La bambina impazzita
Caro lettore,
se non hai troppo tempo per leggere la seguente nota, sappi che il libro di Viviana Viviani è bello, scorrevole, amabilmente ironico, a tratti persino divertente. Un velo di malinconia aleggia sempre, certo, ma quale poeta ne fa a meno? La copertina potrebbe prestarsi benissimo per il disco di una di quelle band Goth Metal che piacciono tanto agli ultimi, ovvero agli incompresi. Raffigura una donna nuda, selvaggiamente incantevole, rannicchiata al gelo sopra un cumulo di sterpi, neve, bambagia e piume. L’intera scena è velata di blu, come in Imaginaerum dei Nightwish, il che spalanca i sensi al freddo delle nostre coscienze andando in profondità come una certa iconografia dovrebbe fare. E se stai già pensando a un paio di plaid, uno per te e uno per l’ermetico e procace soggetto in copertina, magari sfoggiando il tuo kit assortito di tè con tazza fumante annessa e connessa, lascia che ti dica una cosa: sei del tutto privo di senso poetico. Solo ai poeticamente insensibili verrebbe in mente una cosa del genere. Rovinare un’immagine perfetta sul piano estetico e capace, al tempo stesso, di erotizzare il dolore, per cosa? Nulla è più detestabile della frivolezza in poesia. Ecco, mi sono lasciato andare a un commento da critico ammuffito, cosciente che al giorno d’oggi bisogna mettere al centro di tutto l’individualità per poter incassare plausi. Ciò riguarda il sottoscritto, ma non Viviana Viviani. Lei se la riderebbe di gusto e poi, rapita da un raptus goliardico, scriverebbe una poesia come questa:
Rivincita
Se di nessuno
sei musa
osa
cambia meta
diventa tu
poeta
E su questa brevitas fulminante chiudiamo il siparietto destinato al lettore frettoloso il quale, magari sentendosi difeso dalle parole dell’autrice, potrebbe anche acquistare il volume. Pertanto, liberati dal terzo incomodo (sto scherzando!), cerchiamo di andare più a fondo.
Nella prefazione a La bambina impazzita (Arkadia 2023), il poeta e critico Pasquale Vitagliano condivide un pensiero che, a mio avviso, si rivela fondamentale: «Mi piace pensare che la poesia possa giocarsela con le canzoni. Sì, le avanguardie ci hanno rotto e quanto al realismo terminale, l’aggettivo mi inquieta. Se fosse nata anche la poesia indie sarei felice. […] La poesia della Viviani è una guerra al kitsch, inteso alla maniera di Milan Kundera, come cieco tentativo di eliminare dal mondo la merda. Invece, la nostra vita è impastata e impestata da scorie. Lo sforzo della scrittura, della poesia a maggior ragione, è di ripulire il nostro corpo e le nostre parole giorno dopo giorno. […] Eppure, senza merda, saremmo morti».
Questa considerazione da un lato lascia emergere una natura non necessariamente antilirica (e in effetti Viviana Viviani non lo è, considerando anche il debito che paga alla tradizione, dal crepuscolarismo, passando per la linea antinovecentesca, fino ad arrivare a tensioni espressive non lontane da quelle di Giovanni Giudici), eppure pare proprio che del kitsch ci si debba appropriare quasi come un riflesso dissacratorio. Il kitsch pervade la nostra società, ma Viviana Viviani coglie in questa faccenda il lato puramente umano. Il posticcio entra a pieno titolo nella legittima aspirazione esistenziale, nutre la vanità individuale in quanto capace di attirare attenzioni e dopotutto, al diavolo l’eleganza, è ormai comune l’idea di porre l’urgenza del dire dinanzi a ogni cosa. Ma dire che cosa? Questa è la grande domanda che mi sento di lasciare in sospeso. E se probabilmente non spetterà a noi l’arduo compito di giudicare quest’epoca, i poeti pur essendo presi da inguaribili turbe interiori, una testimonianza possono sempre darla.
Innanzitutto Viviana Viviani coglie il senso di inadeguatezza anagrafica che impera nella società odierna, inadeguatezza al femminile in particolare. L’età ha un impatto nelle relazioni, nel sex appeal e, naturalmente, nella forza vitale. Vivendo un’era di prolungamento dell’adolescenza, si è ampiamente affermato desiderio di ritoccarsi nella speranza di sottrarsi alle crudeli grinfie del tempo che avanza: «da vecchia mi farò / di botox come di eroina / truccata da vecchia gallina / mi butterò nel vizio / lolita nell’ospizio». Il kitsch non è più espressione di un buon gusto mancato, ma una vera e propria situazione bellica, una lotta titanica, seppure tragicomica, di resistenza alla vita. Fuori dall’accettazione, dal gioco della seduzione, esiste una pre-morte. Il decadimento fisico. Condizione inevitabile, ineludibile, per questo Viviani mette in campo la tenerezza. Sì, fa strano dirlo, nel mare magnum di questa perfidia capitalista, di sentimenti aizzati per desiderare cose che un tempo non ci si poteva permettere, l’elemento primario che connota l’umanità è uno spietato senso di tenerezza. Il decadimento spetta a tutti prima o poi, allora piangere col sorriso sulle labbra può essere di certo un bel modo per tirare avanti. Cattivo gusto sì, ma con allegria e voglia di vivere.
Le vecchie signore
Le vecchie signore
con lo smalto rosso
e grossi anelli
blu come le vene
il rossetto rosa antico
tra le pieghe delle labbra
e un po’ di azzurro cielo
sulle palpebre scese
si guardano allo specchio
con gli occhi della memoria
e sono ancora belle
quando nessuno le vede
C’è tanto altro in quest’opera, tra psicodrammi virtuali, prefigurazioni poliamorose, fantasticherie varie, Viviana Viviani esprime con proverbiale sarcasmo il peso dell’intrattenimento, liquidato dai più come leggerezza, ma in realtà questo sfoggio di frivolezza non priva di arroganza altro non è che il disperato tentativo di salvarsi. L’intrattenimento appare come una sospensione in cui si allontana la noia, quel momento nel quale, presi da un interesse, ritroviamo qualcosa di noi stessi estremamente piacevole. Il nostro godimento, tuttavia, si rivela completamente inutile in ambito produttivo ed è in questa repressione della parte più vitale di noi stessi, in nome dei doveri, che subentra la frustrazione. Non è un caso che persino la politica abbia compreso il valore dell’intrattenimento, ibridando faccende istituzionali ed etiche con la vita privata. Certi libri di (pseudo) poesia scritti all’insegna dell’intrattenimento vengono sicuramente premiati dai lettori, eppure sembra che nel tentativo di rincorrere il piacere del pubblico, la parola poetica si perda nello storytelling degli autori (il poeta che deve fare i reading in una sala di pubblico plaudente, in grado di dire cose capaci di muovere le sopite coscienze civili, toccando le corde profonde del sentimento della gente e tutta una serie di stereotipi e banalizzazioni). Viviana Viviani gioca sul filo e questo rischio rende la sua scrittura interessante. Nei versi si percepisce il valore delle relazioni e l’importanza dell’intrattenimento, il momento in cui i due piani si fondono (Foto in bianco e nero / autoscatti / profilo da seduttore / migliaia di contatti. / Con quanti hai fatto l’amore?) eppure ne risulta quasi una curiosa fascinazione, una visione realistica nella misura in cui si interpretano i desideri profondi delle persone senza imporre una morale. In questo si potrebbe rintracciare un vena sociologica, ma senza freddezza o posa intellettuale. Intrattenimento e cattivo gusto, certo. Ma con il desiderio di indagare sull’uomo e ciò che resta dell’umano e, per questo, tanto di cappello.
Non mandarmi il tuo c@zzo in chat
Non mandarmi il tuo cazzo in chat
che ancora non ho navigato
le vene delle tue braccia
né attraversato fiumi
camminando sulle tue vertebre
non ho sovrapposto le impronte digitali
per vedere se si assomigliano
e nemmeno disegnato ghirigori
tra le nocche delle tue mani
non ho contato una a una
le tue ciglia nel sonno
o soffiato parole audaci
nel labirinto delle tue orecchie
non ho ancora cercato l’Orsa Maggiore
tra le costellazioni dei tuoi nei
né dato un nome a quelle senza nome
sulla volta della tua schiena
non conosco le risse
dietro le tue cicatrici
e non so se odori più di bosco
di biblioteca o di autogrill
non mandarmi il tuo cazzo in chat
o finirà tra i tanti senza storia
che vivono nelle chat
spade di pixel sguainate nel nulla
non voglio sapere la sua solitudine
prima di conoscere la tua
Federico Preziosi
Il link alla recensione su Exlibris20: https://bitly.ws/ZkqH