LA STORIA DELLA GENTE SEMPLICE: MARISA SALABELLE ALL’ASSOCIAZIONE “NUOVA SARDEGNA” DI PESCHIERA BORROMEO (MI)
DI TOTTUS IN PARI 7 FEBBRAIO 2024 DAI CIRCOLI DEGLI EMIGRATI SARDI
Della strage degli innocenti scrive solamente Matteo nel suo vangelo: Erode re, parlando coi Magi seguitori di stelle, nell’apprendere che nascerà a Betlemme un altro re dei Giudei e che loro andranno ad omaggiarlo li prega di tornare da lui, una volta l’avessero trovato, a tutto riferirgli. E vedendosi gabbato da loro: “…si adirò fortemente e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e dei dintorni, dai due anni in giù…”. Giuseppe Flavio, lo storico ebreo del tempo, non ne fa cenno nei suoi commentari, del resto il numero dei bimbi che avrebbero dovuto essere sacrificati era insignificante se paragonato a ben altre stragi che Erode avrebbe perpetrato durante il suo regno. Nessun dubbio per l’immaginario collettivo di noi gente comune, né nei capolavori che ci hanno lasciato descrivendolo con la loro pittura i vari Giotto e Duccio da Boninsegna e Beato Angelico, per citare che i più grandi. La famiglia di Gesù, da un Angelo avvertita in sogno a babbo Giuseppe, fuggì in Egitto. Oggi non l’avrebbero fatta passare, al valico di Rafah. E finalmente, sempre da oggi, non ci saranno più dubbi che una strage di innocenti si va perpetrando in quelle lande, e che numeri sono in ballo: cinquemila, settemila… e quelli che non sono contati sotto le macerie delle loro case? Non ci sono pallottolieri abbastanza grandi a numerarli tutti. Chi non muore subito ha ampie possibilità di farlo a breve, di fame, di freddo, di malattie, di acqua non potabile, di interventi eseguiti senza anestesia. L’Erode di oggi si chiama Netanyahu, anche lui “re” dei giudei, non che ce l’abbia coi bimbi in particolare, lui sterminerebbe solo i macellai-stupratori- rapitori di Hamas che, se potessero, taglierebbero la gola anche loro a migliaia a giudei e abitanti d’Israele. Sono riusciti a farlo “solo” a 1400, altrettanto innocenti del resto. Due facce della stessa miserabile medaglia. E stante che i padroni del mondo, stati uniti d’America, stanno con Israele finché morte non li separi, a cui regalano miliardi in armi, la carneficina non accenna a fermarsi, dinanzi agli occhi attoniti del resto del mondo. Che sbraita, protesta, marcia, ma nulla fa o può fare, neanche per una tregua che porti viveri e medicinali a Gaza, che porti una qualche bottiglia d’acqua potabile. Non c’è più ONU che tenga, né Amnesty, FAO, Organizzazione Mondiale della Sanità, Papa Francesco. Bibi e Jo se ne fottono, e vanno avanti tranquillamente. Pure Hamas continua a sparare razzi a casaccio su Gerusalemme e dintorni. Non pensate che questo tipo di comportamento folle non minerà, alla grande, le basi democratiche su cui si fonda la civiltà occidentale, europea in particolare. Lo farà eccome! E’ l’umanità in quanto tale che fa indietro passi da gigante. E nessuno, che non si sia precipitato a morire per Gaza, può vantarsi d’innocenza. Nessuno. E’ il nuovo peccato originale: di quella generazione che non ha fatto abbastanza perché questa mattanza di innocenti avesse termine. E ha continuato a vedersela sfilare nella televisione del salotto. Di tutto questo si è parlato, a Peschiera Borromeo, circolo Nuova Sardegna. Mercè il libro di Marisa Salabelle, che ad onta del suo cognome è sarda di Cagliari, classe ‘55, anche se la sua famiglia si è poi trasferita a Pistoia, lei decenne, dove tuttora abita. Studi storici all’Università di Firenze, e anche di Teologia sempre nel capoluogo toscano. Insegnato materie letterarie negli istituti superiori sino al 2016. Sposata, quattro figli: femmina/maschio/femmina/maschio, un nipote. La guerra di cui narra questo suo libro: “Gli ingranaggi dei ricordi”, Arkadia ed. , è la seconda mondiale, ricchissima essa stessa di massacri di civili innocenti, e in particolare quella che si svolse nella Sardegna natia che ebbe la sorte, in quanto “portaerei del Mediterraneo” di mussoliniana memoria, e anche “Bastione della Patria”! “Ellusu”, di esser bombardata da subito dagli alleati, mentre il resto d’Italia avrebbe dovuto attendere l’8 settembre ‘43 e il cambio di alleanze, e di restare poi relativamente tranquilla mentre, soprattutto al nord, regnava la lotta partigiana, e gli alleati bombardavano alla grande le città principali, specie Napoli, ma anche Roma e Milano. Cagliari comunque fu, dopo Napoli, quella che ebbe più bombe e distruzioni in assoluto, a sentire Marisa alla fine erano rimasti in città poco più che mille dei suoi abitanti. Gli altri sfollarono per l’sola tutta. In particolare, dei parenti di Marisa, alcuni sino a Olbia, da cui sarebbero poi scesi passando per Sassari e Thiesi e Berchidda e poi sempre più a sud, altri sin dall’inizio in quel di Sanluri, i più ricchi, babbo dottore che resiste a Cagliari a curare la gente. Mamma e tre figli, incinta di altri due anche se ne aspettavano uno solo, due “servette” tutti stipati in una casa del posto. Dove si incontrarono coi “poveri”, e gli “ingranaggi” del titolo presero a incastrarsi e a generare altre storie. I “poveri” che scendono da nord sono tre fratelli, Felice il più grande sui sedici- diciassette anni, si tira dietro due sorelle più piccole: Bella e Demoiselle detta Demy, quest’ultima con una gamba che la polio ha reso malferma, mamma morta giovane e babbo “commerciante” e indaffaratissimo nei suoi “affari”; gran bell’uomo e conoscitore di molte signore. I figli non sopravviverebbero se Felice, che i gesuiti a Cagliari hanno fatto studiare di greco e di latino, non si muovesse per una strada di canoniche e chiese in cui, lui chierichetto, le sorelle a lavare panni e pulire di tutto, avrebbero trovato un pezzo di pane e un po’ di minestra, che di cibo ce ne era poco per tutti. A rubare pane si erano trovate anche a Sassari, quando la gente affamata aveva assaltato i panifici nel ‘44 e in quel frangente uno dei “signorini” a cui Felice dava lezioni di latino, tale Berlinguer Enrico, era finito in galera, seppur per pochi mesi, che la sua famiglia molto era potente, imparentata anche coi Segni e i Cossiga i cui rampolli sarebbero diventati Presidenti della neonata Repubblica. A Berchidda Felice avrebbe fatto amicizia con il parroco, tale Pietro Casu, detto Babai: “…uno di cultura, eja, quanti libri che aveva scritto, e articoli su riviste, in tutta la Sardegna famoso era. Figurati che aveva scritto la “Divina Commedia” in sardo…cos’e maccus”! “…a dormire per terra in una specie di ripostiglio, eja, in mezzo alle scope e ai secchi per lavare per terra…su due materassi pisciosi direttamente sul pavimento…”. E’ Demy, ormai anziana, che ricorda e narra la sua storia alla nipote, che vive in continente e la va a trovare perché ha avuto un colpo e non ci sta più con la testa. Si dimentica le cose dell’altro ieri, che suo fratello Felice è oramai morto, ma ha una memoria di ferro per le cose della sua infanzia. E se lo ricorda bene quel viaggio in cui dovevano pietire un passaggio a qualche camion, qualche carretto, quando spesso un qualche Chicchinu se ne approfittava per aiutarle a salire, lei e Bella, e la gonna si sollevava un poco: “… come faccio a sapere che era un porco? Ma perché gli uomini sono tutti porci, bella mia! Che se poco poco ti distrai, ti mettono le mani addosso che è un piacere…”. Altri tempi! Oggi invece…A Sanluri c’è più benessere, nascono i due gemelli, un maschio più vigoroso, la bimba più minuta, a Maria Ausilia, la figlia maggiore adolescente, tocca occuparsi degli altri fratellini, è sempre imbronciata, se ne vorrebbe tornare a Cagliari, i gemelli vengono posti in un lettino con le sbarre, uno di testa e uno di piedi, secondo tradizione. “Va a finire che la soffoca, grosso com’è” aveva commentato Maria Ausilia. “Ohi, ta segament’e culu! Maria Disgrazia ti dovevo chiamare, non Maria Ausilia”! Marisa mi dice che non parla sardo, il poco che aveva imparato nei suoi primi dieci anni cagliaritani se lo è oramai dimenticato, eppure queste “perle sarde” che lascia cadere ogni tanto nelle pagine del libro sono davvero illuminanti. E divertenti. Sentite questo scambio di battute delle due servette anche loro adolescenti: “Già l’ho visto come l’hai guardato” disse Giannina che delle due era la più sveglia. “Chi ho guardato?” “Mulas”. “Mulas? Ma se sembra una scimmia! T’arrori” “Eja, puoi dire quello che vuoi, tanto lo so che ti piace”. “E tu allora? Sei innamorata di Setzu…” “Setzu? Mai’n sa vida”! Chi si innamorerà davvero saranno invece Maria Ausilia e Felice, lei a Cagliari non ci vorrà tornare troppo presto, lui dimenticherà subito i suoi trascorsi “preteschi”. E poi c’è un pronipote che sulle orme del fratello della madre di Maria Ausilia, sfollato a Roma con mamma e sorella, a nome Silvio Serra,si laurea in storia e si mette sulle tracce di questo parente, antifascista, che finisce implicato sulla strage di via Rasella, scampa alle Fosse Ardeatine nonostante il tradimento di tale Blasi che fa arrestare un bel po’ dei Gap che presero parte all’eccidio, si arruola nel neonato esercito italiano che risale la penisola scontrandosi con la resistenza tedesca, e muore giovanissimo sulla linea gotica, nelle vicinanze di Ravenna. E’ una bella parte del libro, in cui questo Kevin, giovane dei nostri tempi, si deve appropriare di una storia che, per lui, è altrettanto lontana quanto quella dei romani o dei babilonesi. E in queste pagine servono a mettere un punto fermo in quella che veramente fu la storia di via Rasella e le conseguenze che ne derivarono. Usando fonti storiche, come debbono fare gli storici che abbiano in mente di scrivere sulle cose del passato. C’è il declino di Demy, nel libro, il destino delle persone anziane che diventano non più autosufficienti, che finiscono in una RSA: “…luoghi malinconici, pervasi da odore di minestrone e corpi vecchi non troppo puliti, popolato da una fauna strampalata le cui bizzarrie, però, non generavano allegria ma una profonda tristezza”. La storia della gente semplice che a stento capisce cosa sia la guerra e perché i giovani siano chiamati a combatterla, spesso loro malgrado. Un libro questo di Marisa Salabelle che si dimostra essere di un’attualità sconcertante. Aveva esordito con due “gialli” Marisa: “L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu” e “L’ultimo dei Santi e il ferro da calza” (Tarka editore); “Gli ingranaggi dei ricordi”( Arkadia edit.) è uscito nel 2020. E sempre per Arkadia: “La scrittrice obesa”, tanto per mettere in chiaro che lei è capace di spaziare in tutti i generi della letteratura, dal giallo al tragicomico, passando per il romanzo a fondo storico. Presto, mi dice, ne uscirà uno nuovo.
Sergio Portas
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