Il Comitato Tecnico del Premio Letterario Chianti, esaminati i testi di narrativa editi nel periodo dall’1 gennaio 2022 al 30 giugno 2023, ha compiuto una prima scelta di titoli comprendente i seguenti quaranta testi, di seguito proposti in ordine alfabetico. Da questa lista il Comitato trarrà, dopo ulteriori opportune selezioni e confronti, i tre autori finalisti, i cui nomi saranno comunicati entro il mese di febbraio 2024.
1. Albinati Edoardo, Uscire dal mondo, Rizzoli
2. Baldelli Simona, Il pozzo delle bambole, Sellerio
3. Bianca Federico, Riscatto, Felici
4. Bicchi Luigi, Il noce dell’Alderga, NIE
5. Bona Giorgio, La lacrima della giovane comunista, Arkadia
6. Borrasso Francesco, Sott’acqua, Giulio Perrone
7. Bortolotti Nicoletta, Un giorno e una donna, HarperCollins
8. Camurri Roberto, Qualcosa nella nebbia, NN
9. Casadio Paolo, Fiordicotone, Manni
10. Cassioli Silvia, Il capro, Il Saggiatore
11. Cecconi Arianna, La girandola degli insonni, Feltrinelli
12. Ciano Martino, Itinerari della mente verso Thomas Bernhard, A&B
13. Drago Marco, Innamorato, Bollati Boringhieri
14. Durastanti Claudia, Cleopatra va in prigione, Minimum Fax
15. Falco Giorgio, Il paradosso della sopravvivenza, Einaudi
16. Fallai Paolo, Un inverno lungo un anno, Solferino
17. Gori Leonardo, La libraia di Stalino, Tea
18. Innocenti Simone, L’anno capovolto, Blu Atlantide
19. Lepri Roberta, DNA Chef, Voland
20. Levi Lia, Per un biglietto del cinema in più, Salani
21. Lupo Giuseppe, Tabacco clan, Marsilio
22. Manganelli Lietta, Aspettando che l’Inferno cominci a funzionare, La Nave di Teseo
23. Miorandi Paolo, Nannetti. La polvere delle parole, Exorma
24. Mondadori Sebastiano, Verità di famiglia, La Nave di Teseo
25. Naspini Sacha, Villa del seminario, E\O
26. Nata Sebastiano, Memorie di un infedele, Bompiani
27. Ossorio Antoniella, I bambini del maestrale, Neri Pozza
28. Paoli Gigi, La voce del buio, Giunti
29. Pardini Vincenzo, Il passo dei briganti, Vallecchi
30. Permunian Francesco, Elogio dell’aberrazione, Ponte alle Grazie
31. Piersanti Claudio, Ogni rancore è spento, Rizzoli
32. Pignatelli Anna Luisa, Il campo di Gosto, Fazi
33. Sartori Giacomo, Fisica delle separazioni in otto movimenti, Exorma
34. Scudeletti Massimiliano, La laguna dei sogni sbagliati, Arkadia
35. Soriani Melania, Bly, Mondadori
36. Spampinato Lorena, Piccole cose connesse al peccato, Feltrinelli
37. Spila Cristiano, I baffi di Gadda e altri malinconici oggetti, Avagliano
38. Tuti Ilaria, Come vento cucito alla terra, Longanesi
39. Veltri Francesca, Malapace, Miraggi
40. Vichi Marco, Nulla si distrugge, Guanda
Il Premio letterario Chianti è promosso dai Comuni di Greve in Chianti (Firenze), Unione Comunale Barberino V.E -Tavamelle Vel di Pesa (Firenze), Castellina in Chianti (Siena), Gaiole in Chianti (Siena), Impruneta (Firenze), Radda in Chianti (Siena), San Casciano Val di Pesa (Firenze), Castelnuovo Berardenga (Siena) e dall’Associazione Culturale Stazione di Posta di Firenze con l’ideatore del Premio Paolo Codazzi, con il coinvolgimento delle loro biblioteche.
Sponsor della manifestazione è il Rotary San Casciano – Chianti.
Il link alle segnalazioni: https://bitly.ws/3aPkm
Con Il sorriso di chi ha vinto (Arkadia, 2023) Paolo Restuccia riporta in scena la filmaker Greta Scacchi (protagonista del suo precedente libro Il colore del tuo sangue) con una storia, se possibile, ancora più intrigante.
Insieme a lei torna l’ex dirigente di polizia Tommaso Del Re che si è dimesso dall’incarico e ora la coinvolge nella realizzazione di un servizio televisivo sulla morte di Casemiro Rosco, un giovane attore brasiliano in cerca di gloria.
Nella complicata esistenza di Greta Scacchi, abituata per il suo lavoro a mettere a fuoco i particolari, la morte dell’attore è collegata alla scomparsa di due giovanissime acrobate: Daria Gentile e Carla Ferrara.
Nell’autunno di una Roma bella e infame dove le ragazze che scompaiono di solito non vengono ritrovate, c’è da seguire con apprensione le vicende di questo thriller intenso e pieno di sorprese.
Il romanzo, montato come Il colore del tuo sangue a capitoli alternati, intreccia l’azione di Greta con quella dell’uomo che non crede a niente, con una notte inquietante dove succedono cose orrende.
Tra le pieghe dell’indagine: di nuovo l’azienda farmaceutica Biolab e poi due preti e la Chiesa della Perfezione di tutti i Santi e altri luoghi, personaggi, scenari affrontati da Greta con il suo istinto e la sua ostinazione, con la semplicità aperta alla vita dove si ama chi si fa amare senza fare differenza tra uomini e donne.
A cucire la trama avvincente, a mettere al posto giusto ogni tassello della storia ci sono anche i sogni e il richiamo esplicito a Eyes Wide Shut l’ultimo capolavoro di Stanley Kubrick, tanto per lasciare nel lettore anche un pizzico di mistero e forse la voglia di sapere ancora di Greta.
Fabrizio Nelli
Il link alla recensione sul blog di Fabrizio Nelli: https://bitly.ws/3aIVS
Nata a La Coruña nel 1851 e morta a Madrid nel 1921, è stata scrittrice, giornalista, saggista, critica letteraria, poetessa, drammaturga, traduttrice, editrice, professoressa e conferenziera, prima voce intellettuale a introdurre il tema del naturalismo in Spagna. Antesignana delle idee sui diritti delle donne e sul femminismo, rivendicò l’istruzione femminile come qualcosa di fondamentale e dedicò una parte importante della sua azione pubblica alla difesa di tali principi. Tra le sue opere più importanti si ricorda La questione palpitante, una raccolta di articoli che l’accredita come una delle principali promotrici del naturalismo in Spagna, un movimento sorto come reazione al romanticismo. La Tribuna (1883) è considerato l’antesignano del romanzo sociale spagnolo, in cui s’incorpora per la prima volta il proletariato e si danno voce e un discorso proprio a una donna lavoratrice. Il metodo naturalista culmina tuttavia nel romanzo I casali di Ulloa (1887), in cui l’autrice descrive la decadenza dell’oligarchia terriera e la perdita del suo ruolo di guida sociale, un quadro drammatico del declino del mondo rurale galiziano e dell’aristocrazia spagnola. È stata la prima donna membro dell’Ateneo di Madrid (1906). Con Arkadia Editore è uscito La Tribuna (2024), tradotto da Alessandro Gianetti.
Devo complimentarmi con Rosalia: ho letto questo libro con grande e crescente interesse, che è poi ciò che un autore desidera – per come la vedo io – dalla propria creazione. La storia ruota intorno al conflitto tra due sorelle, tema spinoso quanto “classico” nella sua essenza di contrasto tra simili e diversi, tra due specchi della stessa realtà che aborrono, ciascuna in modo diverso e dal proprio angolo visuale particolare, alcune caratteristiche dell’altra. Ro e Nana, le due sorelle Mortillaro, diventano quindi emblema di incomunicabilità, di impossibilità di dipanare ciò che le ha separate per una vita intera, di distanza per la vita e oltre la vita. Un monito, per tutti noi, a fare in modo di sopire ciò che di oscuro c’è nei nostri animi, per tentare di diffondere luce sulle tenebre e trovare modo, anche solo per un attimo, di “accogliere” l’altro. Per tutta la lettura – e soprattutto nella seconda parte – mi sono interrogata , attraverso gli occhi di Anita, che di Ro (la sorella “forte”, la scrittrice diventata ricca grazie alla sua bravura nutrita dalla passione) diventa strettissima amica, su chi fosse davvero la sorella “cattiva”. L’autrice ha seminato alquanti dubbi che sono, poi, il sale della lettura. Ho trovato molto “forti” e provocatorie le considerazioni sulla figura dello scrittore, pronunciate da Ro.
“Gli scrittori sono vampiri, mia cara”, aveva risposto Ro, senza neppure fermarsi a pensare. “Non siamo belle persone, non siamo generosi, non abbiamo rispettoper il prossimo. In ogni cosa che accade intorno a noi cogliamo spunti narrativi. Il nostro stesso dolore diventa materia da raccontare. Ogni paura, ogni cicatrice, ogni delusione, tutto, tutta la bellezza e l’orrore e il disgusto che la vita ci regala diventano materiale da elaborare, trasformare, masticare, risputare sotto forma di invenzione. La verità è che non inventiamo proprio niente. Ingurgitiamo la realtà, la trasformiamo in parole scritte che possono sembrare più vere delle cose vere”.
Elisa Tomassi
Il link alla recensione su Il passaparoladeilibri: https://bitly.ws/3aFeb
Angela e Severino sono sposati da trentacinque anni, ma a vederli adesso non sembrano fatti l’uno per l’altra. Oramai in pensione si annoiano, soprattutto Angela che, da quando ha smesso di lavorare in libreria, a parte il corso di yoga, non vede più nessuno. Come tante coppie della loro età, tirano avanti nella piattezza dell’abitudine, lui abbrutito in salotto e lei indaffarata in cucina, rivolgendosi la parola solo di rado e in genere con esiti negativi. I figli sono grandi e lontani… Che cosa resta?
I ricordi, qualche innocente momento di sfogo – ballare nuda per casa, ubriacarsi di limoncello – e un progetto: percorrere la Via Francigena. Angela alla fine partirà, da sola, e il viaggio che affronterà non sarà fatto esclusivamente di chilometri e luoghi, ma soprattutto di persone ed emozioni. Olivia Crosio ci regala un romanzo che ci apre alla speranza e al cambiamento.
Il link alla segnalazione su Mondadori Store: https://bitly.ws/3aC25
Un padre verbalmente abusante, una madre succube, un marito violento e un figlio di cinque anni disabile: la vita di Geena Castillo non è quel che si dice “rose e fiori”. Affiancata nella sua estenuante esistenza dall’amica e vicina di casa Lola, la quarantaduenne sogna spesso di liberarsi del coniuge, che dopo averla convinta ad abbandonare gli Stati Uniti e a seguirlo in Italia ha smesso gli abiti dell’amante affettuoso e ha indossato quelli del carnefice. Quando un giorno la polizia suona alla porta e le comunica che il corpo dell’uomo è stato trovato senza vita, Geena non è né sorpresa né triste: è la sua occasione di essere finalmente libera, insieme a quel bambino che pur non parlando domina le sue giornate.
E adesso dormi è il quarto libro di Valeria Ancione, scrittrice e giornalista, che ai lettori consegna una nuova normalissima eroina del quotidiano. Con Famiglia Cristiana l’autrice ha parlato del suo desiderio di raccontare le donne, di dipingere il loro universo, e di far luce, con questo romanzo, sulla non diversità della disabilità.
Il titolo richiama la frase con cui la protagonista cerca sempre di far addormentare il suo bambino. È solo una questione di rimandi intertestuali?
«In realtà, è il primo titolo a cui ho pensato quando ho cominciato a scrivere il romanzo, che rispetto ad ora aveva un finale molto diverso. Diciamo che l’esclamazione racchiude un doppio significato… se in senso positivo o negativo si scoprirà solo alla fine del libro».
La trama ruota attorno alla vita di Geena (naturalizzata italiana con il nome Gina), alle prese con due lavori, un marito scomparso, Raffaele, e un figlio disabile, Jonathan. Dove ha preso l’ispirazione?
«Da Francesco, il bambino a cui è dedicato il romanzo, che ha una disabilità ed è il figlio di una mia carissima amica. La mia esperienza mi dice che quando la disabilità la indossi non è più diversità, bensì normalità: per questo nel libro la menomazione di Jonathan risulta la cosa più bella della vita di Gina, quella che le dà la forza e la determinazione per risolvere i suoi guai. Non è una sfortuna, ma un modo diverso di vivere la vita».
La maternità, nel romanzo, non viene dipinta come una missione a cui tutte le donne devono ambire: Gina stessa ha difficoltà a gestire suo figlio, a volte lo tratta male, non lo capisce, piange.
«La maternità non è una favola, sia che tu abbia un figlio in salute, sia che tu non lo abbia. Nel caso di Gina, lei si trova ad avere a che fare per sempre con un bambino che, cerebralmente, è come un neonato e che, come tutti i neonati, comporta una rinuncia totale di sé. Non esiste la perfezione nella maternità, dobbiamo ricordarcelo: perseguire questo assurdo ideale ci porta ad annullarci e a stare con il fiato sul collo dei nostri bambini».
Nel libro sembra ricorrere l’idea del trio: tre sono le amiche protagoniste, tre i membri della famiglia originaria di Gina e di quella che si crea, tre i vicini di casa che si prendono cura di lei. È una coincidenza o c’è di più?
«È una coincidenza, ma trovo meraviglioso che chi legge il libro noti delle cose a cui io non avevo minimamente pensato! [ride, ndr]».
Gina è la quarta donna protagonista dei suoi romanzi: prima di lei ci sono state Nina ed Eva in La dittatura dell’inverno, Patrizia in Volevo essere Maradona, Sara e Nenzi in Il resto di Sara. C’è un filo rosso che le lega?
«Nina ed Eva appaiono, un po’ alla Hitchcock, anche in questo romanzo. Quando scrissi La dittatura dell’inverno, la mia editor di Mondadori mi disse una frase bellissima: “Come racconti tu le donne, nessuno”. Io mi occupavo di calcio femminile al Corriere dello Sport, avevo parecchio a che fare con le donne, in un ambiente tra l’altro fortemente maschile. Ed è questo che lega le mie protagoniste: sono diverse, ma sono tutte donne».
È un modo per dare voce al femminile?
«Esattamente. Io sono un’appassionata di Marcela Serrano, ho sempre voluto essere come lei, per questo parlo di donne: mi piace portare sulla pagina la loro capacità di innamorarsi delle persone, delle cose, di quello che fanno, ma anche narrare le loro imperfezioni e le loro emozioni. Ho dato voce a tante tipologie di donne e a tante fragilità. E sono tutte storie che mi arrivano dalla realtà, da racconti diretti o indiretti che sento».
Tornando al suo romanzo: in un’intervista a Repubblica lei ha affermato che il suo editore ha faticato un po’ ad accettare che una delle protagoniste, Mara Gorlier, fosse un’avvocata, e non un avvocato. La spinta all’emancipazione passa dunque dal linguaggio?
«Assolutamente sì: il linguaggio ha un suo peso. Mi disturba, lo ammetto, l’uso dell’asterisco, perché non ha senso nella grammatica italiana, ma tutti i nomi maschili che sono trasformabili nel genere non vedo perché non possano essere usati al femminile. Più diciamo “avvocata”, ad esempio, più ci abituiamo a sentirlo e a usarlo, così come siamo ormai abituati a sentire “la ministra” o “la sindaca”. Eppure, a tantissime donne piace svolgere un lavoro considerato tipicamente da maschio e farsi chiamare con il nome della professione al maschile».
E adesso dormi è il racconto di un’amicizia femminile, ma anche di schemi disfunzionali che si trasmettono di genitori in figli: Gina, infatti, è cresciuta con un padre padrone e una madre succube, e con Raffaele ha involontariamente ricreato la stessa dinamica. Come si spezza il circolo?
«Non è facile. Queste dinamiche fanno parte soprattutto della mia generazione: avevo compagne di classe che subivano violenza, anche fisica, da parte del padre, oppure vivevano con madri che non avevano il coraggio di opporsi a certe angherie perché altrimenti poi le “prendevano”. Erano cose normali per la mia epoca. Che continui a esserlo tutt’ora, mi fa impressione: vedo molte donne giovani che hanno un atteggiamento, se non succube, per lo meno servile. Forse il circolo si può spezzare solo per partito preso, decidendo insieme al proprio partner che le cose si fanno in due, che si impara insieme, che si è una squadra. La tendenza a ricercare nel compagno la figura paterna, purtroppo, continua a essere una possibilità fortissima. È come se non fossimo capaci di liberarci di ciò che abbiamo subìto, pertanto lo andiamo a cercare: è la nostra zona di conforto, perché in quella cosa là sappiamo come muoverci».
Viene un po’ spontaneo, per chi lo ha visto, pensare al film di Paola Cortellesi, C’è ancora domani, che pur avendo una trama diversa affronta in fondo lo stesso tema. Che ne pensa, lei?
«L’ho visto insieme a mia figlia, sollecitata dal grande successo che aveva ottenuto. A prescindere dal giudizio estetico, ciò che importa è quello che questo film ha seminato e le emozioni che ha suscitato: se continua ad attirare gente nei cinema, significa che è un film potente».
Micol Vallotto
Il link all’intervista su Famiglia Cristiana: https://bitly.ws/3awqI