Editor, è autrice di Lezioni di narrativa, Il romanzo che vorrei e di Morire ti fa bella (Salani). Per Arkadia Editore ha pubblicato un racconto in Luoghi letterari. Veneto (2024).
Editor, è autrice di Lezioni di narrativa, Il romanzo che vorrei e di Morire ti fa bella (Salani). Per Arkadia Editore ha pubblicato un racconto in Luoghi letterari. Veneto (2024).
Maggio, mese del libro e della festa dei lavoratori. E noi lo onoriamo con lo slogan #tuttiuguali!
Le letture consigliate da Salvatore Massimo Fazio
BLOG Maggio è il mese del libro. Maggio è il mese della festa dei lavoratori. A maggio i Libri che consigliamo sono tutti sullo stesso piano e non esiste un libro copertina o controcopertina
Tanti bei titoli in uscita a maggio, mese del libro e della recente festa dei lavoratori che noi onoriamo con lo slogan #tuttiuguali! quindi senza titoli “copertina” e “controcopertina”. Due i “flashback” riferiti a uscite dei giorni scorsi di fine aprile, e due alla giornata di ieri… Buone scelte e buone letture.
In libreria dal 29 e 30 aprile
Grazia La Paglia, Altrove, Auto pubblicazione
Cosa accade quando, dopo anni, si torna nel paese in cui si è nati e cresciuti? E che si è stati costretti a lasciare per motivi lavorativi o di studio? Lo racconta la giornalista Grazia La Paglia in “Altrove”, il suo nuovo romanzo breve. “Altrove” racconta il viaggio di ritorno di una migrante nel suo paese di infanzia.
Troverà strade e case vuote, popolate solo da fantasmi che, prima di svanire nel nulla, lasciano qualcosa alla visitatrice: chi dona un seme, chi una moneta, chi un gessetto e chi una pallina. Quel paese, quindi, ha ancora qualcosa da donare – o insegnare. Nonostante sia completamente cambiato e nonostante non lo si riconosca più. Perché muta chi va via, ma muta anche chi resta. Grazia La Paglia: “Alle volte, quando si intraprende un viaggio di ritorno, pensiamo di poter ritrovare quello che abbiamo lasciato: rapporti, abitudini, oggetti e luoghi. Ma non è così: tutto cambia e si evolve, così come cambia chi è andato via”.
Susanna Raule, Minerva in fiamme, Mondadori
Susanna Raule esordisce nel Giallo Mondadori con un “crimedy” perfetto, pieno di suspense e altrettanto humour, con una protagonista d’eccezione. Il lunedì è sempre un orrore, si sa. Per Minerva Blanc, psicologa e psicoterapeuta quarantenne in forza al Centro per adolescenti della Spezia, il buongiorno speciale arriva dalla gamba destra, che al risveglio è in fiamme. Dopo quindici anni di (più o meno) educata convivenza con la sclerosi multipla, Minerva sa di aver appena vinto un pit-stop in ospedale causa recidiva in corso. Ignora, invece, che al lavoro la aspetta la notizia che ogni terapeuta teme: un suo paziente è morto. Si tratta di Angel, sedicenne in terapia obbligata dopo l’arresto per spaccio. Un incidente, dicono i rilievi, ma a lei sembra un incidente strano… sospetto, addirittura. Minerva inizia a indagare quasi per caso, ma a ogni domanda ne saltano fuori altre tre. E non è la sola, perché investigano anche i colleghi con le loro fisime, la tirocinante dagli occhi di foca, la psichiatra dalle eterne salopette e persino la neurologa di Minerva. E quando dei sensibili professionisti dell’ascolto come loro si mettono in testa di fare i detective… le cose non vanno proprio come in una serie tv. In una città rovente che sfinisce Minerva sul piano fisico, la teorica sfida intellettuale si fa sempre meno intellettuale e sempre più un completo casino. Tra pazienti che brandiscono coltelli, allarmi bomba, uno spacciatore troppo ansioso di darle una mano, branchi di turisti disprezzati dalla popolazione locale e dirigenti preoccupati delle possibili querele, per Minerva non sarà semplice arrivare in fondo al caso viva e vegeta. O almeno viva…
In libreria da ieri
Davide Coppo, La parte sbagliata, (edizione E/O)
Questo romanzo esplora i tratti dell’adolescenza, rivelando un climax di violenza e di legami umani che si stringono e si spezzano. È una confessione intima durante la giovinezza, oltre a essere un viaggio verso l’attrazione che il male può esercitare. Con una scrittura cristallina e una profonda empatia, La parte sbagliata affronta la fascinazione di un giovane per la violenza, non vista come odio, ma come esito tragico di una ricerca di significato. Ambientato negli anni Duemila, il romanzo segue Ettore, un giovane di buona famiglia, nel suo percorso verso l’estremismo politico, mentre si ritrova senza punti di riferimento in una nuova città e finisce coinvolto in un gruppo neofascista, portando alla rottura dei legami familiari e amicali con un tragico epilogo.
Charlotte Gneuss, I confidenti, Iperborea
Nell’estate del 1976, Karin, sedicenne di un sobborgo di Dresda, vede la sua vita sconvolta quando il suo primo e unico amore, Paul, senza darle nessuna motivazione, fugge all’Ovest. Karin si sente sola e incompresa, cercando disperatamente risposte sul destino di Paul. Perché Paul se n’è andato? Perché non le ha detto niente? Mentre affronta l’isolamento e l’ambiguità del regime, Karin si avvicina al funzionario Wickwalz, che diventa per lui un rifugio e un confidente. Ma nel tentativo di trovare la verità, Karin scopre che lei stessa è coinvolta in un gioco di manipolazione, dove l’innocenza sembra una cosa ormai lontana. Charlotte Gneuss dipinge un ritratto intenso e lucido dell’incontro tra la gioventù e il potere autoritario, esplorando un mondo dominato dall’ambiguità e dalla morale sfuggente.
Le uscite di venerdì 3 maggio
Edgar Selge, Finalmente ci hai trovato, Carbonio
Germania, anni Sessanta. La guerra è finita ma ha lasciato cicatrici profonde in chi è rimasto a portare il peso dei ricordi.
Edgar è un ragazzo di dodici anni, e tutto ciò che è accaduto può solo immaginarlo attraverso il silenzio dei suoi genitori, impegnati a riversare le proprie energie nella musica, passione che coltivano da sempre. Nella loro casa borghese, dove vigono l’ordine e il rigore morale, risuonano costantemente le note di un pianoforte, di un violino e di un violoncello, e spesso si organizzano piccoli concerti. Ma a tavola, quando si parla del passato, a volte cala uno strano silenzio, in cui si annida il tarlo delle colpe rimosse, il fardello di un dolore vivido e impossibile da raccontare…
Edgar Selge si avventura nei meandri della sua infanzia, nei suoi sogni e dubbi di allora per provare a comprendere, a distanza di anni, e tentare di riconciliarsi con ciò che è stato. Un romanzo coraggioso e commovente, che invita il lettore a specchiarsi nel proprio intimo e ad addentrarsi tra le pieghe della memoria.
Didier Eribon, Vita, vecchiaia e morte di una donna del popolo, L’Orma
Quando il medico di famiglia stabilisce che l’anziana madre «non è più autosufficiente», Didier Eribon è costretto a cercare una struttura che possa garantirle l’assistenza necessaria. Quel giorno, accompagnandola nella casa di riposo, non immagina che sarà l’ultimo in cui la vedrà. Il lutto spinge il filosofo francese a esaminare la vita esemplare di una «donna del popolo»: dall’infanzia in un orfanotrofio al lavoro come domestica e operaia, una vita segnata da un matrimonio infelice. Questo racconto biografico si trasforma in un’analisi della società nel suo complesso, costringendoci a confrontarci con le dinamiche che relegano malattia e invecchiamento.
Ivan Doig, Il più dolce dei tuoni, Nutrimenti
Quando Morrie Morgan torna a Butte, celebre città mineraria del Montana, la tensione è alle stelle e lui si ritrova con l’improvvisa opportunità di diventare il direttore di «Tuono», il nuovo giornale della città, facendolo diventare la mente e la voce dei minatori. Ivan Doig, con uno stile vivace e un occhio sensibile per le realtà più marginali, ci porta in un affascinante ritratto del primo dopoguerra americano. La sua narrazione, giocosa e denunciante, ci ricorda lo spirito di John Steinbeck, offrendo un’esplosione di colori e personaggi eccentrici.
CJ Leede, Maeve, Mercurio
Nella frenesia di Los Angeles, i bambini costringono i genitori a lunghe attese per un breve incontro con Maeve, la regina di ghiaccio, l’idolo del parco divertimenti. Ignari del suo lato oscuro, non sanno che Maeve è una serial killer e che trascorre le notti sfrecciando sulla Sunset Strip a bordo di una Mustang rosa del ’67. Oltre al lavoro, le sue priorità sono la sua migliore amica Kate e il benessere della nonna Tallulah, un’ex diva del cinema. Quando Gideon, il fratello di Kate, irrompe nella sua vita, sconvolge un equilibrio fragile e riapre vecchie ferite, innescando un flusso di emozioni. Come un moderno American Psycho, Maeve è un’incarnazione della violenza femminile, una sfida al nostro senso di pudore, che ci trascina in un viaggio in cui musica e letteratura diventano compagne maliziose di una delle protagoniste più estreme degli ultimi anni. La sua storia di amore e potere è un patto con le pulsioni più oscure: «Ora che la soglia è stata superata, il desiderio prevale su tutto».
Le uscite di martedì 7 maggio
Massimo Roscia, Mario vocabolario e la magia delle parole, con le illustrazioni di Francesca Carabelli, Rizzoli
«Le parole possono essere usate come piume che fanno il solletico e strappano un sorriso, o come pietre appuntite che feriscono. Ecco perché bisogna sempre riflettere prima di parlare»
Nella terra di Cosonia c’è un paese senza nome e senza nomi. Un giorno, però, arriva Mario Vocabolario con una missione: dare un nome a tutto e a tutti. Grazie ai suoi racconti, gli abitanti del paese impareranno che le parole non sono tutte uguali: ci sono quelle gentili, ma ci sono anche quelle che fanno male; esistono parole delle emozioni e parole buffe; ci sono parole della fantasia e parole, come “libertà”, “uguaglianza” o “rispetto”, così importanti che vanno custodite come doni preziosi.
Megan Abbott, Giri di danza, Bollati Boringhieri
Colli eleganti, chignon impeccabili e collant, Dara e Marie Durant sono ballerine dalla tenera età. Cresciute sotto l’insegnamento della madre, figura affascinante e fondatrice della Durant School of Dance, le due sorelle dirigono ora la scuola dopo la perdita dei genitori in un tragico incidente. Assieme al marito di Dara, Charlie, un tempo brillante allievo della madre, le tre figure orchestrano l’armonia dello studio, con Marie dedicata ai più giovani e Dara alla formazione degli avanzati. Tuttavia, un imprevisto sospetto incrina la serenità della famiglia Durant. In Giri di danza, Megan Abbott raggiunge l’apice della sua narrativa, tessendo un intreccio teso e inquietante.
Francesca Pellas, Tutto deve brillare. Vita e sogni di Moana Pozzi, Blackie edizioni
Tutti hanno tentato di porre limiti a Moana Pozzi, ma nessuno ci è mai riuscito. Né la sua famiglia, che l’ha educata in un ambiente religioso, né le norme sociali. A trent’anni dalla scomparsa, il suo impatto iconico e tragico rimane immenso. Pochissime donne hanno influenzato la società italiana come lei. Ha portato alla ribalta temi come la sessualità e il desiderio, a lungo considerati tabù, ha lavorato con Fellini e in televisione, ha amato uomini celebri della sua epoca. Attraverso il suo corpo e la sua mente, ha scatenato una rivoluzione personale che si è estesa alla collettività. Non ha mai rinunciato alla sua identità e ha sempre preso decisioni autonome fino alla fine. In questo libro intimo ed emozionante, arricchito dalle testimonianze di chi ha studiato la figura di Moana e l’ha amata, Francesca Pellas ci racconta la storia di una donna che ha desiderato la libertà sopra ogni cosa e l’ha ottenuta, anche a costo di sacrifici, per sé e per tutti noi.
Maurizio De Giovanni, Pioggia per i bastardi di Pizzofalcone, Einaudi
Leonida Brancato, una volta temuto penalista, noto come il maestro delle argomentazioni legali, è stato messo alla prova dopo la sua pensione, ignorato dalla procura da anni. La sua morte, avvenuta in circostanze crudeli e misteriose, porta i Bastardi a confrontarsi con un omicidio apparentemente senza motivo. Sotto una pioggia incessante e circondati da nemici, i determinati agenti del commissariato di Pizzofalcone, nonostante le loro battaglie personali, si impegneranno a svelare verità nascoste tra segreti, ipocrisie e risentimenti, portando alla luce una rivelazione inaspettata.
Eraldo Affinati, Le città del mondo, Feltrinelli Gramma
Questo libro ci conduce in un viaggio attraverso diverse città, esplorando le loro bellezze e la loro essenza. Eraldo Affinati ci porta in luoghi sia reali sia immaginari, da Bruxelles a Battipaglia, da Washington a Veio, da Volgograd ad Atene. Con maestria toponomastica e lirica, l’autore dipinge ritratti brevi ma intensi di trecento città, invitando i lettori a riconoscere le proprie emozioni e preferenze in questo affascinante gioco di connessioni. Ogni città diventa un romanzo in miniatura, con sezioni introduttive che guidano il lettore attraverso luoghi come Charkiv, Venezia, e Roma, offrendo uno sguardo unico sulla loro storia e significato.
Zerocalcare, Quando muori resta a me, Bao Publishing
In viaggio verso il paesino montano da cui proviene la famiglia paterna, Zerocalcare spera di avvicinarsi a una comprensione più profonda di suo padre, Genitore 2. Tuttavia, la mancanza di comunicazione tra di loro rende il viaggio complicato, soprattutto quando scoprono di essere malvisti – anzi, proprio odiati – dagli abitanti del paese. L’astio risale a prima della Grande Guerra. Attraverso gli spazi vuoti delle parole non dette, emerge l’amore incondizionato del padre per il figlio, illuminando le pagine più oscure della Storia del nostro Paese con un coraggio silenzioso. Zerocalcare si trova di fronte a uno specchio interiore e racconta senza mezzi termini ciò che vede.
Michel Houellebecq, H.P. Lovecraft, Wudz
Michel Houellebecq si immerge nell’universo di Howard Phillips Lovecraft, il celebre scrittore di letteratura fantastica del Novecento, in un libro che fonde biografia, analisi testuale, aneddoti, e si fa tributo sentito e appassionato. In questa opera, Houellebecq racconta il mondo di Lovecraft per celebrare la sua eredità e l’impatto duraturo della sua «letteratura del sogno».
Le uscite di venerdì 10 maggio
Valentina Fortichiari, Il mare non aspetta. Viaggio emotivo in Norvegia, con un nota di Francesco Permunian, Oligo
In questo nuovo racconto emozionante e poetico, ambientato in Norvegia, tra Oslo e le Isole Lofoten, Valentina Fortichiari torna a unire la predilezione per il grande Nord con la passione per l’elemento acquatico (l’autrice è stata agonista, insegnante di nuoto, e tuttora è nuotatrice). Con una scrittura sobria, suggestiva, la narrazione è centrata sul rapporto sentimentale tra padre e figlia, fatto di nuotate condivise, ricordi, momenti indimenticabili (la magia dell’aurora boreale). Sullo sfondo, il lavoro sulla scrittura e la frequentazione di personaggi (in parte riconoscibili), protagonisti della cultura degli ultimi anni, sono frutto dell’esperienza in parte autobiografica dell’autrice che al mondo delle case editrici ha dedicato e dedica gran parte della propria esistenza. La nota di Francesco Permunian: “Il mare non aspetta. “Viaggio emotivo in Norvegia” di Valentina Fortichiari a prima vista si presenta come un racconto lungo, ma in realtà è un breve romanzo di formazione raccontato dalla voce narrante di una figlia – dapprima nelle vesti di una bambina di nome Arya precocemente abbandonata dalla madre e dalla migliore amica e quindi di donna adulta impegnata nell’editoria di Oslo – la quale sceglie di dialogare con l’amata figura paterna attraverso gli unici strumenti a lei più idonei, ossia il nuoto e la scrittura, due attività apparentemente dissimili, ma in realtà con molti punti in comune in quanto entrambe trovano la loro ragion d’essere ultima nel grande mare della vita e della letteratura.[…] Il tutto è raccontato con uno stile fluido e discorsivo che a prima vista può apparire fin troppo semplice o addirittura facile. Al contrario, esso è lo specchio della capacità dell’autrice di scivolare in perfetto equilibrio sopra il flusso tumultuoso delle parole – ovvero, sopra le onde sempre mobili della scrittura – simile in ciò a quell’abile nuotatrice che la Fortichiari è stata nella sua vita reale. Una dote stilistica, quest’ultima, alquanto rara sulla scena culturale italiana, ma che discende da quell’illustre matrice letteraria – comunemente etichettata come “stile dell’anatra” – felicemente rappresentata dalla prosa cristallina di Raffaele La Capria”.
Dōgen Zenji, Neve su foglie vermiglie, CasaDeiLibri
Neve su foglie vermiglie richiama l’armonia tra diversità e unità, concetti fondamentali nella pratica zen. Questo titolo incarna la fusione tra realtà assolute e convenzionali, invitando i lettori a esplorare la profondità della vita e della natura. Le poesie di DōgenZenji riflettono la varietà della natura, aprendo nuove prospettive sulla nostra esistenza. Inoltre, Shohaku Okumura ci guida nella comprensione di questa raccolta, incoraggiandoci a esplorare con mente aperta attraverso un viaggio sensoriale e spirituale.
Willy Vlautin, Il cavallo, Jimenez
Al Ward, sessantacinquenne solitario, vive nell’isolamento di una concessione mineraria nel Nevada. La sua esistenza è fatta di ricordi musicali e cibo in scatola. Un giorno, un vecchio cavallo malato appare fuori dalla sua porta, spingendo Al a confrontarsi con la sua situazione e con il passato da musicista e costringendolo a prendere una difficile decisione per sé e per l’animale. Mentre l’alcolismo e l’ansia lo tormentano, i ricordi della sua vita da musicista diventano sempre più vividi, dalle esibizioni nei locali fino ai momenti di successo e disillusione. Il cavallo è un romanzo che fa omaggio ai musicisti sconosciuti che arricchiscono le nostre vite e narra la storia di Al con il ritmo di una canzone malinconica, trasformandosi in una profonda riflessione sulla solitudine, la resilienza e il potere salvifico della musica.
Bea Lema, Corpus Christi, Minimum fax
Corpus Christi esplora con una toccante sincerità il tabù della malattia mentale, i ruoli di cura imposti alle donne, la superstizione e la società patriarcale in una Spagna tradizionale e cattolica, attraverso il ritratto di due donne intrappolate nei loro ruoli di figlia, madre e moglie. Fin da bambina, Véra è testimone dell’ossessione demoniaca che affligge la sua casa, tormentando sua madre e costringendola a lunghi periodi di debolezza. Tra i tentativi di esorcismo della «meiga» e le visite dallo psichiatra, la superstizione cede il passo alla diagnosi medica. Tuttavia, nonostante la malattia, l’amore indissolubile tra Véra e sua madre resiste al tempo e alla dura condanna della società.
Matteo Cateni, La scimmia, Paesi Edizioni
Una storia intensa e coinvolgente ci trascina in un mondo grottesco e paradossale, ma al contempo reale, dove drammi legati alla tossicodipendenza e al traffico di droga fanno da protagonisti. Seguiamo il percorso di un giovane che si perde nel buio dell’eroina e che diventa prigioniero di un’organizzazione criminale internazionale, per emergere dall’altra parte profondamente cambiato. Tra amore, morte, disillusioni e il fascino del Sudamerica, assistiamo a un processo di liberazione dall’incubo della dipendenza. «Alla disperata ricerca di sé e del ritorno a casa».
Manuela Barban, Quante cose ci ha rubato la guerra, Las Vegas Edizioni
Nel 1943, con l’annuncio dell’armistizio, Goffredo e Silvana sono costretti a separarsi. Lui, operaio specializzato all’Ilva di Trieste, riporta sua moglie e la loro bambina in Liguria, affidandole ai propri genitori ad Albisola. Silvana, donna moderna e indipendente, non tollera le interferenze della famiglia del marito e decide di trasferirsi a Savona dalla sua migliore amica. Goffredo, per gelosia, reagisce con sospetto e Silvana gli scrive lettere infuocate contro la sua famiglia. Nel frattempo, Goffredo si unisce alla Resistenza, impegnandosi a salvare gli operai dalla deportazione nei campi di lavoro in Germania e intrattenendo un rapporto ambiguo con una SS che lavora in un giornale di lingua tedesca. Deve presto prendere decisioni cruciali per il suo futuro e quello dei suoi cari. Quante cose ci ha rubato la guerra è un romanzo familiare ambientato durante la Seconda guerra mondiale, basato sulla storia vera dei nonni dell’autrice, entrambi mossi, in modi diversi, da un irrefrenabile desiderio di libertà.
Luigi Trabucchi, Capire la mente. Oltre il sintomo, CN Oligo
Questo libro raccoglie i frutti di quarant’anni di esperienza di uno dei più noti psichiatri del Veneto. Con un approccio discorsivo e un linguaggio quotidiano, si spiegano casi clinici, oltre che i perché, i significati, i modi e i tempi delle terapie, che non devono essere solo compito del medico, ma che devono nascere dalla collaborazione medico/paziente. Ciò alla luce del collegamento dei sintomi con il contesto di vita familiare, lavorativa e sociale di chi soffre di disturbi psichiatrici, in modo che, raggiunta una nuova consapevolezza, il paziente scopra il “terapeuta che vede nello specchio”, cioè egli stesso. Non manca una riflessione sulle situazioni di malessere e di disagio degli ultimi tempi, a partire dal mondo giovanile o da quello della terza età, guardando alla mancanza di relazioni all’interno delle famiglie e delle fragilità della vita d’oggi. Ho sentito l’esigenza di raccontare la mia esperienza, che sicuramente è comune a quella di tanti colleghi più anziani e più giovani, ma, soprattutto, di descrivere come ho visto e interpretato la sofferenza e come questa sia cambiata nei decenni. Sono partito come medico che si occupava di malattie, tuttavia, un po’ anche per gli insegnamenti e le ansie di mio padre, concentrato più sull’uomo che su queste ultime, ho imparato col tempo a vedere i pazienti che incontravo come persone e non solo come portatori di malattie. Questo percorso l’ho compiuto, giorno per giorno anche riflettendo sulle situazioni della vita che la professione mi faceva incontrare, su ciò che accadeva nel mondo della fatica e sofferenza umane che vedevo dalla mia scrivania e negli eventi della cronaca. Era, ed è, un crescendo di situazioni di difficoltà esistenziale che è aumentato con le crisi globali, in particolare dagli anni ’90 in poi. Ho “scelto” di non considerare più la patologia nei suoi canoni delle classificazioni consuete, ma nel disagio esistenziale e umano che vedevo sempre più nell’umanità che incontravo e incontro.
Andrea Lattanzio, Le voci di 100 capolavori del cinema. Doppiatori e festival, CN Oligo
Questo libro raccoglie le biografie, le filmografie e le carriere dei doppiatori italiani, interpreti-ombra dei grandi divi che con le loro voci straordinarie hanno raccontato le più belle storie dei cento film capolavori del cinema mondiale con relative schede. All’interno del volume è inserita la manifestazione italiana dedicata al doppiaggio “Il Festival Internazionale del Doppiaggio Voci nell’Ombra” con tutti i doppiatori premiati nelle varie edizioni.
Le uscite di martedì 14 maggio
Giacomo Matteotti, Contro ogni forma di violenza, a cura di Davide Grippa, Einaudi
In commemorazione del centenario dell’atroce assassinio di Giacomo Matteotti per mano fascista, questo volume si propone di preservare e diffondere le sue idee e le sue convinzioni. Al centro del libro si trova un discorso fondamentale del deputato socialista, intitolato Contro ogni forma di violenza, tenuto alla Camera dei deputati nel gennaio del 1921. Questo discorso, che offre un’analisi pionieristica della violenza che dilagava in Italia, continua a risuonare con straordinaria rilevanza nel mondo contemporaneo. Accanto al discorso di Matteotti, il volume include due ulteriori contributi che esplorano la natura e le dinamiche della violenza fascista da prospettive diverse. Uno di questi denuncia lo squadrismo nel Polesine, mentre l’altro si oppone all’eversione fascista contro le istituzioni democratiche. Il libro si conclude con un saggio del curatore, Davide Grippa, che offre una contestualizzazione del rapporto tra Matteotti e il principio della non violenza, offrendo al lettore una panoramica esaustiva e illuminante sull’eredità e l’importanza di Matteotti nel contesto storico e politico contemporaneo.
Le uscite di mercoledì 15 maggio
Federico Riccardo, Tender, Edizioni Effetto
Otto racconti compongono un quadro variegato di storie che si svolgono nello spazio e talvolta nel tempo, tratteggiando quadri di infelicità e di resistenza in una società sterile, dove la comunicazione diventa sempre più sconosciuta. Dall’intimidazione alla violenza domestica, fino all’isolamento e al cannibalismo, metafora degli ostacoli di una società priva di empatia. Di fronte l’imminente invasione del pianeta da parte dei cannibali l’unica via d’uscita sembra essere smettere di riflettere e trovare rifugio nelle piccole cose: un foglio, una pizza, un momento di intimità, una melodia. «Il tempo necessario è un eterno presente; il passato non si è vissuto; il futuro non lo si potrà mai considerare».
Le uscite di venerdì 17 maggio
Giammarco Puntelli, Amarcord, CN
Quella mattina c’era tanto sole e c’era tanto buon umore. Era l’anno delle accelerazioni e dei cambiamenti, delle Trasformazioni e delle scoperte “Amarcord” è il romanzo d’esordio di Giammarco Puntelli, già conosciuto autore di saggistica d’arte contemporanea e di manuali di personal e business coaching. È il racconto di una famiglia italiana attraverso la voce di più generazioni. Dodici storie che sono vere e proprie sliding door che determinano il percorso dei personaggi. Sullo sfondo, la storia d’Italia dal 1953 al 2024: più di settant’anni visti dagli occhi di uomini e donne del Belpaese che scoprono, un giorno dopo l’altro, il significato della vita. Il romanzo di esordio di uno dei maggiori curatori d’arte contemporanea in Italia Presentazione in occasione del Premio Bancarella. Puntelli: «È il racconto di una famiglia italiana che ricorda la tua oppure che ricorda una di quelle che tu o qualche tuo caro ha conosciuto, è il racconto di un Paese e di un mondo nel quale gli eventi si sono inseguiti sempre più velocemente e dove le gioie hanno sempre superato le lacrime e le nostalgie. Perché la vita va avanti, sempre e velocemente. A volte affrontando tante curve come su una strada di montagna quando annusi la natura dall’aria che entra in una piccola, grande, Cinquecento Abarth che fa tanto rumore come il tuo cuore. Perché a ogni accelerata c’è una nuova emozione e dietro ogni curva un nuovo momento di vita. Perché sfreccia, gialla, come una pagina di pergamena che attende che la storia sia scritta con una linea laterale blu che somiglia tanto all’inchiostro delle tue parole. Questo libro parla di curiosità, parla di vita. Questo libro ti porta su un cammino di riflessioni da richiamare alla tua mente al bisogno. Una piccola bussola o se preferisci una cassetta degli attrezzi. Fra un caffè e una tisana queste pagine ti scalderanno il cuore e per ciò che hai vissuto o per i racconti che hai ascoltato dalla tua famiglia ti troverai a dire sottovoce: “Amarcord”».
Deborah D’Addetta, Maleuforia, Giulio Perrone Editore
“Maleuforia” di Deborah D’Addetta (autrice che ha pubblicato sulla nostra rivista con il racconto Kitöltest) traccia il percorso di Raffaele, un adolescente napoletano alla ricerca della sua identità di genere. Ambientato tra gli anni Ottanta e Novanta, il romanzo offre uno sguardo senza censure sulla formazione sessuale e sentimentale del protagonista, il quale trova rifugio in un ambiente inusuale: un bordello. Qui, Raffaele subisce una trasformazione sia fisica sia spirituale, prima di essere accolto da un mentore che lo guiderà attraverso una nuova fase della sua vita. Il romanzo si distingue per un linguaggio che mescola italiano e dialetto partenopeo, esplorando il concetto di «maleuforia», una fusione tra malinconia e sereno disincanto.
Giorgio Biferali, Sono quasi pronto, Ponte alle Grazie
Durante un’estate torrida e densa di cambiamenti, un uomo in procinto di diventare padre si interroga sul proprio passato e su quello delle persone che incontra quotidianamente per strada, nei bar e nei negozi. Che bambino sono stato? E che bambini sono stati tutti? Questo momento di riflessione dà il via a un viaggio nel tempo, in cui il protagonista ripercorre la sua storia sentimentale, dall’adolescenza in poi, analizzando il desiderio, l’amore e il rapporto con la sua compagna, fino ad arrivare all’infanzia. Infatti, dopo l’inizio la narrazione si sposta sulla storia della sua famiglia: la demenza senile del padre rivela un lato inaspettato della personalità del protagonista, mentre la malattia della madre e la caducità dei ricordi mettono in discussione la stabilità del passato. In questo periodo di analisi e resoconti, l’unico rifugio del protagonista diventa la scrittura, un tentativo di preservare e dare forma alla memoria, ai fantasmi del passato e, inevitabilmente, a sé stesso.
Enrico Sibilla, Nero celeste, Polidoro
In un tempo (forse) lontano, la Storia è giunta al termine. Per questo motivo, regolarmente ogni settimana, l’anziano Pontefice si reca alla grotta segreta che si trova sotto la Cappella Sistina. Da secoli, questa grotta nasconde un buco nero che induce visioni straordinarie in chi vi si avvicina. Allo stesso tempo, in una tenda da campo montata all’estremità opposta di via della Conciliazione, «colui che è tutti gli Adolf Hitler» attende pazientemente di lanciare l’attacco finale alla basilica e completare la conquista del pianeta.
Renata Asquer, Il visconte che amava i gelsi, Arkadia
Protagonista di una stagione di rivolgimenti politici a cavallo tra la fine del Settecento e il principio del XIX secolo, il visconte Francesco Asquer di Flumini, giunto quasi alla fine dei suoi giorni, decide di lasciare una lunga lettera al figlio maggiore, da leggere come un testamento spirituale. La sua esistenza, fatta di politica, amori appassionati, conduzione dei propri affari viene di volta in volta contrassegnata dai grandi e piccoli avvenimenti della storia, dalla Rivoluzione francese all’epidemia di vaiolo che devasta la Sardegna, dalla rivolta di Palabanda alla carestia del 1812. Sospettato di giacobinismo, inviso a certi ambienti di corte, Francesco Asquer coltiva anche una viscerale passione per la campagna e per i gelsi, introducendo nella sua attività di bachicoltore tecniche innovative e moderne. E sarà proprio in questo piccolo universo dominato dalla natura che il visconte cercherà di raccogliere le proprie idee per trasmettere alle generazioni future il senso di una esistenza spesa al servizio della patria e della famiglia.
Roberto Biadi, Le nuvole del soffitto, Add Editore
Un individuo si reca dal medico e si rende conto di essere deceduto, ma non ha tempo di affrontare la questione. Ciò potrebbe sembrare l’inizio di una barzelletta di scarso gusto, ma in realtà è il punto di partenza per Le nuvole del soffitto. Tuttavia, la condizione del protagonista non sembra essere cambiata molto rispetto alla vita precedente: la routine quotidiana procede come sempre, tra aperitivi e impieghi poco stimolanti, un’ex moglie verso cui forse prova ancora dei sentimenti, un generale senso di inadeguatezza e una figlia che rappresenta l’unico scopo di vita. Non resta che andare avanti, affrontando la vita appena conclusa (come conferma il medico!), fatta di ritardi, opportunità mancate, e fuga dalle responsabilità, in un ciclo monotono che sembra offrire più conforto della felicità stessa.
Le uscite di giovedì 23 maggio
Sergio Oricci, Materia prima, Transeuropa
Materia prima esplora la complessa psicologia del protagonista, Sergio, offrendo una profonda analisi dell’essere umano. Il romanzo segue la storia di un quarantenne alla ricerca di un significato più profondo nella vita borghese e spinto verso esperienze spirituali attraverso varie comunità. Diviso in tre parti, in cui si mescolano narrazioni in prima e in terza persona, il libro offre uno sguardo approfondito sulla ricerca di identità e significato. Il tragitto di Sergio verso la terza comunità, circondato dai «sassi», diventa un’esperienza di crescita personale e culmina in un epilogo narrato in prima persona plurale. Con una struttura narrativa innovativa e uno stile ipnotico, l’autore offre una visione penetrante della natura umana e del suo costante confronto con l’esistenza.
Le uscite di venerdì 24 maggio
Adriana Valenti Sabouret, Le nobili sorelle Angioy, Arkadia
Tre nobili fanciulle cagliaritane orfane di madre e figlie di un eroe rivoluzionario in esilio a Parigi sono lacerate dal dilemma se continuare ad amare il padre, contro il suo apparente abbandono e il tessuto sociale reazionario in cui evolvono, oppure imporsi di dimenticarlo sino a ignorarne le ultime volontà? La prima opzione, in accordo con il cuore, le condurrebbe alla perdita. La seconda, salvando le apparenze, garantirebbe loro onore e rispetto in una Sardegna monarchica e conservatrice. L’amore incondizionato di un padre, le conseguenze devastatrici della sua perdita, dopo un’infanzia minata dalla morte precoce della madre e la chiusura in monastero, accompagnano le vite di Speranza, Giuseppa e Maria Angela Angioy sopraffatte da un carico emotivo troppo pesante per le loro spalle. Attorno alle tre sorelle brulica un universo di personaggi realmente vissuti nel Settecento sardo, sullo sfondo dei progressi societari tipici del secolo dei Lumi che porrà le basi della Sardegna moderna. Le nobili sorelle Angioy è una storia vera di umanità fondata sulla famiglia, l’amore, la perdita, il dolore e il tradimento ma anche di forza, quella di tre ragazze al bivio la cui scelta di vita celerà una sofferenza interiore non indifferente. Una storia che evidenzia personaggi anche imperfetti, regole societarie schiaccianti e i contrasti quasi insolubili che condurranno le sorelle a una scelta delicata.
Diego Zuñiga, Terra di campioni, La Nuova Frontiera
Nella piccola città di Calama, nel nord del Cile, un giovane si ritrova ad affrontare l’estate cercando rifugio sulle rive del fiume Lao insieme ai suoi compagni. Qui, impara abilità come il nuoto, l’immersione e la pesca, e si distingue per un talento straordinario: la capacità di rimanere sott’acqua per lunghi periodi. Con il passare degli anni, il giovane Chungungo, si trasferisce sulla costa e si unisce a una comunità di pescatori, dove sviluppa le sue abilità nel mare aperto. Mentre il Paese subisce cambiamenti politici con l’arrivo del presidente Allende, Martinez diventa un pescatore eccezionale e attira l’attenzione dei preparatori della nazionale di pesca subacquea. Il suo successo culmina nei mondiali di pesca sportiva in Cile, ma una sconvolgente scoperta legata alla nuova dittatura nel suo Paese cambierà il corso della sua vita in modo irreversibile.
Le uscite di sabato 25 maggio
Carlo Lapucci, Uniamoci, Amiamoci. Blasoni e complimenti proverbiali tra popoli italici, Graphe.it
Questa ricerca è uno studio, con un repertorio esemplificativo di un settore dei proverbi che nel tempo non ha avuto molta attenzione, classificato come tipologia generica di utilità pratica. Il blasone proverbiale serve più a marcare le differenze, le distanze, le particolarità, usando preferibilmente i difetti altrui. I riflessi antropologici segnalati da questo studio sono notevoli, profondi e anche divertenti, dal momento che scoprono un lato singolare del carattere tipico d’una popolazione che ha più elementi in comune di quanti non vorrebbe avere, tenendo a distanziarsi, smarcarsi, definirsi, mantenendo il proprio stigma, fino all’ultimo paesello della montagna più sperduta.
Blasoni popolari sarebbero da intendere, secondo logica e propriamente, soltanto quelli che gli abitanti d’una località e d’un territorio dànno a se stessi, o alla loro comunità storica, e sono volti, come il blasone nobiliare, a esaltare qualità, imprese, meriti e quanto altro di positivo, in modo da distinguersi, qualificarsi e anche primeggiare su altre società umane, soprattutto sulle popolazioni confinanti e più vicine. Gli studiosi sono passati sopra al fatto che i motti di autoesaltazione di paesi e città, generati dal compiacimento e dalla vanagloria, sono stati l’occasione di dare forma a una critica di altre popolazioni vicine e lontane in infinite parodie coniando detti, spesso molto azzeccati, volti a deridere i difetti, le presunzioni, le malefatte altrui. Molti sono divertenti, pungenti, graziosi, a volte giustamente un po’ graffianti ma non lontani dalla benevolenza; altri castigant ridendo mores, non pochi sono infondati, ingiusti, volti decisamente ad avvilire i destinatari, prevalere su di loro, deriderli, provocarli, moderare il loro valore, i loro meriti, esaltando implicitamente se stessi. Questo è l’aspetto che travalica il gioco innocente e pone il problema del collegamento a fenomeni passati a modalità diverse, ma che sembrano fatte della stessa sostanza.
Le uscite di mercoledì 28 maggio
Maria Grazia Calandrone, Magnifico e tremendo stava l’amore, Einaudi
Nelle pagine di questo romanzo, Maria Grazia Calandrone ci conduce attraverso le sfaccettature di un amore fuori dagli schemi, tratto da una vicenda di cronaca nera realmente accaduta. Con occhio da investigatrice e cuore da poetessa, l’autrice ci immerge nelle vite dei protagonisti, intrecciando una trama intricata di passioni, segreti e colpi di scena. Mentre le storie d’amore spesso si perdono nella monotonia, questa si distingue per il suo finale sorprendente, plasmato dalla crudele imprevedibilità del destino.
Salvatore Massimo Fazio
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Con il tepore in aumento, la primavera sbocciata (meteo permettendo…) e la voglia di proiettarsi in vacanza, inizia la caccia ai nuovi libri da leggere. E le librerie rispondono pubblicando un’ampia rosa di romanzi. Per aiutarvi nella scelta, abbiamo selezionato i 10 romanzi appena usciti che, secondo noi, vale la pena leggere. Abbiamo cercato di andare incontro ai gusti di tutti, contemplando i vari generi letterari. Dal giallo al noir fino al romanzo rosa, con incursioni nella commedia, nel mistery e nel dramma, per consentire a chiunque di trovare il titolo più adatto alle proprie esigenze letterarie.
** Qui tutte le nostre selezioni di libri da leggere **
10 nuovi libri da leggere a Maggio
Schiavi di New York di Tama Janowitz
Eleanor si dedica alla creazione di gioielli a forma di torte usando la gommalacca. Stash dipinge quadri che hanno come protagonisti personaggi come Daffy Duck e Gatto Silvestro. Marley sogna di viaggiare a Roma per realizzare una cappella vicino al Vaticano… Questi sono solo alcuni degli individui che popolano Schiavi di New York: una variegata comunità composta da artisti emergenti, aspiranti stilisti, registi in erba e prostitute occasionali. Tutti sembrano lottare per trovare la propria realizzazione personale, quella che per loro è la felicità. Per ciascuno dei protagonisti, la città di NY rappresenta un sogno. Pubblicato per la prima volta nel 1986, Schiavi di New York ha immediatamente conquistato il pubblico mondiale, facendo di Tama Janowitz un nome cult della letteratura come Bret Easton Ellis e Jay McInerney. Questa nuova edizione è arricchita da tre racconti inediti, una traduzione aggiornata curata da Rossella Bernascone e una prefazione di Veronica Raimo e merita di entrare (nuovamente) tra i nuovi libri da leggere.
Locus desperatus di Michele Mari
Il termine “locus desperatus” in filologia indica un passo testuale irrimediabilmente danneggiato, qualcosa che il filologo deve suo malgrado abbandonare, contrassegnandolo con la “croce della disperazione”. Questo simbolo diventa il punto di partenza di questa storia: una croce disegnata sulla porta dell’appartamento del protagonista. Tale segno misterioso ricompare ogni mattina, nonostante il protagonista lo cancelli prontamente. Il mistero si infittisce ulteriormente quando al protagonista verrà imposto uno scambio… Se siete accumulatori seriali, Locus desperatus di Michele Mari è il libro che fa per voi. Mari racconta con maestria lo struggimento e le ossessioni legate agli oggetti accumulati nel corso della vita, offrendo una discesa agli inferi e una tassonomia dei ricordi.
Perché sfuggo all’amore? Il dolore è un talento di Viola Conti
Micol ha trovato stabilità, presenza e accettazione nel suo compagno Alberto, un uomo solido, misurato e affidabile che sembra apprezzarla per quello che è, offrendole qualcosa che per lei è preziosissimo perché mai è riuscita ad averne: la tranquillità. Le amiche e i familiari continuano a dirle quanto sia difficile trovare un uomo come lui, ma Micol incomincia a sentirsi soffocare nella tranquillità perfetta e monotona della loro relazione. L’incontro con Flavio, soprannominato il Vichingo, scatenerà in lei una passione clandestina e intensa, contraddistinta da sensualità e giochi mentali che nel rapporto con il suo fidanzato sembrano impensabili. Flavio è l’esatto opposto di Alberto, così Micol si ritroverà divisa tra due estremi, alla ricerca di un equilibrio impossibile.
Dove si aggiustano i sogni di Lee Mi-ye
Un anno dopo essere stata assunta al Grande Magazzino dei Sogni, Penny riceve il badge per accedere all’area aziendale riservata ai lavoratori con almeno un anno di esperienza. Oltre al suo ruolo alla reception, le viene affidato il compito di gestire l’ufficio reclami e di recuperare i clienti delusi. È piena di entusiasmo, ma pian piano si ritroverà costretta ad aprire gli occhi: esplorando l’azienda, scoprirà i vari reparti e i segreti legati alla produzione dei sogni. Dove si aggiustano i sogni di Lee Mi-ye è il capitolo conclusivo di una favola coreana che ha incantato il mondo intero.
Cadavere squisito di Agustina Bazterrica
Marcos è cresciuto nel settore della carne, un mestiere di famiglia tramandato da generazioni. Però tutto è cambiato drammaticamente da quando un virus ha colpito gli animali, rendendo la loro carne immangiabile: le bestie sono state abbattuti e da allora la loro carne non si può assolutamente consumare. Di fronte a questa crisi, i governi mondiali hanno legalizzato l’allevamento, la produzione e la lavorazione della carne umana. Se volete una lettura davvero indigesta da un lato ma pazzesca dall’altro, mettetelo tra i nuovi libri da leggere.
T di Chetna Maroo
Gopi ha solo undici anni quando perde sua madre. Per zia Ranjan, lei e le due sorelle maggiori sono delle «selvagge». Così ha detto al padre di Gopi, sottintendendo che non rispettano le regole della comunità indiana a cui appartengono. La zia offre di prendere una delle sorelle per alleviarne il peso al padre ma lui crede che le ragazze abbiano bisogno di trovare una passione che le guidi nella vita. Decide quindi che questa sarà lo squash. Non tutte le sorelle si appassionano allo sport, ma Gopi si distingue per la sua dedizione nel campo, che uscirà anche dal campo per influenzare tutta la sua esistenza. T di Chetna Maroo è un romanzo di formazione che fa capire quanto lo sport e uno scopo nella vita possano aiutare chiunque a intravedere finalmente la luce in fondo al tunnel.
La ragazza di Boston di Paolo Valenti
Estate 1990, appena dopo i mondiali di calcio: Meredith convince Alessandro a seguirla in un viaggio negli Stati Uniti. Partono e sperimentano il caos e la passione di New York, dopo di che passano alla realtà più tranquilla di Boston. Proprio in questa città, Alessandro si rende conto che la relazione con Meredith non è certo immune ai problemi… Dubbi e inquietudini lo assaliranno, intensificandosi quando, a Roma, riemerge il passato di lei sotto forma di Francis, il suo ex fidanzato determinato a riconquistarla.
Le sirene della notte di Diana Chiarin
Denis si sente inadeguata e indegna fin dall’infanzia, quando ha subito la mutilazione del nome e del corpo. Denise è stato decurtato in Denis dall’impiegato dell’anagrafe. Poi è stata la volta dello stomaco, e dei troppi centimetri di pelle da ricucire. Denis lavora di notte in un ingrosso di pesce, nonostante sia vegana. La sua unica vera amica è Anastasia, nata Angel, una transessuale che sulla scelta di non operarsi basa la sua vita, tanto tormentata quanto gioiosa. Le sirene della notte è il romanzo d’esordio di Diana Chiarin, una storia senza filtri che racconta con grazia e ironia quanto i sentimenti puri, con la passione a essi annessa, siano veri e intoccabili.
Guinzagli di Giuseppe Nobile
Filippo decide improvvisamente di abbandonare tutto, compreso il suo stress lavorativo. Si licenzia nel bel mezzo di una riunione. Intraprendere un viaggio alla ricerca dell’avventura, e dopo otto mesi lo ritroveremo in Sardegna, dove lavora in un canile in cambio di vitto e alloggio. La sua nuova vita va dalla sveglia all’alba e prosegue tra passeggiate con il cane Sansone, lezioni di surf incontri davvero strani.
La città delle navi di China Miéville
Bellis Coldwine fugge da New Crobuzon e si dirige verso Nova Esperium per sfuggire alla persecuzione della milizia. La sua nave viene assalita dai pirati. I passeggeri, inclusi i prigionieri Rifatti, vengono portati ad Armada, una città galleggiante controllata dai corsari. Qui vengono offerti loro lavoro e alloggio, ma presto emergeranno segreti che minacciano la sopravvivenza della città. Tra i prigionieri c’è chi nasconde informazioni cruciali, e la paura si diffonde mentre la situazione si fa sempre più pericolosa…
Camilla Sernagiotto
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L’avventura equinoziale di Lope de Aguirre di Ramón J. Sender
C’è un film iconico, della grande cinematografia mondiale, che non si dimentica facilmente se si è avuta la fortuna di seguirlo, arduo ma magnetico.
È Aguirre, furore di Dio (1972), del regista tedesco Werner Herzog. Una storia forte, dura, un’esplorazione fallita, una pellicola allucinata, un interprete strepitoso della follia monomaniacale di Aguirre: l’altrettanto folle Klaus Kinski.
Cinema come arte, non certo popolare, anzi impopolare, la programmazione girò poco nelle sale e in Italia arrivò soltanto nel 1975: qualche passaggio nelle televisioni, presenze nei locali d’essai.
L’irresistibile Herzog trasse ispirazione da una storia vera di conquistadores nel Perù del XVI secolo e da un romanzo dello spagnolo Ramòn J. Sender, apparso nel 1962 (altre fonti spostano la prima edizione al 1974) e proposto sessant’anni anni dopo dalle Edizioni cagliaritane Arkadia, nella traduzione di Lorenzo Mari, con il titolo testuale L’avventura equinoziale di Lope de Aguirre (Cagliari, luglio 2023, collana Xaimaca, 402 pagine). Il sempre severo Mereghetti ha classificato con il massimo punteggio il film del regista bavarese (ottantunenne quest’anno) e Time lo comprese nel 2010 tra i cento migliori di tutti i tempi (“Aguirre: the wrath of God” è anche il primo in ordine alfabetico), con la motivazione:
Rispondendo esclusivamente alla logica della bellezza naturale amazzonica, il film sembra un’analisi della follia dall’interno. Sontuoso, affascinante e subito, eternamente spaventoso.
I critici hanno sottolineato che rende Aguirre un conquistatore spagnolo ubriaco di potere. Hanno paragonato la sua esaltazione paranoide nella foresta alla spirale folle di Kurtz (Marlon Brando). Lo stesso director di “Apocalipse Now”, Francis Ford Coppola, riconosce un’influenza molto forte del Lope di Herzog-Kinski, con il suo immaginario incredibile. Un altro pazzo era l’attore protagonista: Klaus abbandonò il film, costringendo il pur amico Werner a minacciarlo con una pistola per riprendere il lavoro. Un regista allora trentenne, ma già al quinto set cinematografico, esigentissimo con la troupe: pretese che tutti vivessero le difficoltà degli esploratori nella foresta, aggrediti da una natura ostile e terrificante. Lo scrittore invece era molto maturo quando ha firmato il romanzo. Basco di Chalamera-Huesca (1901-1982), giornalista, Ramòn Josè Sender Garcès aderì prima all’anarchismo poi al comunismo, che più tardi rinnegò. Dopo la guerra civile spagnola, fu esule dal 1939 in Messico e si trasferì negli Stati Uniti, dov’è morto, a San Diego. Scrittore a cominciare dal 1930, realizzò i romanzi più celebri con taglio realista, attento agli aspetti sociali. Altre volte scelse il profilo filosofico, allegorico, anche umoristico e autobiografico. La aventura equinoccial de Lope de Aguirre rientra nella linea della sua narrativa di contenuto storico. Fu anche autore di racconti, poesie, saggi e testi teatrali. È piaciuto a tanti considerare Kinski la reincarnazione dell’avventuriero spagnolo, ma la critica internazionale ha giocato anche sulla somiglianza tra l’autore e il suo personaggio, segnati dalla comune lontananza dalla terra d’origine. Uno espatriato nel XX secolo, per la sconfitta dei repubblicani in Spagna, l’altro volontariamente, in cerca di avventura, gloria, ricchezze. Entrambi nel Nuovo Mondo, a vivere una nuova vita. Lope de Aguirre nacque probabilmente nel 1518 in una famiglia basca nobile. Era un giovane ambizioso, deciso a diventare un conquistador sull’esempio di Fernando Pizarro, tornato dal Perù con i tesori inca. Partì volontario nemmeno ventenne, raggiunse Cuzco, si fece conoscere per la violenza, crudeltà e indisciplina. Nel 1560 si unì alla spedizione di Pedro de Ursúa verso il Rio delle Amazzoni, l’anno dopo collaborò alla rivolta e uccisione dello stesso condottiero e di Fernando de Guzmán, che ne aveva preso il posto. S’impose come capo e guidò saccheggi e massacri nel Sudamerica settentrionale, anche in spregio ai rappresentanti della corona di Spagna. Sbarcato in Venezuela, mosse alla conquista di Panama, ma venne circondato, catturato e giustiziato. La condanna per lesa maestà sopraggiunse solo in un processo post mortem. Vanno considerati autentici capolavori tanto il film che il romanzo, la cui traccia non è seguita tassativamente dall’uomo di cinema. Il regista di Monaco ha fatto molto di testa sua: il finale è quanto mai imperscrutabile ma efficace. In un crescendo di pazzia, Aguirre che di sé dice:
Sono il furore di Dio, la terra che io calpesto mi vede e trema
Si avventura con i suoi uomini su una zattera sul fiume. Il cibo finisce, le febbri infieriscono, le frecce di indios invisibili nel verde fanno strage. Alla fine il natante viene invaso dalle scimmie. Aguirre, rimasto solo, le guida verso una folle conquista. Nel romanzo di Sender, basato su documenti dell’epoca della conquista del Nuovo Mondo conservati negli archivi iberici, seguiamo la ribellione di una bandera di avventurieri spagnoli, aggregati in cerca di ricchezze ad una spedizione ufficiale verso la terra dell’oro, il mitico El Dorado. Si scatena una ribellione, fomentata da un Lope de Aguirre quarantacinquenne (che si considera già vecchio). Ossessionato dall’ambizione di potere, onore e preziosi, cerca tra l’altro l’indipendenza dal re Filippo II. Vuole conquistare e intestarsi le terre del Perù, usando i suoi uomini. Lo spinge l’amara considerazione che alla sua età non ha ancora conseguito niente di rilievo, mentre altri, anche meno capaci, hanno costruito fortune in quelle terre generose. Avvia una lunga, romanzesca parabola discendente.
Felice Laudadio
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Il panorama editoriale italiano è, solitamente, campo d’elezione della saggistica, tutt’al più argomento d’indagine giornalistica. Ma cosa accadrebbe se uno scrittore si prendesse la briga di farne materia romanzesca? Se, per dire, ponesse al centro della trama un giovane percosso dal destino, animo sensibile e carattere testardo, il quale, innamorato della letteratura e preda dell’istinto creativo, immolasse la vita alla scrittura perseguendo il sogno di venire pubblicato, di vedere unanimemente riconosciuto il proprio talento? È ciò che ha fatto Vladimir Di Prima con il suo quarto romanzo, Il buio delle tre, pubblicato da Arkadia Edizioni. Il personaggio in questione si chiama Pinuccio Badalà, è nato a metà degli anni Settanta e vive in un paese del Catanese (come il suo creatore, che nel centro etneo è nato e vive), e il fato si è accanito su di lui riducendogli il padre, sindacalista in viaggio a Bologna e salvo per la “cieca determinazione del caso”, a un mutilato “destinato a far finta di vivere” in seguito all’attentato dell’agosto 1980, infine strappandoglielo per un bizzarro incidente. Il titolo rimanda all’ora più fonda della notte, metafora di un precipitare nella voragine esistenziale, da cui il buon Pinuccio cerca volitivamente di riemergere “come un cane che parlava alla luna anche quando la luna non c’era”, e la vicenda si dipana lungo un quarantennio, sullo sfondo di eventi epocali (appunto la strage di Bologna, lo sgretolamento del colosso sovietico, gli attentati a Falcone e Borsellino, alle Torri Gemelle), giungendo sin quasi all’oggi; vediamo Pinuccio crescere con i comprensibili traumi, sotto l’ala di una madre apprensiva, simbolo di una cultura atavicamente passiva e remissiva davanti alle dinamiche della storia, contro la quale il giovane mette in atto una pertinace ribellione. Molla che non scatta subito, poiché, dopo la maturità scientifica, il ragazzo non trova “niente in grado di incuriosirlo più dell’inerzia a cui voleva destinarsi”. L’inerzia è motivo ricorrente: quella degli adulti e della sua terra, che si scrollerà di dosso grazie alla convinzione di essere “un predestinato”, che scrive “per entrare nella storia”. Sarà questa diversità ontologica a salvarlo dalle incomprensioni e dallo “scetticismo isolano” che lo assediano, a conferire senso alla sua vita e concedergli una possibilità di riscatto dal grigiore cui sarebbe destinato. Terra di “vane consolazioni”, la Sicilia è coprotagonista, punto di fuga e àncora di salvezza a cui sempre Pinuccio s’abbarbica per leccarsi le ferite dopo i pellegrinaggi nei respingenti reami dell’editoria italiana, abitati da figure ora ridicole e grottesche, ora ipocrite e fatue, ora tracotanti e boriose, quasi sempre incapaci, “manipolo di inetti depravati o fricchettoni metodisti piazzati a prua di una nave già sul fondo dei mari”. Per lo scrittore in cerca di conferme, che trascorre la vita “allacciato alle travi di un sogno”, quello natìo è il luogo dove escogitare trame, allestire “fiere, inviti, agenti, mascheramenti” con l’intento di piazzare i propri scritti, come quando, non privo di genio, organizza la presentazione di un libro per attirare una nota scrittrice e il suo editore – tra i momenti più esilaranti del romanzo –, scarrozzandoli per le bellezze etnee e rimpinzandoli con delizie gastronomiche prima di affibbiargli la propria opera; o ancora, si finge agente letterario, sempre con lo scopo di avere ragione delle “aberranti logiche della grande macchina editoriale italiana”. E così, tra innamoramenti ed esperienze di formazione erotica, interminabili attese e l’ideazione di trame diaboliche, incontri con i pochi in grado di manifestargli affetto e comprensione (un vecchio professore che “insegnava a essere liberi” poi misteriosamente scomparso, un ingegnere ottuagenario che s’ostina a sfilare per “i licenziosi viali di Catania” in cerca del “nettare di Dio”, un maturo scrittore, addirittura un premio Nobel agganciato con ammirevole scaltrezza), tra personaggi reali come Lucio Dalla e d’invenzione, più d’uno preda d’ipocondrie (simbolo d’un tempo infetto, la malattia attraversa il testo come un filo rosso), la narrazione si dipana lungo le montagne russe di poderose illusioni e cocenti delusioni. Il tono è quello della tragicommedia, e l’originalità non risiede solo nella trama, ma anche nell’ascendente letterario, il romanzo picaresco: Pinuccio è un moderno Lazarillo di cui, con una partecipata narrazione in terza persona, si seguono le peripezie, ma con una variante rispetto al modello di riferimento, poiché per sopravvivere il protagonista non compie azioni riprovevoli, non accetta compromessi con un mondo spietato ma rimane fedele a se stesso, e ignoriamo se la sua “purezza” (che è anche cieca ostinazione) sarà premiata con il successo. L’incipit si consuma in un micidiale iato, in cui, da momenti di scompiscevole ilarità giocati sul topos dell’isolano che viaggia nel continente si scivola in un attimo (quello devastante dell’attentato) nella tragedia. La stoffa dell’autore si estrinseca proprio nella misurata fusione dei registri (v’è anche un inserto onirico dalle tinte gialle), resi in una lingua metaforica, un lessico denso di echi dei maestri prosatori siciliani (Sciascia e Brancati su tutti), ma anche memore della lezione d’un Camilleri con la dilatazione semantica di verbi e aggettivi basata sul vernacolo, una prosodia che si stacca da quella misera e scontata di tanti romanzi contemporanei. Convincenti i dialoghi, venati d’ironia e sapidi accenti dialettali, vividi e concreti i personaggi, a partire dal Badalà, alcuni con nomi dall’umoristica pregnanza pirandelliana: Carmelo Cantalanotte, Orazio Magazù, Rosalia Quattrocchi, Cischino Menestrello. Quanto questa storia sia la trasfigurazione letteraria dell’esperienza dell’autore, se sia un riuscito esperimento di ironica autoanalisi, non è dato sapere. Certo è che, con talento comico virato sul grottesco, Di Prima cesella un’amara parodia del nostro tempo, mettendo in scena la decadenza culturale attraverso il filtro delle ambizioni di un provinciale deciso a lasciare un segno, non soltanto per vanagloria ma per autentico trasporto verso l’arte, il bisogno di “essere” e non di apparire. Ma il dilemma che ammanta il personaggio rimane irrisolto, del protagonista sappiamo solo che è un “aspirante scrittore di romanzi dallo stile pretenzioso”: Pinuccio Badalà è il classico genio incompreso o un inguaribile sognatore, icastica personificazione del piccolo borghese incapace di uscire dalla mediocrità sua e del proprio milieu? Stupido, comunque, non è, se si ritrova sull’orlo della “spirale senza sbocco della pazzia”, se arriva a comprendere che “la letteratura, in fondo, era solo un grande surrogato, un luogo inventato dagli uomini come lui per rendere più sopportabile un’esistenza che sin dal primo pianto li aveva messi in una condizione di drammatica estraneità”. E v’è un’altra certezza: il suo creatore è scrittore autentico, che conclude il romanzo con l’accortezza di lasciare all’incuriosito lettore il fantasticare gli esiti della storia.
Giuseppe Costigliola
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“Per scrivere ho solo bisogno di vivere, di curiosare, di conoscere, di dialogare e confrontarmi”.
Andrea Magno torna in libreria con una raccolta di poesie dal titolo La forma del desiderio (Arkadia 2024); quando l’ho incontrato, un paio d’anni fa a un festival, Magno non faceva niente per sembrare un poeta, non si atteggiava – come si dice a Roma – e non tentava di sembrare aulico o lirico fuori ordinanza. Ho preso il suo libro e l’ho aperto a caso. Ho letto qualche parola: “– cominciare – / è una parola bellissima”, e mi è venuta voglia di farci quattro chiacchierare su poesie, poesia e poeti.
Buongiorno Andrea, la tua prima raccolta poetica è del 2014 (Sotto falso nome), dieci anni fa. Questo nuovo libro, La forma del desiderio, celebra un anniversario?
Buongiorno e grazie Paolo, e un grazie anche a chi ci leggerà. Anche se può sembrare, a quasi dieci anni esatti dal mio primo libro, non si celebra nessun anniversario, che poi gli anniversari mi sanno anche di commemorazione. In mezzo ce ne sono stati altri due, parlerei di una cadenza quasi triennale, in fondo seguo il consiglio del buon Enrico Nascimbeni. All’uscita del primo libro mi disse che un libro è come un figlio e che come tale va seguito. I libri di poesia, in particolare, hanno vita lunga bisogna dare loro attenzione per almeno due anni. È in pratica quello che ho fatto. La poesia ha tempi lunghi di sedimentazione. Più che un anniversario io lo sento come una festa, per me è la festa delle parole, le mie.
Quando hai scoperto la tua passione per la scrittura poetica?
Per la lettura non c’è una data precisa. Negli anni del liceo ho iniziato leggendo Vincenzo Caldarelli e poi Montale, Salinas, Quasimodo, Bukowski. Mi piace anche citare Asimov, perché sono appassionato di fantascienza.
La scrittura invece è nata una decina di anni fa, oserei dire per caso. Nata sui social. Mi hanno iscritto in un gruppo “Scrivi un romanzo in dieci parole”, ho cominciato a scrivere delle cose e mi piaceva molto. Col tempo le dieci parole sono diventate di più scoprendo che mi veniva quasi naturale. Poi la sorpresa di essere notato da Enrico Nascimbeni e quindi la prima pubblicazione in una collana da lui curata. Probabilmente la mia poesia navigava sottotraccia e improvvisamente è venuta fuori. Il mio professore di filosofia del liceo ha scritto di me: “La prima volta l’ho conosciuto quando di anni ne aveva sedici. La sua vita, come la nostra, ha attraversato montagne russe e acquitrini melmosi. Ma in un cantuccio della memoria la sua mente continuava a coltivare, stilemi, lexemi, baci di vocali, jazzistici incontri di vocali e consonanti”.
Quanto tempo hai impiegato per raccogliere i versi di questa raccolta?
Per scrivere ho solo bisogno di vivere, di curiosare, di conoscere, di dialogare e confrontarmi. Sono questi gli irrinunciabili generatori di emozioni, anche perché non ho una formazione poetica o letteraria essendo i miei studi, liceali e universitari, scientifici. Ritengo, piuttosto, di essere fortunato per aver ricevuto il dono di riuscire a trasfondere le emozioni nelle parole, almeno così dicono. In realtà non c’è un tempo definito. Questi versi vanno dal 2017 (anno di pubblicazione del mio secondo libro) a oggi se ci riferiamo alla loro scrittura. Tecnicamente invece per diventare libro diciamo che c’è stato un lavoro di quasi un anno insieme all’editore visto che le poesie scritte sono molte di più, per scegliere quali e per la loro rappresentazione grafica. Il mio scrivere poesie non ha l’obiettivo libro, anche se poi in un certo momento nasce l’esigenza libro e l’esigenza di una omogena rappresentazione di tutte quelle parole buttate su fogli.
Già dal titolo della raccolta emerge potentemente una parola che è anche un simbolo: desiderio. Che cos’è per te, come uomo e come autore?
Spesso “desiderio” viene associato a “mancanza” e in effetti se si va a guardare l’etimologia della parola che viene dal latino “assenza di stelle” potrebbe anche essere. Io invece auspicherei di considerarla in maniera diversa, non una mancanza ma una presenza spesso immaginaria a cui fare riferimento per seguire una strada, una stella che ci indichi il cammino. Mille e poi ancora mille possono essere le forme assunte dal desiderio durante la nostra vita. Uno sprone ad andare avanti, a perseguire i sogni. Credo non ci siano differenze tra uomo e autore, il desiderio è uno dei casi in cui l’intento di entrambi tende a coincidere e a perseguire lo stesso scopo nel senso lato del termine, il primo magari in silenzio mentre il secondo con le parole. Aggiungerei che il desiderio è una astrazione, e non deve mai diventare voglia di possesso, perché diventa compulsione ed è altra cosa. In una poesia passata l’incipit recita “Non voglio possederti, perché se ti possedessi potrei perderti, e questo sarebbe insopportabile”. Questo sarebbe la perdita del desiderio e quindi del vivere.
In una poesia, A morte, scrivi tra l’altro: Uccidete i poeti/sono solo uomini fatti di parole. La parola poetica può essere una colpa per la nostra società?
Non casualmente parlo di uccisione del poeta/uomo e non della poesia. No, la parola poetica non può essere una colpa, infatti non viene mai additata la poesia, ma il poeta, chi prova a diffonderla. Dico sempre: “Che poi a scrivere poesia che ci vuole, prendi le parole e le metti in fila, senza nessuna colpa. Poi ognuno ci troverà la colpa che vuole”. Le parole non hanno mai colpe, è l’uso delle parole che è colpevole in senso positivo o negativo, ma comunque colpevole. Aggiungerei che uccidere i poeti è un simbolismo nel quale mi rifugio per ricordare la trascendenza dell’essere umano che richiede la libertà e la capacità di vedere oltre l’urgenza immediata, e spesso egocentrica, contrapposta a un vuoto interiore che spesso si cerca di riempire con le parole, che non muoiono mai.
Mi sembra che scegli per i tuoi versi parole di uso quotidiano, quindi non ricerchi parole singolari, termini rari?
Gesualdo Bufalino ne Il Malpensante scriveva: “Scrivo poesie che si capiscono, devo sembrare un cavernicolo”. In realtà non mi sono mai posto il problema, qualche “termine raro” capita anche a me di usarlo, ma solo perché funzionale al testo, e non per arricchirlo. Sono per una poesia diretta, senza fronzoli, non lunga e che arrivi al dunque senza orpelli, in cui l’immagine racconti in maniera immediata l’emozione. Questo non vuol dire che sia la maniera corretta, ma credo dopo anni a me la più congeniale. Sarà un mio limite, ma ho due condizioni per la poesia, non devo girare foglio per finire di leggerla e non devo avere vicino il vocabolario. Probabilmente il mio lessico è scarno e a corto di parole edulcorate, ma è il mio modo per arrivare al lettore. Una presunzione la mia.
Come lavori per scrivere una poesia?
Spesso mi chiedo se siamo noi a scrivere le poesie o siano le poesie a scrivere noi. Credo che la poesia sia già dentro di noi, dentro tutti noi, poi per alcuni accade la magia dello scrivere, del riuscire a esternare. Qualche tempo fa scrissi che il poeta “racconta di noi senza avarizia, non concedendo alibi alla vita” . Ecco, direi che il poeta ha la fortuna di riuscire a tirare fuori i versi nascosti dentro, sconoscendo l’avarizia nella generosità del dare e, senza concedere, ma soprattutto senza concedersi alibi; la poesia è un regalo che la vita ci concede, che ci prende per mano, e ci accompagna nel nostro viaggio, una trasparenza di emozioni che avvolge le parole. Non c’è un vero e proprio lavoro, block-notes e una penna in tasca sono una cosa irrinunciabile, quasi come acqua nel deserto della quale non si può fare a meno. È più forte di me, quando balena un pensiero o vedo o sento qualcosa che mi suggerisce, allora devo metterlo nero su bianco, buttarlo lì senza stare a pensarci, senza nessuna elaborazione, e magari resta lì per mesi, poi in un attimo la scintilla. Nascono così le mie poesie, poche correzioni e qualche limatura. Senza nessuna ansia.
Più di una volta isoli in un verso solo una “e”, qual è il peso che dai a questa lettera/parola?
Mi ha incuriosito, e sono andato a guardare questo mio uso della “e” inconsapevole, cercando di farlo diventare consapevole. È un taglio netto nei versi a sottolineare la contiguità e sovrapposizione contemporanea di due immagini, a volte tre. Un modo per rafforzare la sequenza. Ma è anche un modo per indugiare sui versi precedenti, preparandosi alla lettura di quelli successivi. Un momento di pausa per chiedersi dove sto andando e da dove sono arrivato. Indubbiamente un grande peso nella mia scrittura, immagino anche dovuta a un momento di pausa di riflessione nella stesura definitiva della poesia. Un accodamento che dà lo stesso valore e la stessa dignità ai versi precedenti e successivi anche se separati da una sola “e”.
Una parola che torna spesso è “culo”, che spazio ha il sesso nella tua ispirazione?
Premesso che viene ripetuto solo quattro volte, non vorrei si pensasse troppo male (sorrido) anche se il sesso di primo acchito può sembrare l’ispirazione predominante, in realtà lo è, si trasforma sempre in qualcosa di etereo e irraggiungibile. In una dico “fu un illecito/quel tuo culo,/non feci in tempo/a non guardarlo/e mi fottesti.” In un’altra “giudicando affrettatamente/dimenticò/la lode al culo/perdendo l’occasione”. Il “culo” e non c’è altro modo di dirlo, di usare altra parola che non sia questa, è dematerializzato, non è puro sesso. Nell’eccezione più comune forse sì, per me è solo una delle forme che può assumere il desiderio. Mi viene da pensare al desiderio di bellezza, e proprio la bellezza mi riconduce alla sezione aurea, a quella spirale meravigliosa che ritroviamo in qualunque cosa sprigioni bellezza, e a cui Fibonacci diede un nome, no, non lo chiamò “culo” ma “serie aurea”. Tutte le “forme” che attraggono, siano esse concrete o visioni, tutte (o quasi) ricadono dentro la sezione aurea, la perfezione, ma è la perfezione che percepisce il nostro occhio, la nostra mente, siamo sempre alla ricerca delle bellezza che deve essere inaccessibile altrimenti cessa il desiderio. E comunque il sesso e l’attrazione hanno sempre un loro perché soprattutto quando i versi diventano carnali, e la passione incute quel timore reverenziale a cui non riusciamo mai a sottrarci. Infatti non a caso ho scritto anche: “quel culo/– visto da qui –/una distrazione di certe notti”.
L’ultima lirica della raccolta comincia così: “Dal ruolo di poeta/mi affranco,/sarebbe barare”. Cosa vuol dire per te il ruolo di essere poeta?
L’ultima lirica è un saluto, un arrivederci. Vi saluto e adesso da poeta torno a essere l’uomo. Non so se essere poeta è un ruolo, di sicuro so soltanto che quando le parole finiscono su un foglio di carta cominciano a pesare, di qualunque tipo siano. Il ruolo del poeta, se un ruolo c’è, come per chiunque scriva, credo sia quello di dire la verità, senza sotterfugi, chiara e pulita, spiattellata lì, forse per il poeta ancor di più. Il “dono” della sintesi dovrebbe aiutare anche a denunciare, ribellarsi, e questo credo che avvenga magari dietro maschere che non smettiamo mai di indossare. Ognuno ha la sua maschera, il poeta ne indossa sicuramente una, e così anche ogni lettore. Una bellezza i lettori, perché ti fanno scoprire cose che non pensavi di aver mai scritto. Chiudo, non prima di averti ringraziato, con dei versi citati da Salvatore Basile nella prefazione:
… oggi la parola si allunga
nell’ora della tristezza
e adesso ognuno al suo posto,
io resto qui, mi sistemo la maschera
tra scena e orchestra,
e adesso musica.
Paolo Restuccia
Il link all’intervista su Storygenius: https://tinyurl.com/fbtum3fr