretto, quest’ultimo proposto da Wanda Marasco per le candidature al Premio Strega 2023.
Francesco Permunian (Cavarzere, 1951) vive e lavora da molti anni sul lago di Garda. Ha pubblicato diversi libri, tra cui La Casa del Sollievo Mentale, (Nutrimenti, 2011), ll gabinetto del dottor Kafka, (Nutrimenti, 2013, Premio Volponi), Costellazioni del crepuscolo (Il Saggiatore, 2017), Sillabario dell’amor crudele (Chiarelettere, 2019, Premio Dessì), Giorni di collera e di annientamento (Ponte alle Grazie, 2021), Elogio dell’aberrazione (Ponte alle Grazie, 2022), Stradario sentimentale del lago di Garda e del monte Baldo, con fotografie di Pino Mongiello (Oligo editore, 2023). Su di lui e sulle sue opere hanno scritto i maggiori critici italiani.
Salvatore Massimo Fazio
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Venezia, estate del 1990. Il mare, i Mondiali, il primo anno di università per Feli, Barbara, Rodrigo e Ema. Quel periodo della vita in cui tutto sembra a portata di mano, dove sembra di avere tutte le risposte e ci si chiede come abbiano fatto tutti gli altri (quelli adulti e regolari) a non aver capito un accidente di quella cosa bella e fresca e facile che è la vita. Questo il ritratto ideale dei protagonisti di questa commedia veneziana che racconta di un anno irripetibile della loro vita, in cui la Vita, l’amore, la passione e il desiderio saranno i cardini delle svolte e giravolte che legano e ribaltano relazioni e amicizie. In una corsa che sembra inarrestabile fino alla conclusione, al colpo di scena inaspettato che sparpaglierà le carte e darà conto di tutto, come nelle storie migliori, come la vita vera spesso sa sorprendere. Una scrittura che sa intrattenere perché si diverte lei per prima a fare il suo lavoro. Un autore con una voce fresca, che sa riproporre ai giorni nostri un genere che due secoli fa avremmo potuto vedere in scena a teatro. Un sogno di una notte di mezza estate dove l’elemento soprannaturale sono quelle notti magiche che ricordiamo con nostalgia, quando tutto sembrava più semplice e instradato verso un futuro luminoso e il superpotere delle possibilità e del coraggio della giovinezza, che tutto può e tutto pretende, nell’innocente inconsapevolezza che non ci sia, alla fine, un prezzo per ogni cosa.
Stefano
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Con L’anno che Bartolo decise di morire – per i tipi di Arkadia Editore – Valentina Di Cesare ci regala un’opera meravigliosa. Un’opera del dolore, della solitudine, della disattenzione.
«Bartolo mio, la fine è una cosa seria, bisogna aspettarsela, è imparentata con il tempo e con la fortuna, ha le ali lunghe che volano veloci e una sfumatura diversa per ognuno, tant’è che non tutti si finisce allo stesso modo. C’è chi finisce divorando, chi divorato, chi sdraiato al sole, chi al freddo senza un tetto sulla testa, ma il rumore della fine credo sia sempre lo stesso, non è che ha un suono differente, non lo credano i furbi, e io di questo sono sicuro perché la morte è l’unico equilibrio di questa recita. Sarà infingarda quanto vogliamo ma non le resta altro per continuare la sua missione».
L’anno che Bartolo decise di morire accaddero moltissime cose. Cambiarono le stagioni, si modificarono le priorità, passarono le giornate. E la vita, che scorre in maniera caotica e frenetica, non permette agli amici di Lucio e di Bartolo di rendersi conto dell’inesorabile precipitare delle situazioni. Nemmeno la spinosa questione di Lucio sarà uno shock addizionale sufficiente per modificare gli sguardi e i pensieri di tutti. Bartolo – gentile, sensibile, affabile, riflessivo e attento – ha tanti amici. Li cerca, li aiuta, ci pensa, eppure non basta. Non basta essere persone meravigliose, non basta porsi domande sulla propria vita e su quelle degli altri per essere capiti, per essere esentati dal dolore. Bartolo scivola inesorabilmente in se stesso e decide, dunque, di morire. La sua stanchezza, i suoi evitamenti, i suoi turbamenti vengono notati solo in maniera superficiale, attribuiti a cause sbagliate, non attenzionati a dovere. È così che la solitudine diventa la mano armata del dolore e uccide. Consuma prima e uccide poi. Senza alcuna pietà. Una storia massacrante narrata con una scrittura lieve. La storia di una vita che passa tentando di lasciare il segno e che, invece, se ne va in silenzio, senza clamore, senza urla che potessero essere udite da alcuno. La malattia silente, che spesso si nasconde dietro i sorrisi più splendenti e la normalità più banale, mieterà più di una vittima nel mondo di Bartolo ma, nonostante questo, la vita continuerà a camminare, a scorrere. L’umanità continuerà a girare intorno al baricentro sbagliato, a valori irrilevanti, a priorità fittizie inglobate nella mente umana attraverso la tremenda catena di montaggio che è diventata la vita umana. Un racconto di grande umanità che dona spunti di profondissima e sacrosanta riflessione, una parabola del male che ognuno di noi dovrebbe cercare di evitare guardando oltre la punta del proprio naso. Bisogna recuperare i valori reali, i sentimenti puri che vanno via via sparendo. Bisogna farlo in fretta. Bisogna farlo prima che sia troppo tardi.
Assolutamente da leggere.
Flora Fusarelli
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Ritornano i protagonisti de “La chimera di Vasari” con una nuova indagine in cui sarà essenziale, come nel precedente romanzo, l’aiuto di Lucia, una sagace e simpatica Intelligenza Artificiale. È fresco di stampa il nuovo romanzo di Mauro Caneschi “Il codice Stradivari” (Arkadia Editore). Il libro – Il ritrovamento a Venezia di una lettera, datata 1943, che contiene misteriosi riferimenti al trittico di un pittore del XIV secolo e al grande Antonio Stradivari innesca fin da subito una vicenda rocambolesca. I fratelli Dario e Marco Mannelli, informati della scoperta da un amico, decidono di partire per la città lagunare in compagnia della loro Intelligenza Artificiale, lucia, pronti a fare luce sull’enigma. E sarà tra calli e ponti che i nostri inizieranno un’indagine serrata sulle tracce dei pannelli smembrati dell’opera di Jacobello del Fiore, custodi di importanti indizi per venire a capo del caso. Venezia, Parigi, Berlino, sono solo alcuni degli scenari in cui si dipana la trama, in un carosello di viaggi, imprevisti e labili tracce, mentre i tre investigatori tenteranno di comprendere quali elementi uniscano un pittore trecentesco a un artista del XVIII secolo, il più famoso liutaio d’Europa. Sulla scia della loro ricerca, però, Dario, Marco e lucia non immaginano neanche lontanamente il vaso di Pandora appena scoperchiato.
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“Forse un altro” non è un libro inquadrabile nei vari generi adesso in voga, perché li sconquassa tutti con la perizia di chi conosce bene la narrazione.
«Immagina di svegliarti di soprassalto in una vettura di seconda mano guidata a folle velocità da uno scontroso sconosciuto lungo una ripida mulattiera.
Non conosci il guidatore, non sai perché sei lì, ignori verso dove sei diretto.
L’unica certezza è che il viaggio rischia di risultare molto breve e assai doloroso».
Forse un altro, uscito per Arkadia, è il primo romanzo di Michele Zatta, dirigente Rai. La vicenda è narrata in prima persona da Mike Raft, che troviamo subito alle prese con un sogno. Chrissie, la donna della sua vita, la persona con cui ha vissuto la relazione che ha dato un senso ai suoi giorni, si è materializzata nel suo appartamento. Il problema è che con Chrissie è ormai finita da un pezzo e se i sogni ci rivelano molto del nostro inconscio, Mike è convinto di non avere molte più chances con lei. Quando la scena svanisce e lui crede di essere rimasto solo, compaiono figure allineate che rappresentano i suoi pensieri. E non sono pensieri rassicuranti: «Ossequi, mio signore, sono il pensiero del tuo fallimento sentimentale. Ti accompagno fedelmente da 9 mesi e 17 giorni, ma già prima albergavo nel tuo animo come paura recondita. Sono il tuo prediletto e infatti non ti separi mai da me neanche quando dormi».
Questo libro non è inquadrabile nei vari generi adesso in voga, perché li sconquassa tutti con la perizia di chi conosce bene la narrazione. Riesce a tenerci col fiato sospeso e non solo per l’atmosfera lynchiana di alcuni passaggi o per lo humor che ricorda Woody Allen, ma soprattutto perché restiamo avvinghiati alle vicende di quest’uomo che decide di porre fine alla sua vita, dopo averne accertato alcuni non-sense. Ma attenzione: questo non è nemmeno un libro sul suicidio, tant’è che appena Mike si butta dal quarto piano, si imbatte nella Vita – e non nella Morte – come sua interlocutrice privilegiata. Una figura particolare, che fuma, lancia occhiate poco cordiali, beve Margarita, prodiga sorrisi e ricorda con una malinconia struggente. Un libro con punte esilaranti, divertente e interessante per tutti, ma utilissimo per chi non sa cogliere l’attimo, chi non sa gioire dei piccoli istanti di felicità, per chi si consuma morendo lentamente. Poi c’è qualcosa di imprevisto, dentro. Una contaminazione con le fiabe che assurge anche a osservazione sociologica, ma mai con fine didascalico. Ogni volta ci che entra dentro l’assurdo, è come se l’autore lo mettesse in riga con la logica dei suoi ragionamenti e la forza della dialettica socratica. Non capisco come mai la genesi di questa storia, in ogni sua forma, sia stata tanto travagliata, come raccontato con simpatia nei ringraziamenti: per me questo libro è pieno di amore, di curiosità, di passione. È un inno alla vita da parte di chi ne accetta le intrinseche contraddizioni, la parte arcana, con la saggia rassegnazione che mai la afferreremo. Scoprirete che il Limbo è pieno di sorprese e che vi aspetta un finale del tutto imprevedibile. Mentre leggevo pensavo alle parole di un autore purtroppo recentemente scomparso, parole che andrebbero scolpite in un tempio, così infatti Cormac Mc Carthy scrisse nel suo capolavoro “La strada”: «La vita è una gran cosa anche quando sembra brutta, dovremmo apprezzarla di più, essere grati. Non so a chi, ma dovremmo essere grati per ciò che abbiamo».
Marilù Oliva
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