“E adesso dormi”, Valeria Ancione, Arkadia Eclypse. A cura di Barbara Anderson
Ho appena rimboccato le coperte a mia figlia che fa fatica a tenere gli occhi aperti mentre guarda la tv dal suo letto. I capelli biondi come il sole, le guance morbide, le labbra rosse come le ciliegie. Le do un bacio sulla fronte e le sussurro “Adesso dormi amore mio”. Spengo la sua tv e la luce, chiudo la porta e sorrido perché so che è serena, che è felice, che si sente amata, so di amarla di un amore che non ha eguali. Essere mamme è qualcosa di meraviglioso e complesso ma non è sempre semplice, spesso è difficile, sovente si perde la pazienza presi dalla stanchezza, dalla quotidianità, dallo stress del lavoro, le responsabilità, i problemi familiari, e nel momento in cui i nostri piccoli chiudono gli occhi per dormire è come se il tempo si fermasse, dandoci la possibilità di recuperare, di respirare, di riprenderci qualche momento per noi stesse. Quando ho iniziato questa lettura, mi sono trovata molto nella stanchezza della protagonista Gina, esausta al limite della sua pazienza, a volte infastidita da tutto e da tutti e anche da se stessa. Gina non è perfetta e non ha la presunzione di sentirsi tale è una donna fragile e forte allo stesso tempo. Debole, insicura e vulnerabile ma sopra ogni cosa è esausta. La differenza tra me e Gina è che la sua vita non è così semplice come la mia, vive una relazione con un uomo violento e con un bambino cerebroleso e ha su di sé tutto il peso delle responsabilità del mondo, di se stessa, di suo figlio e della sua famiglia. Gina è una donna che affronta ogni giorno un inferno fatto di gioie frammentate; tra i pianti di un figlio con cui non può comunicare, e la sofferenza di un marito che attende ogni occasione per farle del male. Gina non ha mai conosciuto amore, tenerezza e affetto nemmeno da parte di suo padre il quale la abusava verbalmente. Gina ha una vita soffocante e oscura, quando conobbe suo marito pensò di aver trovato l’amore, le attenzioni che tanto desiderava avere e sognare e dall’America decise di trasferirsi con lui a Roma nel quartiere popolare di San Lorenzo: un quartiere dove per qualche anno ho vissuto e per cui conosco molto bene quella realtà romana particolare; un quartiere che è un grande paese dove tutti si conoscono, dove tutti si sostengono in contrasto con la vita dispersiva di una capitale Romana presa dalla sua frenetica quotidianità. San Lorenzo è un quartiere a parte, un quartiere che ha un cuore un po’ antico. Quando suo marito scompare si sente quasi libera, seppur con la costante paura che possa tornare a turbare la sua esistenza e quella del suo bambino, la sua vicina di casa e fedele amica è la sua colonna, la sua forza e il suo sostegno, colei che l’aiuta la sostiene e le vuole bene. Molte donne che desiderano un figlio tendono a immaginare la maternità come qualcosa di magico, di naturale, di bello, una dedizione continua, un connubio di amore e tenerezza infinita; ma la maternità è anche disagio, stanchezza, senso di inadeguatezza, frustrazione, è sacrificio e rinuncia. Non lo dico da mamma inesperta ho 4 figli, tutti voluti li amo con tutta me stessa ma non è sempre stato un carnevale di Rio occuparmi di loro, bilanciare lavoro dai turni lunghissimi, la scuola le attività post scolastiche, i compiti, i malanni, le liti tra fratelli e sorelle, le passeggiate, le incombenze economiche, i capricci, una mamma anziana con demenza…Sapete quante volte ho desiderato di non averli? Eh sì sembroblasfema lo so, affermare un pensiero così forte dimostra che non li amo? Eh no dimostra che a volte ho pensato di non essere brava abbastanza, adeguata a sufficienza, perfetta come la società si sarebbe aspettata da me, la mamma con il grembiulino che prepara la torta per i suoi figli, che dedica tutta se stessa alla loro educazione e al loro sviluppo. Io sono una mamma che ha dato sempre molta importanza alla sua professione per due motivi: perché è ciò che amo fare e perché è ciò che mi permette di garantire una vita decorosa e dignitosa alla mia famiglia insieme a mio marito. Mio marito è nato per fare il padre, io son nata per fare la figlia. Sono una donna imperfetta e amo ogni mia piccola imperfezione e mi auguro che i miei figli siano imperfetti e che si innamorino del loro essere senza aver timore di deludere le aspettative di qualcun altro. Gina ci mostra la forza dell’amicizia, la resistenza ai traumi e al dolore, all’accettare che di alcune situazioni che abbiamo vissuto non abbiamo colpa e che non dobbiamo ereditare l’aridità dei sentimenti e delle emozioni dai nostri genitori. Dobbiamo analizzare il nostro cuore, le nostre sensazioni, inseguire i nostri sogni e affrontare anche i nostri stessi incubi da soli ma senza aver paura di affidarci all’aiuto e al conforto di un’amica, che sia disposta ad ascoltarci e ad apprezzarci con tutti i nostri difetti. La donna tende a cercare in un uomo la figura paterna io ho cercato la figura che più si distaccasse dall’immagine di mio padre. Volevo un amore puro, sincero, onesto vero volevo per i miei figli il padre che avrei meritato di avere. Il dolore di Gina sembra una safe zone in quel malessere, in quel pericolo costante; sa come muoversi, sa come gestirsi, sa come affrontare la sua esausta realtà mentre la liberta è qualcosa di grande di immenso; un salto nel vuoto, un’esplosione di aria fresca dopo essere stati rinchiusi a lungo avvolti da un tanfo irrespirabile: in quel momento in cui si respira finalmente l’aria pulita ci causa perfino dolore. Gina è impaziente a volte con suo figlio, lo guarda con amore, a volte rassegnata, altre volte è perfino felice. Un libro che ci mostra il vero volto di una famiglia dove la violenza e il disagio sono radicati nel profondo, dove la disabilità di un figlio viene sobbarcata esclusivamente dalla mamma, che ha speranze, desideri e sogni per un figlio che non sa nemmeno parlare, eppure i bambini speciali ci insegnano un’altra visione della vita. Un figlio è una ragione di vita, un’ancora di salvezza, può essere il mezzo con cui fuggire da una triste e dolorosa realtà. L’autrice affronta la maternità, la disabilità, l’abuso domestico, la violenza psicologica, le battaglie delle donne per le donne, il potere e la forza dell’amicizia: perché ci sono alcune amiche che sono uniche. E quel bambino così piccolo, un angelo fragile nato senza il dono delle ali ma che è ugualmente capace di volare quando a tenerlo per mano è un amore imperfetto e incondizionato. Un romanzo che affronta temi importanti e attuali con rispetto con consapevolezza e responsabilità Una scrittura graffiante che lascia cicatrici sull’anima e sul cuore del lettore ma che ci mostra un volo bellissimo verso la libertà.
Cosa significa Jonathan? Dono di Dio il suo istinto di sopravvivenza come sempre si era messo in moto: “Gabbiano, vuol dire gabbiano”.
Volano gli uccelli volano
Nello spazio tra le nuvole
Con le regole assegnate
A questa parte di universo
Al nostro sistema solare
Aprono le ali
Scendono in picchiata, atterrano
Meglio di aeroplani
Cambiano le prospettive al mondo
Voli imprevedibili ed ascese velocissime
Traiettorie impercettibili
Codici di geometria esistenziale
Migrano gli uccelli emigrano
Con il cambio di stagione
Giochi di aperture alari
Che nascondono segreti
Di questo sistema solare
Aprono le ali
Scendono in picchiata, atterrano
Meglio di aeroplani
Cambiano le prospettive al mondo
Voli imprevedibili ed ascese velocissime
Traiettorie impercettibili
Codici di geometria esistenziale
Volano gli uccelli volano
Nello spazio tra le nuvole
Con le regole assegnate
A questa parte di universo
Al nostro sistema solare
(Franco Battiato, Gli uccelli)
Barbara Anderson
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